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Autore: Marselyn    16/12/2010    10 recensioni
Sentì la solitudine avvolgerlo nelle sue calde braccia.
Eppure non era una solitudine triste. Era una solitudine alla quale aveva ormai fatto l’abitudine. Avrebbe anche voluto che fosse triste, tutto, ma non apatica.
Non c’era niente di peggio che essere abituati ad essere soli.
Questa storia si è classifica settima al contest 'Costellazioni di FanFiction' di Lenobia, vincendo il premio emozione.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
- Questa storia fa parte della serie 'Coriandoli Neri.'
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Questa storia si è classifica settima al contest 'Costellazioni di FanFiction' di Lenobia, vincendo il premio emozione.
Ringrazio infinitamente Lenobia, davvero grazie, grazie, grazie, non mi aspettavo un giudizio così positivo, tantomeno il premio emozione!
Stupida me, mi rammarico un po' per la svista dei prompt (ecco, cruciami tu, me lo merito!), ma della posizione davvero non m'importa nulla, sono felicissima così!
Grazie.

Personaggi: Regulus Black, Sirius Black
Prompt: Stelle, solitudine (quelli veri ^^'')
Note: "La costellazione del Leone conta 9 stelle, tra le quali v’è Regolo. E’ visibile nei mesi tra Dicembre e Giugno" (fonte wikipedia), lascio a voi immaginare il giorno in cui questa storia si ambienta.










~ Ciglio dorato


Quella notte un pungente venticello sfiorava le guglie ed i pinnacoli delle torri e torrette di Hogwarts, infiltrandosi tra gli spiragli di una finestra chiusa poco bene, o di una porta solo accostata, facendo rabbrividire i capelli degli studenti immersi sotto il tepore delle coperte, addormentati nei loro letti.

Regulus richiuse la botola dalla quale era appena uscito e si tirò su. Il sottile vento freddo della notte gli sferzò lievemente il volto, come una carezza ammonitrice, ma non gli procurò nulla di più che un timido brivido lungo la schiena.
Il parco di Hogwarts, una macchia scura dilatata nella notte, si stendeva ai suoi piedi, ombreggiato e sfumato dal solo tenue bagliore della luna, alta in cielo.

Era stato facile sfuggire alla sorveglianza di Gazza e dei professori di turno grazie al passaggio segreto che, dall’aula vuota accanto al bagno dei prefetti, conduceva in quel punto del prato.
E quella volta infiltrarsi nella scappatoia era stato semplice come ogni altra sera.
Ricordava ancora la notte in cui era venuto a conoscenza di quell’insolita via di fuga dal castello: aveva seguito quello sciagurato di suo fratello e la sua combriccola di nullafacenti - Potter, Lupin e Minus -, deciso a scoprire dove stavano dirigendosi, e così il suo caro fratellino lo aveva condotto a quella piacevole sorpresa. Non aveva scoperto nient’altro di particolare, durante quel pedinamento: di Sirius e i suoi amici aveva perso le tracce nel buio del parco, prima che potesse capire dove fossero diretti. Ma, probabilmente, doveva essere stato il solo gusto spocchioso di infrangere le regole ad averli portati lì, null’altro. D’altronde da Sirius non ci si poteva aspettare niente di utile, niente di motivato.
Viveva di impulso e frivolezze. Impulso ed egoismo.

Si avviò lungo il pendio erboso, ispirando la fredda corrente proveniente da ovest.
Gli fece bene, si sentì ringiovanire.
Buffo, proprio sul finire di quel giorno che lo aveva appena fatto diventare più vecchio di un anno.

Si adagiò sull’erba, a gambe incrociate, a qualche passo dalla riva del Lago Nero.
La quiete dello specchio d’acqua era disturbata dalle lievi onde vibranti che si allargavano concentriche, travolgendosi e cancellandosi gentilmente a vicenda, come serene del fatto che avessero visto la notte anche solo per pochi istanti, grate di quella breve vita.
Quasi pareva che i cerchi d’acqua nascessero in ovazione al canto di un uccello a lui sconosciuto. Lo sentiva, lontano, lontano
Il riflesso brillante di lucciole luminose punteggiava la nera vernice del Lago.
Stelle.

Uno, due, tre…

Regulus alzò lo sguardo al cielo, perdendosi tra le miriadi di puntini luminosi.

Quattro, cinque, sei…

Sembravano mille mondi lontani, viventi e pulsanti di luce e null’altro.

Sette, otto, nove…

Sembravano avere propria vita, pareva che il loro debole tremolio luminoso non fosse altro che un improvviso, perenne brivido di freddo.

Dieci, undici, dodici…

E più le contava e più sembrava che esse gli ridessero, felici di essere numerate, come se così riuscissero a riscaldarsi.

Tredici...

Potevano le stelle ridere? Che gran bella finzione sarebbe stata.

Tredici...

E sembravano applaudire nel loro tremolio, applaudire, o forse era tutto un gran batter di ciglia, vanitose…

Tredici.
I suoi anni da quella notte.

Controllò fiducioso il cartoncino ebano di cielo che gli spettava, la porzione che ospitava le stelle appena numerate, che erano ognuna un suo anno di vita, la sua porzione di cielo.
Doveva essere una gran bella fetta, perché così gli era parso, via via che le aveva contate ad una ad una…
Doveva essere bella grande.

Rimase deluso dalla piccolezza dello spazio che, nel complesso, gli spettava.
Era una minuscola briciola di nero, forse solo un misero ciglio di quell’immensa distesa lontana.

Non ne era sicuro e perciò ricontò le stelle, convinto che, da qualche parte nell’universo, ai suoi tredici anni sarebbe dovuto spettare molto più di un minuscolo filo di cielo.
Ma dovette, purtroppo, constatare che aveva fatto bene i conti con le dimensioni.
Regulus, in quel mare di stracciatella al contrario, non era che un misero ciglio.

Ma non era niente di più nemmeno in Terra. Nessuno, o quasi, gli aveva fatto gli auguri quel giorno.
Sentì la solitudine avvolgerlo nelle sue calde braccia.
Eppure non era una solitudine triste. Era una solitudine alla quale aveva ormai fatto l’abitudine. Avrebbe anche voluto che fosse triste, tutto, ma non apatica.
Non c’era niente di peggio che essere abituati ad essere soli.
Ma da anni ormai non riceveva gli auguri che desiderava il giorno del suo compleanno, ed era come un grigio nastro a ripetizione infinita.
I suoi genitori gli inviavano la solita, formale lettera di auguri e accorgimenti. I suoi compagni non avevano idea di quale fosse il giorno del suo compleanno, e né gliel’avevano mai chiesto, né lui sentiva il bisogno o il piacere di confidarlo loro.
Soltanto una persona conosceva la sua data di nascita da sempre, ed era l’unica dalla quale non si sarebbe mai aspettato un saluto, meno ancora degli auguri.
Lui l’aveva dimenticato.
Sirius l’aveva dimenticato.
Ma non il suo compleanno: forse Sirius si era scordato di lui.

Era solo.
D’altronde, perché il numero 13 avrebbe dovuto cambiare l’abitudine che si era egoisticamente presa la sua vita, negandogli qualunque attimo di gioia? Perché il numero 13 avrebbe dovuto, per una volta, indovinare le sue speranze?
Non era che un inutile numero come gli altri, niente di più di un ciglio.
Un inutile numero.

Avvertì il rumore morbido di docili passetti felpati dietro di sé. Si voltò di scatto, cercando l’origine del rumore, solo giusto per avere un’idea della severità della punizione che gli sarebbe stata assegnata per aver violato l’orario del coprifuoco, ma non vide nulla.
Qualcosa di bagnato e freddo gli toccò una mano, affondata nell’erba corta e il cuore gli prese a battere violentemente. Ritirò il braccio con violenza e si voltò, scoprendo e prendendo a fissare con occhi sgranati la figura che gli si era accucciata accanto.
Lo guardava con occhi fermi, lucidi e neri, il busto bizzarramente eretto, l’aria saccente e il muso… bagnato.
Un cane.

Regulus rise, non sapeva se per l’aria austera dell’animale, che contrastava balordamente con il suo pelo nero e spennacchiato, o per lo spavento che la bestia gli aveva fatto prendere. Fatto sta che adesso rideva, e il cuore cominciava già a riprendere la tranquillità del battito usuale.

«Accidenti a te, bestiaccia, mi hai fatto prendere un colpo» disse, asciugandosi sui vestiti il dorso della mano, ancora umido e freddo.
Il cane emise un verso gutturale, molto simile ad un borbottio.
«E tu da dove sbuchi?» chiese, squadrandolo con interesse. «Aspetta, sei una di quelle bestiacce di quel quasi-umano Hagrid, non è vero? Certo, probabilmente anche tu sei uno sporco frullato di razze male assortite...»
Senza preavviso, il cane si mise a quattro zampe ed emise un ringhio, per poi iniziare ad abbaiare violentemente. «Ehi, ehi! Calmo, buono! Ho finito, va bene?» Regulus arretrò nell’erba, mentre quello continuava ad abbaiare, immobile sul suo posto. «Scusa, va bene? Scusa!» sbottò Regulus. «’Sta zitto!» Quasi lo avesse sentito, il cane terminò il suo concerto furioso in un guaito soffocato, molto simile ad un sibilo, e si rimise seduto. Ritornò a fissare il ragazzo con occhi imperscrutabili e il muso ben retto in aria.
Regulus gli lanciò un’occhiataccia e si avvicinò nuovamente, mantenendosi a qualche passo dalla bestia.
«Che caratteraccio» borbottò. «Mi sembri mio fratello»
Il cane guaì.
«Già, non piacerebbe neanche a te»
L’animale emise un debole ringhio, simile ad una protesta, e prese a frustare la coda per terra.
«Vedila come vuoi, io comunque ci ho vissuto accanto tredici anni, posso dire di conoscerlo un po’ più di te»
Il cane abbaiò una volta, quasi a contestare. Regulus lo fissò nei fermi occhi scuri e rise.
«Per Salazar, pensi che ti possa piacere mio fratello?» L’animale abbaiò cordialmente. «E pensare che per un attimo ho creduto che fossi un tipo intelligente!» continuò, ridendo.
Il cane prese a scodinzolare, seduto, e latrò come mai Regulus aveva sentito fare. Sembrava ridesse. Poi nel volto del ragazzo un sorriso puro prese il posto della risata. Sorrise tra sé e sé, come non faceva ormai da mesi… forse anni.
«Sembri quasi…» disse, mentre lo osservava con un velo di stupore e divertimento. «Sembri quasi umano» concluse poi, semplicemente.
Il cane sospinse un po’ i due lati della bocca indietro, come in un sorriso, e lo guardò come nessuno faceva ormai da anni. Lo guardò come se Regulus valesse qualcosa, come se fosse il ciglio del cielo, ma il ciglio dorato.
Non più verde. Non più argento.
In vita, solo una persona era riuscita a farlo sentire così, parecchi anni prima, ma quella stessa persona adesso non incrociava in quel modo i suoi occhi da tempo ormai. Il sorriso si spense gradualmente sul volto del giovane, morendo piano piano.
Rimasero a fissarsi, per un tempo indecifrabile.
«Neanche quest’anno» mormorò poi, più a se stesso che alla bestia, aggrappandosi ai suoi occhi come se fosse l’unico amico rimastogli a cui poter confidare qualcosa, senza che nessuno gli puntasse un dito contro per averlo fatto. Non sapeva perché lo stesse facendo, non sapeva perché gli stesse parlando, ma sentiva che era l’unico modo per alleviare quell’interminabile vuoto, quell’infinito senso di solitudine che gli attanagliava lo stomaco.
Era un cane. Solo un cane, che diavolo sarebbe importato se ne avesse parlato con lui? «Non si è degnato di farmi gli auguri neanche quest’anno. Non che me ne duoli, quel bastardo, non merita neanche di respirare. I suoi sporchi auguri può tenerseli per sé, ma... non capisce… non capisce che a me forse importa, non capisce che ne ho bisogno...» Il cane, in un modo che gli parve quasi bislacco, colpevole, distolse lo sguardo.
Che diavolo di animale era quello?
Rideva alle sue battute, sorrideva alle sue risate, soffriva al suo dolore.
Regulus rimase a fissarlo mentre quello guardava davanti a sè, in un punto indefinito, oltre la superficie del lago. Gli occhi neri erano malinconici.
Rabbrividì.
Poi successe qualcosa di strano.
Il cane si mise a quattro zampe e gli si accucciò accanto, posando dolcemente il muso sul ginocchio della sua gamba, lo sguardo lucido perso nella boscaglia di fronte a sé.
«Brutta bestiaccia» disse Regulus, mentre una lacrima invadente gli scivolava lungo la guancia pallida. Prese, impacciato, ad accarezzarlo tra le orecchie. «Ci mancavi solo tu, brutta bestiaccia depressa».
Il cane virò il muso verso il cielo, appena sopra il lago davanti a loro, poi insieme si persero a contemplare la notte, in silenzio.

«Non c’è la mia costellazione oggi» esordì Regulus, dopo un bel po’, dopo aver ultimato di controllare ogni singola porzione di cielo nella quale avrebbe dovuto brillare la sua stella. «Non c’è» concluse, con una languida malinconia in voce.
Improvvisamente, sentì il peso del capo del cane svanire dal suo ginocchio addormentato.
Lo seguì con lo sguardo mentre quello prese a girovagare per il prato, avanti e indietro, avanti e indietro. Immergeva il muso nell’erba e gli ritornava vicino di pochi passi, riimmergendo la testa nell’erbetta. E così avanti e indietro, avanti e indietro, per un po’.
Regulus rimase qualche secondo ad osservarlo in quel viavai, senza capire cosa stesse facendo.
Poi quello corse verso un albero di ciliegio e ritornò con qualcosa tra le fauci dentate. Una volta vicino, posò quel qualcosa di un bianco brillante tra i fili d’erba, a pochi passi dal ragazzo, infine lo guardò intensamente negli occhi, e come se ne era venuto, se ne tornò, galoppando su per il prato.
«Aspetta!» gridò il ragazzo.
Ma Regulus non lo vide più.

Si avvicinò a gattoni nel punto in cui l’animale aveva abbandonato il suo cimelio e cercò tra l’erba.
Un fiore di ciliegio giaceva sopra ciottolo perlaceo, tutto attorno un quadro di pietruzze e piccoli sassi bianchi, illuminati dal bagliore della luna.
Nove.
Ebbe un tuffo al cuore riconoscendo nella disposizione di queste la costruzione delle stelle della costellazione del Leone.
Un perfetto riflesso di ciò che quella notte mancava nel cielo.
Il fiore di ciliegio in corrispondenza di Regolo.

Istintivamente posò lo sguardo sul suo ginocchio: nella stoffa scura, ancora impigliata, una piccola perla d’acqua.
Appena un minuto frammento di cuore.














7° Classificata - _marsElyn

CIGLIO DORATO [Premio Emozione]

Ortografia: 10/10
Stile: 10/10
Caratterizzazione: 10/10
Prompt: 0/5
Ambientazione Notturna: 10/10
Originalità: 5/5
Gradimento Personale: 10/10

Totale: 55/60

Sono senza fiato!
Non sto a perdere tempo, commentando una grammatica e uno stile assolutamente perfetti.
Ti preoccupavi tanto dell'OOC ma ti posso rassicurare: non ne ho visto neanche l'ombra! La caratterizzazione è a dir poco eccezionale: a ogni lettura, i pensieri e le riflessioni di Regulus mi commuovono e affascinano! Non so davvero come esprimerti la mia meraviglia!
A causa della tua storia, mi sono amaramente pentita di aver inserito quei dannatissimi prompt! Inutili e nocivi. Mi sento uno schifo per averti tolto tanti punti: se io avessi omesso i prompt dal contest, ti saresti classificata prima! Tra l'altro, a quanto ho capito, è stato una distrazione da parte tua: credo non ti sia accorta dell'esistenza di quegli schifosi infidi...
Come vedi hai ottenuto il massimo anche per l'ambientazione notturna e l'originalità: tanto di cappello!
Complimenti: la tua è la storia che mi è piaciuta di più in assoluto! Mi piange il cuore a vederla così bassa in classifica, mi dispiace moltissimo! Hai scritto una one-shot sublime!
Se volessi mai decidere di venirmi a cercare per una bella Cruciatus, sappi che ti capirei!
   
 
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