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Autore: Akime_Under_the_Rain    16/12/2010    1 recensioni
Dioniso Unchaste, serva per nascita, amante del diavolo.
Intro di una fanfiction più lunga, in lavorazione.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Io sono Dioniso Maya Unchaste.

La regina Oscura di un regno altrettanto Oscuro e devastato.

ma vi invidio, sapete?

Invidio le vostre vite semplici… piene d’amore…

Vite come quella che non ho mai avuto.

E come quella che non ho mai potuto avere.

Esatto… il mio destino era stato deciso ancora prima della mia nascita.

Il mio destino fu deciso da altri, a causa di una profezia.

No, non la stessa profezia che mise l’Oscuro Signore contro il Ragazzo_che_sopravvisse…

Non la stessa profezia, ma la stessa veggente.

Sibyl Cooman è una cialtrona, un’ubriacona pazza che non fa altro che predire la morte di chiunque le si pari davanti al naso.

L’ho conosciuta, anni fa.

Insegnava alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts.

Sono certa che la conoscete; è la più famosa d’Inghilterra, che dico, del mondo.

Mi colpì venire a conoscenza di come una così inetta persona… che a malapena è capace di capire se sta per piovere, possa rovinare la vita a così tante persone.

Harry Potter fu fortunato.

La profezia che lo riguardava parlava di uno scontro, della morte, della salvezza del mondo… così il paladino del bene lo prese più in considerazione.

Allora, Albus Dumbledore, ritenne più giusto proteggere il ragazzo. Scelse lui, e condannò me.

In fondo la mia profezia non diceva nulla di così grave…

Nascerà dal grembo della donna dalla chioma infuocata…

Anya era il nome di mia madre.

E questa è l’unica cosa che so per certo di lei.

Lei e mio padre non si conoscevano quando mi concepirono. L’unica cosa che li accomunava era l’appartenenza al gruppo di seguaci di Lord Voldemort, conosciuto come Mangiamorte.

Egli studiò la profezia, e la fece studiare dai suoi uomini migliori e più fidati.

Identificò in mia madre la donna che avrebbe partorito la sua futura regina, ed ordinò che ogni uomo marchiato la facesse sua.

Finché, ciò che la profezia aveva annunciato non accadde.

Anya rimase incinta.

Demon Marcus Unchaste era il nome di mio padre.

L’allora braccio destro di Lord Voldemort.

Prima di Severus Piton, s’intende.

La sua sfortuna fu di capitare a letto con mia madre quella sera.

Perché sfortuna, vi chiedete?

Semplice: Voldemort aveva decretato la morte dei miei genitori.

Non poteva certo rischiare che venissi amata da loro!

Anya e Demon non ebbero altri contatti durante la gravidanza, fino al momento del parto, quando Demon attese accanto al letto di Anya, di poter vedere la sua unica figlia per la prima ed ultima volta.

Da quello che mi raccontarono poi, mi prese in braccio.

Mi guardò.

E maledisse la mia esistenza.

Mi madre morì di parto.

Lui si suicidò.

Non avrebbe mai permesso agli altri Mangiamorte di poter raccontare che era caduto per mano del suo amato signore.

Questo era mio padre.

Questa era mia madre.

Questa fu la fine della mia famiglia.

Dopo la loro morte, fui affidata alla famiglia Malfoy, una delle più grandi e potenti famiglie Purosangue al mondo.

Sebbene fossi anche io Purosangue, figlia di famiglia nobile, venne ordinato loro di nascondermi e crescermi lontana dal mondo civilizzato.

Così iniziò la mia vita.

Il mio primo ricordo risale a quando avevo all’incirca quattro anni.

Ricordo la stanza in cui vivevo, le mura tinte di un opaco rosso, in spatolato Veneziano.

La camera, nei miei ricordi gigantesca, ma per la mia giovane mente, piccola e soffocante, era arredata in stile Barocco, o appena successivo, con un letto a Baldacchino dalle dimensioni ridicolmente grandi per una creatura di mezzo metro scarso, ed un enorme armadio in legno scuro, probabilmente mogano, addossato sulla parete opposta alla porta.

Il pavimento, completamente ricoperto da un soffice tappeto fatto a mano, era sempre ingombro di balocchi e passatempi di ogni genere, dalle bambole di porcellana, costose e raffinate, ai più banali giochi babbani, come cubi e palle.

Esattamente al fianco del letto, c’era una finestra che occupava gran parte della parete, che dava su un giardino interno.

Ricordo che passavo ore a guardare quel piccolo pezzo di mondo, domandandomi come fosse… uscire da quella stanza.

Avete capito bene.

Non uscii da quella maledetta camera, fino all’età di undici anni.

Spesso piangevo stringendo il cuscino, infagottata in uno dei miei abitini (sempre in stile Barocco e Rococò), pieni di trine e fiocchi, fissando la luna, cattiva compagna, che si prendeva gioco di me oltre il vetro.

Non avevo contatti col mondo esterno. Le uniche persone che vedevo erano due donne, due sorelle, così diverse tra loro, che si occupavano di me, della mia istruzione, e della mia salute.

I loro nomi erano gli unici che sapessi chiamare.

Narcissa e Bellatrix.

Presto, per motivi che mi vennero chiariti solo poi, Bellatrix smise di venire da me.

Era stata rinchiusa ad Azkaban, la prigione dei maghi.

In quel periodo, le mie giornate consistevano in una tediosa routine, sempre uguale, che iniziava con una viziosa colazione a base dei miei dolci preferiti.

Narcissa entrava con un carrello pieno di pasticcini, dolcetti, torte, zuccherini, meringhe, e chi più ne ha più ne metta.

Io davo un morso a tutto, e lasciavo il resto.

Mi avevano abituata bene, viziata come una principessa.

Dopodichè passavo allo “studio”; il che significava: Dizione, portamento, bon ton, e tutte quelle cagate che fanno di una scimmia viziata e prepotente qual’ero io una vera e propria signorina di alta casta.

Il pranzo e la cena non differivano molto dalla colazione.

Ai tempi ero una bambina, e mi rifiutavo di cibarmi di cose amare.

La mia vita lo era già abbastanza.

Desideravo che i miei pasti consistessero solo ed esclusivamente in cose dolci.

Il resto della giornata lo dedicavo al gioco.

Avevo una magnifica bambola di porcellana, dai lunghi capelli castani mossi, che amavo pettinare.

Ogni volta che lo chiedevo, Narcissa mi comprava un abito nuovo per il mio balocco.

Ne avevo una moltitudine.

Il mio preferito era senza dubbio quello bianco, lungo… fatto di seta e raso, con una larga gonna in tulle e seta, ornata da rose di raso e perle vere.

Me lo regalarono per il mio sesto compleanno.

Non avevo mai conosciuto la gratitudine, fino a quel momento.

Amavo anche leggere.

Forse perché, oltre ai sogni, era l’unico modo per evadere da quelle quattro mura.

La parete davanti al letto, era stipata di libri rilegati in pelle, che parlavano di qualsiasi argomento, passando per le Arti Oscure, che lì certo non potevano mancare, fino a Pozioni. E le fiabe.

Nessuno mi ha mai letto una fiaba. Mai.

E qualcuno lo ritiene molto triste.

Dicevo, raggiunti i sei anni, capii che oltre quella finestra c’era un mondo meraviglioso, che morivo dalla voglia di vedere.

Una notte, mi arrischiai ad aprire la finestra. Non lo facevo mai, se non in presenza di Narcissa.

Il vento fresco della sera colpì il mio viso bambino, e fece ondeggiare i miei lunghissimi capelli castani.

Quello era profumo di libertà.

Pagai cara quella bravata notturna.

Ricordo che improvvisamente, mentre scavalcavo il davanzale, la porta della mia stanza si spalancò, e ne entrò un uomo, dalla chioma argentea.

Fu così che conobbi Lucius Malfoy.

Egli aveva visto la luce della mia stanza dal giardino, ed era venuto a vedere.

Quella finestra rimase poi chiusa, per i successivi cinque anni.

Circa un mese prima del mio undicesimo compleanno, Narcissa venne a prendermi.

Mi portò un abito nuovo, non così discostante dagli altri che già avevo.

E mi portò fuori dalla camera.

Fuori dalla casa.

Fuori dalla città.

Per me era tutto assolutamente nuovo, sconosciuto ed incomprensibile.

Ricordo che fissai fuori dal finestrino della carrozza finché non arrivammo a destinazione.

Londra.

La Londra magica, s’intende.

Diagon Alley e Nocturn Alley sono solo due vie dell’immensa città Magica celata agli occhi dei babbani.

Non avete idea di quanto grande sia quel posto.

Con un certo timore, prelevò soldi dalla camera blindata che, a quanto pare, apparteneva al suo Signore, e mi portò a comprare ciò che mi sarebbe servito… per cosa?

Ancora non mi aveva dato spiegazioni.

E di certo io non ero così incauta da richiederne.

Comprammo ingredienti per Pozioni, che riconobbi grazie alle mie letture;

altri libri, che fissai bramosa, dai titoli interessanti, ed alcuni strumenti dall’aria buffa.

Poi, mi trascinò dentro un angusto negozietto, buio e polveroso, mi fece sedere su uno sgabello e mi disse di attendere, prima di uscire.

Un uomo, anziano, dai grandi occhi grigi, mi venne incontro.

Devo ammettere che, per la prima volta nella mia vita, mi sentii a disagio, ma comunque mi alzai e feci una piccola riverenza.

Si, lo so. È stupido.

Quattordici pollici, rigida, Ebano e diamante… una bacchetta rara, e costosa, Milady.

Adatta per la magia nera…

Quella sera, tornata a casa, potei per la prima volta cenare con la famiglia Malfoy, e conoscere il primogenito, più piccolo di me, di appena un anno.

Draco, era il suo nome.

Appresi, quindi, che il giorno dopo, sarei partita per Hogwarts, dove avrei ricevuto la mia formazione magica.

Sarei uscita da quella prigione.

Il giorno dopo presi l’”espresso per Hogwarts”, un magnifico treno, scarlatto.

Ricordo bene quel giorno.

Quell’anno.

Finii a Serpeverde.

Il cappello parlante mi disse che avevo cervello, coraggio, ero leale ed ambiziosa.

Disse che sarei stata bene tra le persone ambiziose, le persone che puntano in alto, verso i propri sogni, senza curarsi del resto.

Quanto sbagliava.

Conobbi Albus Dumbledore, quella sera stessa.

Mi convocò nel suo ufficio.

Un bell’ufficio devo dire.

E mi disse che sapeva chi ero. E che mi avrebbe tenuta d’occhio.

Non mi chiese nemmeno se ero felice.

Se a me andava bene il destino che mi era stato imposto.

Per lui, ero solo la Serpeverde che, una volta ritornato, il Signore Oscuro avrebbe fatto sua compagna.

Sua regina.

Sua puttana.

Mi ammonì.

Disse che dovevo rigare dritta.

Disse che non si fidava di me.

Avevo undici anni, per Merlino!

Meritavo questo trattamento?

No.

In poco tempo divenni tra le migliori.

Non la migliore.

Non desideravo dare soddisfazioni a quell’idiota di Preside.

Avevo la testa per essere la migliore. Forse anche meglio della Granger…

Ma non avrei mai dato quella soddisfazione a Dumbledore.

Passai discretamente gli esami di fine anno, e tornai a casa.

Non mi ero fatta nemmeno un amico.

L’unica persona che mi rivolgeva la parola, in quella scuola, era l’insegnante di Pozioni.

Severus Piton.

Egli era stato il braccio destro del Signore Oscuro, prima che cadesse per mano di Harry Potter.

Ed ora vedeva in me la nuova speranza.

Fu proprio Severus Piton a riportarmi al Maniero Malfoy, per assicurarsi che nessuno cercasse di farmi del male.

Pochi sapevano della mia esistenza.

E quei pochi avevano l’espresso ordine di uccidermi.

Dioniso Maya Unchaste.

Il nemico.

Una ragazzina di neppure dodici anni.

L’anno seguente, conobbi una Grifondoro del primo anno, ed alcune sue amiche, che poi divennero la mia unica ancora di salvezza.

Esya Withewings.

Navy Armstrong.

Crystal Eyelight.

Saphie Heartbeat.

Loro Quattro divennero, e restano tutt’oggi le mie migliori amiche.

Naturalmente, quell’anno, anche Draco entrò a far parte del corpo studentesco.

E con lui…

Harry Potter.

Colui il quale mi aveva rovinato la vita.

Era colpa sua, se Dumbledore mi aveva abbandonata al mio destino.

Era interessante osservarlo…

Guardare la sua vita, perennemente sotto i riflettori.

Quanto mi faceva rabbia quel tronfio Grifondoro…

Non gli importava nulla della sua incolumità, della sua vita.

E Dumbledore si ostinava a proteggerlo!

È finito in infermeria un milione di volte….

E già dal primo anno!

Ricorderò per la vita il suo viso disteso e tranquillo, mentre dormiva tra le coperte dell’infermeria…

Lo andavo a trovare spesso.

Credo che Dumbledore non mi abbia mai fermata perché non ero l’unica a rendergli visita così spesso.

Se avessi voluto fargli qualcosa, sarei stata interrotta dai suoi molteplici fan.

E dai suoi due leccapiedi.

Ronald Weasley, l’ennesimo poveraccio babbanofilo, ed Hermione Granger, una sporca babbana saputella.

Il trio d’oro, conosciuto in tutta Hogwarts era famoso per la sua indole… avventurosa.

Non riuscivano proprio a tenersi fuori dai guai.

Piccoli idioti.

Durante il mio quarto anno, a casa Malfoy si respirava aria di eccitazione.

Stava per accadere qualcosa.

Come d’altronde tutti gli anni…

Finché…

Non accadde realmente.

Era la fine del mio quinto anno alla scuola.

Quell’idiota di Potter era riuscito a ficcarsi in un guaio più grande di lui.

E con lui, ha trascinato anche me.

Io non ho il marchio impresso a fuoco, come quello degli altri Mangiamorte.

Ma sentii comunque il suo richiamo.

Sento sempre la sua voce, quando ha bisogno di me, o di qualcuno.

Ricordo che presi Draco per un braccio, e lo trascinai lontano dall’arena.
Lontano dalla scuola.

Fino a casa Malfoy.

E da lì, seguii Lucius nel cimitero di Little Hangleton.

E lì vidi per la prima vera volta l’uomo a cui appartenevo.

Avevo quindici anni.

Ed ero a dir poco terrorizzata.

Le sembianze di un serpente, gli occhi color sangue…

Ma ciò che più mi stupì… fu quanto lui fosse…

Crudele, spietato…

Assetato di sangue.

Col tempo, mi sono accorta di essermi avvicinata pericolosamente a quel modo di essere.

Ma allora ero una bambina.

Dopo quel giorno, parecchie cose della mia vita mutarono.

A cominciare dalla scuola.

Inizialmente non sarei dovuta tornare. Troppo vicino a Dumbledore, dicevano i Malfoy.

Fortunatamente, l’Oscuro Signore odia gli ignoranti.

Li ritiene inutili.

E poi, disse, non mi aveva fatto nulla fino a quel momento.

Poteva anche rischiare.

Ma per sicurezza, avrei avuto sempre incollata all’anca quell’oca schifosa di Pansy Parkinson.

Bene, dopo tutto questo, ancora non avevo pienamente idea della merda in cui i miei mi avevano gettata.

Due anni dopo finii la scuola.

Ero diventata una diciassettenne alquanto indipendente, desiderosa di vedere, fare e sperimentare tutto…

ma naturalmente la mia posizione non l’avrebbe permesso.

Voldemort mi prese sotto la sua ala, mi sottomise ai suoi insegnamenti, sebbene tra noi restasse sempre un velo di freddezza e indifferenza.

Quello che non capivo era la ragione per la quale l’oscuro faceva questo.

In fondo… nemmeno io piacevo a lui, no?

E poi… aveva un Harem pieno zeppo di puttanelle pronte a concedersi ogni notte senza riserve.

Io, vergine, stupida (per i suoi canoni, intendiamoci) ed innocente (sempre per i suoi canoni, perché innocente non lo ero per nulla)… a cosa potevo essergli utile?

Appresi la risposta il giorno del mio diciottesimo compleanno.

Fuori nevicava, lo ricordo ancora, era metà Novembre.

Narcissa mi stava porgendo una tazza di caffè bollente, e Lucius leggeva il giornale.

Draco era ancora a scuola; ci avrebbe raggiunti più tardi.

Ricordo che il discorso verteva sul nostro signore, come al solito, d’altronde.

E così, durante un caffè, seppi che la mia unica utilità era di procreare.

Di mettere al mondo il discendente di Lord Voldemort.

Naturalmente chiesi delucidazioni, non potevo accettare tutto passivamente.

Appresi la profezia che anni addietro Sibyl Cooman, la mia veccia insegnante di divinazione, aveva pronunciato su di me.

Io, una ragazzina.

Un'innocente.

Il cui ruolo era solo quello dell'agnello sacrificale.

Un oggetto.

Una bambola.

   
 
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