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Autore: samek    16/12/2010    7 recensioni
Tra gli Indicibili vige una sola regola: Tutto ciò che accade all’Ufficio Misteri, resta all’Ufficio Misteri.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Yuri | Personaggi: Hermione Granger, Pansy Parkinson
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Quando Hermione Granger era entrata al Ministero della Magia, lo aveva fatto per necessità, così come tutti i suoi amici

Fandom: Harry Potter;

Pairing: Hermione/Pansy;

Rating: Pg15;

Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico.

Warning: Fem-Slash, Post 7°libro (senza epilogo);

Summary: Tra gli Indicibili vige una sola regola: Tutto ciò che accade all’Ufficio Misteri, resta all’Ufficio Misteri.

Note: Scritta sul prompt 37. Femslash preso dalla mia cartella della Maritombola di maridichallenge. Il titolo della storia e le strofe che fanno da introduzione e da conclusione alla fic sono tratte da “Mille lune, mille onde” di Andrea Boccelli.

 

DISCLAIMER: Non mi appartengono… bla-bla-bla…. Non ci guadagno niente… bla-bla-bla…

 

 

Legami con i Capelli il Cuore

 

Legami con i capelli il cuore,
tu mia onda scendi dentro me.
Stringimi che ormai noi siamo il mare.
Questo brivido ti scioglierà
.

 

Quando Hermione Granger era entrata al Ministero della Magia, lo aveva fatto per necessità, così come tutti i suoi amici, che erano diventati Auror o funzionari di altri uffici. Non era quello il suo sogno, ma era diventata un’Indicibile perché era necessario, perché Voldemort era caduto, ma la guerra non era ancora finita per davvero e c’erano troppe cose da sistemare, troppi segreti da nascondere.

Certo, non aveva mai pensato che il suo impiego le avrebbe rovinato la vita, compresa la sua relazione con Ronald Weasley, che aveva sempre desiderato più di ogni altra cosa al mondo. Ma era successo e lei l’aveva lasciato accadere, perché nel suo lavoro esisteva una sola regola: Tutto ciò che accade all’Ufficio Misteri, resta all’Ufficio Misteri.

Quindi a sua volta la sua vita si era riempita di segreti, di questioni che la entusiasmavano, ma di cui non poteva parlare, e tutta la sua attenzione era lì, nei sotterranei del Ministero, dove solo lei ed i suoi colleghi avevano libero accesso. Chiaramente era qualcosa che il suo focoso fidanzato non poteva accettare, ne sopportare per molto tempo. Così era finita.

Si era sentita solo, molto sola, senza poter raccontare ai suoi amici ciò che riempiva la sua vita e senza genitori a cui aggrapparsi, irrimediabilmente convinti di non avere mai avuto una figlia. Poteva parlare con i suoi colleghi, certo, ma nessuno di loro era abbastanza giovane da essere una compagnia interessante. Poi era arrivata lei.

C’erano anche tante cose che Hermione non si sarebbe mai aspettata, nella sua vita dopo Hogwarts. Avere per collega Pansy Parkinson era proprio una di queste.

E la Parkinson non era più la ragazzina dei suoi ricordi, l’oca con la puzza sotto al naso da carlino che detestavano tutti. Oh no, era una giovane donna alta, slanciata, con un seno perfetto strizzato in camicette di seta immacolate, lunghe gambe che spuntavano da splendidi tallieur firmati e piedini affusolati incastonati in elegantissime scarpe dai tacchi vertiginosi.

E un naso perfetto.

Eh già, l’appendice rincagnata che tanto l’aveva caratterizzata durante l’adolescenza era miracolosamente scomparsa, facendo sì che lo sguardo della gente si soffermasse sui suoi duri occhi neri e sulle piccole labbra imbronciate.

Hermione non si sarebbe mai aspetta che la Parkinson sarebbe divenuta una strega elegante, affascinante ed a modo. Precisa nel lavoro, cordiale con i colleghi, distaccata nei rapporti interpersonali, specie con gli uomini che le sbavavano dietro.

Più di ogni altra cosa, però, non avrebbe mai creduto di provare quella morbosa curiosità nei suoi confronti, di ritrovarsi a riconoscere la scia del suo profumo nei corridoi e d’inseguirlo, di contraddistinguere il suo passo ticchettante e considerarlo piacevole come musica, tanto da attenderlo con aspettativa, e di ammirare il pallore della sua pelle lattea, le curve dei suoi fianchi, e desiderarla. Desiderare metterle le mani addosso – ovunque.

Soprattutto adorava i suoi capelli, quelle ciocche lisce e corvine tra le quali avrebbe voluto affondare le dita ed il volto, facendosele scorrere addosso. Avrebbe gettato via il suo stipendio per possedere una di quelle ciocche, lei che aveva sempre avuto i capelli più orrendi della Storia della Magia. Aveva l’impressione che con essi Pansy le avesse catturato il cuore.

Forse era per quello che si sforzava di trovare un suo difetto e continuava a studiarla alla ricerca di qualcosa che potesse screditarla ai propri occhi. E più la osservava, più l’ammirava; era un circolo vizioso, non riusciva più a smettere di fissarla.

Perciò, quando un pomeriggio la trovò imboscata nell’Archivio Profezie, intenta a fumare un’agognata sigaretta, non esitò a rimproverarla: «Se devi appestare il mondo di fumo, abbi la decenza di farlo all’aperto!».

«Merlino, Granger, ma che problema hai?» le domandò lei, con calma faraonica, lisciandosi un’impercettibile grinza della gonna.

«Il mio problema è che fumi dove è vietato ed inquini l’aria che respiro anche io» replicò accigliata, cercando d’ignorare la sensualità di quel piccolo cilindro intrappolato dalle sue labbra scarlatte.

La Parkinson fece Evanescere la cicca e poi si accostò a lei, girandole attorno come uno squalo; superba e pericolosa. La luce delle torce fiammeggiò sui suoi capelli nero inchiostro.

«Sempre così rigida» ponderò, la voce che modulava ogni parola come fossero caramelle «E dire che da una Grifondoro ci si aspetterebbe ben altro. Dimmi, sei davvero così bacchettona, o stai solo tentando di reprimere qualcosa?» la interrogò, tornando finalmente di fronte a lei. Le ciocche nere le incorniciavano il viso come piume corvine, e il suo sguardo la spiò attraverso un pizzo di ciglia lunghe ed arcuate.

«Cos… io non… non ho niente da nascondere!» sbottò l’interpellata, sentendo i palmi delle mani imperlarsi di sudore freddo. Le sue dita tremavano, bramando solo soffocare tra quei fili setosi.

Pansy sorrise come un gatto di fronte ad un topolino in trappola e si accostò di più a lei, costringendola ad indietreggiare, fino a metterla con le spalle al muro, letteralmente. «Con chi credi di avere a che fare, Hermione? Non sono uno dei tuoi tardi amichetti rosso-oro» le fece presente, accarezzandole una guancia con il fiato, quasi delineando la sua mascella con le labbra, «Io sono una Serpeverde, e sono una donna» le ricordò, pressandola del tutto contro la parete, infilando un ginocchio tra le sue gambe e schiacciando i seni contro i suoi.

I capelli di Pansy scivolarono ad accarezzarle la curva delle clavicole e lei trattenne il fiato, fremente, incapace di reagire. Immobile, agghiacciata. I suoi occhi si chiusero quando i denti perfetti della collega andarono a scalfirle il lobo dell’orecchio, e artigliò il muro con le dita alla ricerca di un sostegno. Si sentiva le ginocchia cedevoli come burro e la situazione non fece che peggiorare quando la Parkinson le soffiò sul collo: «Avanti, dolcezza, dimmi la verità. A me puoi dirla, io ti capisco» baciandole suadente la giugulare.

«Io… io voglio…» non riusciva a credere che quella voce tremante fosse sua.

«Sì, cosa vuoi?» la sollecitò Pansy, lasciando risalire una mano affusolata lungo la sua coscia.

«Te» ansimò lei infine, racimolando un po’ di coraggio «Voglio te» e la bocca della Parkinson finalmente fu sulla sua.

Sapeva di fumo e rossetto; un connubio che trovò sorprendentemente delizioso. Quella lingua appuntita e maliziosa la saccheggiò e disarmò, strappandole il fiato, poi dita fresche e affusolate s’intrecciarono ai suoi ricci, ed un ginocchio pigiò con più decisione tra le sue gambe.

Percepiva i propri capezzoli durissimi graffiare contro il pizzo sottile del reggiseno e premere contro quelli di Pansy, e singhiozzò eccitata quando la sua bocca la lasciò per andare a succhiarli attraverso la stoffa del suo vestito. Con urgenza, abbassò la lampo al lato dell’abito e la ragazza le fece scivolare giù le spalline e sganciò il fermaglio sul davanti che chiudeva il reggiseno, scoprendo la sua pelle lattea. E infine le sue labbra furono a diretto contatto con la pelle, senza altri fastidiosi strati di stoffa a frapporsi.

Hermione gemette soprafatta, afferrando finalmente manciate delle sue ciocche soffici, che ora le accarezzavano lo stomaco, per avere qualcosa a cui appigliarsi. Poi le dita di Pansy risalirono il suo interno coscia e s’insinuarono nelle sue mutandine, allora un barlume di coscienza tornò a rischiarare la sua mente ottenebrata.

«No, non… è sbagliato…» cercò di fermare la coetanea, ma lei le baciò le labbra con un sorriso biricchino e rassicurante.

«Non preoccuparti, dolcezza. Ricordi? Tutto ciò che accade all’Ufficio Misteri…» s’interruppe, lasciando che fosse lei a concludere.

«…resta all’Ufficio Misteri» un ghigno da monella le si affacciò sul viso e provvide a soffocarlo tra i capelli di Pansy.

Dopotutto, forse aver stretto il Patto Infrangibile che le vietava di raccontare all’esterno quel faceva a lavoro, non era stato poi un così grande sbaglio.

Più tardi – molto più tardi – stese sul pavimento polveroso dell’Archivio Profezie, sopra un tappeto di vestiti, Hermione pose alla sua – nudissima e stupefacente – ex-compagna di scuola una domanda che la tormentava da un po’: «Pansy, che hai fatto al naso?»

«Chirurgia Plastica, dolcezza, dovresti sapere di che parlo. Un paio di settimane di convalescenza e, voilà!, nuova e migliorata» confessò, prendendo un tiro da una nuova sigaretta.

«Tu sotto i ferri babbani? Deve essere la fine del mondo!» ironizzò lei incredula.

«Lo era, Hermione, la guerra ha cambiato tutti. Io volevo migliorare e sono partita dal mio aspetto» chiarì con sguardo grave, ricevendo un bacio di scuse. I suoi capelli si sparsero sul seno della Grifondoro, quando posò la testa sulla sua spalla.

 

Legami con i capelli il cuore,

questo brivido ti scioglierà.

 

FINE.

 

 

   
 
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