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Autore: MissFalco    12/12/2010    0 recensioni
A tutti capita di vivere la fine di una "storia d'amore". E a tutti
prima o poi capita di pensare "Meglio morire che soffrite
così". Questa è la mia risposta alla domanda che
credo parecchi di noi ci siamo posti, almeno una volta nella vita. Dal
brano: "Mi lasciavo andare ogni giorno di più, senza voler
veramente rimprendermi. Mi lasciavo scivolare addosso quella pioggia
fresca e dolce come un frutto, ma pesante come un macigno. Mi sentivo
libera di piangere, ma era così forte il senso di colpa per
quelle piccole perle che mi cadevano dagli occhi che mi ritrovavo
sempre a singhiozzare convulsamente, senza riuscire più a
respirare. Senza riuscire più a risalire."
Genere: Malinconico, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La pioggia cadeva ininterrottamnente da giorni, lacerandomi l'anima senza darmi scampo alcuno. Ogni singola goccia mi portava alla mente un piccolo ricordo di quei giorni felici, ormai andati per sempre a far parte di quel mare grigio che è la memoria. Batteva senza sosta contro i vetri della mia stanza, urlando la sua potenza e dimostrando la sua forza nelle ore più buie della notte, quando i miei spettri venivano a farmi visita. Quando ormai ero sola, senza nemmeno il conforto della sua voce, delle sue braccia. Delle sue labbra.
Allora mi acciambellavo nel letto, stringendo le gambe al petto, chiudendo gli occhi e implorando quel cielo tempestoso di smetterla, di lasciarmi riposare per lo meno quella notte. Ma niente, nulla mi dava mai ascolto, specie il cielo che contrastava le mie lacrime con tuoni da far tremare le fondamenta della casa. Ho sempre avuto paura dei tuoni, ma non importava a nessuno. Neanche a coloro che dicevano di volermi aiutare, somministrandomi delle pillole che avrebbero ridotto il mio cervello in pappa. Sapevo benissimo che l'unica capace di aiutarmi ero io, ma non volevo dimenticare tutte quelle cose, tutti quegli attimi trascorsi con lui.
Mi lasciavo andare ogni giorno di più, senza voler veramente rimprendermi. Mi lasciavo scivolare addosso quella pioggia fresca e dolce come un frutto, ma pesante come un macigno. Mi sentivo libera di piangere, ma era così forte il senso di colpa per quelle piccole perle che mi cadevano dagli occhi che mi ritrovavo sempre a singhiozzare convulsamente, senza riuscire più a respirare. Senza riuscire più a risalire.
Il suono ripetuto delle goccie era una melodia silenziosa e ritmica che mi faceva danzare una ballata stupida, messa in moto dalla rabbia e dalla frustrazione, dalla tristezza e dal dolore profondo che mi portavo dentro ogni singolo giorno. Tutti i miei movimenti avevano un significato preciso, propenso a far capire quella certa cosa a tutti quelli che mi stavano attorno. Ma nessuno di loro ha mai notato tutta la passione che ci mettevo in uno sguardo, in un sospiro, in un fruscio, in un lento e delicato sfiorare di dita. Chiudevo gli occhi con una certa cadenza, contanto i secondi che separavano ogni battito di ciglia dall'altro.
Tutta la mia vita era diventata un susseguirsi di numeri, ore, minuti, secondi che non importavano nulla. Il tempo non aveva più significato, ne senso. A cosa serviva, se non potevo più spenderlo con lui? Tra le sue braccia? Sulle sue labbra?
Mi mordevo le labbra, facendole quasi sanguinare. Mi staccavo pezzi di carne, dalle labbra, e tacevo per il bruciore, rendendomi conto che nemmeno quel dolore fisico poteva distrarmi da quello che sentivo dentro. Avrei tanto voluto gridare tutta la mia...rabbia? Sì, rabbia. Tutta la mia rabbia, la mia dannatissima delusione che mi consumava poco per volta.
Mi andavo spegnendo, facendo ardere solo i ricordi per farli diventare cenere, per farli splendere di più.
Non avrei voluto farmi guardare da coloro che contavano ancora qualcosa per me in quello stato, ma anche quello sembrò scivolarmi dalle mani, sfuggendo al mio controllo.
Non ricordo di essermi mai alzata da quel letto. Vi passai praticamente tutto il resto della mia inutile esistenza. Fino a quel momento.
Era notte, come sempre. E come sempre tremavo nel buio, sentendo le sue dita sfiorarmi le gambe, la pancia, il seno, il collo...le labbra. Sentivo quelle parole rodermi il cuore, divorarmi il fegato. Nessuna di loro leniva il dolore, nessuna di loro mi aiutava ad andare avanti.
Continuava a piovere, e quel pomeriggio avevo "profetizzato" che avrebbe smesso solo nel momento in cui l'avessi deciso io. Avevano riso tutti, durante il pranzo, senza capire ciò che era nascosto in quel mormorio.
Avevano ripreso a mangiare e a scherzare cercando, come al solito, di farmi partecipe di quel momento quotidiano che per loro era importante, stupendosi soltanto che la mia voce fosse così roca. Ma la mia attenzione era focalizzata di nuovo sulla pioggia, sulle mie lacrime, sui miei singhiozzi e sulla mia stupida testarda idea di non far entrare nessuno più nel mio "io".
Quella notte stavo pensando all'ultimo pomeriggio che avevo vissuto con lui, così ambiguo come sempre. Così dolce, come sempre. Così bello, come sempre. Così intrigante, come sempre. Così triste, come mai.
Mentre quelle labbra mordevano con rabbia le mie, la finestra della mia stanza si spalancò, innondando d'acqua tutto l'ambiente circostante. Nemmeno quello riuscì a farmi uscire dal mio rifugio, quel dannato letto che avevo odiato da sempre.
Una figura vestita di nero s'insinuò nella mia stanza con la pioggia, sinuosa come un serpente, elegante come un fenicottero.
Ad una sua parola, la pioggia smise di fare rumore e io la guardai, grata. Per la prima volta da mesi cambiavo espressione.
Quella figura mi sorrise e si tolse il capuccio, rivelando il volto che avevo immaginato per la Morte. Una donna, dalla bellezza folgorante e dallo sguardo freddo come il ghiaccio.
Le sorrisi, e le tesi le braccia. Mi pizzicavano gli occhi per le lacrime trattenute e lei scosse il capo, venendomi incontro. Mi strinse a se, carezzandomi i capelli, dandomi quel calore che avevo bisogno di sentire. Provai a sussurrare un grazie, ma la gola bruciava da morire. La Morte mi baciò sulla guancia, dicendomi di piangere tutto il tempo che volevo, che non aveva fretta e che se volevo poteva tornare più tardi, quando fossi stata vecchia e con dei bambini attorno.
La curiosità per quelle parole mi fece rabbrividire, e la mia mente cercò subito di focalizzare l'uomo con cui avrei dovuto coinvivere per tutto il resto della mia vita. Ma da sola scartò l'idea, sentendosi disgustata da subito.
Scossi il capo e presi a piangere a dirotto. Singhiozzando senza ritegno. Urlando senza fregarmene di chi poteva sentirmi, ammesso e non concesso che potessero farlo.
La donna mi fece stendere, coccolandomi e sussurrandomi una ninnananna dolcissima, che mi fece barcollare di sonno subito.
Socchiusi gli occhi e la Morte sorrise, carezzandomi la guancia. Mi disse che ero sempre in tempo, che potevo scegliere.
Con uno sforzo notevole, feci funzionare le corde vocali e le dissi che avevo scelto nel momento esatto in cui mi ero infilata in quel letto per piangere dal dolore. Gli occhi della donna mi scutarono tristi dopo quella frase, e il sospiro che le uscì dalle labbra mi fece capire che non era quello che voleva sentirsi dire.
Ma accettò. Mi fece chiudere gli occhi, e sorrisi beata.
Mormorai che avrei tanto voluto che fosse stato lui, il primo a saperlo. Che sapesse quanto l'avevo amato, e quanto continuavo ad amarlo anche sul punto di andare via.
La Morte mi disse che avrebbe fatto in modo che accadesse, poi sussurrò di stare tranquilla, di rilassarmi.
Per la prima volta da mesi sentivo il mio corpo docile come non mai, calmo e silenzioso. Il mio cuore non batteva forte, il mio respiro non era affannoso. I miei ricordi non erano grigi, ma tutti colorati e nitidi. Le mie mani erano ferme e non stringevano niente. Mi accoccolai su di un fianco, e sospirai. La Morte mi sfiorò le labbra con le dita e sussurrò strane parole.
Un languore caldo m'ivase i sensi, lasciandomi scossa e stordita nel profondo. Non sentivo più le gambe, e a poco a poco ogni parte del mio essere stava perdendo i contatti col cervello.
Quando fu la volta del cuore, sorrisi alla donna che mi sedeva accanto e cercai la sua mano per stringerla. Avevo il presentimento che quel piccolo procedimento stesse per farmi star male in un maniera assurda. Lei ridacchiò e ricambiò la mia stretta, carezzandomi i capelli. Mi disse che non avrei sentito nulla, e che nel momento esatto che avessi smesso di respirare, lui si sarebbe alzato nel cuore della notte con il cuore a mille, con la consapevolezza di avermi uccisa. E che solo in quel momento si sarebbe reso conto di quanto aveva perso, di quanto mi aveva amato.
Sorrisi, e chiusi gli occhi, immaginando la scena. Provai a ridere, ma prima di poterlo fare un groppo alla gola mi fece trattenere il respiro.
Spirai.

La punizione di coloro che muoiono per amore non è severa come si può credere. Alla fine ce la infliggiamo da soli, perchè abbiamo la possibilità di assisstere al dolore che abbiamo causato con la nostra scelta. Io vidi il mio corpo nella pacifica calma della morte, e solo allora mi resi conto che mi ero distrutta con le mie mani. E allo stesso modo avevo disintegrato la mia famiglia, i miei amici.
Vidi il mio funerale, vidi le lacrime di colui che avevo amato fino al punto di farmi morire perchè mi aveva detto che non riusciva a stare più con me. Mi sentii morire una seconda, terza, quarta volta per quello che avevo fatto. Al mio fianco c'era ancora quella donna, che pianse con me il dolore che lei stessa aveva causato. Mi raccontò la sua storia, e nulla mi sorprese tranne sapere che era morta esattamente 100 anni prima di me, in una città diversissima dalla mia.
Le chiesi cosa si poteva fare per rimediare. Lei mi rispose che, se volevo, potevo seguirla nella sua "missione": solo avrei dovuto perdere il mio nome, la mia vita e tutto ciò che speravo di trovare. Senza esitare le risposi che mi stava benissimo, che non volevo nulla di diverso visto quello che avevo fatto.
Fu così che indossai il mantello nero dei "penitenti", e conobbi tutti coloro che erano morti per amore. Il pianto era l'unico sentimento che ci era concesso tra di noi, per il resto dovevamo essere computi e seri.
D'altronde...eravamo la Morte, e aiutavamo l'Angelo che aveva la crudele missione di prendere i bambini alle loro madri.
Inutile dire che mi furono assegnati i morti d'amore, e come compagna avevo la donna che era venuta a prendere me. Da allora cerco sempre di non far fare la mia scelta a coloro che vado a trovare nel cuore della notte, quando la pioggia e il silenzio sono più forti.
Ma mi è sempre rimasta la paura dei tuoni, anche da Morte. Che sciocchezza, vero?


Spazio dell'autrice:
E' una cosa che ho "partorito" in vacanza, in una nottata che dormire mi era impossibile. L'idea della Morte mi affascina da sempre e ho cercato di creare una specie di "organizzazione" celeste, capace di dare conforto a chi soffre e vede nell'atto estremo di togliersi la vita il solo ed unico gesto possibile per smettere di soffrire. Non so se sarà una cosa a più capitoli, per ora mi fermo qui con questa storia. Magari più avanti proverò a scrivere ancora qualcosa di simile, un continuo riflessivo della non-vita della protagonista. Spero vi piaccia, e grazie in anticipo a chi leggerà. =)
  
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