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Autore: Mary15389    13/12/2010    1 recensioni
Quattro anni dopo l'arresto di Ronald Weems, un seriale con le sue stesse caratteristiche si ripresenta tra le strade di Washington. La squadra è chiamata a collaborare, ma un presentimento aleggia nei pensieri di tutti...
Genere: Introspettivo, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Then you catch him CAP12 CAPITOLO 12
 
“La divina Penelope per servirvi!” rispose l’allegra tecnica dell’FBI schiacciando con la sua penna colorata il tasto sul telefono alla sua sinistra.
“Garcia, servirebbe che lei controlli questo nome: George Swide.” Chiese David mentre sostava di fronte al bancone della reception del motel continuando a consultare il libro in cui venivano registrati gli ingressi. Ovviamente il loro uomo aveva pagato in contanti. Mai nessuno che usasse una carta di credito facilmente tracciabile. Erano furbi.
“Signore, non ho trovato nessun riscontro con quel nome.” Rispose la donna all’altro capo del telefono.
“Un nome falso, c’era da immaginarselo.” Rifletté ad alta voce l’agente Rossi, formulando subito dopo una nuova richiesta. “Può dirmi se il motel di ieri sera ha un database elettronico per i clienti?”
“Già fatto. E la risposta è si. Nessuno con questo nome però registrato né nella serata di ieri né in nessun’altra.” Disse Penelope continuando a inserire campi di ricerca nel suo computer.
“Ottimo lavoro. Lei è veramente in gamba.” Rispose l’uomo con un furbo sorriso abbozzato sulle labbra.
“La ringrazio.” Concluse riponendo il cellulare in tasca.
Erano nuovamente ad un punto morto.
 
Per tutto il tempo della strada non si erano rivolti la parola. Reid guidava guardando fisso la strada. Leggermente accigliato avrebbe potuto dire Jennifer che invece guardava fuori dal finestrino con il viso sorretto dal braccio. Era tardi e nessuno dei passanti che incrociava poteva sapere quello che stava accadendo a qualche isolato di distanza.
La ragazza sospirò. Dal quantitativo di chiamate ricevute, avrebbe trovato molti giornalisti davanti a quel motel. Lei l’avrebbe potuto sopportare, era abituata. Ma il silenzio del collega e la sua inaspettata voglia di guidare, quelli erano delle novità.
“Siamo arrivati.” Annunciò il ragazzo apprestandosi ad iniziare la manovra di posteggio accanto agli altri due SUV neri. Dovevano essere già tutti lì.
Spento il motore scesero entrambi dal veicolo. JJ si voltò verso di lui e gli comunicò che sarebbe rimasta a tenere a bada tutte quelle telecamere e microfoni. Spencer aveva assentito e si era diretto verso il portone d’ingresso.
 
“Eccoci.” Affermò Derek varcando la soglia della stanza con Prentiss.
“È pieno di giornalisti qui fuori.” Aggiunse la donna mentre Hotch si voltava verso di loro.
“JJ e Reid stanno arrivando.” Rispose guardando poi David rientrare nella stanza.
“Nome falso e nessun riscontro dal motel di ieri sera.” Li informò l’agente anziano raggiungendo i due nuovi arrivati. “Praticamente dobbiamo ripartire da zero.” Lasciò andare un sospiro, voltandosi poi insieme agli altri verso l’ingresso da cui stava entrando Spencer.
“JJ è rimasta fuori con i giornalisti.” Esordì portandosi poi vicino agli altri. “Cosa abbiamo?” era particolarmente impaziente di sapere cosa li aspettasse.
“Prostituta ancora da identificare. Colpo al cuore come la precedente vittima, ma stavolta le ha anche procurato una ferita lungo tutto il petto.” Spiegò Dave accogliendolo con un sorriso. Che il giovane non ricambiò.
“La scena è più pulita, credo si tratti veramente di qualcuno che si sta perfezionando vittima dopo vittima.” Continuò Emily, ma venne interrotta dalla voce di Reid.
“Con che nome si è registrato il cliente alla reception?”
“Nome falso e non corrispondente a nessuno di quelli che si erano registrati nella precedente scena del crimine. Ho già fatto controllare a Garcia.” Rispose Rossi.
“Possibilità di riconoscerlo e di fare un identikit?” incalzò ancora Spencer.
“C’è stato il cambio di turno, il portiere che li ha fatti entrare non lo stanno riuscendo a rintracciare...” rispose Hotch.
“Fantastico!” il tono ironico del giovane era un po’ troppo sostenuto.
“Calmati ragazzino...” Derek si avvicinò per calmarlo portandogli sulla spalla una mano che il dottore respinse energicamente.
“Non ho bisogno di calmarmi.” Scandì lentamente. Uno sguardo volò tra Emily e David: erano seriamente preoccupati, non lo avevano mai visto reagire in quel modo. A calmare la situazione carica di tensione che si era creata intervenne il supervisore capo.
“Fino a domattina non riusciremo ad avere maggiori notizie, o i referti dell’autopsia, quindi tornatene a casa, fatti una dormita e ci rivediamo domani mattina quando sarai più tranquillo.” Dopo queste parole Aaron indicò con il mento la porta d’uscita che il giovane ragazzo imboccò sbattendola dietro di sé.
“Hotch, lo sai...” iniziò Morgan ma l’agente lo interruppe. Lo sapeva, ma non era una motivazione accettabile per giustificare un simile comportamento. Stavano facendo tutto il possibile e lui avrebbe fatto meglio ad aiutarli piuttosto che andare così in escandescenze.
“Spero che siano soddisfatti, almeno fino a domani mattina...ho visto correre fuori Spence, cos’è successo?” l’agente Jareau si guardò intorno entrando nella stanza. Gli altri la guardarono ma non risposero alla sua domanda.
“Cosa hai detto ai giornalisti?” chiese invece Rossi alla donna.
“Che non possiamo ancora rilasciare dichiarazioni. È stato ritrovato un corpo, una prostituta, ma questo già lo sapevano, e che non siamo ancora in grado di accertare che sia collegabile a quello dell’altra sera.” Spiegò brevemente attendendo ora che le dessero qualche indicazione sul da farsi.
“Noi abbiamo interrogato di nuovo le prostitute mentre eravamo di sorveglianza...” Cominciò Prentiss ma si interruppe quando Aaron aveva sollevato un braccio che prima teneva incrociato con l’altro al petto.
“Quello che ho detto a Reid è vero. Aspettiamo i referti domattina e ci aggiorniamo in sala conferenze appena pronti.”
In breve tempo tutti uscirono dalla stanza e si diressero ognuno al proprio SUV per tornare a casa. Almeno qualche ora di sonno l’avrebbero potuta fare. L’indomani avrebbero dovuto fare i conti nuovamente con la realtà.
 
Aveva quasi superato i limiti di velocità. Ma non aveva raggiunto casa sua come gli era stato consigliato di fare. Era tornato a Quantico, perché sentiva che non si sarebbe potuto riposare.
Mentre raggiungeva la sua scrivania e lanciava sopra questa la sua tracolla, portò la mano alla tasca posteriore dei pantaloni. Era ancora tutto al suo posto.
Mentre spostava la sedia per sedersi fu raggiunto dalla voce di Penelope che si avviava verso l’area relax con la sua tazza colorata tra le mani. “Piccolo, che succede?”
Si voltò mentre lei si avvicinava alla sua scrivania poggiandosi poi contro il piano di lavoro mentre lui si sedeva sulla sedia. “Non abbiamo nessun punto da cui partire. Due vittime e nessun maledetto indizio.” Ringhiò.
“Tu hai sempre quel sospetto?” chiese la donna timidamente.
“Lo hanno tutti, ma non vogliono dirlo.” Non riuscì a continuare spostando gli occhi verso la superficie liscia del tavolo.
“Cucciolo...” continuò Garcia portandogli una mano sotto il mento e facendolo voltare di nuovo verso di lei. “Hai fatto la scelta giusta...”
“Ho già sentito queste parole.” La interruppe Spencer cercando di sfuggire a quella presa, ma l’informatica non glielo permise.
“Ehi...io ero lì con te. Ti ho aiutato. Se veramente credi che sia colpa tua, allora è anche colpa mia.” Era sincera nel pronunciare quelle parole.
Reid non rispose, sospirò solamente per ricevere poi un buffetto sulla testa dall’eccentrica donna che continuò a parlare, “Riposati. Ne hai bisogno.” Lo lasciò finalmente andare mentre sorrideva camminando verso l’area relax, sua destinazione originaria.
“Dovresti farlo anche tu.” Le gridò dietro lui avvicinando la sedia alla scrivania.
“Io ho il mio caffè!” esclamò entusiasta sventolando la tazza psichedelica. Si voltò poi per prepararsi l’ennesima razione. Quando il fumo si sollevò dal bordo del recipiente in ceramica si voltò per tornare nella sua stanza. Il dottor Reid dormiva con la testa poggiata sul piano del tavolo. La donna non riuscì a trattenere un amorevole sorriso.
 
Si era svegliato dopo qualche ora. Era confuso, stava cercando di capire dove si trovava. Era il suo ufficio e quella che vedeva subito accanto al suo occhio era la sua scrivania.
Si sollevò sulla schiena che doleva leggermente per la strana posizione assunta nel sonno. L’intero open space era nella semioscurità, solo qualche persona lavorava al proprio rapporto con un piccola luce puntata sui propri fogli, così da non disturbare gli altri.
Si sgranchì le ossa, poi ricordò cos’era successo. Aveva reagito in maniera sconsiderata davanti a tutti ed era stato gentilmente allontanato dalla scena del crimine. Quel caso lo stava consumando e aveva bisogno di riposo. L’istinto era quello di rimanere a lavorare, ma ormai non aveva più strade da controllare senza destare troppa curiosità in quelli che erano i suoi colleghi.
Decise di dare ascolto alle parole di Hotch, sarebbe tornato a casa, avrebbe provato a dormire e poi sarebbe tornato in ufficio. Raccolse la tracolla e si avviò verso l’ascensore.
Non aveva voglia di guidare, preferiva utilizzare la metropolitana, ma anche quella si rivelò presto una cattiva idea. Stava ancora scendendo nel sotto passaggio quando proprio il poggiare il piede su quel gradino riportò indietro la sua mente a quel giorno. Lo vedeva di nuovo di fronte a lui. Ricordava ogni minimo dettaglio.
Lui teneva tra le mani un bicchiere di caffè, e quel giovane così timido l’aveva fermato, conosceva il suo nome, sapeva chi era. E lui, che doveva essere un profiler dell’FBI, non aveva capito niente, non aveva capito chi si trovava davanti e l’aveva semplicemente lasciato andar via.
Si riscosse dai suoi pensieri e riprese a scendere verso il posto dove avrebbe staccato il biglietto che lo avrebbe portato in quel posto sicuro che era casa sua. E proprio quando strinse finalmente il pezzo di carta tra le mani sentì di nuovo quella sensazione, la stessa che lo aveva colpito quando con JJ stava portando Ronald Weems nel garage di Quantico. Si sentiva osservato.
Si voltò circospetto, ma non incrociò i due occhi azzurri che tanto lo atterrivano in quei giorni non appena chiudeva le palpebre. Forse stava semplicemente immaginando tutto, la sua mente, che tanto temeva, gli stava giocando qualche brutto scherzo.
Quella storia doveva finire, e sapeva come avrebbe fatto. Doveva semplicemente aspettare l'indomani mattina.

  
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