C'È SEMPRE UNA SPERANZA
16 aprile 1944 - Cracovia - Polonia
Spalanco la porta di legno, urlando poi in tedesco di scendere dai giacigli. Ancora intorpiditi dalla spossatezza scattano in piedi. Faccio l'appello come sempre, e per la seconda volta noto un marmocchio, più piccolo del suo predecessore, questo infatti non deve avere più di cinque o sei anni, l‘età minima a cui sono destinati i prigionieri nel campo per la lavorazione della gomma. Ma si divertono tanto a venire nel campo di sterminio?
Mi
avvicino al moccioso
“ Ancora! Sapevo che gli ebrei erano stupidi, ma non pensavo che lo fossero
fino a questo punto! Abbandonare il campo di lavoro per entrare in quello di
sterminio! “ dico ad alta voce nel silenzio più totale. Kurt e Franz assistono
alla scena senza dire nulla, mentre i prigionieri non osano aprire bocca. Ma
questa volta non lo avrei ucciso il moccioso, no. Lo avrei risparmiato,
facendogli provare le pene dell'inferno, d’altronde un marmocchietto del genere
non sarebbe comunque durato a lungo.
“
Come ti chiami, marmocchio? “
“
... S-Shulim... “
“
Bene. D'ora in poi sarai un numero, proprio come tutti questi schifosi ebrei
che ti circondano! “ Sento chiaramente uno dei miei compagni prendere il
fucile. Mi volto e vedo Kurt pronto a far fuoco
“
No Kurt. Questa volta lasciamolo vivo. Vuole stare qui, chi siamo noi per
impedirglielo? “ dico ironicamente. Lui posa l'arma ghignando e come di norma
iniziamo la marcia mattutina. A differenza dell'altro moccioso, questo canta le
canzoni. Tsk! Non male! Andiamo avanti così per ore, dalle sei fino al rancio.
Franz consegna le scodelle riempite con della zuppa malsana ai judei, mentre io
e Kurt entriamo nel commando tedesco, dove c'è ad attenderci un buon pasto. Non
facciamo molto caso al marmocchio, convinti come siamo che non sopravviverà e
quando un giorno non si presenta all’appello non ci badiamo più di tanto.
Due mesi dopo faccio di nuovo l'appello, ordinando poi agli ebrei di iniziare
la marcia. Mi avvicino a Franz
“
Fagli fare due ore di marcia, poi interrompi e fai iniziare i lavori, hai
capito? “ lui annuisce controllando i detenuti. Faccio cenno anche alla
sentinella di tenere d'occhio gli ebrei. Mi allontano di poco con Kurt,
tornando poi in baracca, a quanto pare il generale ci deve parlare.
Ormai sono qui dentro da mesi e mi sorprendo di non essere già morta. Veniamo
trattati come animali, ci hanno tolto la dignità, il rispetto e persino il
nome. Non abbiamo più i nostri vestiti, i nostri affetti e nemmeno i nostri
cari. Siamo stati accusati di cose mai accadute, noi non abbiamo mai derubato i
tedeschi. E mentre le mie labbra si muovono da sole per cantare la canzone
fascista, penso alla mia vita, al mio passato e al mio futuro.Uscirò mai da
qui? E se dovesse accadere, sarò viva? Penso a Shulim, quel povero bambino, mi
sento molto legata a lui, mi ricorda mio cugino e voglio proteggerlo, è così
piccolo ed indifeso, non merita un trattamento simile, no! Lui non finirà come
gli altri! Fortunatamente le S.S. non si sono accorte della sua assenza, il
piccolo è nella mia baracca nascosto e relativamente al sicuro, spero che
nessuno di loro metta le sue grinfie su di lui! La voce di Franz ci grida di
fermarci, per fortuna che capisco il tedesco. Ci dice di iniziare i lavori e di
interrompere la marcia. Mi avvicino a dei grossi blocchi di cemento, pronta per
spostarlo, quando una ragazza mi si avvicina e, senza farsi vedere, mi parla
“ La vuoi una sigaretta? “ mi sussurra spingendo il blocco insieme a me. Io non rispondo, se mi vedessero parlare mi ucciderebbero all'istante
“ Ho un'amica nel campo di lavoro della gomma, lì hanno mele, coperte, e ci sono meno controlli, sono riuscita a farmi dare due sigarette stanotte, ne vuoi una? “ continua a mormorare.
Da quanto tempo non fumo una sigaretta? Da troppo. Senza nemmeno pensarci l'afferro, mettendola tra le labbra. Prende un fiammifero e accende la mia e la sua, dopo di che prendo una lunga boccata di fumo.
Ci
voleva proprio, mi sento già più rilassata. Inspiro una seconda boccata, quando
un urlo in tedesco mi fa sussultare.
“ Vegeta!! Vieni!! “ urla da lontano Franz. Mi volto
“ Che c'è?! “ rispondo chiudendo la porta del commando
“ Due prigioniere stanno fumando! “ ringhio correndo nella sua direzione seguito da Kurt. Una volta raggiunto vedo l'azzurra ed un'altra ebrea legate ad un palo
“ Sono loro? “ domando a Franz. Lui annuisce e io mi avvicino alle due prigioniere
“
Tsk, tu mi dai sempre problemi! “ dico all'azzurra. Lei inizia a tremare,
probabilmente sicura di essere uccisa, ma non lo farò, non ancora almeno, ci
serve per i lavori. La slego malamente, legandole la corda intorno al busto.
Prendo l'altro capo della fune, avvolgendolo intorno al blocco.
“
TIRALO!!! “ urlo a pieni polmoni. Lei inizia a camminare tirando con le sue
poche forze, il blocco di cemento
“
IN GINOCCHIO!! “ grido ancora. Lei si abbassa, appoggiando le ginocchia sul
terreno ancora sporco di neve. Kurt fa la stessa cosa con l'altra ebrea.
Vedendo che l'azzurra inizia a rallentare le urlo di continuare, senza però
ricevere risultati. Le metto la suola dello stivale sulla schiena, premo verso
il basso facendola cadere.
“
TI HO DETTO DI MUOVERTI!! “ le tolgo il piede e lei si rimette a fatica in
ginocchio. Appoggia i palmi delle mani sul terreno e lentamente riprende a
tirare il blocco. Va avanti così per un paio d'ore, quando cade a terra priva
di forze. Guardo l'altra ebrea, ormai morta assiderata, che viene portata ai
forni da un soldato.
“
Franz! Slegala e portala nella baracca “ gli ordino indicando l'azzurra. Lui
annuisce obbedendo. Kurt ed io rimaniamo con gli altri prigionieri facendo
proseguire i lavori. Passano velocemente altri due mesi. Nuovi detenuti sono
arrivati al campo e con mia enorme sorpresa l'azzurra tira avanti.
Una mattina spalanco la porta seguito da Kurt
“
IN PIEDI!! “ urlo. Tutti sobbalzano e ancora assonnati scendono dai giacigli.
L'unica che resta sdraiata è l'azzurra. Mi avvicino
“
HO DETTO DI ALZARSI! MUOVITI!! “ le urlo in faccia. Lei strizza gli occhi e si
gira faticosamente su un fianco, riuscendo poi a mettersi seduta. È affannata e
delle goccioline di sudore le bagnano il viso e il collo. La strattono per
farla alzare, ma appena tocca il freddo pavimento con i piedi, si accascia a
terra priva di forze. Kurt si avvicina abbassandosi
“
Ha la febbre “ dice
“
Sei sicuro? “
“
Sì. È rossa e calda “ si alza e fa per prendere il fucile, ma io lo blocco
“
Fermo. Può ancora esserci utile, portiamola in infermeria, se non si riprende
allora la faremo fuori “ dico
“
Sì, va bene ! “
“
Tu resta con Franz, non mi fido a lasciarlo solo. Vedi che tutto proceda come
al solito !
“
Certo, stai tranquillo “ prendo per un polso l'ebrea spingendola fuori dalla
baracca. Faticosamente si regge in piedi, e poco dopo raggiungiamo la baracca
addetta ai malati. Entriamo e lei si sdraia su un lettino libero. Nella stanza
insieme a lei ci sono vecchi, bambini di varie età e dei gemelli. Io mi
avvicino ad un ripiano dove ci sono siringhe, pinze ed altri attrezzi
appartenenti al Dottore del campo, rigirandomene uno tra le mani. In quel
momento egli entra in stanza.
“
Ciao, è nuova questa? “ fissa l'azzurra
“
Sì, ha la febbre. In un paio di giorni dovrebbe riprendersi, altrimenti... “
lui ghigna. Mentre continuiamo a parlare, entra il Dottor Mengele, che fissa
con un ghigno sadico i presenti nella sala, portando poi con se un vecchio. Per
quel pomeriggio faccio io la guardia ai malati, dopo di che mi faccio dare il
cambio da un comilitone. Passano due giorni e una mattina entro nell'infermeria.
L'azzurra è sdraiata immobile sul lettino bianco. Fissa stancamente il soffitto
e la sua fronte è imperlata di sudore. Io ghigno guardando i presenti
“ Hmhmhm non siate così tristi. La vostra fine è vicina “ dico in tedesco. Quei pochi che capiscono sbiancano, gli altri mi fissano impauriti. I mocciosi più grandi iniziano a frignare e i più piccoli, vedendo gli altri piangere, li seguono a ruota senza sapere nemmeno il motivo.
… To be continued…