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Autore: Daphne_Descends    15/12/2010    2 recensioni
Santa Barbara, California.
Daniel Smith aveva sempre avuto delle certezze: la terra sarebbe sempre girata intorno al sole, i Gauchos avrebbero vinto il campionato e lui non sarebbe mai riuscito a sopportare May Harris.
Ma non sempre nella vita tutto va come ti aspetti e se di mezzo c'è anche l'amore allora sei proprio fregato.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Continuai a strofinare con lo straccio bagnato il bicchiere, fingendo di ascoltare gli sproloqui di Ryan, seduto al bancone di fronte a me.
Quel giorno ero di turno al bar di Al e a metà mattina mi ero visto piombare davanti il mio migliore amico, con un sorriso smagliante e la parlantina attivata; ovviamente io, appena sentito l’argomento, avevo iniziato a pensare ai fatti miei, più nello specifico alla partita del giorno seguente.
Sul campo, io e May eravamo piuttosto affiatati e probabilmente avevamo anche diverse possibilità di vittoria. Sempre che non finissimo come il giorno prima contro Matt e Juliet.
Alzai gli occhi al cielo: come si faceva a dimenticarsi di palleggiare? Era la base del basket, per la miseria. E magari io avrei potuto concentrarmi meglio, senza incantarmi a fissarle le tette. Anche se aveva due gran belle tette.
«… e l’ha chiesto anche a May, quindi sarebbe davvero-».
«Eh?» mi riscossi all’improvviso al sentire il suo nome, senza nemmeno volerlo, e fissai Ryan, nascondendo bene la mia distrazione.
«Non mi stavi ascoltando, vero?» mi chiese con un ghigno poco confortante. Forse non tanto bene.
Feci un lieve sorriso «Scusa, ma il fatto è che continui a parlare di Emily. Cioè, non ho assolutamente niente contro di lei, ma dopo un po’ diventi noioso».
«E così tu ti metti a fare pensieri sconci».
«Non stavo facendo pensieri sconci!» esclamai, mentre sentivo le guance andarmi a fuoco «E comunque non su May!»
Il ghigno di Ryan si allargò e io sprofondai. Cazzo. «E chi stava parlando di lei?»
Non risposi, ma abbassai lo sguardo sul bicchiere che avevo ancora tra le mani, decidendo di metterlo via e prenderne un altro. Prima di calpestare quello che rimaneva della mia dignità.
«E così il piccolo Danny fa pensieri sconci su May».
«Abbassa la voce!» sibilai, sbattendo lo strofinaccio sul bancone e guardandomi veloce attorno per assicurarmi dell’assenza di orecchie indiscrete «E smettila di ripetere “pensieri sconci”!»
«Carino. Non tenti nemmeno di negare».
Avevo una strana voglia di usare quello straccio per strangolarlo e appenderlo al lampadario, ma non credevo che il vecchio Al avrebbe apprezzato le migliorie all’arredamento.
«Senti, non so cosa hai capito, ma a me non piace May. Assolutamente!» mi chinai sul bancone e abbassai la voce ad un sussurro.
Ryan alzò un sopracciglio biondo, con aria scettica «Ti rendi conto che stai facendo tutto tu?» mi chiese, spingendo via la sua tazza di caffelatte «Non credevo sarebbe arrivato questo giorno, ma te lo devo dire: amico mio, tu sei innamorato perso di May Harris».
«Non dire cazzate» mormorai con un gemito, massaggiandomi ad occhi chiusi la base del naso «Senti, Ryan» cominciai, appoggiandomi al bancone «posso ammettere che stare a stretto contatto con May per due settimane mi ha portato a conoscerla un po’ meglio e che adesso mi sta decisamente più simpatica di prima. Mi piace il suo aspetto fisico, ma questo era ovvio, visto che avevo una cotta per la sua gemella. Però non significa che mi sono innamorato di lei, cazzo!»
«Allora era per lei che sbavavi sabato sera!»
L’esclamazione stupita di Matt ci fece sobbalzare, mentre lui si accomodava accanto a Ryan e si chinava verso di noi ad occhi spalancati.
«Sbavavi?»
«Io non sbavavo proprio per nessuno!»
Matt mi ignorò e si voltò verso Ryan, assumendo all’istante l’aria da cospiratore «Continuava a sospirare e fissare il vuoto con un’espressione da ebete. Lo sapevo che c’entrava una ragazza!»
«Te la sei presa proprio brutta, questa volta» osservò Ryan, iniziando a fissarmi, subito imitato da Matt.
Alzai gli occhi al cielo, ignorando il rossore sempre più intenso che si faceva largo sulle mie guance, e mi levai il grembiule «Bene, ci rinuncio. Il mio turno è finito e io non ho intenzione di stare a sentire le vostre ipotesi assurde e assolutamente prive di alcun fondamento!» Filai via a salutare Al, sentendo i loro sguardi curiosi e divertiti addosso, e poi scappai fuori dal locale, nel caldo di quel mercoledì mattina.
Non ebbi la possibilità di fare nemmeno un passo, che due braccia poco delicate mi circondarono il collo.
«Lo sapevo, lo sapevo!» esclamò Ryan esaltato, strillandomi nell’orecchio come un’aquila agonizzante.
«Raccontaci tutto» mi esortò Matt con forza.
Io digrignai i denti «Non c’è proprio nulla da dire» sibilai irritato.
«Quando è iniziata?»
«Le hai detto qualcosa?»
«Ti ha beccato a fissarla?»
«Sai se può essere interessata?»
Bloccare le loro voci era praticamente impossibile, così mi decisi ad esclamare «Volete chiudere il becco?!»
Ryan fece una smorfia imbronciata «Perché non ce lo vuoi dire, Danny? Siamo i tuoi migliori amici!»
«Semplicemente perché non è vero!»
Prima che lui potesse ribattere, Matt si fermò in mezzo al marciapiede, tirandoci con lui.
«Ok. Segreto per segreto».
Serrai gli occhi per un attimo, maledicendo l’entità misteriosa che sembrava avercela con me. Sapevo di non poter scampare al “segreto per segreto”. Risaliva a quando eravamo ancora dei bambini stupidi e senza cervello, che pensavano che non avere segreti fosse segno di vera amicizia e che un bel giorno avevano deciso di cominciare una pratica patetica ed umiliante. Un segreto era qualcosa che si doveva tenere nascosto e non rivelare a nessuno, per evitare di rendersi ancora più ridicoli. Non era una giocata da mettere sul piatto e scambiarsi con gli altri. Non mi piaceva dover rivelare qualcosa che preferivo non sapesse nessuno ad altri, che a loro volta avrebbero fatto lo stesso con me. Mi sarei rifiutato di farlo, avrei mentito, se soltanto non fossero stati loro.
Io, Ryan e Matt eravamo cresciuti insieme, diventando inseparabili, per quanto potesse sembrare banale, erano come dei fratelli per me. Solo con loro non avevo paura di mostrare il vero me stesso. Quindi non potei fare a meno di accettare il “segreto per segreto”, ancora una volta.
«Ho pianto perché Emily non mi prende sul serio quando le dico che la amo» cominciò seriamente Ryan «Pensa che lo dica per gioco e mi fa male. Però faccio finta che sia tutto a posto».
Non dicemmo niente, nessuna parola di comprensione o rassicurazione: il “segreto per segreto” era uno scambio, noi ascoltavamo e a nostra volta venivamo ascoltati. Era come un momento particolare, una parentesi sospesa nel tempo: rivelavamo i nostri segreti, aspettavamo un minuto e poi cominciavamo a parlare, prenderci in giro, dare consigli, aiutarci. Era sempre stato così, fin dalla prima volta.
Matt fece un bel respiro e poi parlò «Mi sono innamorato di Juliet».
Dopo un attimo di silenzio si girarono verso di me e io sospirai. Non potevo mentire, ma non sapevo nemmeno io quale fosse la verità, quindi lasciai che le parole uscissero da sole, guidate unicamente dal mio istinto.
«Mi piace fissare May. E forse mi sono preso una sbandata, una brutta» soffiai esasperato, infilando le mani in tasca e alzando la testa «Cazzo, a volte mi faccio schifo da solo per i pensieri che mi vengono» ammisi a malincuore.
Ci sedemmo su una panchina lungo il viale che costeggiava la spiaggia, rivolti verso il sole cocente, e rimanemmo in silenzio per un minuto ancora.
«Cazzo» commentò Matt.
«E’ stato il peggior “segreto per segreto” che abbiamo mai fatto» aggiunse Ryan.
Io mi limitai ad annuire.
Il rumore delle macchine si confondeva con il cicaleccio della spiaggia, c’era un po’ di vento fastidioso e faceva davvero troppo caldo, ma stavo bene, mi sentivo incredibilmente più leggero.
«Piangere è roba da femmina» iniziò Matt, dando il via ai commenti «Tira fuori le palle e falle vedere chi sei! Oh, forse le hai già tirate fuori un po’ troppo» scoppiammo a ridere sguaiatamente, mentre Ryan roteava gli occhi esasperato e ci mostrava elegantemente il dito medio. Si comportava sempre come un bravo ragazzo e ne aveva anche l’aspetto, ma quando voleva sapeva essere peggio di me e Matt messi insieme.
«State zitti, è stato solo un momento di debolezza! La prossima volta vedrete! Sarà così contenta che mi lascerà farle tutto quello che voglio».
«Ti prego, evita i dettagli» mormorò Matt con una smorfia disgustata.
Ryan ghignò «Me lo vieni a dire proprio tu? Forse se iniziassi a non frequentare più nessuna avresti qualche possibilità».
Matt incrociò le braccia al petto «Io non frequento proprio nessuna, mi diverto e basta. Poi sono loro che mi vedono e si trasformano in assatanate» fece un sospiro drammatico, guardando il cielo azzurro «Che ci posso fare, sono il ragazzo che tutte vorrebbero portarsi a letto!»
Ryan scoppiò a ridere, io schioccai la lingua divertito «Che maniaco».
Entrambi si voltarono verso di me, alzando in modo eloquente le sopracciglia.
«Tu sei proprio l’ultimo che può parlare, porco» ghignò Ryan.
«Già» gli diede manforte Matt «Una sbandata, pff. Sicuro, Dan».
«Lo sapete come l’ho sempre pensata su di lei. E’ già tanto se ho ammesso quello che ho ammesso!» era imbarazzante e la sola idea che potessi provare davvero qualcosa per May… mi lasciava spiazzato. Era insopportabile quando ci si metteva e più acida di uno yogurt scaduto, ma purtroppo sapeva anche essere divertente e simpatica, una con cui si poteva parlare e confrontarsi. E il fatto che avesse un corpo da favola non faceva che migliorare la prospettiva. E non ero sicuro che fosse la cosa giusta.
«Cosa importa?» disse Matt, scrollando le spalle «Non la conoscevi bene e quindi non la sopportavi, ma adesso hai tutto il diritto di cambiare idea. Solo gli stupidi non lo fanno».
«Se ti piace buttati e basta. Cos’hai da perdere? Male che vada tornerete a litigare o ignorarvi come avete fatto fin’ora».
Sbuffai e mi voltai verso di loro, poggiando una gamba sulla panca di legno «Perché date per scontato che voglia provarci con lei?» chiesi irritato. Avevo ammesso che May mi poteva piacere un pochino, ma questo non significava affatto che volessi averla come ragazza. Non avevo intenzione di sopportare le sue lamentele, i suoi sbalzi d’umore, il suo odio per il mondo intero e la fila di ragazzi che aveva dietro.  Non ero stupido fino a quel punto.
«Vuoi dire che non hai mai pensato a chiederle di uscire?» domandò Ryan perplesso.
«No. E non credo proprio che lo farò» dissi serio e convinto. Non ci avrei mai provato, proprio per niente… ecco.
«Fammi capire» esclamò Matt arricciando il naso e la fronte «Ti sta simpatica, le sbavi addosso e non fai altro che pensare a lei, ma non la vuoi come ragazza?»
Detta così suonava stupida persino a me.
«Non-».
«Non dire che non è vero» mi interruppe Ryan.
Sbuffai, passandomi esasperato una mano tra i capelli «Sentite, non voglio legarmi a nessuna, men che meno lei. Sì, è vero, la bacerei e me la porterei a letto volentieri, ma non-» mi interruppi vedendoli ghignare divertiti e alzai un sopracciglio, pronto a chiedere spiegazioni, ma ci pensò una voce gelida a farmi sbiancare.
«Chi è che ti porteresti a letto, brutto porco?»
Deglutii, sbattendo velocemente le palpebre, e con tutto l’autocontrollo che potevo racimolare mi voltai lentamente, sperando che la mia espressione non mi tradisse.
Non davanti a May.
«Che diavolo ci fai qui?» berciai irritato e terrorizzato allo stesso tempo. Doveva sempre comparire nei momenti più inopportuni, diavolo! Il colmo sarebbe stato se avesse capito che parlavamo di lei.
«Stavo facendo un giro e vi ho visti» sibilò, socchiudendo gli occhi «Volevo solo ricordarti dell’allenamento di oggi pomeriggio, ma forse avrai da fare con chiunque sia la tipa da sballo» arricciò il naso disgustata «Vorrei soltanto che mi avvertissi quando hai intenzione di cancellare un impegno, sei totalmente inaffidabile».
Rimasi a bocca aperta, mentre Matt e Ryan se la ridevano, quasi piegati in due. Era completamente fuori di testa.
«Si può sapere che cazzo stai dicendo?»
«Vaffanculo» mi lanciò un’occhiataccia e girò sui tacchi, incamminandosi velocemente lungo il viale.
Guardai con disapprovazione i miei amici, poi fissai di nuovo May, dondolai per un paio di secondi la gamba e mi decisi ad andarle dietro. Solo perché non volevo che tra noi ci fosse qualche conto in sospeso prima della partita.
«Cos’è, la Green ha deciso di fregarti il colore delle magliette?» le chiesi ironico, camminandole alle spalle con le mani in tasca.
Mi fulminò di sfuggita e aumentò il passo, io la imitai con un ghigno, riuscendo facilmente a mantenere la distanza.
«Smettila di seguirmi».
«Non se non mi dici cos’hai. Ti rendi conto di aver elaborato tutta una tua teoria assurda, senza che io ti abbia detto nulla?»
«Sei tu che prendi appuntamenti, quando hai già degli impegni!» esclamò irritata.
«Non ho nessun appuntamento, idiota».
Si bloccò di colpo e si voltò per fronteggiarmi. Avrebbe potuto essere davvero terrificante, se il suo naso mi fosse arrivato più su del petto e non mi fosse stata così vicina.
«Non darmi dell’idiota! E non parlare della Green! Non osare pronunciare il suo nome e nemmeno pensarla! Quella stronza!»
Alzai un sopracciglio, vagamente curioso «Cosa ha fatto adesso?»
«Ha voluto cambiare un po’ la posta in gioco. Non la sopporto!» strinse i pugni, più infuriata che mai.
«Beh, ci basta vincere e non dovremo preoccuparci».
«No! Se vinciamo dovrai uscire con lei!»
Spalancai gli occhi e la bocca «Cosa?!»
May incrociò le braccia e distolse lo sguardo, imbronciandosi lievemente «Oltre a quello che avevamo stabilito e che non ho intenzione di dirti, ha detto che chi vince può scegliere con chi uscire tra i due giocatori dell’altro sesso» si morse un labbro e si scostò velocemente una ciocca di capelli dal viso.
Osservai con attenzione i suoi lineamenti, cercando inutilmente di trovare qualche imperfezione «E tu sei sicura che sceglierò la Green» dissi piattamente.
Sbuffò «Lei vuole uscire con te, nonostante stia con la carota. E figurati se a te non va bene, visto che metterà in bella mostra la sua quarta» fece una smorfia «A tutti i ragazzi piacciono le tettone, no? Anche se sono finte» aggiunse risentita.
Probabilmente non era il caso di dirle che io preferivo le sue. Mi avrebbe preso a schiaffi e magari mi sarei beccato pure un doloroso calcio nello stinco.
«Tranquilla» sospirai, alzando gli occhi al cielo «Se vinciamo ti porto a fare un giro alle Channel Islands».
Alzò gli occhi brillanti su di me e mi fissò sospettosa «Cos’è, vuoi buttarmi giù dal traghetto?»
«Non rovinarmi le sorprese» dissi ironico.
Lei fece una smorfia e riprese a camminare, questa volta più lentamente. Era il suo modo per dirmi che non ce l’aveva più con me, anche se di sicuro sarebbe durato ancora per poco.
Sapevo che era sbagliato, ma non riuscii a trattenermi «Non c’è bisogno di essere gelosa, sai?» ghignai «Se vuoi venire a letto con me, basta chiedere».
Mi lanciò l’occhiataccia più spaventosa di tutta la mia vita e accelerò il più possibile, sperando di lasciarmi indietro.
Una volta ciascuno, dolcezza. Non puoi provocare sempre tu.

 

 

«E se sei in difficoltà passami la palla, non cercare di avanzare e soprattutto non farti fregare!»
«Sarà la quindicesima volta che me lo ripeti, ho capito!»
«E non farti marcare da Norris, a lui ci penso io».
«Settima volta».
«E non ascoltare quello che dicono! E non scatenare risse!»
«Tredicesima. La vuoi piantare?» May mi tirò un pizzicotto sul braccio, facendomi contrarre la faccia in una smorfia di dolore «Sembri una ragazzina isterica. Dovrei essere io quella agitata».
Mi morsi la lingua e mi guardai attorno inquieto: sì, ero in preda ad un attacco d’ansia, mi tremavano le ginocchia e la mia sudorazione aveva iniziato inspiegabilmente ad aumentare e non era l’effetto del sole.
«E’ pur sempre una sfida contro Norris» borbottai, muovendo velocemente su e giù una gamba, per poi alzarmi di scatto dal muretto in pietra del campetto, afferrare il pallone e cominciare a palleggiare per distrarmi.
May fece schioccare la lingua e accavallò le gambe, appoggiandosi sui palmi delle mani «Qual è la strategia di Norris?» mi chiese annoiata. Probabilmente ce l’aveva ancora con me per averla obbligata ad arrivare lì un’ora prima del previsto.
«Mi piacerebbe dire che è un incapace e non sa nemmeno elaborarla una strategia, ma non sarebbe vero» cominciai, senza perdere d’occhio la palla arancione «E’ abituato alla difesa a uomo, quindi ci sono buone possibilità che decida di marcare me, per evitare di farmi giocare e chiaramente io farò lo stesso con lui. Quindi rimarrai ad affrontare la Green. Ora, non ho idea del suo livello di preparazione, ma sono sicuro che riuscirai a tenerla a bada facilmente» le lanciai un’occhiata veloce, decidendo per una volta di soddisfare il suo ego «Sei migliorata molto».
«Grazie» disse impassibile, continuando ad osservarmi, prima di saltare giù dal muretto e fregarmi la palla.
Alzai un sopracciglio, mentre lei faceva qualche passo, avvicinandosi al canestro; mi squadrò con l’ombra di un sorriso e in risposta scossi la testa.
«Io non sono la Green» osservai, avvicinandomi.
«Me n’ero accorta» rispose, lanciando la palla dall’area dei tre secondi. Io ebbi tutto il tempo di saltare, afferrare la palla, girare intorno a May e tirare, centrando perfettamente il canestro.
«Non c’è bisogno di darsi arie» commentò lei, riprendendo la palla e arricciando il naso «Lo so fare anch’io».
Si piazzò sotto il canestro e saltò, facendo rimbalzare la palla sul ferro.
«Impressionante, davvero» dissi ironico, afferrandola al volo «Peccato che l’obiettivo sia mandarla dentro».
 
Giocammo ancora per circa un’ora, in attesa che arrivassero tutti.
Sopportai poco le battute di Ryan e Matt, che ancora non volevano dimenticarsi del segreto per segreto del giorno prima, e quando arrivarono Norris e la Green, insieme a qualche amico, la mia pazienza era quasi giunta al limite.
«Allora va bene mezzo campo, si gioca per quattro periodi, ok?»
Io e Norris ci stavamo mettendo d’accordo sui dettagli tecnici, mentre May e la Green si fulminavano con lo sguardo, trattenendosi dall’insultarsi.
«Gli arbitri allora sono Matt e Chandler» Norris annuì, facendo un cenno a Kevin Chandler, ala piccola dell’università di Northridge; Matt si strofinò le mani, con un ghigno sul volto «E niente protagonismi, Norris. Non è la nostra partita».
«Hazel non ha bisogno di me per vincere» ridacchiò lui, appoggiando un braccio sulle spalle della Green «Non sono sicuro di poter dire lo stesso sulla bionda» accennò verso May, che roteò gli occhi azzurri annoiata.
«Ti prego, risparmiami. Se non avessi una partita da vincere ti prenderei a schiaffi».
Trattenni una risata, mentre Norris la fulminava e Chandler si affrettava a cominciare l’incontro.
«Testa o croce?»
«Testa!» esclamò la Green di fretta.
«Vuota» commentò ironica May, facendoci scoppiare a ridere e procurandosi un’occhiataccia «Beh, cos’ho detto?» scrollò le spalle con aria innocente «Non mi sembra che tu abbia poi molto, lì in alto».
«Almeno io non ho una misera seconda» ribatté con astio Hazel.
Seconda?
May arrossì e strinse gli occhi «Almeno le mie non sono finte».
Io non avevo assolutamente niente contro le seconde.
La Green stirò un ghigno «Almeno le mie servono».
«Come giocattolo erotico?» sibilò May.
Io e Norris spalancammo gli occhi nello stesso istante, per una volta d’accordo su qualcosa, ossia iniziare al più presto quella partita, prima che tutto si trasformasse nella fiera degli insulti a sfondo sessuale.
Chandler soffiò nel fischietto, mentre Matt era piegato in due dalle risate, e io e Norris spingemmo via le due belve, prima che la partita iniziasse con noi in possesso di palla.
 
Fu una sfida piuttosto impegnativa, anche se non potei gustarmela appieno e nemmeno vedere i progressi effettivi di May, visto che Norris mi stava appiccicato peggio di una sanguisuga. Toccai palla circa cinque volte in tutti i quaranta minuti di giocata, mentre Norris solo tre volte e la maggior parte dei punti li fece May, nonostante fosse impegnata ad insultarsi costantemente con la Green.
Vincemmo trentaquattro a ventitré, punteggio orribile a confronto con i soliti, ma niente male per delle principianti.
Alla fine evitai di prendere in giro Norris, perché mi sentivo più vicino che mai a lui, vedendolo trascinare via la sua ragazza dalla parte opposta del campo, mentre io ero occupato a fare lo stesso con May, stando attento a non venire accecato per sbaglio da un suo dito, o pugno, o gomito.
 
Il risultato, oltre ad una fantastica mangiata di pizza in un ristorante italiano, fu che dovetti andare con lei alle Channel Islands, che avevamo tutti già visitato, circa ogni estate per essere precisi.
Avremmo potuto rifiutare entrambi di andarci, non ci obbligava nessuno, a parte un gruppo di amici impiccioni, ma nessuno dei due disse niente. Non sapevo cosa pensasse May con esattezza, ma io di sicuro non ci avrei rinunciato per nulla al mondo.

 

 

L’isola che avevamo deciso di visitare era Santa Cruz: dal porto di Santa Barbara avremmo preso il traghetto del parco, che ci avrebbe portato direttamente sull’isola, May voleva vedere per l’ennesima volta Painted Cave, quella stupida grotta umida, poi ci saremmo rilassati sulla spiaggia, fatti una bella nuotata e poi saremmo tornati a casa. Piano perfetto. Se solo May si fosse decisa ad uscire di casa.
 
Sbuffai di nuovo, dando un’occhiata all’orologio, nello stesso momento in cui la porta di casa Harris si spalancava e May compariva con un diavolo per capello, seguita per mia sfortuna dalla madre.
«Sei sicura di aver preso tutto?» disse ansiosa Jane, torturandosi le mani.
«Sì, mamma, basta. Non sono una bambina!» sbuffò May esasperata, buttando lo zaino sui sedili posteriori.
«Hai preso le bottiglie d’acqua? E la felpa?»
«Sì, dannazione!»
«May! Attenta a quello che dici!»
«Scusa».
Mi trattenni dallo scoppiare a ridere, appoggiato alla macchina, mentre Jane riprendeva con le sue raccomandazioni.
«E Daniel, per favore, stai attento a May».
Mi raddrizzai di colpo e sorrisi alla donna che avevo davanti «Non preoccuparti, Jane. Con me May è al sicuro».
«Lecchino» sibilò lei, dandomi una lieve gomitata, per sua fortuna passata inosservata.
Jane mi sorrise calorosamente «Lo so, caro» esitò un attimo, tremando per trattenere l’eccitazione, ma non resse e mi abbracciò con slancio, soffocandomi quasi con i suoi capelli vaporosi «Sono così contenta che finalmente vi siate messi insieme! Io e Violet lo speravamo tanto!»
«Mamma!» esclamò May, diventando della mia stessa tonalità di rosso «Non stiamo insieme e non lo staremo mai!»
«Giusto. Avete preso un granchio» aggiunsi frettolosamente.
Jane mi lasciò andare, spalancando gli occhi «Oh, scusatemi! Non volevo mettervi in imbarazzo! Eravamo così-»
«Sì, mamma, non importa» la interruppe May spintonandomi verso il posto di guida «Dobbiamo andare, altrimenti perdiamo il traghetto. Ci vediamo stasera, ciao ciao!» la salutò velocemente e balzò a bordo «Muoviti, partiamo!» mi intimò agitata, mentre mettevo in moto.
Restammo in silenzio fino a quando la via non scomparve dallo specchietto retrovisore e allora rilasciammo un sospiro di sollievo.
«Quelle due sono completamente fuori!» si lamentò May, appoggiando un gomito alla portiera.
Non risposi, ancora troppo stupito che le nostre madri spettegolassero su di noi, senza che lo sapessimo.
«Comunque, hai portato tutto?»
«Cos’è, fai come tua madre?» le chiesi ironico.
«Qualcun altro oltre me dovrà pur soffrire, no?»
Alzai gli occhi al cielo, chiedendo la forza di sopportarla per tutto il giorno e di non saltarle addosso durante il pomeriggio.
Non ero contraddittorio, avevo soltanto una cotta per lei e non la sopportavo al tempo stesso, ogni tanto.
«L’hai portata la felpa?»
«Sì, mamma».
«E una corda con cui posso strangolarti?»
«Quella l’ho lasciata appesa in camera mia. Sai, c’erano ancora i panni bagnati stesi su» ribattei sarcastico «Ma puoi sempre usare il laccio del tuo costume. Non mi offendo se la mia morte arriverà per mezzo di un costume da donna».
May mi lanciò un’occhiata divertita «Sei un maniaco. E poi dovrei togliermelo, per strangolarti».
«Appunto».
Fece schioccare la lingua e si voltò dall’altra parte, evitando di rispondermi e mandarmi a quel paese.
«Oppure potresti soffocarmi con le tue tette, così potrai dire alla Green che anche le tue servono a qualcosa».
Ci guardammo per un istante e poi scoppiammo a ridere come due dementi, anche se non mi sarebbe affatto dispiaciuto venire soffocato dalle sue tette. Parlando seriamente.
«Non credo che il risultato sarebbe lo stesso» commentò con un sorriso, per poi voltarsi verso di me e appoggiare una gamba piegata sul sedile «Ehi, posso farti una domanda abbastanza personale?»
«Spara».
Esitò un attimo, probabilmente per cercare le parole giuste «Riguarda quello che ha detto la Green prima della partita… sentiti pure libero di non rispondere, ma secondo te un seno grosso è più eccitante di uno piccolo?»
Mi voltai di scatto, leggermente imbarazzato «Scusa?!» Che razza di domande faceva ad un ragazzo? Per fortuna eravamo fermi al semaforo, altrimenti avrei sbandato di sicuro.
Sbuffò, infastidita dalla mia sorpresa, e ripeté «Per te, ti fa eccitare di più un seno grande o uno piccolo».
Mi voltai a bocca aperta «Ma che razza di domanda è?!»
«Dai, non fare lo stupido e rispondi!»
Scattò il verde e ripartii, mentre tentavo di calmarmi ed elaborare un risposta seria.
«Dipende» tentai esitante.
«Da cosa?» insistette lei, incrociando le gambe.
«Da un sacco di cose! Innanzitutto dipende dal ragazzo: ad alcuni piace grande ad altri piccolo. Ma soprattutto dipende dalla ragazza e dal tipo di relazione: se lei ti piace da morire, te ne freghi di come è fatta o di quanto è grande il suo seno! Ti piace e basta, e al diavolo tutto il resto! Scusa, ma se ti piace uno vai a vedere se ce l’ha grande o piccolo? Basta che ce l’ha, no?»
«Daniel! Ma sei davvero un porco!» esclamò, diventando più rossa di quando sua madre aveva detto che stavamo insieme.
«Però è la verità, no?» la incalzai ghignando, mentre parcheggiavo lungo la strada che portava al porto «C’è qualcuno che ti piace?» le chiesi, prima di potermi trattenere. Perché se ci avessi riflettuto attentamente non le avrei mai domandato una cosa simile, non se la risposta avrebbe potuto non piacermi.
Lei si morse un labbro e aprì la portiera in silenzio e solo prima di scendere si decise a borbottare «Sì».
Ignorai lo stomaco che si attorcigliò in maniera sgradevole e la imitai, afferrando entrambi gli zaini «Qual è stata la prima cosa che ti è piaciuta di lui?»
Mi osservò a lungo, riflettendoci seriamente e probabilmente rivivendo la scena solo come sapevano farlo le donne, poi inforcò gli occhiali da sole e rispose «Il sorriso. E poi gli occhi».
Feci il giro della macchina e le porsi lo zaino, meravigliato «Ma va? Il sorriso? Tipico da femmina».
Mi strappò di mano lo zaino e mi diede uno spintone, partendo poi in quarta verso il centro turistico.
Io la seguii con un sorriso, osservandola da dietro le lenti scure «Non te la sarai presa, vero? Era un complimento».
«Dovrei ringraziarti perché mi hai dato della femmina?» alzò scetticamente un sopracciglio biondo per poi ribattere con la mia stessa domanda «E tu, invece? Qual è stata la prima cosa che ti è piaciuta della fantomatica ragazza che ti porteresti a letto volentieri?»
Ignorai il tono ironico della domanda, concentrandomi sull’aspetto paradossale della faccenda: lei mi stava chiedendo qual era stata la prima cosa che mi era piaciuta di lei?
Il lato divertente? Sicuramente che non sapeva di essere lei quella ragazza.
Ghignai, decidendo di tirarmi un po’ su il morale «Le gambe. Ha delle gambe da urlo».
Ci mettemmo in fila per prendere i biglietti e questo le diede il tempo di studiarmi attentamente, a braccia incrociate. Visto che non mi interruppe, decisi di andare avanti «Sono lunghe, dritte e sode, se fossi un maschio stai certa che piacerebbero anche a te».
Arricciò le labbra «Non lo metto in dubbio» mormorò ironica «Ma se lei non avesse quelle gambe? Tu l’avresti notata lo stesso o saresti passato alle gambe successive?»
Le sorrisi e scrollai le spalle «Probabilmente avrei notato qualcos’altro, no?»
Mi guardò a lungo, senza dire niente, mentre la fila davanti a noi si riduceva «Ti piace molto, vero?»
Esitai, arrossendo senza motivo. O meglio, il motivo era proprio lì davanti a me, sottoforma di una delle ragazze più belle che avessi mai avuto la fortuna di conoscere, con le braccia incrociate, gli occhi nascosti da un paio di grosse lenti e quelle gambe che mi facevano impazzire a portata di mano. Potevo davvero ammetterlo davanti a lei? Non sapeva di chi stavamo parlando, ma per me era un po’ come dichiararmi e non ero per niente pronto a farlo.
Non mi mise fretta e per questo gliene fui grato, mi chiese soltanto una cosa «E’ ancora Juliet?»
«No, ma non pensare che ti dica chi è».
«Non lo voglio neanche sapere» fece un lieve sorriso «Sentirti parlare di lei senza sosta potrebbe farmi andare in pappa il cervello. Non ho bisogno delle “lodi di un giovane innamorato alla sua bella” nella mia giornata» mi informò sarcastica.
Il cuore mi mancò un battito e riuscii soltanto ad esalare «Innamorato?»
Lei alzò un sopracciglio «E’ chiaro come il sole, Daniel. Se fosse stata una qualunque non ne avresti parlato così».
Si avvicinò al bancone, lasciandomi come un pesce lesso. La ragazza che mi piaceva mi aveva appena detto che era chiaro che fossi innamorato di lei, senza sapere di stare parlando di se stessa? Che razza di situazione!
«Non sono innamorato di lei!» esclamai non appena May mi si avvicinò con i biglietti del traghetto.
«La negazione è il primo segno».
«No!» la seguii, passandomi disperato una mano tra i capelli «Mi piace, ma non la amo!»
Lei fece una smorfia «Voi maschi siete tutti uguali» borbottò, camminando verso il molo.
«Ti dico di no!»
«Ma perché non la smetti?» chiese esasperata «Anzi perché non glielo dici e la fai finita? Magari le piaci e non dovrai più struggerti nel dubbio che tu non le possa piacere».
«Io non mi struggo in nessun dubbio!»
«Continua a crederci».
«E tu allora?!» esclamai disperato, tentando di cambiare argomento «Sei innamorata di lui?»
Si bloccò lungo la banchina e si voltò a fissarmi in silenzio; mi fermai anch’io e il mio cuore prese a battere furiosamente, senza che potessi fare niente per fermarlo. Cazzo.
Si grattò una guancia «Sì, penso di sì» rispose semplicemente, scrollando le spalle e riprendendo a camminare.
La seguii dopo qualche secondo, troppo stupito dalla sua dichiarazione tranquilla, e tentai in tutti i modi di calmare il dolore che avevo nel petto. Fanculo.
«E lui?» riuscii a chiedere.
Fece un sorriso amaro e distolsi lo sguardo, non sopportando di vedere quell’espressione sul suo volto «Non ho intenzione di dichiararmi o cose simili» ammise «Non penso che lui mi vedrà mai in quel modo e se invece gli piaccio, beh, sarà lui a dovermi venire a prendere».
«Come fai ad essere così tranquilla?» le chiesi stizzito. Mi dava persino fastidio e l’unica cosa che volevo sapere era il nome e l’indirizzo di quel tipo per riempirlo di botte e rovinare quel sorriso che le piaceva tanto. Magari poi si sarebbe decisa a cercare qualcun altro.
«Non sono tranquilla» ribatté acidamente «Ho solo deciso di dimenticare quello che provo per una giornata. Chiedo troppo? Ti sarei grata se non ne parlassimo più».
«Come vuoi» Non era quello che volevo, ma andava bene lo stesso. Andava bene qualunque cosa pur di dimenticare Mister Sorriso.
Ci aggregammo ad un gruppo di turisti, pronti a salire a bordo del traghetto per la partenza: erano quasi tutti giovani, solo pochi di mezz’età ed una coppia di anziani.
«Sei sicura di voler andare alla Painted Cave?» le chiesi, non trattenendo la smorfia sofferente.
Lei mi lanciò un’occhiata oltraggiata «Certo che ci voglio andare, sono venuta giusto per questo!»
Mi portai una mano sul cuore, sbattendo le ciglia «E io che pensavo fossi venuta qui per me!»
May roteò gli occhi e mi spintonò leggermente, prima di sedersi in un sedile vuoto «Perché mai? E’ già terrificante il vederti tutti i giorni».
La imitai sbuffando. Tipico.
«Andate alla Painted Cave, cari?»
Ci voltammo verso la donna che si era seduta col marito nei sedili accanto a noi: avevano entrambi i capelli bianchi e un reticolo di rughe sul volto, ma a parte quello ero convinto che avrebbero potuto battere in resistenza anche il gruppo di ragazzi chiacchieroni poco più avanti.
Non attese una nostra risposta e si voltò verso l’uomo «Hai sentito, Harold? Mi fanno venir voglia di farci un giro, in ricordo dei vecchi tempi».
Lui sorrise e scosse la testa divertito, prima che lei si girasse di nuovo verso di noi e iniziasse a parlare allegramente «Sapete, la Painted Cave per noi ha un significato speciale. Risale a quando avevamo circa la vostra età».
«All’età della pietra, quindi» borbottò impercettibilmente May, incrociando le braccia contrariata: non amava molto quel genere di storie.
La vecchia non se ne accorse e proseguì, persa nel suo mondo fatto di ricordi «Eravamo molto amici e ogni volta che era possibile facevamo delle escursioni».
«Io facevo escursioni, Rose, tu ci provavi e basta» la corresse Harold, lei gli diede una pacca affettuosa sul braccio e fece un gran sorriso.
«Io ero innamorata di lui e ne approfittavo per stargli vicino, anche se non ero molto brava. Ma un giorno lo perdetti di vista e mi ritrovai da sola, così iniziai a cercarlo e finii dentro la Painted Cave, da una di quelle che adesso sono le entrate principali. Era una grotta magnifica, piena di alghe e licheni colorati; non so nemmeno quanto tempo passai lì dentro, ma mi ricordo bene quello che provai quando sentii la sua voce. Era spaventato e sollevato allo stesso tempo, mi sgridò perché ero sparita all’improvviso ed era preoccupato per me, così io lo abbracciai forte e gli dissi che lo amavo, buttando al vento tutti i miei timori e i miei dubbi sul poter rovinare la nostra amicizia. Non potevo certo immaginare che lui mi avrebbe baciata» arrossì leggermente con un sorriso compiaciuto sul volto, come se avesse tutto quello che poteva desiderare ed io ero strasicuro che fosse così. La vidi stringere la mano di Harold, che ricambiò con un sorriso, per niente imbarazzato che sua moglie avesse raccontato la loro storia a due perfetti sconosciuti. E in quel momento pensai che non mi sarebbe dispiaciuto essere al loro posto: erano amici e lei aveva rischiato di rovinare tutto seguendo i suoi sentimenti, per poi scoprire che lui la ricambiava. Mi sarebbe piaciuto se la mia storia avesse avuto lo stesso finale.
Mi voltai verso May, assecondando il mio istinto, e mi stupii a trovarla con lo sguardo fisso sulla coppia e gli occhiali in testa, mentre si mordeva un labbro pensierosa. Vidi passare uno strano lampo nei suoi occhi chiari, quasi di malinconia, prima che si decise a rimettere gli occhiali e voltare la testa.
«In amore bisogna sempre correre il rischio, altrimenti non sai mai cosa potresti perderti» Rose mi sorrise e per un istante mi sembrò che potesse leggermi dentro, ma accantonai subito quel pensiero stupido e ricambiai il sorriso con gentilezza.
«Divertitevi alla Painted Cave, è uno spettacolo in questi giorni».

 

 

«Scusa, quello cos’era?»
«Oh, taci! Sei tu che hai tirato male!»
«Almeno io ho tirato ad altezza normale, non per nani. Le mie braccia non sono attaccate alle ginocchia, sai?».
«Che palle, Daniel. Sei peggio di una ragazzina!»
Alzai un sopracciglio divertito e colpii la pallina con la racchetta, spedendola contro May, che ribatté con forza. Era primo pomeriggio e teoricamente avremmo dovuto evitare di stare sotto il sole, soprattutto dopo mangiato, ma la Painted Cave l’avevamo già vista quella mattina e dovevo ammettere che era stata la visita più bella che avessi mai fatto. Rose aveva ragione: era davvero uno spettacolo in quei giorni.
Prima di mangiare ci eravamo rinfrescati con un bel bagno e poi avevamo deciso di destreggiarci coi racchettoni, evitando nel frattempo di tirare la pallina contro gli altri bagnanti.
La spiaggia, come sempre, era abbastanza frequentata, ma non affollata quanto quella di Santa Barbara e questo rendeva le cose più semplici, perché stare in un posto deserto con May in costume non era il massimo per il mio autocontrollo.
«Basta, facciamo una pausa» disse, passandosi una mano sulla fronte sudata.
Recuperai la pallina, finita vicino al castello di sabbia di un bambino, e la seguii verso i nostri asciugamani.
«Certo che potevi portare l’ombrellone» si lamentò, sbuffando e cercando di ripararsi dal sole con un braccio.
«Ti sembro il tipo che va in giro con l’ombrellone?» ribattei ironico «Le famiglie vanno in giro con l’ombrellone, non i ragazzi!» Mi aveva preso per un uomo di mezz’età, per caso? Avevo ancora anni di giovinezza davanti a me, diamine!
«Come sei permaloso» mormorò con una smorfia «Quando dovrai portare in spalla un ombrellone pesante sotto il sole cocente, con sdraio e giocattoli tra le mani, mentre tenti di evitare che i tuoi figli scappino via o cadano nella sabbia o affoghino in mare, chiamami, così mi faccio quattro risate».
«Pensa per te!» esclamai, arrossendo lievemente. Lei alzò un sopracciglio e iniziò a spalmarsi di crema solare «E la finisci con quella cosa? Sarà la quarta volta da stamattina!»
«E’ evidente che tu non abbia idea di cosa sia la protezione solare» mormorò ironica e, nonostante non riuscissi a vederli, avrei potuto giurare che avesse alzato gli occhi al cielo.
«Non mi interessa, però conosco altri tipi di protezione, decisamente più-» non feci in tempo a concludere la frase che il tubetto mezzo vuoto mi finì sulla spalla, accompagnato da un insulto. Me lo rigirai tra le mani, leggendo l’etichetta annoiato: che senso aveva spalmarsi quella cosa addosso? Era di sicuro tutta appiccicosa e l’odore sarebbe andato bene soltanto per le femmine.
«Dovresti metterla anche tu» mi consigliò May, risvegliandomi dai miei pensieri.
«Scordatelo» ribattei all’istante, ritirandoglielo. Non mi sarei mai messo quella cosa, mai.
May strinse le labbra «Sul serio, Dan, è solo l’una e staremo qui almeno fino alle cinque. Non ho intenzione di accompagnarti al pronto soccorso per colpa di un’insolazione!» mi strattonò per un braccio e sibilò «Se non te la metti tu, lo farò io. In un modo o nell’altro tu avrai quella crema spalmata addosso».
La mia mente si era fermata a “lo farò io”. Ecco, quello avrei potuto anche sopportarlo: avere le mani di May addosso, senza che volesse picchiarmi… No! A pensarci bene non era tanto fantastico, sarebbe stato troppo… troppo! Non sapevo quanto avrei potuto resistere.
«Allora?» mi spronò con un ghigno inquietante.
Non volli indagare sul genere di brividi che mi erano appena venuti e nemmeno sul motivo per cui il mio cuore aveva iniziato a battere più freneticamente, ero irremovibile nella mia decisione «Ho detto di no!»
May mi guardò per un istante e poi disse soltanto «Bene», prima di aprire il tappo e versare quella roba bianca sulle dita della mano. Si voltò verso di me ed io capii: cercai quindi di allontanarmi il più possibile, ma non feci nemmeno in tempo ad alzarmi che mi ritrovai con le sue unghie infilzate nella pelle e l’altra mano sulle spalle.
Mi dimenai, ma lei non mollò la presa e fu solo quando sentii il suo seno premere contro la mia schiena che decisi di fermarmi, per evitare poi di ritrovarmi in una situazione imbarazzante, la cui unica via d’uscita sarebbe stata sbatterla a terra e mettere in atto una delle mie ultime fantasie. E di sicuro poi si sarebbe scordata di Mister Sorriso.
«Sei proprio un bambino» soffiò esasperata da dietro di me. Io mi morsi la lingua e aggrottai la fronte, a braccia incrociate, ben deciso a non farmi uscire nemmeno un misero suono, mentre le sue mani morbide vagavano leggere sulla mia schiena «Serve anche contro i tumori della pelle, sai?» cercai di ignorare il soffio d’aria che le uscì di bocca a quelle parole e che mi arrivò dritto sulla nuca. Cercai di ignorare una ciocca che mi sfiorò la spalla e la concentrazione di sangue nelle parti basse, ma quando si spostò di lato e mi fece voltare non ce la feci più.
«Faccio io!» esclamai con voce più acuta del normale, togliendole di mano il tubetto di crema.
Lei alzò un sopracciglio e scrollò le spalle «Basta che la metti bene» borbottò annoiata, prima di sdraiarsi sul suo asciugamano e togliersi gli occhiali da sole.
Rilasciai il sospiro, tentando di calmarmi: col cavolo che le avrei lasciato continuare quella tortura. Se ero in quelle condizioni solo perché avevo sentito le sue mani sulla schiena, non osavo immaginare cos’avrei fatto se me l’avesse spalmata davanti, probabilmente avrei perso totalmente il controllo.
Aprii il tappo e con una smorfia terminai l’operazione, guardandola con la coda dell’occhio: lei se ne stava sdraiata a prendere il sole, senza il minimo problema, mentre io dovevo fare violenza su me stesso per non saltarle addosso. Quelle sì che erano le ingiustizie della vita.
Buttai a terra il tubetto e mi decisi a riesumare il blocco da disegno dalle profondità dello zaino: se non potevo giocare a basket, quello era l’unico modo per chiudere tutto fuori.
Certo però che come la spalmava May la crema, non la spalmava nessuno.

 

 

«Avresti dovuto toglierti gli occhiali» osservò candidamente per l’ennesima volta.
«Taci» ribattei truce, non togliendo per un istante lo sguardo dalla strada.
«Almeno non saresti stato ridicolo».
La fulminai con un’occhiata, maledicendomi mentalmente per non aver tolto quegli stramaledetti occhiali, almeno non mi sarei ritrovato con due chiazze bianche intorno agli occhi.
«E’ la prima regola per una buona abbronzatura».
«La vuoi piantare?»
Grazie al cielo eravamo arrivati e parcheggiai nel mio vialetto, scendendo in un lampo dall’auto. Era stata tutto sommato una giornata piacevole, nonostante gli improvvisi e fastidiosi momenti di panico, e mi ero trovato bene accanto a lei, perfettamente a mio agio. Purtroppo.
«Beh, è stato divertente» cominciò May, scrollando le spalle e portandosi indietro una ciocca di capelli. A quel gesto mi decisi a scrutarla attentamente, perché avevo scoperto che quando lo faceva era nervosa e non capivo perché avrebbe dovuto esserlo in quel momento, visto che dovevamo solo salutarci.
«Già, qualche volta potremmo rifarlo» voltò di scatto la testa e mi puntò gli occhi azzurri addosso, facendomi attorcigliare lo stomaco «insieme agli altri» mi affrettai ad aggiungere «Sono sicuro che piacerebbe da matti!»
Si arrotolò una ciocca umida intorno al dito, prima di sistemarla dietro l’orecchio, e mi fissò da sotto le ciglia lunghe «Ci vediamo, allora».
Deglutii di fretta, rischiando di strozzarmi e balbettai uno stentato «Sì, ciao».
Mi fece un cenno con la mano e un lieve sorriso, poi si decise ad attraversare la strada, diretta verso casa sua, e io rimasi a fissarla come un perfetto beota, anche dopo che richiuse la porta d’ingresso.
Ormai il problema era uno solo e l’avevo capito: mi ero innamorato di May. Quella volta sul serio.
Ed ero ben deciso ad andarmela a prendere. E Mister Sorriso poteva pure andare a farsi fottere.

 

 

 

 

 



 
N/A: Salve a tutti! Ecco il nuovo capitolo, spero che l’attesa sia valsa la pena. Non so cosa dire con esattezza di questo capitolo: personalmente mi piace, ma in alcuni punti c’è qualcosa che non mi convince. Non credo però che avessi potuto fare di meglio.
Daniel ormai è diventato amico di May e per questo gli piace sempre di più, anche se è un po’ un maiale e sinceramente non riesco a descrivere i suoi pensieri, perché non saprei neanch’io quali possono essere con esattezza, ma ognuno di voi può immaginare quello che vuole. Il titolo è una canzone dei Goo Goo Dolls e per vostra informazione ogni titolo sarà quello di una canzone, il cui testo spesso c’entrerà qualcosa.
Ho pubblicato solo perché spero di tirarmi un po’ su, visto che in questi giorni mi sento abbastanza apatica e depressa, sarà il periodo…
Come sempre vi chiedo di farmi sapere cosa ne pensate di questa storia, sono felice di leggere le vostre recensioni, e non so chi abbia messo mi piace al secondo capitolo, ma sono stata superfelicissima di averlo visto!
Se volete fare un salto sul forum qui c’è il link: Spin forum
Ne approfitto per fare gli auguri di Natale e buon anno nuovo a chiunque passa di qui!
Divertitevi e godetevi questi giorni!

   
 
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