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Autore: MiaStonk    15/12/2010    5 recensioni
' Adoro il fatto di essere uno dei pochi se non l’unico a far perdere a Victoire Weasley il suo impeccabile autocontrollo e la sua tanto decantata compostezza. Mi rialzo,posando una mano sulla sua testa e scompigliandole i capelli,si dimena allontanandomi.
“Ci vediamo ad Hogwarts,piccola!” Non aspetto che replichi,lascio il suo scompartimento l’attimo dopo. Ma incamminandomi posso ancora udire le sue colorite imprecazioni,i geni Weasley devono aver preso il sopravvento su quelli Delacour. '
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Teddy Lupin, Victorie Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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                                                                          tv     

                                

                           You wrap my loneliness

 

 

Sono arrivata alla stazione di King’s Cross con molto anticipo, l’espresso per Hogwarts sarebbe partito solo  alle undici in punto come ogni anno. Odio terribilmente il caos che da lì a pochi istanti si sarebbe creato, per cui saluto con un bacio i miei genitori e dopo le consuete raccomandazioni, salgo sul treno accingendomi a trovare uno scompartimento vuoto dove avrei trascorso le ore che seguivano, cullata dal caro silenzio.

 

Sono certa che nessuno mi disturberà, tutti si preoccupano di evitare accuratamente Victoire Weasley. Non ho amiche, le ragazze con cui divido la stanza mi rivolgono a stento la parola e solo se strettamente necessario. La maggior parte di loro mi temono, credendo scioccamente che a causa del mio sangue Veela potrei rubar loro attenzioni. Ottusa stupidità femminile immagino. Così i ragazzi si avvicinavano a me solo per secondi fini, attirati da una beltà che detesto.

 

Nessuno sembra vedere oltre il mio corpo, i miei occhi e i miei capelli biondi e sebbene i primi anni ne soffrivo, ora al mio quinto anno ad Hogwarts ho deciso di smettere di curarmi degli altri, l’unica persona di cui mi importa sono io.

 

Sento un fischio, tra qualche minuto il treno si muoverà. Osservo alcuni ragazzi correre a perdifiato sulla piattaforma ancora piena di genitori e amici e tra questi ritardatari non sono sorpresa di vedere Teddy Lupin. Non ricordo un primo settembre senza la sua consueta corsa per salire sul treno l’attimo prima che questo lasci la stazione.

 

E non mi stupisce che il mio viso si sia contorto in una smorfia al suo pensiero, ha i capelli decisamente troppo lunghi quest’anno e sono fastidiosamente azzurri. Sento la sua risata in lontananza e non posso fare a meno di provare fastidio. Un tempo sarebbe stato diverso, ma ora siamo cresciuti e di quei due bambini che trascorrevano i pomeriggi alla Tana o a Villa Conchiglia, giocando e ridendo sino a star male, non ne vedo traccia.

 

Forse il fatto che avessimo molte cose in comune aveva contribuito perché da piccoli legassimo: i nostri padri erano stati entrambi feriti da un certo Greyback, ed entrambi avevamo ereditato dalle nostre madri qualcosa di non comune: io il mio sangue Veela , lui le sue doti di Metamorfomagus. Zio Harry continua a ripetere che ricordiamo molto un Ron Weasley e una Hermione Granger nei loro anni ad Hogwarts, ma se penso a com’è finita tra loro, mi viene voglia di schiantare il caro zietto per aver solo pensato una cosa del genere.

 

Non saprei nemmeno dire quando abbiamo iniziato a bisticciare continuamente, sta di fatto che è ciò che accade ogni volta che ci incrociamo. Quest’estate alla Tana non è stato diverso. Ricordo ancora la sua faccia quando, presa dalla rabbia ho afferrato la mia bacchetta e con un ‘Levicorpus’ l’ho tenuto a mezz’aria per diversi minuti. Probabilmente l’avrei lasciato appeso per la caviglia se nonna Molly non fosse entrata in soggiorno in quel momento e non mi avesse costretta a sciogliere l’incanto.

 

Sospiro, poggiando la fronte al finestrino e socchiudendo appena gli occhi pregando di arrivare a destinazione il prima possibile.

 

                                                                       ***

 

Anche quest’anno, il mio ultimo anno ad Hoqwarts sono riuscito a salire sull’espresso solo un attimo prima che questo partisse. Giuro che ogni anno mi riprometto di essere puntuale ed evitare la solita corsa a perdifiato e le urla di nonna Andromeda, ma puntualmente è una promessa che non riesco a mantenere. Del resto,ora non dovrò più preoccuparmene.

 

 Cammino nello stretto corridoio, seguendo quello che è il mio migliore amico: Alastor Shacklebolt, alla ricerca di uno scompartimento vuoto. Probabilmente Al deve averlo trovato perché mi fa un cenno con la mano, ma mentre sto per raggiungerlo ne scorgo uno semi vuoto, occupato da una testolina spiaccicata al finestrino che riconoscerei tra mille.

 

Dico ad Al di andare avanti e che a breve l’avrei raggiunto, non posso evitarmi un sano divertimento proprio ora. Apro la porta, accasciandomi rumorosamente sul sedile di fronte a lei. Si accorge della mia presenza e con un sussulto si volta verso di me, le rivolgo il sorriso più malandrino e furbo che conosco, amo infastidirla.

 

“Buongiorno piccola!”

 

So che odia quando l’appello così, ma non posso farne a meno. Lei rimarrà sempre la piccola Victoire per me. E difatti noto il suo bel visino contorcersi in una smorfia di disappunto.

 

“Ted...”

 

Sbuffa e si sistema meglio sul sedile, portando dietro l’orecchio una ciocca dei suoi lucenti capelli, è un vezzo che ha sempre avuto da che ho memoria.  Abbasso lo sguardo sulla sua figura, indossa un paio di jeans chiari e una camicetta azzurra, che fa risaltare ancora di più il colore dei suoi occhi.

 

A vederla così sembrerebbe una ragazza docile e gentile, ma non c’è cosa più lontana dalla verità. Sa essere un furia quando si arrabbia e quest’estate ne ho avuto la prova,ma nonostante tutto  non riesco a smettere di importunarla, a mio rischio e pericolo aggiungerei.

 

“Non credi ci sia troppo silenzio?”

 

E’ una domanda lecita la mia, non ho mai capito perché amasse così tanto la solitudine. Io al contrario, la detesto. Amo il caos, i rumori assordanti e il disordine in tutto ciò che mi circonda.

 

“Ora non più ”

 

Sorrido, mi rivolge una delle sue occhiatacce più che eloquenti. Assottiglia le palpebre, mi guarda per qualche secondo ma poi gira il capo ad osservare il paesaggio scorrere sotto i nostri occhi.  Resto a fissare il suo profilo, forse un po’ troppo perché sbuffa voltandosi.

 

 “Ti dispiacerebbe andare a combinare qualche casino dei tuoi o ad illudere qualche sciocca tassorosso?” 

 

Non riesco a trattenermi e sbotto in una sonora risata, la sua espressione imbronciata ha un non so che di buffo. La mia reazione deve averla indispettita non poco perché noto il rossore imporporare il suo candido visino e probabilmente del fumo uscirle dalle orecchie.

 

 Adoro il fatto di essere uno dei pochi se non l’unico a far perdere a Victoire Weasley il suo impeccabile autocontrollo e la sua tanto decantata compostezza. Mi rialzo, posando una mano sulla sua testa e scompigliandole i capelli, si dimena allontanandomi.

 

“Ci vediamo ad Hogwarts,piccola!”

 

Non aspetto che replichi, lascio il suo scompartimento l’attimo dopo. Ma incamminandomi posso ancora udire le sue colorite imprecazioni, i geni Weasley devono aver preso il sopravvento su quelli Delacour.

 

                                                                                     ***

 

I primi giorni ad Hogwarts sono trascorsi velocemente, alcuni studenti sono ancora intenti a bighellonare nei corridoi o nelle rispettive sale comuni, io ho da subito ripreso a studiare regolarmente. Della mia famiglia solamente zia Hermione sembra lodare il mio smisurato impegno nelle lezioni e la mia dedizione per la biblioteca del castello.

 

 Mi piace leggere, non lo nego ma ci vado soprattutto per il silenzio, la quiete che vi è all’interno dell’ampia sala. Inoltre una volta lì, sono certa di non imbattermi in qualcuno di spiacevole. Qualcuno come Lupin che sebbene sia al suo settimo anno e debba sgobbare come un matto per i M.A.G.O, non accenna a preoccuparsene minimamente.

 

Forse perché riesce bene in ogni cosa che fa, pur non dedicando allo studio più del tempo necessario, ma preferendo trastullarsi in giro con Shacklebolt e fregandosene di tutto il resto. Zio Harry sostiene che somiglia molto di più a James Potter e Sirius Black più che a suo padre, che a quanto raccontano era un tipo piuttosto tranquillo. Relativamente tranquillo, aggiungerei io visto che comunque anche lui fu un Malandrino e inventore di quell’assurda mappa che Teddy conserva come un tesoro inestimabile.

 

E’ quasi ora di cena, a malincuore lascio la dolce quiete della biblioteca per incamminarmi in Sala Grande. Nei corridoi che mi conducono ad essa mi imbatto in alcune ragazze che so essere del sesto anno, e che come me appartengono alla casa dei Corvonero. Non mi sorprende che mi urtino di proposito, lasciando che la mia borsa stracolma di libri finisca sul pavimento, né mi stupiscono i coloriti epiteti che mi rivolgono, ridendo e allontanandosi.

 

Quello che invece mi colpisce è l’udire una voce fin troppo familiare inveire contro le malcapitate. Rialzo il capo, notando Ted che dopo la sua sfuriata si è chinato e mi aiuta a raccogliere le mie cose. Afferro il libro che mi porge e noto che ha un’espressione sorpresa e allo stesso tempo contrariata.

 

“Perché non hai reagito?”

 

Resto a fissarlo e il suo sguardo deluso mi fa raggelare il sangue. Non mi importa di cosa gli altri pensino di me, ma che lui mi consideri una poco di buono, incapace di difendersi da sola mi strazia. E’ già abbastanza difficile subire ogni giorno le angherie di quelle quattro asine giulive, ma dover spiegare a Teddy le ragioni che mi spingono a far finta di nulla, è troppo.

 

“Non sono cose che ti riguardano… lasciami in pace!”

 

 Gli urlo contro, ignorando il fatto che è accorso in mio aiuto. Non lo ringrazio e nemmeno aspetto che controbatta, semplicemente mi volto e corro verso la Torre dei Corvonero. Non voglio parlargli, non desidero vedere nessuno ma solo chiudere le tende del mio baldacchino e piangere per l’intera notte.

 

                                                                                  ***

 

Credo di aver perso anche l’appetito. Sono in Sala Grande, seduto al tavolo dei Grifondoro e guardo il mio piatto di uova senza vederlo realmente. Quella che ho appena visto non può essere la mia Victoire, quella che pochi giorni fa mi ha appeso al soffitto solo perché le ho detto che si intravedeva qualche lentiggine sul suo bel nasino.

 

Non è la stessa che mi schianta ogni qualvolta le rifilo un prodotto dei Tiri Vispi Weasley, provocandole qualche strana reazione.  Non è la ragazzina forte e testarda che conosco e che da anni riempie i miei pensieri e la mia vita.

 

Poggio il gomito sulla superfiglia lignea e il palmo della mano regge il mio viso. Fisso la tavolata dei Corvonero dove lei non c’è e vorrei andare a cercarla ma so bene che nella migliore delle ipotesi nemmeno mi parlerebbe, nella peggiore mi pietrificherebbe.

 

“Che succede?”

 

Alastor mi riporta alla realtà e di nuovo le mie orecchie si abituano al consueto brusio della grande sala. Alzo le spalle, rivolgendo un’ultima occhiata al posto vuoto lasciato da Victoire. Deve aver seguito il mio sguardo perché prima che rispondessi aggiunge:

 

  “E’ per Victoire?” 

 

Annuisco mestamente e gli racconto in poche parole quello che ho visto poco fa, rendendo chiari i miei pensieri al riguardo. Mi volto a guardarlo e noto che a differenza mia non è sorpreso del comportamento di Vic, né tantomeno di quello delle altre Corvonero. 

 

“Cosa ti aspettavi Ted? Victoire non ha amiche…credi che sia sempre sola semplicemente perché adori il silenzio?”

 

Sgrano gli occhi, sbattendo più volte le palpebre e pendendo dalle sue labbra. Il mio migliore amico mi sta rivelando verità che ignoravo fin a questo momento. 

 

“Le ragazze sfogano la loro invidia su di lei schernendola o nel maggiore dei casi ignorandola completamente” 

 

Beve un sorso del suo succo di zucca e a quanto mi sembra di capire non avendo intenzione di aggiungere altro. Ciò che per lui è evidente, per me è una sorpresa. Nei suoi anni ad Hogwarts non mi ero mai accorto di nulla e mi sento più stupido di un Troll in questo momento. Ritorno a fissare il tavolo dei Corvonero e a perdermi nei miei pensieri.

 

Mi sono sempre vantato di conoscerla perfettamente e di credere che la sua solitudine fosse dettata dal suo essere adorabilmente superiore a tutte le altre e soprattutto che fosse una sua scelta, non una triste costrizione. Mi viene voglia di schiantarmi da solo se penso a tutte le volte in cui l’ho derisa e l’ho definita snob per questo suo atteggiamento.

 

 Mi rialzo e con fare annoiato mi allontano dalla Sala Grande,non ho voglia di andarmene a letto ma di certo non desidero restarmene al mio posto ad ingozzarmi come se nulla fosse.

 

                                                                                    ***

 

La luce del giorno colpisce i miei occhi da un piccolo spiraglio tra le tende blu e a malincuore sono costretta a riaprirli. Non mi alzo subito però, resto a fissare il soffitto ancora per qualche minuto. Queste lenzuola hanno visto fin troppe lacrime, ma non ho mai pianto come in questa notte. Nella mia mente è ancora nitido lo sguardo di Teddy, la delusione che trapelava dai suoi occhi in quel momento tanto scuri.

 

Decido di lasciare il caldo giaciglio e lentamente inizio a vestirmi, sembro non aver energia nemmeno per alzare un braccio. Guardo la mia immagine riflessa allo specchio e mi sorprendo a sorridere: ho gli occhi gonfi e arrossati per le troppe lacrime e un aspetto decisamente orribile. Lego i miei capelli in una treccia che lascio ricadere sulla mia spalla sinistra e senza nessun altro accorgimento alla mia persona, afferro la borsa scendendo le scale del dormitorio e finalmente lasciando la mia sala Comune.

 

Una volta fuori, abbasso lo sguardo e seduto sul pavimento, spalle al muro c’è Lupin. Ha gli occhi chiusi, ma non sta dormendo perché rialza subito gli occhi, incrociando i miei e la mia attenzione ricade all’istante sul colore dei suoi capelli, quel giorno neri. Si alza e con gesti frettolosi delle mani cerca di lisciare le pieghe della sua divisa, irrimediabilmente stropicciata.

 

 Un pensiero mi salta in mente:che sia stato qui tutta la notte? Scuoto il capo per scacciare quell’assurda insinuazione e per una ragione che non conosco resto immobile davanti a lui, incapace di andarmene via.

 

“Victoire”

 

Sento le sue dita sfiorare il mio viso, socchiudo gli occhi deglutendo silenziosamente. Quando li riapro lui è ancora lì e nel suo sguardo c’è qualcosa di diverso. Non è delusione o rabbia,ma…compassione? Pietà? Indietreggio all’istante, allontanando la sua mano dal mio volto. Lui non sembra sorpreso di questa mia reazione, continua a fissarmi imperturbabile.

“Ti chiedo scusa...”

 

Ha distolto lo sguardo dal mio, ora vedo che indugia in punto imprecisato del corridoio. Affonda le mani nelle tasche, dondolandosi e spostando il peso da un piede all’altro. Quando i nostri occhi si incontrano ancora una volta, lui continua a parlarmi. 

  

“Per tutto questo tempo io… io non avevo capito... “

Sospira,sembra agitarsi ogni istante di più.   

“Non sono stato un buon amico. non sono rimasto al tuo fianco per...”  

 

Non lo ascolto più, non mi interessano le sue inutili scuse, non voglio sentire cosa ha da dirmi per giustificare il fatto che non ha mai capito quanto io soffrissi. E poi come folgorata da un’illuminazione,comprendo il vero motivo per cui ho iniziato a detestare Teddy Lupin.

 

Era perché mi aveva abbandonato, era perché aveva smesso di essere realmente mio amico limitandosi ad un rapporto scarno e senza sostanza.

 

“Sta zitto…”

 

“Vic,ti prego io...”

 

“Ho detto sta zitto! Non voglio la tua pietà, lo capisci?”

 

Non posso trattenermi ancora, non dopo tutti questi anni e sento le lacrime unirsi alle mie urla.

 

“Non ho bisogno di nessuno, tanto meno di te Lupin!”

 

Scappo via,lontano da lui, lontano dall’ennesima delusione. Vorrei trovarmi in qualsiasi posto tranne che qui ad Hogwart perché questa non è casa mia, non è qui che giace il mio cuore. L’ho lasciato nelle stanze e nel cortile della Tana dove da piccoli trascorrevamo le nostre giornate. L’ho lasciato sulla spiaggia di villa Conchiglia, dove correvamo a perdifiato ricadendo sulla calda sabbia e lasciando che la brezza ci cullasse. Ho lasciato il mio cuore al Teddy di un tempo, questo non è lui.

 

                                                                                 ***

 

Ho saputo rovinare una delle poche cose meravigliose che possedevo. Ho distrutto quello che avevo impiegato una vita a costruire, per sciocca distrazione. Se non riesco più a vedere il suo sorriso, la luce dei suoi occhi è solo ed esclusivamente colpa mia. Come hanno potuto queste mani, questa bocca cancellare tutto di noi? Sono uno stupido, un insensibile buono a nulla e lei acqua tra le mie dita, non so trattenerla.

 

Probabilmente starà meglio senza avermi intorno, forse riuscirà a ritrovare quella voglia di vivere che solo ora mi rendo conto di aver contribuito perché si spegnesse. Eppure non so vivere senza di lei, dal giorno in cui mi ha cacciato definitivamente dalla sua vita, sono un ammasso di carne e pelli non più un uomo, non più quello che ero.

 

Tra qualche giorno sarà già Natale e odio pensare che probabilmente farà di tutto per sfuggirmi anche alla Tana. Ma io non potrò evitare di perdermi nell’azzurro dei suoi occhi, di desiderare un suo sorriso, una carezza o anche un misero sguardo.

 

 

E’ sempre stata una gioia trascorrere il Natale con quella che da sempre ho considerato la mia famiglia, con persone che mi ritengono uno di loro. Ma quest’anno non appena varco la soglia della Tana e ricevo gli abbracci di Molly e degli altri, mi accorgo che non sarà lo stesso. Mi guardo in giro e non la vedo, sebbene scorga in salotto sua sorella Dominique assieme a Louis  nonché sua madre conversare tranquillamente con Arthur.  

 

Alzo lo sguardo, a fissare la rampa di scale traballante che porta ai piani superiori. Probabilmente in un’altra occasione sarei corso su a infastidirla, ma so bene che schiantarmi sarebbe la cosa più dolce che potrebbe farmi. Mi accomodo in soggiorno, su una delle poltrone rosse osservando i piccoli Weasley giocare e chiacchierare sul tappeto davanti al camino.

 

James mi si avvicina, iniziando uno dei suoi sproloqui sul Quidditch a cui solitamente partecipo volentieri, ma non ora che la mia mente è da tutt’altra parte. Sento dei passi leggeri avvicinarsi e la sua voce giunge chiara alle mie orecchie, mi volto di scatto e la vedo in piedi dinanzi a sua madre a conversare. Non saprei dire di cosa perché, come accade spesso, stanno parlando in francese. Ma probabilmente è qualcosa di buffo perché la vedo ridere di gusto.

 

Resto imbambolato a fissarla, da quando non udivo il suono della sua risata e da quando appare ai miei occhi tanto bella? Persino con il maglione cucito da sua nonna, con un enorme albero di natale disegnato sul tessuto è sorprendentemente bellissima. Sua madre va verso la cucina e lei si volta verso di me, il sorriso sul suo volto muore all’istante e mi fissa per alcuni secondi prima di risalire nuovamente le scale.

 

Senza riflettere balzo in piedi e la seguo, correndole dietro. Con una mano le impedisco di chiudere la porta alle sue spalle e entro nella stanza. Lei sussulta, voltandosi verso di me. Sposta lo sguardo sul letto dove giace la sua bacchetta, avevo ragione, ha sicuramente intenzione di schiantarmi. Prima che possa afferrarla sono davanti a lei, afferrandole i polsi delicatamente ma con decisione.

 

“Lasciami immediatamente o giuro che mi metto a strillare!”

 

Si dimena, ma riesco a trattenerla.

 

“Perché non lo stai già facendo?”

 

“Lupin,maledizione!”

 

“Devi ascoltarmi piccola!”

 

“Non chiamarmi così...non sono più una bambina!”

 

“Allora smettila di comportarti come tale,dannazione!” 

 

Le urlo contro tutta la frustrazione accumulata in questi quattro mesi, pentendomene all’istante. Mi guarda come se volesse incenerirmi con il suo sguardo e benché si sforzi, noto che i suoi occhi sono colmi di lacrime. Si scioglie dalla mia presa e va a sedersi sul letto, osservando insistentemente i suoi piedi.

 

Resto a fissarla ancora sebbene io sappia di dover dire qualcosa, qualsiasi cosa purchè questo silenzio smetta di assordarci. Mi siedo accanto a lei e vedo il suo corpo irrigidirsi, ma resta nella medesima posizione. Le nostre ginocchia si sfiorano, così come le nostre spalle ma non voglio allontanarmi da lei.

 

Pochi mesi fa sfiorarla non mi faceva nessuno effetto, solo ora mi rendo conto che riesco a stento a contenere la voglia di stringerla tra le mie braccia. A mio rischio e pericolo allungo una mano posandola sulla sua, ma con mia sorpresa non la ritira. Rialza lo sguardo, che si incatena al mio e sulla sua gota scende piano una lacrima.

 

Cancello con il pollice il suo dolore e la mia mano resta ferma sul suo viso. Le mie dita lasciano una carezza sulla sua guancia, scendendo fino alla bocca rossa che sfioro sentendo il bisogno impellente di assaporarne il gusto. Così le mie labbra affondano nelle sue, me ne impossesso prima di riuscire a riflettere su quanto sto facendo. Non mi allontana, ma risponde al bacio. Sento la sua bocca dischiudersi e riesco così ad approfondire quel contatto, è così dolce e pura.

 

Avverto una strana paura di macchiarla, di rovinare il suo animo candido. Mi stacco da lei bruscamente e quando incrocio per l’ennesima volta i suoi occhi, giuro che potrei morire. Mi alzo, portandomi una mano ai capelli agitato e scosso da quello che ho appena fatto. La guardo un’ultima volta prima di sentire il rumore della porta che chiudo alle mie spalle, sto già riscendendo le scale tanto velocemente che inciampo nell’ultimo gradino ricordando una delle memorabili cadute di mia madre.

 

Mi rialzo frettolosamente ed esco fuori al cortile prima che qualcuno possa vedermi. Sono un vigliacco, non credo ci sia altra parola per descrivermi o forse Victoire ne avrà trovate di più colorite da affibbiarmi, del resto me lo merito.

 

                                                                                 ***

 

Il pranzo di Natale alla Tana non è mai stato così snervante per me. Ho sempre adorato sedermi al lungo tavolo di legno con la mia famiglia al completo, ascoltando aneddoti e ridendo agli scherzi che zio George rifila a zio Percy . Ma ora, seduta accanto a Teddy solo perché quel mostro di mia cugina Molly frignava per sedersi accanto a Louis, sento di poter esplodere da un momento all’altro.

 

Sono un fascio di nervi, sussulto ad ogni piccolo tocco e lui a quanto vedo non sta meglio di me. Bhè, ne sono felice! Se potessi lo affatturerei seduta stante, ma credo che la maggior parte dei miei familiari me lo vieterebbero o comunque accorrerebbero per aiutarlo. Ha osato baciarmi, per poi scappare via come uno dei tanti codardi incapaci di rispondere alle proprie azioni. Perché l’ha fatto? Per umiliarmi ancora? Crede che io sia una di quelle ragazzine che svengono al suo passaggio? Sento di odiarlo al punto da stare male. 

 

Come se la situazione non fosse già di per se imbarazzante, ora mia cugina Lily inizia a borbottare qualcosa sui baci e sento Teddy agitarsi accanto a me, resto a fissarlo come intontita per questo non mi accorgo subito che la piccoletta mi ha chiesto qualcosa.

 

“Victoire!”

 

Lily inizia ad infervorarsi, diamine così piccola ed è già tanto nevrastenica?

 

“Si?”

 

Mi schiarisco appena la voce, ricomponendomi e cheidendole di ripetermi la domanda fattomi poco fa, pentendomene l’attimo dopo.

 

“Hai mai baciato qualcuno Vic?”

 

Probabilmente sono diventata più rossa dei capelli di zio Ron, perché la mia cuginetta mi mostra una smorfia divertita. Accanto a me Lupin sta per strozzarsi con un pezzo di torta e prontamente la piccola Rose, seguita da Albus gli da colpetti sulla schiena.  Fortunatamente riesco a non replicare poiché nonna Molly richiede il mio aiuto in cucina. Mi alzo frettolosamente, non sono mai stata tanto felice di adempiere alle faccende domestiche.

 

 

Hogwarts non era la mia casa e questo era ormai chiaro per me, ma ora il ritornarci è stato un sollievo.  Tra le mura del castello avrei potuto facilmente evitarlo, senza destare sospetti perché del resto a nessuno interessava poi molto la mia vita privata. Avevo ripreso la mia quotidianità come se nulla fosse successo, all’apparenza ero sempre la stessa fredda e imperturbabile Victoire Weasley.

 

Nascondevo bene quello che da giorni mi ossessionava, quel bacio, quel maledetto bacio. Non ci sarebbero stati altre aggettivi per definirlo, non per me. Incrociavo il suo sguardo raramente e solo se non potevo evitarlo, quando lo incontravo nei corridoi o in Sala Grande. Avevo deciso di ignorarlo eppure mi faceva star male il fatto che lui facesse lo stesso col risultato che in me cresceva la voglia di schiantarlo, in più la rabbia verso qualsiasi essere incrociasse il mio cammino.

 

Non mi ha sorpeso quindi il ritrovarmi in punizione per aver affatturato quelle streghe Corvonero, anzi ne sono addirittura soddisfatta. Il vecchio custode mi ha ordinato di ripulire queste centinaia di trofei e ora dinanzi a questi oggetti lo sconforto mi assale. Sbuffo rumorosamente e afferrando un elastico tenuto al polso, rialzo i capelli in un’alta coda.

 

Sono inginocchiata al freddo pavimento, intenta a lucidare l’ennesimo gingillo quando sento dei passi dietro di me. Mi volto e anche nella penombra riesco a riconoscere quegli occhi, quei capelli ancora fastidiosamente neri. Teddy si blocca nel constatare la mia presenza, ma dopo alcuni secondi si siede accanto a me e afferrato uno straccio imita i miei gesti.

 

Evidentemente anche a lui è toccato una simile punizione, ma a differenza mia lui sembra essere avvezzo a questo genere di cose. Non parliamo e con la coda dell’occhio osservo i suoi lineamenti. Non ho mai visto sul suo viso un’espressione tanto turbata, sembra quasi insofferente. Lo detesto eppure in questo momento vorrei abbracciarlo.

 

“Scusami...” 

 

Mi volto verso di lui, non appena la sua voce giunge alle mie orecchie. Non mi guarda, ha ancora la testa china sull’oggetto che tiene stretto tra le mani.

 

“Non avrei dovuto ... fare quello che ho fatto...”

 

“Baciarmi?”

 

Replico seccamente, mentre mi costringo a non cedere al suo sguardo da cucciolo bastonato. Annuisce, ma continua a tenere il capo basso. Distolgo lo sguardo, mordendo nervosamente il mio labbro inferiore. Sapevo che si fosse pentito di quel gesto, sapevo che in realtà non era sua intenzione farlo, non con me comunque.  

 

“Perché lo hai fatto allora?” 

 

“Non...non lo so Victoire”

 

Rialza finalmente il capo, così i nostri sguardi possono incrociarsi e nel buio della sala i suoi occhi marroni risplendono di una luce particolare. Mi scopro a sorridere amaramente, alzando le spalle e prendendomela col povero oggetto tra le mie mani che sfrego con troppa foga. Qualche ciocca di capelli è sfuggita dalla mia coda e ricade davanti ai miei occhi.

 

Cerco di allontanarla con uno sbuffo, ma invano e prima che mi decida a spostarla con una mano, sento che qualcun altro lo ha fatto al mio posto. Riconoscerei quel tocco gentile tra mille, è il suo tocco. Se lo guardassi ora, sono certa che mi perderei in quel mare dorato che sono i suoi occhi e non posso permetterlo, dannazione!

 

Stringo le palpebre, costringendole a restare chiuse quasi avessi paura di restare abbagliata dalla sua luce. Sono una stupida illusa, quel bacio non ha significato nulla per lui e ai suoi occhi resterò sempre la piccola Weasley, una ragazzina odiosa e saccente, la semplice nipotina del suo padrino.

 

                                                                                     ***

 

Ritiro subito la mia mano, sembra che il mio tocco la spaventi. Mi sento un perfetto idiota e non solo perché non riesco a dirle che i motivi che mi hanno spinta a baciarla sono ben chiari ormai, ma soprattutto perché non so pensare ad altro che al desiderio di rifarlo. Come riesce a ridurmi così? Come un cretino incapace di spiccicare parola, sembra che sia ritornato ai miei tredici anni quando il solo sguardo di una ragazza mi metteva a disagio.

 

Sento le mani sudare e sto pregando, implorando il mio cuore di rimanere dentro, di non uscire, di farsi bastare lo spazio che ha sebbene scalpiti a tal punto che non mi sorprenderebbe il vederlo ai miei piedi, sanguinante. Continuo a fremere, a tremare e so qual è la cura a tutto questo o meglio chi è, ma non posso dannazione, non posso cedere.

 

Lei è troppo per me, è assolutamente meravigliosa. Nemmeno so da quando ha smesso di essere per me la piccola compagna di giochi, la nipote del mio padrino e ha iniziato ad essere molto di più. In questi  giorni non ho fatto che pensare che forse il motivo per cui mi ero impercettibilmente allontanato da lei era proprio questo. Il fatto che avessi iniziato a provare qualcosa che trascendeva la semplice amicizia.

 

Il mio cuore l’aveva saputo prima di me e non nego che avrei preferito restare nell’ignoranza perché ora fa male, è uno strazio starle accanto senza stringerla o sentire ancora il sapore delle sue labbra. Mi giro a guardarla, è adorabile mentre cerca di rendere lucido quel piccolo oggetto. Ha un’espressione concentrata e come sempre morde le sue labbra, quella bocca così invitante. E la trovo ancora più bella coi capelli raccolti e il viso sporco di fuliggine. Ecco che i battiti del mio cuore aumentano ancora, ecco che il respiro diviene irregolare, ecco che impazzisco lentamente.

 

“Adesso basta!” 

 

Balzo in piedi come punto da un insetto, urlando e lasciando che il trofeo che distrattamente ripulivo, ricada ai miei piedi. Rialza lo sguardo su di me, sorpresa dalla mia reazione assurda e come darle torto, pure io lo sono. Continuo a ripetermelo, sono uno stupido ma devo porre fine alla mia sofferenza, devo assolutamente.

 

                                                                                     ***

 

Continuo a fissarlo e a credere fermamente che sia sul punto di impazzire. Dapprima scompiglia i capelli in un gesto frenetico e il suo sguardo da intontito diviene duro e deciso. Mi fa quasi paura mentre si inginocchia davanti a me, prendendo le mie mani tra le sue e stringendole, avvicinandosi sempre di più al mio viso.

 

“Voglio avvolgere la tua solitudine Victoire...”

 

Sgrano appena gli occhi, non comprendendo a pieno il significato di quelle parole e poi come un lampo in un cielo sereno, capisco.  

 

“Lascia...lascia che io ti ami incondizionatamente...abbandonati a me Vic… sii mia e non sarai più sola, te lo prometto”

Ha parlato tutto d’un fiato, ma non c’è titubanza nella sua voce, così il suo sguardo mi suggerisce che le sue parole sono vere, che i suoi sentimenti sono veri. Boccheggio, ancora scossa dall’impeto del suo amore e mi sembra di svenire tanto forte è la sensazione che avvolge il mio corpo. Una senso di sollievo, di protezione mi pervade e sento in questo momento che mai più sarò costretta a versare lacrime, sono sicura che riuscirà a mantenere la sua promessa. E’ la stretta forte delle sue mani sulle mie a dirmelo, la foga con cui mi abbraccia e la dolcezza con cui mi bacia, ancora e ancora.

 

“Si”

 

Riesco a sussurrare tra le lacrime e i sospiri, tra una carezza e l’ennesimo bacio. Non potrei appartenere a nessun altro.

 

“Ti Amo Victoire”                   Ti amo,Teddy.

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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