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Autore: Danu    12/12/2010    1 recensioni
Lei vive da tutta la vita in un villaggio in mezzo alle montagne. Lui non è mai rimasto in un posto fisso.
Al villaggio ogni primavera arrivano i nomadi e Lydia sa che farebbe meglio a non avvicinarsi per nessun motivo a uno di loro. Ma trascinata dall'esuberanza e la spensieratezza di sua sorella, promesse e matrimoni segreti, attrazioni e nuove libertà, si troverà costretta a scegliere tra un matrimonio senza amore, ma con la certezza di un futuro sicuro, e un sentimento a cui per nulla al mondo vorrebbe rinunciare.
"“Vorrei proprio vedere come reagirebbero, o anche solo sentire cosa direbbero, se ti sapessero fuori la notte da sola nel bosco. Se ti sapessero qui sola. Con me.” Mi guardò con fare allusivo sapendo che avrei capito e che sarei diventata rossa.
“Non ho scelto di venire io qui.” ribattei sulla difensiva non sapendo bene come scusarmi.
“Sì, invece. Non sono io che ti ho chiesto di uscire la notte, anche perché non te l’avrei chiesto.” Lo guardai interrogativa e lui rispose guardandomi con aria accattivante e provocatoria: “Sarei direttamente venuto a prenderti."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo la partenza di John e di mio padre, mia madre iniziò a pensare che forse avremmo dovuto seguirli fino in città, ma cambiò idea presto. Non sapevo se era preoccupazione, ma si era appena ricordata che non poteva lasciare sposare sua figlia senza un corredo per il matrimonio: una camicia da notte e un lenzuolo ricamato con le nostre iniziali.

Charlotte aveva chiesto se per caso credeva di sposare la figlia ad un re, invece che ad un semplice falegname, ma nostra madre si era subito arrabbiata.

A quanto pare, il lenzuolo era una tradizione di famiglia. Indipendentemente dal fatto che non eravamo ricchi, ogni fanciulla avrebbe avuto diritto ad un lenzuolo ricamato con le iniziali dei due sposi.

Forse mia madre discendeva da chissà quale famiglia altolocata la cui ricchezza, vista questa tradizione inusuale per una famiglia come la nostra. Già solo il fatto che tutte noi sapessimo ricamare era una cosa molto inusuale, ma non mi ero mai fatta troppe domande.

In verità, avrei dovuto farlo anch’io, ma Charlotte si rifiutava ogni giorno di portare le pecore a pascolare e preferiva rimanere chiusa in casa a ricamare. Non voleva dirmi il perché, ma non era necessario, l’avevo capito da sola: temeva di incontrare lui, il solo modo in cui ormai lo chiamava, e, sebbene detestasse il ricamo, era pronta a sacrificarsi pur di non oltrepassare la porta di casa.

Per questo, ogni mattina mi allontanavo dal villaggio con le pecore al seguito e il cane che mi trotterellava a fianco abbaiando ogni tanto per non far disperdere il gregge.

Passavo le giornate seduta su un prato all’ombra di qualche albero e tornavo la sera tardi quando il sole iniziava a calare e a scomparire.

Anne e Charlotte aiutavano nostra madre nelle faccende di casa e a preparare il mio esiguo corredo e la sera quando tornavo Charlotte era sempre pronta a raccontarmi della visita di qualche compaesana nel pomeriggio. 

Erano tutti molto curiosi sul mio matrimonio e spesso bussavano alla nostra porta per una piccola visita di cortesia. 

Restavo a bighellonare per la campagna tutto il giorno finchè il sole non iniziava la sua discesa e il buio cominciava a minacciare di farmi perdere la strada.

Allora, rincasavo e insieme andavamo a dormire.

Quando quel giorno Charlotte e Anne mi raggiunsero trafelate, stavo cercando di intrecciare una corona di fiori, ma tutte le volte che ci provavo, non riuscivo a non rovinarne i fiori irrimediabilmente. Conservavo ancora la coroncina di fiori che mi aveva donato Gabriel, nascosta dentro la Bibbia, e ancora non riuscivo a capire come avesse fatto ad intrecciarla senza che me ne accorgessi e che si rovinasse.

“Lydia, vieni. Subito.”

Le guardai sorpresa. “Cosa ci fate qui? Non dovreste essere a casa?”

Charlotte mi aiutò ad alzarmi in piedi senza tanti complimenti. “Cosa sta succedendo, Lotte?”

Anne mi guardò. “Charlotte dice che devo guardare io le pecore.”

Lanciai uno sguardo interrogativo alla nostra sorella maggiore e lei mi rispose. Semplicemente: “Mi servi in casa, tu.”

Dopo aver raccomandato ad Anne di restare lì e di non lasciar scappare neanche una pecora, corremmo per i prati verso il villaggio.

Charlotte non voleva dirmi nulla finchè non fossimo state dentro le mura di casa e, nonostante cercassi di convincerla a fermarsi e spiegarmi tutto, continuava a correre e tirarmi per la mano.

“Temo che si sia beccata un malanno.”

“Chi?” chiesi anche se iniziavo a sospettarlo.

“Nostra madre. È tutto il giorno che tossisce e poco fa mentre pulivamo la cucina è svenuta. Cosa facciamo?”

Mi guardò ad occhi sgranati aspettando una risposta. 

Corsi da nostra madre e, appena varcata la soglia della camera dove dormivano i nostri genitori, mi resi conto guardandola in faccia che aveva bisogno di cure. La sua fronte era calda e tossiva continuamente. Accanto al letto portammo un secchio d’acqua e, mentre verso sera Charlotte correva a riportare la piccola Anne a casa, iniziai ad inumidirle la fronte sperando di abbassarle la temperatura.

Passammo la notte alternandoci al fianco del letto di nostra madre aspettando che l’alba portasse improbabili miglioramenti.

 

 

 

 

“Dobbiamo chiamare qualcuno.” mi confessò Charlotte guardando il sole fuori dalla finestra sorgere.

“Chi? Potremmo chiedere a Thomas di andare a chiamare una guaritrice giù in città, ma non sappiamo quanto tempo potrebbe metterci.” proposi sapendo che non era la soluzione giusta.

“No, infatti. La cosa migliore sarebbe avere nostro padre qui a casa. Lui saprebbe cosa fare probabilmente.” rispose assorta.

Restammo in silenzio per qualche attimo. Mi venne in mente una persona alla quale avrei potuto chiedere aiuto, ma sapevo che nostra madre non avrebbe approvato.

Del resto, per il momento la sua approvazione non ci serviva e non sarebbe servita neanche a lei, se avesse continuato a peggiorare.

“Sai, Charlotte… forse c’è qualcuno che potrebbe aiutarci.”

Lei si voltò e nell’istante in cui vidi il suo debole sorriso, seppi che aveva capito a chi mi riferivo. In fondo, forse ci aveva già pensato prima.

“Mamma non ne sarà contenta.” rispose guardandomi come se fosse curiosa di vedere la mia reazione che non si fece aspettare: abbassai lo sguardo e arrossii di imbarazzo.

“Tornerò presto.” le dissi incerta e pronunciando quell’affermazione come se fosse stata una domanda.

“Tornerai presto.” mi rispose sorridendo con malcelata soddisfazione.

Appena uscita di casa mi chiesi perché non avevo nemmeno tentato di convincere mia sorella a sostituirmi in quella piccola impresa.

 

 

 

 

“Sei tornata.” mi disse appena entrai nella tenda.

Guardai verso di lei e la vidi: Lady Fortuna. Era in piedi al centro della tenda come se avesse saputo che stavo andando da lei e mi avesse aspettato.

Era uguale a come l’avevo vista il giorno della fiera: stesso sguardo penetrante, stessa chioma castana piena di ricci. Ma c’era qualcosa di diverso che impiegai qualche attimo a decifrare: non mi spaventava più. Non riuscivo a capire se era meno inquietante lei o io stessa meno spaurita, ma non ci prestai troppa attenzione.

C’era una profumo pungente di erbe e strani miscugli di spezie e altri ingredienti a me ignoti che per poco la testa non iniziò a girarmi. Un’altra volta, mi sembrava di essere stata catapultata in un altro mondo in cui le mie percezioni erano molto più forti e, anche se non potei fare a meno di stupirmene di nuovo, non potei che apprezzare quell’ambiente particolare e in qualche modo segreto e inspiegabile, intrigante.

Mi sentii così travolta da quell’onda di odori e sensazioni che quasi dimenticai il motivo di quella visita.

Mi accorsi che Lady Fortuna mi stava osservando come aspettando qualcosa e con un certo imbarazzo mi ricordai di essermi dimenticata di dirle perché ero lì, in quella tenda.

“È per mia madre. Si è presa un malanno.” Le spiegai cosa aveva, raccontando cosa avevamo cercato di fare io e Charlotte.

Inarcò un sopracciglio. “Tua madre?”

“Beh, sì.” 

Lei sorrise amaramente. “Non credo di poterti aiutare.”

Non parlai per diversi attimi incredula. Avevo sentito giusto? Come poteva non aiutarmi? Come poteva anche solo rispondere con quel tono di voce freddo?

“Perché?” 

Non rispose e voltandosi si diresse verso l’uscita della tenda.

“Lady Fortuna. Lei deve venire. Mia madre…”

“Non apprezzerà il tuo gesto neanche un poco.” mi rispose.

La bloccai mentre tentava di uscire e di scappare dalla tenda. Non so dove trovai il coraggio, ma le afferrai il braccio e tentai di convincerla.

“Non mi importa. Venga a darle un’occhiata.” le dissi temendo che mi lanciasse il malocchio come dicevano le donne del paese.

Lei mi puntò addosso i suoi occhi freddi come due lame ed ebbi paura: forse quello che dicevano le vecchie comari non era poi così lontano dalla verità. Forse stavo sbagliando a comportarmi così impulsivamente con lei: quella donna era pericolosa.

“Lydia, tu aiuteresti mai una tua rivale?”

La guardai confusa da quella domanda che mi sembrava insensata e fuori luogo.

“Cosa… Non lo so.” risposi presa in contropiede. Poi mi ricordai di Mary Bell. Charlotte diceva che era la mia rivale. L’avrei mai aiutata? In un primo momento, rifiutai completamente la prospettiva di doverle prestare soccorso, come se fosse qualcosa di inaccettabile. Poi però mi accorsi che era una cosa così crudele rifiutare la richiesta d’aiuto di qualcuno, fosse anch’egli la persona più odiosa e ripugnante del mondo.

“Sì, lo farei. Non vorrei mai dovermi trovare nella situazione della mia avversaria, senza aiuto in cui sperare.”

Lo sguardo di Lady Fortuna sembrò mutare, addolcirsi leggermente e coprirsi di quella patina che solitamente accompagna pensieri profondi. Sapevo comunque che mi stava osservando con attenzione come per smascherarmi.

Infine, annuì. Sorridendo di soddisfazione, l’aiutai a prepararsi.

Tornando verso casa, mi sentivo felice e trionfante, come se avessi vinto una battaglia. Ripensai alla Lydia spaurita che era entrata poche settimane prima in quella tenda e a come era leggermente cambiata. Forse non ero così timida e insignificante, forse era ora di chiedersi  chi veramente fosse la vera Lydia.

 

 
 
   
 
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