You wrap my loneliness
Sono
arrivata alla stazione di King’s Cross con molto
anticipo, l’espresso per Hogwarts sarebbe partito solo alle undici in punto come
ogni anno. Odio
terribilmente il caos che da lì a pochi istanti si sarebbe
creato, per cui
saluto con un bacio i miei genitori e dopo le consuete raccomandazioni,
salgo
sul treno accingendomi a trovare uno scompartimento vuoto dove avrei
trascorso
le ore che seguivano, cullata dal caro silenzio.
Sono
certa che nessuno mi disturberà, tutti si preoccupano
di evitare accuratamente Victoire Weasley. Non ho amiche, le ragazze
con cui
divido la stanza mi rivolgono a stento la parola e solo se strettamente
necessario. La maggior parte di loro mi temono, credendo scioccamente
che a
causa del mio sangue Veela potrei rubar loro attenzioni. Ottusa
stupidità
femminile immagino. Così i ragazzi si avvicinavano a me solo
per secondi fini, attirati
da una beltà che detesto.
Nessuno
sembra vedere oltre il mio corpo, i miei occhi e i
miei capelli biondi e sebbene i primi anni ne soffrivo, ora al mio
quinto anno
ad Hogwarts ho deciso di smettere di curarmi degli altri,
l’unica persona di
cui mi importa sono io.
Sento
un fischio, tra qualche minuto il treno si muoverà. Osservo
alcuni ragazzi correre a perdifiato sulla piattaforma ancora piena di
genitori
e amici e tra questi ritardatari non sono sorpresa di vedere Teddy
Lupin. Non
ricordo un primo settembre senza la sua consueta corsa per salire sul
treno
l’attimo prima che questo lasci la stazione.
E
non mi stupisce che il mio viso si sia contorto in una
smorfia al suo pensiero, ha i capelli decisamente troppo lunghi
quest’anno e
sono fastidiosamente azzurri. Sento la sua risata in lontananza e non
posso
fare a meno di provare fastidio. Un tempo sarebbe stato diverso, ma ora
siamo
cresciuti e di quei due bambini che trascorrevano i pomeriggi alla Tana
o a
Villa Conchiglia, giocando e ridendo sino a star male, non ne vedo
traccia.
Forse
il fatto che avessimo molte cose in comune aveva
contribuito perché da piccoli legassimo: i nostri padri
erano stati entrambi
feriti da un certo Greyback, ed entrambi avevamo ereditato dalle nostre
madri
qualcosa di non comune: io il mio sangue Veela , lui le sue doti di
Metamorfomagus. Zio Harry continua a ripetere che ricordiamo molto un
Ron
Weasley e una Hermione Granger nei loro anni ad Hogwarts, ma se penso a
com’è
finita tra loro, mi viene voglia di schiantare il caro zietto per aver
solo
pensato una cosa del genere.
Non
saprei nemmeno dire quando abbiamo iniziato a
bisticciare continuamente, sta di fatto che è ciò
che accade ogni volta che ci
incrociamo. Quest’estate alla Tana non è stato
diverso. Ricordo ancora la sua
faccia quando, presa dalla rabbia ho afferrato la mia bacchetta e con
un
‘Levicorpus’ l’ho tenuto a
mezz’aria per diversi minuti. Probabilmente l’avrei
lasciato appeso per la caviglia se nonna Molly non fosse entrata in
soggiorno
in quel momento e non mi avesse costretta a sciogliere
l’incanto.
Sospiro,
poggiando la fronte al finestrino e socchiudendo
appena gli occhi pregando di arrivare a destinazione il prima possibile.
***
Anche
quest’anno, il mio ultimo anno ad Hoqwarts sono
riuscito a salire sull’espresso solo un attimo prima che
questo partisse. Giuro
che ogni anno mi riprometto di essere puntuale ed evitare la solita
corsa a
perdifiato e le urla di nonna Andromeda, ma puntualmente è
una promessa che non
riesco a mantenere. Del resto,ora non dovrò più
preoccuparmene.
Cammino nello stretto
corridoio, seguendo quello che è il mio migliore amico:
Alastor Shacklebolt,
alla ricerca di uno
scompartimento vuoto. Probabilmente Al deve averlo trovato
perché mi fa un
cenno con la mano, ma mentre sto per raggiungerlo ne scorgo uno semi
vuoto, occupato
da una testolina spiaccicata al finestrino che riconoscerei tra mille.
Dico
ad Al di andare
avanti e che a breve l’avrei raggiunto, non posso evitarmi un
sano divertimento
proprio ora. Apro la porta, accasciandomi rumorosamente sul sedile di
fronte a
lei. Si accorge della mia presenza e con un sussulto si volta verso di
me, le
rivolgo il sorriso più malandrino e furbo che conosco, amo
infastidirla.
“Buongiorno
piccola!”
So
che odia quando
l’appello così, ma non posso farne a meno. Lei
rimarrà sempre la piccola
Victoire per me. E difatti noto il suo bel visino contorcersi in una
smorfia di
disappunto.
“Ted...”
Sbuffa
e si sistema
meglio sul sedile, portando dietro l’orecchio una ciocca dei
suoi lucenti
capelli, è un vezzo che ha sempre avuto da che ho memoria. Abbasso lo sguardo sulla sua
figura, indossa
un paio di jeans chiari e una camicetta azzurra, che fa risaltare
ancora di più
il colore dei suoi occhi.
A
vederla così sembrerebbe
una ragazza docile e gentile, ma non c’è cosa
più lontana dalla verità. Sa
essere un furia quando si arrabbia e quest’estate ne ho avuto
la prova,ma
nonostante tutto non
riesco a smettere
di importunarla, a mio rischio e pericolo aggiungerei.
“Non
credi ci sia
troppo silenzio?”
E’
una domanda lecita
la mia, non ho mai capito perché amasse così
tanto la solitudine. Io al
contrario, la detesto. Amo il caos, i rumori assordanti e il disordine
in tutto
ciò che mi circonda.
“Ora
non più ”
Sorrido,
mi rivolge
una delle sue occhiatacce più che eloquenti. Assottiglia le
palpebre, mi guarda
per qualche secondo ma poi gira il capo ad osservare il paesaggio
scorrere
sotto i nostri occhi. Resto
a fissare il
suo profilo, forse un po’ troppo perché sbuffa
voltandosi.
“Ti dispiacerebbe
andare a combinare qualche
casino dei tuoi o ad illudere qualche sciocca tassorosso?”
Non
riesco a
trattenermi e sbotto in una sonora risata, la sua espressione
imbronciata ha un
non so che di buffo. La mia reazione deve averla indispettita non poco
perché
noto il rossore imporporare il suo candido visino e probabilmente del
fumo
uscirle dalle orecchie.
Adoro il fatto di essere uno
dei pochi se non
l’unico a far perdere a Victoire Weasley il suo impeccabile
autocontrollo e la
sua tanto decantata compostezza. Mi rialzo, posando una mano sulla sua
testa e
scompigliandole i capelli, si dimena allontanandomi.
“Ci
vediamo ad
Hogwarts,piccola!”
Non
aspetto che
replichi, lascio il suo scompartimento l’attimo dopo. Ma
incamminandomi posso
ancora udire le sue colorite imprecazioni, i geni Weasley devono aver
preso il
sopravvento su quelli Delacour.
***
I
primi giorni ad
Hogwarts sono trascorsi velocemente, alcuni studenti sono ancora
intenti a
bighellonare nei corridoi o nelle rispettive sale comuni, io ho da
subito
ripreso a studiare regolarmente. Della mia famiglia solamente zia
Hermione
sembra lodare il mio smisurato impegno nelle lezioni e la mia dedizione
per la
biblioteca del castello.
Mi piace leggere, non lo
nego ma ci vado
soprattutto per il silenzio, la quiete che vi è
all’interno dell’ampia sala.
Inoltre una volta lì, sono certa di non imbattermi in
qualcuno di spiacevole.
Qualcuno come Lupin che sebbene sia
al suo settimo anno e debba sgobbare come un matto per i M.A.G.O, non
accenna a
preoccuparsene minimamente.
Forse
perché riesce
bene in ogni cosa che fa, pur non dedicando allo studio più
del tempo
necessario, ma preferendo trastullarsi in giro con Shacklebolt e
fregandosene
di tutto il resto. Zio Harry sostiene che somiglia molto di
più a James Potter
e Sirius Black più che a suo padre, che a quanto raccontano
era un tipo
piuttosto tranquillo. Relativamente tranquillo, aggiungerei io visto
che
comunque anche lui fu un Malandrino e inventore di
quell’assurda mappa che
Teddy conserva come un tesoro inestimabile.
E’
quasi ora di cena,
a malincuore lascio la dolce quiete della biblioteca per incamminarmi
in Sala
Grande. Nei corridoi che mi conducono ad essa mi imbatto in alcune
ragazze che
so essere del sesto anno, e che come me appartengono alla casa dei
Corvonero.
Non mi sorprende che mi urtino di proposito, lasciando che la mia borsa
stracolma
di libri finisca sul pavimento, né mi stupiscono i coloriti
epiteti che mi
rivolgono, ridendo e allontanandosi.
Quello
che invece mi
colpisce è l’udire una voce fin troppo familiare
inveire contro le malcapitate.
Rialzo il capo, notando Ted che dopo la sua sfuriata si è
chinato e mi aiuta a
raccogliere le mie cose. Afferro il libro che mi porge e noto che ha
un’espressione sorpresa e allo stesso tempo contrariata.
“Perché
non hai
reagito?”
Resto
a fissarlo e il
suo sguardo deluso mi fa raggelare il sangue. Non mi importa di cosa
gli altri
pensino di me, ma che lui mi consideri una poco di buono, incapace di
difendersi da sola mi strazia. E’ già abbastanza
difficile subire ogni giorno
le angherie di quelle quattro asine giulive, ma dover spiegare a Teddy
le
ragioni che mi spingono a far finta di nulla, è troppo.
“Non
sono cose che ti
riguardano… lasciami in pace!”
Gli urlo contro, ignorando
il fatto che è
accorso in mio aiuto. Non lo ringrazio e nemmeno aspetto che
controbatta, semplicemente
mi volto e corro verso la Torre dei Corvonero. Non voglio parlargli,
non
desidero vedere nessuno ma solo chiudere le tende del mio baldacchino e
piangere per l’intera notte.
***
Credo
di aver perso
anche l’appetito. Sono in Sala Grande, seduto al tavolo dei
Grifondoro e guardo
il mio piatto di uova senza vederlo realmente. Quella che ho appena
visto non
può essere la mia Victoire, quella che pochi giorni fa mi ha
appeso al soffitto
solo perché le ho detto che si intravedeva qualche
lentiggine sul suo bel
nasino.
Non
è la stessa che
mi schianta ogni qualvolta le rifilo un prodotto dei Tiri Vispi
Weasley, provocandole
qualche strana reazione. Non
è la
ragazzina forte e testarda che conosco e che da anni riempie i miei
pensieri e
la mia vita.
Poggio
il gomito
sulla superfiglia lignea e il palmo della mano regge il mio viso. Fisso
la
tavolata dei Corvonero dove lei non c’è e vorrei
andare a cercarla ma so bene
che nella migliore delle ipotesi nemmeno mi parlerebbe, nella peggiore
mi
pietrificherebbe.
“Che
succede?”
Alastor
mi riporta
alla realtà e di nuovo le mie orecchie si abituano al
consueto brusio della
grande sala. Alzo le spalle, rivolgendo un’ultima occhiata al
posto vuoto
lasciato da Victoire. Deve aver seguito il mio sguardo
perché prima che
rispondessi aggiunge:
“E’
per Victoire?”
Annuisco
mestamente e
gli racconto in poche parole quello che ho visto poco fa, rendendo
chiari i
miei pensieri al riguardo. Mi volto a guardarlo e noto che a differenza
mia non
è sorpreso del comportamento di Vic, né tantomeno
di quello delle altre
Corvonero.
“Cosa
ti aspettavi
Ted? Victoire non ha amiche…credi che sia sempre sola
semplicemente perché
adori il silenzio?”
Sgrano
gli occhi, sbattendo
più volte le palpebre e pendendo dalle sue labbra. Il mio
migliore amico mi sta
rivelando verità che ignoravo fin a questo momento.
“Le
ragazze sfogano
la loro invidia su di lei schernendola o nel maggiore dei casi
ignorandola
completamente”
Beve
un sorso del suo
succo di zucca e a quanto mi sembra di capire non avendo intenzione di
aggiungere altro. Ciò che per lui è evidente, per
me è una sorpresa. Nei suoi
anni ad Hogwarts non mi ero mai accorto di nulla e mi sento
più stupido di un
Troll in questo momento. Ritorno a fissare il tavolo dei Corvonero e a
perdermi
nei miei pensieri.
Mi
sono sempre
vantato di conoscerla perfettamente e di credere che la sua solitudine
fosse
dettata dal suo essere adorabilmente superiore a tutte le altre e
soprattutto
che fosse una sua scelta, non una triste costrizione. Mi viene voglia
di
schiantarmi da solo se penso a tutte le volte in cui l’ho
derisa e l’ho
definita snob per questo suo atteggiamento.
Mi rialzo e con fare
annoiato mi allontano
dalla Sala Grande,non ho voglia di andarmene a letto ma di certo non
desidero
restarmene al mio posto ad ingozzarmi come se nulla fosse.
***
La
luce del giorno
colpisce i miei occhi da un piccolo spiraglio tra le tende blu e a
malincuore
sono costretta a riaprirli. Non mi alzo subito però, resto a
fissare il
soffitto ancora per qualche minuto. Queste lenzuola hanno visto fin
troppe
lacrime, ma non ho mai pianto come in questa notte. Nella mia mente
è ancora
nitido lo sguardo di Teddy, la delusione che trapelava dai suoi occhi
in quel
momento tanto scuri.
Decido
di lasciare il
caldo giaciglio e lentamente inizio a vestirmi, sembro non aver energia
nemmeno
per alzare un braccio. Guardo la mia immagine riflessa allo specchio e
mi
sorprendo a sorridere: ho gli occhi gonfi e arrossati per le troppe
lacrime e
un aspetto decisamente orribile. Lego i miei capelli in una treccia che
lascio
ricadere sulla mia spalla sinistra e senza nessun altro accorgimento
alla mia
persona, afferro la borsa scendendo le scale del dormitorio e
finalmente
lasciando la mia sala Comune.
Una
volta fuori, abbasso
lo sguardo e seduto sul pavimento, spalle al muro
c’è Lupin. Ha
gli occhi chiusi, ma non sta dormendo perché rialza
subito gli occhi, incrociando i miei e la mia attenzione ricade
all’istante sul
colore dei suoi capelli, quel giorno neri. Si alza e con gesti
frettolosi delle
mani cerca di lisciare le pieghe della sua divisa, irrimediabilmente
stropicciata.
Un pensiero mi salta in
mente:che sia stato
qui tutta la notte? Scuoto il capo per scacciare
quell’assurda insinuazione e
per una ragione che non conosco resto immobile davanti a lui, incapace
di andarmene
via.
“Victoire”
Sento
le sue dita
sfiorare il mio viso, socchiudo gli occhi deglutendo silenziosamente.
Quando li
riapro lui è ancora lì e nel suo sguardo
c’è qualcosa di diverso. Non è
delusione o rabbia,ma…compassione? Pietà?
Indietreggio all’istante, allontanando
la sua mano dal mio volto. Lui non sembra sorpreso di questa mia
reazione, continua
a fissarmi imperturbabile.
“Ti
chiedo scusa...”
Ha
distolto lo
sguardo dal mio, ora vedo che indugia in punto imprecisato del
corridoio.
Affonda le mani nelle tasche, dondolandosi e spostando il peso da un
piede
all’altro. Quando i nostri occhi si incontrano ancora una
volta, lui continua a
parlarmi.
“Per
tutto questo
tempo io… io non avevo capito... “
Sospira,sembra
agitarsi ogni istante di più.
“Non
sono stato un
buon amico. non sono rimasto al tuo fianco per...”
Non
lo ascolto più, non
mi interessano le sue inutili scuse, non voglio sentire cosa ha da
dirmi per
giustificare il fatto che non ha mai capito quanto io soffrissi. E poi
come
folgorata da un’illuminazione,comprendo il vero motivo per
cui ho iniziato a
detestare Teddy Lupin.
Era
perché mi aveva
abbandonato, era perché aveva smesso di essere realmente mio
amico limitandosi
ad un rapporto scarno e senza sostanza.
“Sta
zitto…”
“Vic,ti
prego io...”
“Ho
detto sta zitto!
Non voglio la tua pietà, lo capisci?”
Non
posso trattenermi
ancora, non dopo tutti questi anni e sento le lacrime unirsi alle mie
urla.
“Non
ho bisogno di
nessuno, tanto meno di te Lupin!”
Scappo
via,lontano da
lui, lontano dall’ennesima delusione. Vorrei trovarmi in
qualsiasi posto tranne
che qui ad Hogwart perché questa non è casa mia,
non è qui che giace il mio
cuore. L’ho lasciato nelle stanze e nel cortile della Tana
dove da piccoli
trascorrevamo le nostre giornate. L’ho lasciato sulla
spiaggia di villa
Conchiglia, dove correvamo a perdifiato ricadendo sulla calda sabbia e
lasciando che la brezza ci cullasse. Ho lasciato il mio cuore al Teddy
di un
tempo, questo non è lui.
***
Ho
saputo rovinare
una delle poche cose meravigliose che possedevo. Ho distrutto quello
che avevo
impiegato una vita a costruire, per sciocca distrazione. Se non riesco
più a
vedere il suo sorriso, la luce dei suoi occhi è solo ed
esclusivamente colpa
mia. Come hanno potuto queste mani, questa bocca cancellare tutto di
noi? Sono
uno stupido, un insensibile buono a nulla e lei acqua tra le mie dita,
non so
trattenerla.
Probabilmente
starà
meglio senza avermi intorno, forse riuscirà a ritrovare
quella voglia di vivere
che solo ora mi rendo conto di aver contribuito perché si
spegnesse. Eppure non
so vivere senza di lei, dal giorno in cui mi ha cacciato
definitivamente dalla
sua vita, sono un ammasso di carne e pelli non più un uomo,
non più quello che
ero.
Tra
qualche giorno
sarà già Natale e odio pensare che probabilmente
farà di tutto per sfuggirmi
anche alla Tana. Ma io non potrò evitare di perdermi
nell’azzurro dei suoi
occhi, di desiderare un suo sorriso, una carezza o anche un misero
sguardo.
E’
sempre stata una
gioia trascorrere il Natale con quella che da sempre ho considerato la
mia
famiglia, con persone che mi ritengono uno di loro. Ma
quest’anno non appena
varco la soglia della Tana e ricevo gli abbracci di Molly e degli
altri, mi
accorgo che non sarà lo stesso. Mi guardo in giro e non la
vedo, sebbene scorga
in salotto sua sorella Dominique assieme a Louis nonché
sua madre conversare tranquillamente
con Arthur.
Alzo
lo sguardo, a
fissare la rampa di scale traballante che porta ai piani superiori.
Probabilmente in un’altra occasione sarei corso su a
infastidirla, ma so bene
che schiantarmi sarebbe la cosa più dolce che potrebbe
farmi. Mi accomodo in
soggiorno, su una delle poltrone rosse osservando i piccoli Weasley
giocare e
chiacchierare sul tappeto davanti al camino.
James
mi si avvicina,
iniziando uno dei suoi sproloqui sul Quidditch a cui solitamente
partecipo
volentieri, ma non ora che la mia mente è da
tutt’altra parte. Sento dei passi
leggeri avvicinarsi e la sua voce giunge chiara alle mie orecchie, mi
volto di
scatto e la vedo in piedi dinanzi a sua madre a conversare. Non saprei
dire di
cosa perché, come accade spesso, stanno parlando in
francese. Ma probabilmente è
qualcosa di buffo perché la vedo ridere di gusto.
Resto
imbambolato a
fissarla, da quando non udivo il suono della sua risata e da quando
appare ai
miei occhi tanto bella? Persino con il maglione cucito da sua nonna,
con un
enorme albero di natale disegnato sul tessuto è
sorprendentemente bellissima.
Sua madre va verso la cucina e lei si volta verso di me, il sorriso sul
suo
volto muore all’istante e mi fissa per alcuni secondi prima
di risalire
nuovamente le scale.
Senza
riflettere
balzo in piedi e la seguo, correndole dietro. Con una mano le impedisco
di
chiudere la porta alle sue spalle e entro nella stanza. Lei sussulta,
voltandosi
verso di me. Sposta lo sguardo sul letto dove giace la sua bacchetta,
avevo
ragione, ha sicuramente intenzione di schiantarmi. Prima che possa
afferrarla
sono davanti a lei, afferrandole i polsi delicatamente ma con decisione.
“Lasciami
immediatamente o giuro che mi metto a strillare!”
Si
dimena, ma riesco
a trattenerla.
“Perché
non lo stai
già facendo?”
“Lupin,maledizione!”
“Devi
ascoltarmi
piccola!”
“Non
chiamarmi così...non
sono più una bambina!”
“Allora
smettila di
comportarti come tale,dannazione!”
Le
urlo contro tutta
la frustrazione accumulata in questi quattro mesi, pentendomene
all’istante. Mi
guarda come se volesse incenerirmi con il suo sguardo e
benché si sforzi, noto
che i suoi occhi sono colmi di lacrime. Si scioglie dalla mia presa e
va a
sedersi sul letto, osservando insistentemente i suoi piedi.
Resto
a fissarla
ancora sebbene io sappia di dover dire qualcosa, qualsiasi cosa
purchè questo
silenzio smetta di assordarci. Mi siedo accanto a lei e vedo il suo
corpo
irrigidirsi, ma resta nella medesima posizione. Le nostre ginocchia si
sfiorano, così come le nostre spalle ma non voglio
allontanarmi da lei.
Pochi
mesi fa
sfiorarla non mi faceva nessuno effetto, solo ora mi rendo conto che
riesco a
stento a contenere la voglia di stringerla tra le mie braccia. A mio
rischio e
pericolo allungo una mano posandola sulla sua, ma con mia sorpresa non
la ritira.
Rialza lo sguardo, che si incatena al mio e sulla sua gota scende piano
una
lacrima.
Cancello
con il
pollice il suo dolore e la mia mano resta ferma sul suo viso. Le mie
dita
lasciano una carezza sulla sua guancia, scendendo fino alla bocca rossa
che
sfioro sentendo il bisogno impellente di assaporarne il gusto.
Così le mie
labbra affondano nelle sue, me ne impossesso prima di riuscire a
riflettere su
quanto sto facendo. Non mi allontana, ma risponde al bacio. Sento la
sua bocca
dischiudersi e riesco così ad approfondire quel contatto,
è così dolce e pura.
Avverto
una strana
paura di macchiarla, di rovinare il suo animo candido. Mi stacco da lei
bruscamente e quando incrocio per l’ennesima volta i suoi
occhi, giuro che
potrei morire. Mi alzo, portandomi una mano ai capelli agitato e scosso
da
quello che ho appena fatto. La guardo un’ultima volta prima
di sentire il
rumore della porta che chiudo alle mie spalle, sto già
riscendendo le scale
tanto velocemente che inciampo nell’ultimo gradino ricordando
una delle
memorabili cadute di mia madre.
Mi
rialzo
frettolosamente ed esco fuori al cortile prima che qualcuno possa
vedermi. Sono
un vigliacco, non credo ci sia altra parola per descrivermi o forse
Victoire ne
avrà trovate di più colorite da affibbiarmi, del
resto me lo merito.
***
Il
pranzo di Natale
alla Tana non è mai stato così snervante per me.
Ho sempre adorato sedermi al
lungo tavolo di legno con la mia famiglia al completo, ascoltando
aneddoti e
ridendo agli scherzi che zio George rifila a zio Percy . Ma ora, seduta
accanto
a Teddy solo perché quel mostro di mia cugina Molly frignava
per sedersi
accanto a Louis, sento di poter esplodere da un momento
all’altro.
Sono
un fascio di
nervi, sussulto ad ogni piccolo tocco e lui a quanto vedo non sta
meglio di me.
Bhè, ne sono felice! Se potessi lo affatturerei seduta
stante, ma credo che la
maggior parte dei miei familiari me lo vieterebbero o comunque
accorrerebbero
per aiutarlo. Ha osato baciarmi, per poi scappare via come uno dei
tanti
codardi incapaci di rispondere alle proprie azioni. Perché
l’ha fatto? Per
umiliarmi ancora? Crede che io sia una di quelle ragazzine che svengono
al suo
passaggio? Sento di odiarlo al punto da stare male.
Come
se la situazione
non fosse già di per se imbarazzante, ora mia cugina Lily
inizia a borbottare
qualcosa sui baci e sento Teddy agitarsi accanto a me, resto a fissarlo
come
intontita per questo non mi accorgo subito che la piccoletta mi ha
chiesto
qualcosa.
“Victoire!”
Lily
inizia ad infervorarsi,
diamine così piccola ed è già tanto
nevrastenica?
“Si?”
Mi
schiarisco appena
la voce, ricomponendomi e cheidendole di ripetermi la domanda fattomi
poco fa,
pentendomene l’attimo dopo.
“Hai
mai baciato
qualcuno Vic?”
Probabilmente
sono
diventata più rossa dei capelli di zio Ron,
perché la mia cuginetta mi mostra
una smorfia divertita. Accanto a me Lupin
sta per strozzarsi con un pezzo di torta e prontamente la piccola Rose,
seguita
da Albus gli da colpetti sulla schiena.
Fortunatamente riesco a non replicare poiché
nonna Molly richiede il mio
aiuto in cucina. Mi alzo frettolosamente, non sono mai stata tanto
felice di
adempiere alle faccende domestiche.
Hogwarts
non era la
mia casa e questo era ormai chiaro per me, ma ora il ritornarci
è stato un
sollievo. Tra le
mura del castello avrei
potuto facilmente evitarlo, senza destare sospetti perché
del resto a nessuno
interessava poi molto la mia vita privata. Avevo ripreso la mia
quotidianità
come se nulla fosse successo, all’apparenza ero sempre la
stessa fredda e
imperturbabile Victoire Weasley.
Nascondevo
bene
quello che da giorni mi ossessionava, quel bacio, quel maledetto bacio.
Non ci
sarebbero stati altre aggettivi per definirlo, non per me. Incrociavo
il suo
sguardo raramente e solo se non potevo evitarlo, quando lo incontravo
nei
corridoi o in Sala Grande. Avevo deciso di ignorarlo eppure mi faceva
star male
il fatto che lui facesse lo stesso col risultato che in me cresceva la
voglia
di schiantarlo, in più la rabbia verso qualsiasi essere
incrociasse il mio
cammino.
Non
mi ha sorpeso
quindi il ritrovarmi in punizione per aver affatturato quelle streghe
Corvonero, anzi ne sono addirittura soddisfatta. Il vecchio custode mi
ha
ordinato di ripulire queste centinaia di trofei e ora dinanzi a questi
oggetti
lo sconforto mi assale. Sbuffo rumorosamente e afferrando un elastico
tenuto al
polso, rialzo i capelli in un’alta coda.
Sono
inginocchiata al
freddo pavimento, intenta a lucidare l’ennesimo gingillo
quando sento dei passi
dietro di me. Mi volto e anche nella penombra riesco a riconoscere
quegli
occhi, quei capelli ancora fastidiosamente neri. Teddy si blocca nel
constatare
la mia presenza, ma dopo alcuni secondi si siede accanto a me e
afferrato uno
straccio imita i miei gesti.
Evidentemente
anche a
lui è toccato una simile punizione, ma a differenza mia lui
sembra essere
avvezzo a questo genere di cose. Non parliamo e con la coda
dell’occhio osservo
i suoi lineamenti. Non ho mai visto sul suo viso
un’espressione tanto turbata, sembra
quasi insofferente. Lo detesto eppure in questo momento vorrei
abbracciarlo.
“Scusami...”
Mi
volto verso di
lui, non appena la sua voce giunge alle mie orecchie. Non mi guarda, ha
ancora
la testa china sull’oggetto che tiene stretto tra le mani.
“Non
avrei dovuto ...
fare quello che ho fatto...”
“Baciarmi?”
Replico
seccamente, mentre
mi costringo a non cedere al suo sguardo da cucciolo bastonato.
Annuisce, ma
continua a tenere il capo basso. Distolgo lo sguardo, mordendo
nervosamente il
mio labbro inferiore. Sapevo che si fosse pentito di quel gesto, sapevo
che in
realtà non era sua intenzione farlo, non con me comunque.
“Perché
lo hai fatto
allora?”
“Non...non
lo so
Victoire”
Rialza
finalmente il
capo, così i nostri sguardi possono incrociarsi e nel buio
della sala i suoi
occhi marroni risplendono di una luce particolare. Mi scopro a
sorridere
amaramente, alzando le spalle e prendendomela col povero oggetto tra le
mie
mani che sfrego con troppa foga. Qualche ciocca di capelli è
sfuggita dalla mia
coda e ricade davanti ai miei occhi.
Cerco
di allontanarla
con uno sbuffo, ma invano e prima che mi decida a spostarla con una
mano, sento
che qualcun altro lo ha fatto al mio posto. Riconoscerei quel tocco
gentile tra
mille, è il suo tocco. Se lo guardassi ora, sono certa che
mi perderei in quel
mare dorato che sono i suoi occhi e non posso permetterlo, dannazione!
Stringo
le palpebre, costringendole
a restare chiuse quasi avessi paura di restare abbagliata dalla sua
luce. Sono
una stupida illusa, quel bacio non ha significato nulla per lui e ai
suoi occhi
resterò sempre la piccola Weasley, una ragazzina odiosa e
saccente, la semplice
nipotina del suo padrino.
***
Ritiro
subito la mia mano, sembra che il mio tocco la
spaventi. Mi sento un perfetto idiota e non solo perché non
riesco a dirle che
i motivi che mi hanno spinta a baciarla sono ben chiari ormai, ma
soprattutto
perché non so pensare ad altro che al desiderio di rifarlo.
Come riesce a
ridurmi così? Come un cretino incapace di spiccicare parola,
sembra che sia
ritornato ai miei tredici anni quando il solo sguardo di una ragazza mi
metteva
a disagio.
Sento
le mani sudare e sto pregando, implorando il mio cuore
di rimanere dentro, di non uscire, di farsi bastare lo spazio che ha
sebbene
scalpiti a tal punto che non mi sorprenderebbe il vederlo ai miei
piedi, sanguinante.
Continuo a fremere, a tremare e so qual è la cura a tutto
questo o meglio chi è,
ma non posso dannazione, non
posso cedere.
Lei
è troppo per me, è assolutamente meravigliosa.
Nemmeno so
da quando ha smesso di essere per me la piccola compagna di giochi, la
nipote
del mio padrino e ha iniziato ad essere molto di più. In
questi giorni non
ho fatto che pensare che forse il
motivo per cui mi ero impercettibilmente allontanato da lei era proprio
questo.
Il fatto che avessi iniziato a provare qualcosa che trascendeva la
semplice
amicizia.
Il
mio cuore l’aveva saputo prima di me e non nego che avrei
preferito restare nell’ignoranza perché ora fa
male, è uno strazio starle
accanto senza stringerla o sentire ancora il sapore delle sue labbra.
Mi giro a
guardarla, è adorabile mentre cerca di rendere lucido quel
piccolo oggetto. Ha
un’espressione concentrata e come sempre morde le sue labbra,
quella bocca così
invitante. E la trovo ancora più bella coi capelli raccolti
e il viso sporco di
fuliggine. Ecco che i battiti del mio cuore aumentano ancora, ecco che
il
respiro diviene irregolare, ecco che impazzisco lentamente.
“Adesso
basta!”
Balzo
in piedi come punto da un insetto, urlando e lasciando
che il trofeo che distrattamente ripulivo, ricada ai miei piedi. Rialza
lo
sguardo su di me, sorpresa dalla mia reazione assurda e come darle
torto, pure
io lo sono. Continuo a ripetermelo, sono uno stupido ma devo porre fine
alla
mia sofferenza, devo assolutamente.
***
Continuo
a fissarlo e a credere fermamente che sia sul punto
di impazzire. Dapprima scompiglia i capelli in un gesto frenetico e il
suo
sguardo da intontito diviene duro e deciso. Mi fa quasi paura mentre si
inginocchia davanti a me, prendendo le mie mani tra le sue e
stringendole,
avvicinandosi sempre di più al mio viso.
“Voglio
avvolgere la tua solitudine Victoire...”
Sgrano
appena gli occhi, non comprendendo a pieno il
significato di quelle parole e poi come un lampo in un cielo sereno,
capisco.
“Lascia...lascia
che io ti ami incondizionatamente...abbandonati
a me Vic… sii mia e non sarai più sola, te lo
prometto”
Ha
parlato tutto d’un fiato, ma non c’è
titubanza nella sua
voce, così il suo sguardo mi suggerisce che le sue parole
sono vere, che i suoi
sentimenti sono veri. Boccheggio, ancora scossa dall’impeto
del suo amore e mi
sembra di svenire tanto forte è la sensazione che avvolge il
mio corpo. Una
senso di sollievo, di protezione mi pervade e sento in questo momento
che mai
più sarò costretta a versare lacrime, sono sicura
che riuscirà a mantenere la
sua promessa. E’ la stretta forte delle sue mani sulle mie a
dirmelo, la foga
con cui mi abbraccia e la dolcezza con cui mi bacia, ancora e ancora.
“Si”
Riesco
a sussurrare tra le lacrime e i sospiri, tra una
carezza e l’ennesimo bacio. Non potrei appartenere a nessun
altro.
“Ti
Amo Victoire”
Ti
amo,Teddy.