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Quel
giorno ero di turno al bar di Al e a metà mattina mi ero
visto piombare davanti
il mio migliore amico, con un sorriso smagliante e la parlantina
attivata;
ovviamente io, appena sentito l’argomento, avevo iniziato a
pensare ai fatti
miei, più nello specifico alla partita del giorno seguente.
Sul
campo, io e May eravamo piuttosto affiatati e probabilmente avevamo
anche
diverse possibilità di vittoria. Sempre
che non finissimo come il giorno
prima contro Matt e Juliet.
Alzai
gli occhi al cielo: come si
faceva a dimenticarsi di palleggiare?
Era la
base del basket, per la miseria. E magari io avrei potuto concentrarmi
meglio,
senza incantarmi a fissarle le tette. Anche
se aveva due gran belle tette.
«…
e l’ha chiesto anche a May, quindi sarebbe
davvero-».
«Eh?»
mi riscossi all’improvviso al sentire il suo nome, senza
nemmeno volerlo, e
fissai Ryan, nascondendo bene la mia distrazione.
«Non
mi stavi ascoltando, vero?» mi chiese con un ghigno poco
confortante. Forse
non tanto bene.
Feci
un lieve sorriso «Scusa, ma il fatto è che
continui a parlare di Emily. Cioè,
non ho assolutamente niente contro di lei, ma dopo un po’
diventi noioso».
«E
così tu ti metti a fare pensieri sconci».
«Non
stavo facendo pensieri sconci!» esclamai, mentre sentivo le
guance andarmi a
fuoco «E comunque non su May!»
Il
ghigno di Ryan si allargò e io sprofondai. Cazzo.
«E chi stava parlando di
lei?»
Non
risposi, ma abbassai lo sguardo sul bicchiere che avevo ancora tra le
mani,
decidendo di metterlo via e prenderne un altro. Prima di calpestare
quello che
rimaneva della mia dignità.
«E
così il piccolo Danny fa pensieri sconci su May».
«Abbassa
la voce!» sibilai, sbattendo lo strofinaccio sul bancone e
guardandomi veloce
attorno per assicurarmi dell’assenza di orecchie indiscrete
«E smettila di
ripetere “pensieri sconci”!»
«Carino.
Non tenti nemmeno di negare».
Avevo
una strana voglia di usare quello straccio per strangolarlo e
appenderlo al
lampadario, ma non credevo che il vecchio Al avrebbe apprezzato le
migliorie
all’arredamento.
«Senti,
non so cosa hai capito, ma a me non piace May. Assolutamente!»
mi chinai
sul bancone e abbassai la voce ad un sussurro.
Ryan
alzò un sopracciglio biondo, con aria scettica «Ti
rendi conto che stai facendo
tutto tu?» mi chiese, spingendo via la sua tazza di
caffelatte «Non credevo
sarebbe arrivato questo giorno, ma te lo devo dire: amico mio, tu sei
innamorato perso di May Harris».
«Non
dire cazzate» mormorai con un gemito, massaggiandomi ad occhi
chiusi la base
del naso «Senti, Ryan» cominciai, appoggiandomi al
bancone «posso ammettere che
stare a stretto contatto con May per due settimane mi ha portato a
conoscerla
un po’ meglio e che adesso mi sta decisamente più
simpatica di prima. Mi piace
il suo aspetto fisico, ma questo era ovvio, visto che avevo una cotta
per la
sua gemella.
Però non significa che mi sono innamorato di lei,
cazzo!»
«Allora
era per lei che sbavavi sabato sera!»
L’esclamazione
stupita di Matt ci fece sobbalzare, mentre lui si accomodava accanto a
Ryan e
si chinava verso di noi ad occhi spalancati.
«Sbavavi?»
«Io
non sbavavo proprio per nessuno!»
Matt
mi ignorò e si voltò verso Ryan, assumendo
all’istante l’aria da cospiratore
«Continuava a sospirare e fissare il vuoto con
un’espressione da ebete. Lo
sapevo che c’entrava una ragazza!»
«Te
la sei presa proprio brutta, questa volta» osservò
Ryan, iniziando a fissarmi,
subito imitato da Matt.
Alzai
gli occhi al cielo, ignorando il rossore sempre più intenso
che si faceva largo
sulle mie guance, e mi levai il grembiule «Bene, ci rinuncio.
Il mio turno è
finito e io non ho intenzione di stare a sentire le vostre ipotesi
assurde e assolutamente
prive di alcun fondamento!» Filai via a salutare Al, sentendo
i loro sguardi
curiosi e divertiti addosso, e poi scappai fuori dal locale, nel caldo
di quel
mercoledì mattina.
Non
ebbi la possibilità di fare nemmeno un passo, che due
braccia poco delicate mi
circondarono il collo.
«Lo
sapevo, lo sapevo!» esclamò Ryan esaltato,
strillandomi nell’orecchio come
un’aquila agonizzante.
«Raccontaci
tutto» mi esortò Matt con forza.
Io
digrignai i denti «Non c’è proprio nulla
da dire» sibilai irritato.
«Quando
è iniziata?»
«Le
hai detto qualcosa?»
«Ti
ha beccato a fissarla?»
«Sai
se può essere interessata?»
Bloccare
le loro voci era praticamente impossibile, così mi decisi ad
esclamare «Volete
chiudere il becco?!»
Ryan
fece una smorfia imbronciata «Perché non ce lo
vuoi dire, Danny? Siamo i tuoi
migliori amici!»
«Semplicemente
perché non è vero!»
Prima
che lui potesse ribattere, Matt si fermò in mezzo al
marciapiede, tirandoci con
lui.
«Ok.
Segreto per segreto».
Serrai
gli occhi per un attimo, maledicendo l’entità
misteriosa che sembrava avercela
con me. Sapevo di non poter scampare al “segreto per
segreto”. Risaliva a
quando eravamo ancora dei bambini stupidi e senza cervello, che
pensavano che
non avere segreti fosse segno di vera amicizia e che un bel giorno
avevano deciso
di cominciare una pratica patetica ed umiliante. Un segreto era
qualcosa che si
doveva tenere nascosto e non rivelare a nessuno, per evitare di
rendersi ancora
più ridicoli. Non era una giocata da mettere sul piatto e
scambiarsi con gli
altri. Non mi piaceva dover rivelare qualcosa che preferivo non sapesse
nessuno
ad altri, che a loro volta avrebbero fatto lo stesso con me. Mi sarei
rifiutato
di farlo, avrei mentito, se soltanto non fossero stati loro.
Io,
Ryan e Matt eravamo cresciuti insieme, diventando inseparabili, per
quanto
potesse sembrare banale, erano come dei fratelli per me. Solo con loro
non
avevo paura di mostrare il vero me stesso. Quindi non potei fare a meno
di
accettare il “segreto per segreto”, ancora
una volta.
«Ho
pianto perché Emily non mi prende sul serio quando le dico
che la amo» cominciò
seriamente Ryan «Pensa che lo dica per gioco e mi fa male.
Però faccio finta
che sia tutto a posto».
Non
dicemmo niente, nessuna parola di comprensione o rassicurazione: il
“segreto
per segreto” era uno scambio, noi ascoltavamo e a nostra
volta venivamo
ascoltati. Era come un momento particolare, una parentesi sospesa nel
tempo:
rivelavamo i nostri segreti, aspettavamo un minuto e poi cominciavamo a
parlare, prenderci in giro, dare consigli, aiutarci.
Era sempre stato
così, fin dalla prima volta.
Matt
fece un bel respiro e poi parlò «Mi sono
innamorato di Juliet».
Dopo
un attimo di silenzio si girarono verso di me e io sospirai. Non potevo
mentire, ma non sapevo nemmeno io quale fosse la verità,
quindi lasciai che le
parole uscissero da sole, guidate unicamente dal mio istinto.
«Mi
piace fissare May. E forse mi sono preso una sbandata, una
brutta» soffiai
esasperato, infilando le mani in tasca e alzando la testa
«Cazzo, a volte mi
faccio schifo da solo per i pensieri che mi vengono» ammisi a
malincuore.
Ci
sedemmo su una panchina lungo il viale che costeggiava la spiaggia,
rivolti
verso il sole cocente, e rimanemmo in silenzio per un minuto ancora.
«Cazzo»
commentò Matt.
«E’
stato il peggior “segreto per segreto” che abbiamo
mai fatto» aggiunse Ryan.
Io
mi limitai ad annuire.
Il
rumore delle macchine si confondeva con il cicaleccio della spiaggia,
c’era un
po’ di vento fastidioso e faceva davvero troppo caldo, ma
stavo bene, mi
sentivo incredibilmente più leggero.
«Piangere
è roba da femmina» iniziò Matt, dando
il via ai commenti «Tira fuori le palle e
falle vedere chi sei! Oh, forse le hai già tirate fuori un
po’ troppo»
scoppiammo a ridere sguaiatamente, mentre Ryan roteava gli occhi
esasperato e
ci mostrava elegantemente il dito medio. Si comportava sempre come un
bravo
ragazzo e ne aveva anche l’aspetto, ma quando voleva sapeva
essere peggio di me
e Matt messi insieme.
«State
zitti, è stato solo un momento di debolezza! La prossima
volta vedrete! Sarà
così contenta che mi lascerà farle tutto quello
che voglio».
«Ti
prego, evita i dettagli» mormorò Matt con una
smorfia disgustata.
Ryan
ghignò «Me lo vieni a dire proprio tu? Forse se
iniziassi a non frequentare più
nessuna avresti qualche possibilità».
Matt
incrociò le braccia al petto «Io non frequento
proprio nessuna, mi diverto e
basta. Poi sono loro che mi vedono e si trasformano in
assatanate» fece un
sospiro drammatico, guardando il cielo azzurro «Che ci posso
fare, sono il
ragazzo che tutte vorrebbero portarsi a letto!»
Ryan
scoppiò a ridere, io schioccai la lingua divertito
«Che maniaco».
Entrambi
si voltarono verso di me, alzando in modo eloquente le sopracciglia.
«Tu
sei proprio l’ultimo che può parlare,
porco» ghignò Ryan.
«Già»
gli diede manforte Matt «Una
sbandata, pff. Sicuro,
Dan».
«Lo
sapete come l’ho sempre pensata su di lei. E’
già tanto se ho ammesso quello
che ho ammesso!» era imbarazzante e la sola idea che potessi
provare davvero
qualcosa per May… mi lasciava spiazzato. Era insopportabile
quando ci si
metteva e più acida di uno yogurt scaduto, ma purtroppo
sapeva anche essere
divertente e simpatica, una con cui si poteva parlare e confrontarsi. E
il
fatto che avesse un corpo da favola non faceva che migliorare la
prospettiva. E
non ero sicuro che fosse la cosa giusta.
«Cosa
importa?» disse Matt, scrollando le spalle «Non la
conoscevi bene e quindi non
la sopportavi, ma adesso hai tutto il diritto di cambiare idea. Solo
gli
stupidi non lo fanno».
«Se
ti piace buttati e basta. Cos’hai da perdere? Male che vada
tornerete a
litigare o ignorarvi come avete fatto fin’ora».
Sbuffai
e mi voltai verso di loro, poggiando una gamba sulla panca di legno
«Perché
date per scontato che voglia provarci con lei?» chiesi
irritato. Avevo ammesso
che May mi poteva piacere un pochino, ma questo non significava affatto
che
volessi averla come ragazza. Non avevo intenzione di sopportare le sue
lamentele, i suoi sbalzi d’umore, il suo odio per il mondo
intero e la fila di
ragazzi che aveva dietro.
Non
ero
stupido fino a quel punto.
«Vuoi
dire che non hai mai pensato a chiederle di uscire?»
domandò Ryan perplesso.
«No.
E non credo proprio che lo farò» dissi serio e
convinto. Non ci avrei mai
provato, proprio per niente… ecco.
«Fammi
capire» esclamò Matt arricciando il naso e la
fronte «Ti sta simpatica, le
sbavi addosso e non fai altro che pensare a lei, ma non la vuoi come
ragazza?»
Detta
così suonava stupida persino a me.
«Non-».
«Non
dire che non è vero» mi interruppe Ryan.
Sbuffai,
passandomi esasperato una mano tra i capelli «Sentite, non
voglio legarmi a
nessuna, men che meno lei. Sì, è vero, la bacerei
e me la porterei a letto
volentieri, ma non-» mi interruppi vedendoli ghignare
divertiti e alzai un
sopracciglio, pronto a chiedere spiegazioni, ma ci pensò una
voce gelida a
farmi sbiancare.
«Chi
è che ti porteresti a letto, brutto porco?»
Deglutii,
sbattendo velocemente le palpebre, e con tutto
l’autocontrollo che potevo
racimolare mi voltai lentamente, sperando che la mia espressione non mi
tradisse.
Non
davanti a May.
«Che
diavolo ci fai qui?» berciai irritato e terrorizzato allo
stesso tempo. Doveva
sempre comparire nei momenti più inopportuni, diavolo! Il
colmo sarebbe stato
se avesse capito che parlavamo di lei.
«Stavo
facendo un giro e vi ho visti» sibilò,
socchiudendo gli occhi «Volevo solo
ricordarti dell’allenamento di oggi pomeriggio, ma forse
avrai da fare con
chiunque sia la tipa da sballo» arricciò il naso
disgustata «Vorrei soltanto
che mi avvertissi quando hai intenzione di cancellare un impegno, sei
totalmente inaffidabile».
Rimasi
a bocca aperta, mentre Matt e Ryan se la ridevano, quasi piegati in
due. Era
completamente fuori di testa.
«Si
può sapere che cazzo stai dicendo?»
«Vaffanculo»
mi lanciò un’occhiataccia e girò sui
tacchi, incamminandosi velocemente lungo
il viale.
Guardai
con disapprovazione i miei amici, poi fissai di nuovo May, dondolai per
un paio
di secondi la gamba e mi decisi ad andarle dietro. Solo
perché non volevo che
tra noi ci fosse qualche conto in sospeso prima della partita.
«Cos’è,
la Green ha deciso di fregarti il colore delle magliette?» le
chiesi ironico,
camminandole alle spalle con le mani in tasca.
Mi
fulminò di sfuggita e aumentò il passo, io la
imitai con un ghigno, riuscendo
facilmente a mantenere la distanza.
«Smettila
di seguirmi».
«Non
se non mi dici cos’hai. Ti rendi conto di aver elaborato
tutta una tua teoria
assurda, senza che io ti abbia detto nulla?»
«Sei
tu che prendi appuntamenti, quando hai già degli
impegni!» esclamò irritata.
«Non
ho nessun appuntamento, idiota».
Si
bloccò di colpo e si voltò per fronteggiarmi.
Avrebbe potuto essere davvero
terrificante, se il suo naso mi fosse arrivato più su del
petto e non mi fosse
stata così vicina.
«Non
darmi dell’idiota! E non parlare della Green! Non osare
pronunciare il suo nome
e nemmeno pensarla! Quella stronza!»
Alzai
un sopracciglio, vagamente curioso «Cosa ha fatto
adesso?»
«Ha
voluto cambiare un po’ la posta in gioco. Non la
sopporto!» strinse i pugni,
più infuriata che mai.
«Beh,
ci basta vincere e non dovremo preoccuparci».
«No!
Se vinciamo dovrai uscire con lei!»
Spalancai
gli occhi e la bocca «Cosa?!»
May
incrociò le braccia e distolse lo sguardo, imbronciandosi
lievemente «Oltre a
quello che avevamo stabilito e che non ho intenzione di dirti, ha detto
che chi
vince può scegliere con chi uscire tra i due giocatori
dell’altro sesso» si
morse un labbro e si scostò velocemente una ciocca di
capelli dal viso.
Osservai
con attenzione i suoi lineamenti, cercando inutilmente di trovare
qualche
imperfezione «E tu sei sicura che sceglierò la
Green» dissi piattamente.
Sbuffò
«Lei vuole uscire con te, nonostante stia con la carota. E
figurati se a te non
va bene, visto che metterà in bella mostra la sua
quarta» fece una smorfia «A
tutti i ragazzi piacciono le tettone, no? Anche se sono
finte» aggiunse
risentita.
Probabilmente
non era il caso di dirle che io preferivo le sue. Mi avrebbe preso a
schiaffi e
magari mi sarei beccato pure un doloroso calcio nello stinco.
«Tranquilla»
sospirai, alzando gli occhi al cielo «Se vinciamo ti porto a
fare un giro alle
Channel Islands».
Alzò
gli occhi brillanti su di me e mi fissò sospettosa
«Cos’è, vuoi buttarmi giù
dal traghetto?»
«Non
rovinarmi le sorprese» dissi ironico.
Lei
fece una smorfia e riprese a camminare, questa volta più
lentamente. Era il suo
modo per dirmi che non ce l’aveva più con me,
anche se di sicuro sarebbe durato
ancora per poco.
Sapevo
che era sbagliato, ma non riuscii a trattenermi «Non
c’è bisogno di essere
gelosa, sai?» ghignai «Se vuoi venire a letto con
me, basta chiedere».
Mi
lanciò l’occhiataccia più spaventosa di
tutta la mia vita e accelerò il più
possibile, sperando di lasciarmi indietro.
Una
volta ciascuno, dolcezza. Non puoi provocare sempre tu.
«E
se sei in difficoltà passami la palla, non cercare di
avanzare e soprattutto
non farti fregare!»
«Sarà
la quindicesima volta che me lo ripeti, ho capito!»
«E
non farti marcare da Norris, a lui ci penso io».
«Settima
volta».
«E
non ascoltare quello che dicono! E non scatenare risse!»
«Tredicesima.
La vuoi piantare?» May mi tirò un pizzicotto sul
braccio, facendomi contrarre
la faccia in una smorfia di dolore «Sembri una ragazzina
isterica. Dovrei
essere io quella agitata».
Mi
morsi la lingua e mi guardai attorno inquieto: sì, ero in
preda ad un attacco d’ansia,
mi tremavano le ginocchia e la mia sudorazione aveva iniziato
inspiegabilmente
ad aumentare e non era l’effetto del sole.
«E’
pur sempre una sfida contro Norris» borbottai, muovendo
velocemente su e giù
una gamba, per poi alzarmi di scatto dal muretto in pietra del
campetto,
afferrare il pallone e cominciare a palleggiare per distrarmi.
May
fece schioccare la lingua e accavallò le gambe,
appoggiandosi sui palmi delle
mani «Qual è la strategia di Norris?» mi
chiese annoiata. Probabilmente ce
l’aveva ancora con me per averla obbligata ad arrivare
lì un’ora prima del
previsto.
«Mi
piacerebbe dire che è un incapace e non sa nemmeno
elaborarla una strategia, ma
non sarebbe vero» cominciai, senza perdere d’occhio
la palla arancione «E’
abituato alla difesa a uomo, quindi ci sono buone
possibilità che decida di
marcare me, per evitare di farmi giocare e chiaramente io
farò lo stesso con
lui. Quindi rimarrai ad affrontare la Green. Ora, non ho idea del suo
livello
di preparazione, ma sono sicuro che riuscirai a tenerla a bada
facilmente» le
lanciai un’occhiata veloce, decidendo per una volta di
soddisfare il suo ego
«Sei migliorata molto».
«Grazie»
disse impassibile, continuando ad osservarmi, prima di saltare
giù dal muretto
e fregarmi la palla.
Alzai
un sopracciglio, mentre lei faceva qualche passo, avvicinandosi al
canestro; mi
squadrò con l’ombra di un sorriso e in risposta
scossi la testa.
«Io
non sono la Green» osservai, avvicinandomi.
«Me
n’ero accorta» rispose, lanciando la palla
dall’area dei tre secondi. Io ebbi
tutto il tempo di saltare, afferrare la palla, girare intorno a May e
tirare,
centrando perfettamente il canestro.
«Non
c’è bisogno di darsi arie»
commentò lei, riprendendo la palla e arricciando il
naso «Lo so fare anch’io».
Si
piazzò sotto il canestro e saltò, facendo
rimbalzare la palla sul ferro.
«Impressionante,
davvero» dissi ironico, afferrandola al volo
«Peccato che l’obiettivo sia
mandarla dentro».
Giocammo
ancora per circa un’ora, in attesa che arrivassero tutti.
Sopportai
poco le battute di Ryan e Matt, che ancora non volevano dimenticarsi
del segreto
per segreto del giorno prima, e
quando arrivarono Norris e la Green,
insieme a qualche amico, la mia pazienza era quasi giunta al limite.
«Allora
va bene mezzo campo, si gioca per quattro periodi, ok?»
Io
e Norris ci stavamo mettendo d’accordo sui dettagli tecnici,
mentre May e la
Green si fulminavano con lo sguardo, trattenendosi
dall’insultarsi.
«Gli
arbitri allora sono Matt e Chandler» Norris annuì,
facendo un cenno a Kevin
Chandler, ala piccola dell’università di
Northridge; Matt si strofinò le mani,
con un ghigno sul volto «E niente protagonismi, Norris. Non
è la nostra
partita».
«Hazel
non ha bisogno di me per vincere» ridacchiò lui,
appoggiando un braccio sulle
spalle della Green «Non sono sicuro di poter dire lo stesso
sulla bionda»
accennò verso May, che roteò gli occhi azzurri
annoiata.
«Ti
prego, risparmiami. Se non avessi una partita da vincere ti prenderei a
schiaffi».
Trattenni
una risata, mentre Norris la fulminava e Chandler si affrettava a
cominciare
l’incontro.
«Testa
o croce?»
«Testa!»
esclamò la Green di fretta.
«Vuota»
commentò ironica May, facendoci scoppiare a ridere e
procurandosi
un’occhiataccia «Beh, cos’ho
detto?» scrollò le spalle con aria innocente
«Non
mi sembra che tu abbia poi molto, lì in alto».
«Almeno
io non ho una misera seconda» ribatté con astio
Hazel.
Seconda?
May
arrossì e strinse gli occhi «Almeno le mie non
sono finte».
Io
non avevo assolutamente niente contro le seconde.
La
Green stirò un ghigno «Almeno le mie
servono».
«Come
giocattolo erotico?» sibilò May.
Io
e Norris spalancammo gli occhi nello stesso istante, per una volta
d’accordo su
qualcosa, ossia iniziare al più presto quella partita, prima
che tutto si
trasformasse nella fiera degli insulti a sfondo sessuale.
Chandler
soffiò nel fischietto, mentre Matt era piegato in due dalle
risate, e io e
Norris spingemmo via le due belve, prima che la partita iniziasse con
noi in
possesso di palla.
Fu
una sfida piuttosto impegnativa, anche se non potei gustarmela appieno
e
nemmeno vedere i progressi effettivi di May, visto che Norris mi stava
appiccicato peggio di una sanguisuga. Toccai palla circa cinque volte
in tutti
i quaranta minuti di giocata, mentre Norris solo tre volte e la maggior
parte
dei punti li fece May, nonostante fosse impegnata ad insultarsi
costantemente
con la Green.
Vincemmo
trentaquattro a ventitré, punteggio orribile a confronto con
i soliti, ma
niente male per delle principianti.
Alla
fine evitai di prendere in giro Norris, perché mi sentivo
più vicino che mai a
lui, vedendolo trascinare via la sua ragazza dalla parte opposta del
campo,
mentre io ero occupato a fare lo stesso con May, stando attento a non
venire
accecato per sbaglio da un suo dito, o pugno, o gomito.
Il
risultato, oltre ad una fantastica mangiata di pizza in un ristorante
italiano,
fu che dovetti andare con lei alle Channel Islands, che avevamo tutti
già
visitato, circa ogni estate per essere precisi.
Avremmo
potuto rifiutare entrambi di andarci, non ci obbligava nessuno, a parte
un
gruppo di amici impiccioni, ma nessuno dei due disse niente. Non sapevo
cosa
pensasse May con esattezza, ma io di sicuro non ci avrei rinunciato per
nulla
al mondo.
L’isola
che avevamo deciso di visitare era Santa Cruz: dal porto di Santa
Barbara
avremmo preso il traghetto del parco, che ci avrebbe portato
direttamente
sull’isola, May voleva vedere per l’ennesima volta
Painted Cave, quella stupida
grotta umida, poi ci saremmo rilassati sulla spiaggia, fatti una bella
nuotata
e poi saremmo tornati a casa. Piano perfetto. Se solo May si fosse
decisa ad
uscire di casa.
Sbuffai
di nuovo, dando un’occhiata all’orologio, nello
stesso momento in cui la porta
di casa Harris si spalancava e May compariva con un diavolo per
capello,
seguita per mia sfortuna dalla madre.
«Sei
sicura di aver preso tutto?» disse ansiosa Jane, torturandosi
le mani.
«Sì,
mamma, basta. Non sono una bambina!» sbuffò May
esasperata, buttando lo zaino
sui sedili posteriori.
«Hai
preso le bottiglie d’acqua? E la felpa?»
«Sì,
dannazione!»
«May!
Attenta a quello che dici!»
«Scusa».
Mi
trattenni dallo scoppiare a ridere, appoggiato alla macchina, mentre
Jane
riprendeva con le sue raccomandazioni.
«E
Daniel, per favore, stai attento a May».
Mi
raddrizzai di colpo e sorrisi alla donna che avevo davanti
«Non preoccuparti,
Jane. Con me May è al sicuro».
«Lecchino»
sibilò lei, dandomi una lieve gomitata, per sua fortuna
passata inosservata.
Jane
mi sorrise calorosamente «Lo so, caro»
esitò un attimo, tremando per trattenere
l’eccitazione, ma non resse e mi abbracciò con
slancio, soffocandomi quasi con
i suoi capelli vaporosi «Sono così contenta che
finalmente vi siate messi
insieme! Io e Violet lo speravamo tanto!»
«Mamma!»
esclamò May, diventando della mia stessa tonalità
di rosso «Non stiamo insieme
e non lo staremo mai!»
«Giusto.
Avete preso un granchio» aggiunsi frettolosamente.
Jane
mi lasciò andare, spalancando gli occhi «Oh,
scusatemi! Non volevo mettervi in
imbarazzo! Eravamo così-»
«Sì,
mamma, non importa» la interruppe May spintonandomi verso il
posto di guida
«Dobbiamo andare, altrimenti perdiamo il traghetto. Ci
vediamo stasera, ciao
ciao!» la salutò velocemente e balzò a
bordo «Muoviti, partiamo!» mi intimò
agitata, mentre mettevo in moto.
Restammo
in silenzio fino a quando la via non scomparve dallo specchietto
retrovisore e
allora rilasciammo un sospiro di sollievo.
«Quelle
due sono completamente fuori!» si lamentò May,
appoggiando un gomito alla
portiera.
Non
risposi, ancora troppo stupito che le nostre madri spettegolassero su
di noi,
senza che lo sapessimo.
«Comunque,
hai portato tutto?»
«Cos’è,
fai come tua madre?» le chiesi ironico.
«Qualcun
altro oltre me dovrà pur soffrire, no?»
Alzai
gli occhi al cielo, chiedendo la forza di sopportarla per tutto il
giorno e di
non saltarle addosso durante il pomeriggio.
Non
ero contraddittorio, avevo soltanto una cotta per lei e non la
sopportavo al
tempo stesso, ogni tanto.
«L’hai
portata la felpa?»
«Sì,
mamma».
«E
una corda con cui posso strangolarti?»
«Quella
l’ho lasciata appesa in camera mia. Sai, c’erano
ancora i panni bagnati stesi
su» ribattei sarcastico «Ma puoi sempre usare il
laccio del tuo costume. Non mi
offendo se la mia morte arriverà per mezzo di un costume da
donna».
May
mi lanciò un’occhiata divertita «Sei un
maniaco. E poi dovrei togliermelo, per
strangolarti».
«Appunto».
Fece
schioccare la lingua e si voltò dall’altra parte,
evitando di rispondermi e
mandarmi a quel paese.
«Oppure
potresti soffocarmi con le tue tette, così potrai dire alla
Green che anche le
tue servono a qualcosa».
Ci
guardammo per un istante e poi scoppiammo a ridere come due dementi,
anche se
non mi sarebbe affatto dispiaciuto venire soffocato dalle sue tette. Parlando
seriamente.
«Non
credo che il risultato sarebbe lo stesso» commentò
con un sorriso, per poi
voltarsi verso di me e appoggiare una gamba piegata sul sedile
«Ehi, posso
farti una domanda abbastanza personale?»
«Spara».
Esitò
un attimo, probabilmente per cercare le parole giuste
«Riguarda quello che ha
detto la Green prima della partita… sentiti pure libero di
non rispondere, ma
secondo te un seno grosso è più eccitante di uno
piccolo?»
Mi
voltai di scatto, leggermente imbarazzato «Scusa?!»
Che razza di domande faceva
ad un ragazzo? Per fortuna eravamo fermi al semaforo, altrimenti avrei
sbandato
di sicuro.
Sbuffò,
infastidita dalla mia sorpresa, e ripeté «Per te,
ti fa eccitare di più un seno
grande o uno piccolo».
Mi
voltai a bocca aperta «Ma che razza di domanda
è?!»
«Dai,
non fare lo stupido e rispondi!»
Scattò
il verde e ripartii, mentre tentavo di calmarmi ed elaborare un
risposta seria.
«Dipende»
tentai esitante.
«Da
cosa?» insistette lei, incrociando le gambe.
«Da
un sacco di cose! Innanzitutto dipende dal ragazzo: ad alcuni piace
grande ad
altri piccolo. Ma soprattutto dipende dalla ragazza e dal tipo di
relazione: se
lei ti piace da morire, te ne freghi di come è fatta o di
quanto è grande il
suo seno! Ti piace e basta, e al diavolo tutto il resto! Scusa, ma se
ti piace
uno vai a vedere se ce l’ha grande o piccolo? Basta che ce
l’ha, no?»
«Daniel!
Ma sei davvero un porco!» esclamò, diventando
più rossa di quando sua madre
aveva detto che stavamo insieme.
«Però
è la verità, no?» la incalzai
ghignando, mentre parcheggiavo lungo la strada
che portava al porto «C’è qualcuno che
ti piace?» le chiesi, prima di potermi
trattenere. Perché se ci avessi riflettuto attentamente non
le avrei mai
domandato una cosa simile, non se la risposta avrebbe potuto non
piacermi.
Lei
si morse un labbro e aprì la portiera in silenzio e solo
prima di scendere si
decise a borbottare «Sì».
Ignorai
lo stomaco che si attorcigliò in maniera sgradevole e la
imitai, afferrando
entrambi gli zaini «Qual è stata la prima cosa che
ti è piaciuta di lui?»
Mi
osservò a lungo, riflettendoci seriamente e probabilmente
rivivendo la scena
solo come sapevano farlo le donne, poi inforcò gli occhiali
da sole e rispose
«Il sorriso. E poi gli occhi».
Feci
il giro della macchina e le porsi lo zaino, meravigliato «Ma
va? Il sorriso?
Tipico da femmina».
Mi
strappò di mano lo zaino e mi diede uno spintone, partendo
poi in quarta verso
il centro turistico.
Io
la seguii con un sorriso, osservandola da dietro le lenti scure
«Non te la
sarai presa, vero? Era un complimento».
«Dovrei
ringraziarti perché mi hai dato della femmina?»
alzò scetticamente un
sopracciglio biondo per poi ribattere con la mia stessa domanda
«E tu, invece?
Qual è stata la prima cosa che ti è piaciuta
della fantomatica ragazza che ti
porteresti a letto volentieri?»
Ignorai
il tono ironico della domanda, concentrandomi sull’aspetto
paradossale della
faccenda: lei
mi stava chiedendo qual era stata la prima cosa che mi era
piaciuta di lei?
Il
lato divertente? Sicuramente che non sapeva di essere lei
quella
ragazza.
Ghignai,
decidendo di tirarmi un po’ su il morale «Le gambe.
Ha delle gambe da urlo».
Ci
mettemmo in fila per prendere i biglietti e questo le diede il tempo di
studiarmi attentamente, a braccia incrociate. Visto che non mi
interruppe,
decisi di andare avanti «Sono lunghe, dritte e sode, se fossi
un maschio stai
certa che piacerebbero anche a te».
Arricciò
le labbra «Non lo metto in dubbio»
mormorò ironica «Ma se lei non avesse quelle
gambe? Tu l’avresti notata lo stesso o saresti passato alle
gambe successive?»
Le
sorrisi e scrollai le spalle «Probabilmente avrei notato
qualcos’altro, no?»
Mi
guardò a lungo, senza dire niente, mentre la fila davanti a
noi si riduceva «Ti
piace molto, vero?»
Esitai,
arrossendo senza motivo. O meglio, il motivo era proprio lì
davanti a me,
sottoforma di una delle ragazze più belle che avessi mai
avuto la fortuna di
conoscere, con le braccia incrociate, gli occhi nascosti da un paio di
grosse
lenti e quelle gambe che mi facevano impazzire a portata di mano.
Potevo
davvero ammetterlo davanti a lei? Non sapeva di chi stavamo parlando,
ma per me
era un po’ come dichiararmi e non ero per niente pronto a
farlo.
Non
mi mise fretta e per questo gliene fui grato, mi chiese soltanto una
cosa «E’
ancora Juliet?»
«No,
ma non pensare che ti dica chi è».
«Non
lo voglio neanche sapere» fece un lieve sorriso
«Sentirti parlare di lei senza
sosta potrebbe farmi andare in pappa il cervello. Non ho bisogno delle
“lodi di
un giovane innamorato alla sua bella” nella mia
giornata» mi informò
sarcastica.
Il
cuore mi mancò un battito e riuscii soltanto ad esalare
«Innamorato?»
Lei
alzò un sopracciglio «E’ chiaro come il
sole, Daniel. Se fosse stata una
qualunque non ne avresti parlato così».
Si
avvicinò al bancone, lasciandomi come un pesce lesso. La
ragazza che mi piaceva
mi aveva appena detto che era chiaro che fossi innamorato di lei, senza
sapere
di stare parlando di se stessa? Che razza di situazione!
«Non
sono innamorato di lei!» esclamai non appena May mi si
avvicinò con i biglietti
del traghetto.
«La
negazione è il primo segno».
«No!»
la seguii, passandomi disperato una mano tra i capelli «Mi
piace, ma non la
amo!»
Lei
fece una smorfia «Voi maschi siete tutti uguali»
borbottò, camminando verso il
molo.
«Ti
dico di no!»
«Ma
perché non la smetti?» chiese esasperata
«Anzi perché non glielo dici e la fai
finita? Magari le piaci e non dovrai più struggerti nel
dubbio che tu non le
possa piacere».
«Io
non mi struggo in nessun dubbio!»
«Continua
a crederci».
«E
tu allora?!» esclamai disperato, tentando di cambiare
argomento «Sei innamorata
di lui?»
Si
bloccò lungo la banchina e si voltò a fissarmi in
silenzio; mi fermai anch’io e
il mio cuore prese a battere furiosamente, senza che potessi fare
niente per
fermarlo. Cazzo.
Si
grattò una guancia «Sì, penso di
sì» rispose semplicemente, scrollando le
spalle e riprendendo a camminare.
La
seguii dopo qualche secondo, troppo stupito dalla sua dichiarazione
tranquilla,
e tentai in tutti i modi di calmare il dolore che avevo nel petto. Fanculo.
«E
lui?» riuscii a chiedere.
Fece
un sorriso amaro e distolsi lo sguardo, non sopportando di vedere
quell’espressione sul suo volto «Non ho intenzione
di dichiararmi o cose
simili» ammise «Non penso che lui mi
vedrà mai in quel modo e se invece gli
piaccio, beh, sarà lui a dovermi venire a
prendere».
«Come
fai ad essere così tranquilla?» le chiesi
stizzito. Mi dava persino fastidio e
l’unica cosa che volevo sapere era il nome e
l’indirizzo di quel tipo per
riempirlo di botte e rovinare quel sorriso che le piaceva tanto. Magari
poi si
sarebbe decisa a cercare qualcun altro.
«Non
sono tranquilla» ribatté acidamente «Ho
solo deciso di dimenticare quello che
provo per una giornata. Chiedo troppo? Ti sarei grata se non ne
parlassimo
più».
«Come
vuoi» Non era quello che volevo, ma andava bene lo stesso.
Andava bene
qualunque cosa pur di dimenticare Mister
Sorriso.
Ci
aggregammo ad un gruppo di turisti, pronti a salire a bordo del
traghetto per
la partenza: erano quasi tutti giovani, solo pochi di
mezz’età ed una coppia di
anziani.
«Sei
sicura di voler andare alla Painted Cave?» le chiesi, non
trattenendo la
smorfia sofferente.
Lei
mi lanciò un’occhiata oltraggiata «Certo
che ci voglio andare, sono venuta
giusto per questo!»
Mi
portai una mano sul cuore, sbattendo le ciglia «E io che
pensavo fossi venuta
qui per me!»
May
roteò gli occhi e mi spintonò leggermente, prima
di sedersi in un sedile vuoto
«Perché mai? E’ già
terrificante il vederti tutti i giorni».
La
imitai sbuffando. Tipico.
«Andate
alla Painted Cave, cari?»
Ci
voltammo verso la donna che si era seduta col marito nei sedili accanto
a noi:
avevano entrambi i capelli bianchi e un reticolo di rughe sul volto, ma
a parte
quello ero convinto che avrebbero potuto battere in resistenza anche il
gruppo
di ragazzi chiacchieroni poco più avanti.
Non
attese una nostra risposta e si voltò verso l’uomo
«Hai sentito, Harold? Mi
fanno venir voglia di farci un giro, in ricordo dei vecchi
tempi».
Lui
sorrise e scosse la testa divertito, prima che lei si girasse di nuovo
verso di
noi e iniziasse a parlare allegramente «Sapete, la Painted
Cave per noi ha un
significato speciale. Risale a quando avevamo circa la vostra
età».
«All’età
della pietra, quindi» borbottò impercettibilmente
May, incrociando le braccia
contrariata: non amava molto quel genere di storie.
La
vecchia non se ne accorse e proseguì, persa nel suo mondo
fatto di ricordi
«Eravamo molto amici e ogni volta che era possibile facevamo
delle escursioni».
«Io
facevo escursioni, Rose, tu ci provavi e basta» la corresse
Harold, lei gli
diede una pacca affettuosa sul braccio e fece un gran sorriso.
«Io
ero innamorata di lui e ne approfittavo per stargli vicino, anche se
non ero
molto brava. Ma un giorno lo perdetti di vista e mi ritrovai da sola,
così
iniziai a cercarlo e finii dentro la Painted Cave, da una di quelle che
adesso
sono le entrate principali. Era una grotta magnifica, piena di alghe e
licheni
colorati; non so nemmeno quanto tempo passai lì dentro, ma
mi ricordo bene
quello che provai quando sentii la sua voce. Era spaventato e sollevato
allo
stesso tempo, mi sgridò perché ero sparita
all’improvviso ed era preoccupato
per me, così io lo abbracciai forte e gli dissi che lo
amavo, buttando al vento
tutti i miei timori e i miei dubbi sul poter rovinare la nostra
amicizia. Non
potevo certo immaginare che lui mi avrebbe baciata»
arrossì leggermente con un
sorriso compiaciuto sul volto, come se avesse tutto quello che poteva
desiderare ed io ero strasicuro che fosse così. La vidi
stringere la mano di
Harold, che ricambiò con un sorriso, per niente imbarazzato
che sua moglie
avesse raccontato la loro storia a due perfetti sconosciuti. E in quel
momento
pensai che non mi sarebbe dispiaciuto essere al loro posto: erano amici
e lei
aveva rischiato di rovinare tutto seguendo i suoi sentimenti, per poi
scoprire
che lui la ricambiava. Mi sarebbe piaciuto se la mia storia avesse
avuto lo
stesso finale.
Mi
voltai verso May, assecondando il mio istinto, e mi stupii a trovarla
con lo
sguardo fisso sulla coppia e gli occhiali in testa, mentre si mordeva
un labbro
pensierosa. Vidi passare uno strano lampo nei suoi occhi chiari, quasi
di
malinconia, prima che si decise a rimettere gli occhiali e voltare la
testa.
«In
amore bisogna sempre correre il rischio, altrimenti non sai mai cosa
potresti
perderti» Rose mi sorrise e per un istante mi
sembrò che potesse leggermi
dentro, ma accantonai subito quel pensiero stupido e ricambiai il
sorriso con
gentilezza.
«Divertitevi
alla Painted Cave, è uno spettacolo in questi
giorni».
«Scusa,
quello cos’era?»
«Oh,
taci! Sei tu che hai tirato male!»
«Almeno
io ho tirato ad altezza normale, non per nani. Le mie braccia non sono
attaccate alle ginocchia, sai?».
«Che
palle, Daniel. Sei peggio di una ragazzina!»
Alzai
un sopracciglio divertito e colpii la pallina con la racchetta,
spedendola
contro May, che ribatté con forza. Era primo pomeriggio e
teoricamente avremmo
dovuto evitare di stare sotto il sole, soprattutto dopo mangiato, ma la
Painted
Cave l’avevamo già vista quella mattina e dovevo
ammettere che era stata la
visita più bella che avessi mai fatto. Rose aveva ragione:
era davvero uno
spettacolo in quei giorni.
Prima
di mangiare ci eravamo rinfrescati con un bel bagno e poi avevamo
deciso di
destreggiarci coi racchettoni, evitando nel frattempo di tirare la
pallina
contro gli altri bagnanti.
La
spiaggia, come sempre, era abbastanza frequentata, ma non affollata
quanto
quella di Santa Barbara e questo rendeva le cose più
semplici, perché stare in
un posto deserto con May in costume non era il massimo per il mio
autocontrollo.
«Basta,
facciamo una pausa» disse, passandosi una mano sulla fronte
sudata.
Recuperai
la pallina, finita vicino al castello di sabbia di un bambino, e la
seguii
verso i nostri asciugamani.
«Certo
che potevi portare l’ombrellone» si
lamentò, sbuffando e cercando di ripararsi
dal sole con un braccio.
«Ti
sembro il tipo che va in giro con l’ombrellone?»
ribattei ironico «Le famiglie
vanno in giro con l’ombrellone, non i ragazzi!» Mi
aveva preso per un uomo
di mezz’età, per caso? Avevo ancora anni di
giovinezza davanti a me, diamine!
«Come
sei permaloso» mormorò con una smorfia
«Quando dovrai portare in spalla un
ombrellone pesante sotto il sole cocente, con sdraio e giocattoli tra
le mani,
mentre tenti di evitare che i tuoi figli scappino via o cadano nella
sabbia o
affoghino in mare, chiamami, così mi faccio quattro
risate».
«Pensa
per te!» esclamai, arrossendo lievemente. Lei alzò
un sopracciglio e iniziò a
spalmarsi di crema solare «E la finisci con quella cosa?
Sarà la quarta volta
da stamattina!»
«E’
evidente che tu non abbia idea di cosa sia la protezione
solare» mormorò
ironica e, nonostante non riuscissi a vederli, avrei potuto giurare che
avesse
alzato gli occhi al cielo.
«Non
mi interessa, però conosco altri tipi di protezione,
decisamente più-»
non feci in tempo a concludere la frase che il tubetto mezzo vuoto mi
finì
sulla spalla, accompagnato da un insulto. Me lo rigirai tra le mani,
leggendo
l’etichetta annoiato: che senso aveva spalmarsi quella cosa
addosso? Era di
sicuro tutta appiccicosa e l’odore sarebbe andato bene
soltanto per le femmine.
«Dovresti
metterla anche tu» mi consigliò May,
risvegliandomi dai miei pensieri.
«Scordatelo»
ribattei all’istante, ritirandoglielo. Non mi sarei mai messo
quella cosa, mai.
May
strinse le labbra «Sul serio, Dan, è solo
l’una e staremo qui almeno fino alle
cinque. Non ho intenzione di accompagnarti al pronto soccorso per colpa
di
un’insolazione!» mi strattonò per un
braccio e sibilò «Se non te la metti tu,
lo farò io. In un modo o nell’altro tu
avrai quella crema spalmata
addosso».
La
mia mente si era fermata a “lo farò io”.
Ecco, quello avrei potuto anche
sopportarlo: avere le mani di May addosso, senza che volesse
picchiarmi… No! A
pensarci bene non era tanto fantastico, sarebbe stato
troppo… troppo!
Non sapevo quanto avrei potuto resistere.
«Allora?»
mi spronò con un ghigno inquietante.
Non
volli indagare sul genere di brividi che mi erano appena venuti e
nemmeno sul
motivo per cui il mio cuore aveva iniziato a battere più
freneticamente, ero
irremovibile nella mia decisione «Ho detto di no!»
May
mi guardò per un istante e poi disse soltanto
«Bene», prima di aprire il tappo
e versare quella roba bianca sulle dita della mano. Si voltò
verso di me ed io
capii: cercai quindi di allontanarmi il più possibile, ma
non feci nemmeno in
tempo ad alzarmi che mi ritrovai con le sue unghie infilzate nella
pelle e
l’altra mano sulle spalle.
Mi
dimenai, ma lei non mollò la presa e fu solo quando sentii
il suo seno premere
contro la mia schiena che decisi di fermarmi, per evitare poi di
ritrovarmi in
una situazione imbarazzante, la cui unica via d’uscita
sarebbe stata sbatterla
a terra e mettere in atto una delle mie ultime fantasie. E
di sicuro poi si
sarebbe scordata di Mister Sorriso.
«Sei
proprio un bambino» soffiò esasperata da dietro di
me. Io mi morsi la lingua e
aggrottai la fronte, a braccia incrociate, ben deciso a non farmi
uscire
nemmeno un misero suono, mentre le sue mani morbide vagavano leggere
sulla mia
schiena «Serve anche contro i tumori della pelle,
sai?» cercai di ignorare il
soffio d’aria che le uscì di bocca a quelle parole
e che mi arrivò dritto sulla
nuca. Cercai di ignorare una ciocca che mi sfiorò la spalla
e la concentrazione
di sangue nelle parti basse, ma quando si spostò di lato e
mi fece voltare non
ce la feci più.
«Faccio
io!» esclamai con voce più acuta del normale,
togliendole di mano il tubetto di
crema.
Lei
alzò un sopracciglio e scrollò le spalle
«Basta che la metti bene» borbottò
annoiata, prima di sdraiarsi sul suo asciugamano e togliersi gli
occhiali da
sole.
Rilasciai
il sospiro, tentando di calmarmi: col cavolo che le avrei lasciato
continuare
quella tortura. Se ero in quelle condizioni solo perché
avevo sentito le sue
mani sulla schiena, non osavo immaginare cos’avrei fatto se
me l’avesse
spalmata davanti, probabilmente avrei perso totalmente il controllo.
Aprii
il tappo e con una smorfia terminai l’operazione, guardandola
con la coda
dell’occhio: lei se ne stava sdraiata a prendere il sole,
senza il minimo
problema, mentre io dovevo fare violenza su me stesso per non saltarle
addosso.
Quelle sì che erano le ingiustizie della vita.
Buttai
a terra il tubetto e mi decisi a riesumare il blocco da disegno dalle
profondità dello zaino: se non potevo giocare a basket,
quello era l’unico modo
per chiudere tutto fuori.
Certo
però che come la spalmava May la crema, non la spalmava
nessuno.
«Avresti
dovuto toglierti gli occhiali» osservò
candidamente per l’ennesima volta.
«Taci»
ribattei truce, non togliendo per un istante lo sguardo dalla strada.
«Almeno
non saresti stato ridicolo».
La
fulminai con un’occhiata, maledicendomi mentalmente per non
aver tolto quegli
stramaledetti occhiali, almeno non mi sarei ritrovato con due chiazze
bianche
intorno agli occhi.
«E’
la prima regola per una buona abbronzatura».
«La
vuoi piantare?»
Grazie
al cielo eravamo arrivati e parcheggiai nel mio vialetto, scendendo in
un lampo
dall’auto. Era stata tutto sommato una giornata piacevole,
nonostante gli
improvvisi e fastidiosi momenti di panico, e mi ero trovato bene
accanto a lei,
perfettamente a mio agio. Purtroppo.
«Beh,
è stato divertente» cominciò May,
scrollando le spalle e portandosi indietro
una ciocca di capelli. A quel gesto mi decisi a scrutarla attentamente,
perché
avevo scoperto che quando lo faceva era nervosa e non capivo
perché avrebbe
dovuto esserlo in quel momento, visto che dovevamo solo salutarci.
«Già,
qualche volta potremmo rifarlo» voltò di scatto la
testa e mi puntò gli occhi
azzurri addosso, facendomi attorcigliare lo stomaco «insieme
agli altri» mi
affrettai ad aggiungere «Sono sicuro che piacerebbe da
matti!»
Si
arrotolò una ciocca umida intorno al dito, prima di
sistemarla dietro
l’orecchio, e mi fissò da sotto le ciglia lunghe
«Ci vediamo, allora».
Deglutii
di fretta, rischiando di strozzarmi e balbettai uno stentato
«Sì, ciao».
Mi
fece un cenno con la mano e un lieve sorriso, poi si decise ad
attraversare la
strada, diretta verso casa sua, e io rimasi a fissarla come un perfetto
beota,
anche dopo che richiuse la porta d’ingresso.
Ormai
il problema era uno solo e l’avevo capito: mi ero innamorato
di May. Quella
volta sul serio.
Ed
ero ben deciso ad andarmela a prendere. E
Mister Sorriso poteva pure andare
a farsi fottere.
N/A:
Salve a tutti! Ecco il nuovo capitolo, spero che
l’attesa sia valsa la pena. Non so cosa dire con esattezza di
questo capitolo:
personalmente mi piace, ma in alcuni punti c’è
qualcosa che non mi convince.
Non credo però che avessi potuto fare di meglio.
Daniel ormai è diventato
amico di May e per questo gli piace sempre di più, anche se
è un po’ un maiale
e sinceramente non riesco a descrivere i suoi pensieri,
perché non saprei
neanch’io quali possono essere con esattezza, ma ognuno di
voi può immaginare
quello che vuole. Il titolo è una canzone dei Goo Goo Dolls
e per vostra
informazione ogni titolo sarà quello di una canzone, il cui
testo spesso
c’entrerà qualcosa.
Ho pubblicato solo perché
spero di tirarmi un po’ su, visto che in questi giorni mi
sento abbastanza
apatica e depressa, sarà il periodo…
Come sempre vi chiedo di
farmi sapere cosa ne pensate di questa storia, sono felice di leggere
le vostre
recensioni, e non so chi abbia messo mi piace al secondo capitolo, ma
sono
stata superfelicissima di averlo visto!
Se volete fare un salto
sul forum qui c’è il link: Spin forum
Ne approfitto per fare gli
auguri di Natale e buon anno nuovo a chiunque passa di qui!
Divertitevi e godetevi
questi giorni!