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Autore: ElfoMikey    19/12/2010    1 recensioni
"Quando qualcosa irrimediabilmente finisce, si spera sempre che per quanto il tempo serva a dimenticare non lo farà mai con troppo dolore.
Quel qualcosa però era talmente forte, talmente intenso che aveva la capacità, giorno dopo giorno, di rafforzare quei ricordi e lasciando che essi si imprimessero sulla mia pelle come un tatuaggio indelebile."
Brendon non riesce a dimenticare, Ryan crede di avere il mondo hai suoi piedi.
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Panic at the Disco
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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capryden4

 

 

 

Capitolo quattro

 

 

 

 

 

 

Brendon pov

 

Quando tornai in albergo mi ubriacai.

Ariel, per alleviare la tensione, mi aveva trascinato al bar e lì avevo dato il meglio di me stesso.

Spencer ancora oggi non fa che ricordarmelo.

Sta di fatto che, lui e Ariel non si erano di certo risparmiati a passarmi davanti alla faccia ogni sorta di bicchieri colmi di liquori annacquati, fino a passare a tracannare dalle bottiglie.

Ero arrivato quasi alla fine di una bellissima bottiglia di vodka liscia, sbandierandola per il collo e cantando canzoni dal testo incomprensibile, quando suonò il cellulare.

“Brenny!” urlò quello che riconobbi come Pete. “com’è andata?!” aveva il tono isterico e lo notai subito perché la sua voce era stridula e acuta come quella di mia madre quando mi sgridava.

Insomma molto sgradevole.

“Papà Pete! Ooh benissimo!” esclamai, appoggiando un braccio sulla spalle di El per reggermi. “una serata così non me la scorderò mai, sai?” aggiunsi, assumendo un’espressione quasi sognante.

“Ti sei divertito?” chiese Pete, mentre intimava Gabe e Zack di stare in silenzio.

“Certoooo! Da morire! E sai la cosa più divertente qual è stata?!” cominciai a ridere istericamente, mandando giù un altro sorso di vodka. “è gay! Ryan, gay! Ah!”

Non sentii la risposta di Pete perché Spencer mi levò di mano il telefono e corse a parlare nell’atrio.

Quello che si distinguevano benissimo, però, erano le sue urla.

Ariel mi passò un braccio intorno alla vita, sorreggendomi con qualche difficoltà, visto che era nettamente più esile di me.

“Andiamo in camera, su.” Ordinò.

“Aspetta, aspetta!” urlai, acchiappando la bottiglia che avevo sistemato sul tavolo e tracannare il liquido trasparente tutto d’un fiato. “lasciarla sarebbe stato un peccato.” Mi giustificai, guardando l’espressione contrariata di El.

 Si era ovviamente pentito di aver scelto, come pretesto per dimenticare, l’annegamento totale nell’alcool o forse non pensava che mi ci sarei buttato così a capofitto!  

Comunque vomitai anche un rene e dopo una pastiglia per il mal di testa mi buttai sul letto e ci rimasi fino al giorno dopo, quando il sole stava già tramontando.

Avevo finito per essere arrabbiato anche con me stesso, oltre che con Ross. Avrei certamente preso a pugni quest’ultimo prima di fare lo stesso con me, ma le cose erano andate diversamente e mi ero ritrovato a frignare come un poppante.

Dimenticare, dimenticare, dimenticare.

Volevo farlo così in fretta tanto da non accorgermi che non sarebbe servito a nulla.

“Oh fottuto cazzo! La mia testa!” strillai, trattenendomi in capo con entrambe le mani, mentre cercavo di alzarmi dal letto, cosa che non mi riuscì perché due braccia calde mi circondarono l’addome e il viso vispo e sorridente di Ariel mi apparve da sopra la spalla.

“Buon giorno!” strillò vicino al mio orecchio.

“Oddio ti prego non farlo mai più! La mia testa è diventata una bomba ad orologeria!” mi lamentai ricacciando le mani nei capelli. El ridacchiò piano, costringendomi a stendermi nuovamente.

“Okay, okay!” esclamò, nascondendo il viso ridente nella sua felpa azzurra.

Ore prima c’eravamo stesi sul letto senza nemmeno cambiarci e quello che desideravo ardentemente in quel momento era una doccia calda per sciogliere le tensioni. “come posso aiutarti?” chiese, la voce bassa improvvisamente maliziosa.

Girai il capo verso di lui, sollevando un sopracciglio in modo inquietante, facendolo ridere ancora di più.

“Uhm.” Commentai, dimenticandomi improvvisamente della mia emicrania. Credevo fosse davvero meglio concentrare ogni fibra del mio essere su quel ragazzo che con abbandono si lasciava baciare e accarezzare la pelle calda e liscia della schiena.

Non avevo aspettato l’amore della mia vita per avere un primo rapporto sessuale.

Sarebbe stato come attendere in eterno e io non avevo certo voglia di morire senza aver conosciuto le fondamentali regole del sesso.

Ariel fece in modo di ribaltarmi sulla schiena mentre lui si accomodava con un sorrisetto da conquistatore sul mio bacino, dove iniziò a dondolare lentamente, guardandomi negli occhi e mordendosi il labbro inferiore. Boccheggiai per interi minuti, deliziato dalla lenta frizione e dai suoi occhi che avevano assunto una tonalità di verde più scuro.

Sussurrò il mio nome un paio di volte mischiati a gemiti osceni che mi procurano un lungo tremore alle gambe. Poi si sfilò la felpa, mostrando il suo petto diafano e perfetto, eccetto per una piccola voglia di colore più scuro sulla clavicola. Mi misi a sedere, attirandolo più vicino a me e mi affrettai a baciare quell’imperfezione, succhiando leggermente per sentirlo ansimare. Mi piaceva perdermi nelle piccole cose, era una cosa che adoravo.

Raggiunsi le sue labbra dopo una lunga suzione al suo collo magro e mi aggrappai ad esse come un’ancora di salvezza, tuffando le mani nei suoi capelli, tirandoli leggermente per averlo più vicino.

Ribaltai la situazione, quando lo sentii tremante e accondiscende fra le mie braccia, così lo feci stendere sotto di me, appoggiandomi su di lui, fra le sue gambe spalancate. Ripresi a muovermi con più forza simulando ciò che da lì a poco sarebbe successo.

El mi sfilò la camicia con foga, facendo saltare qualche bottone, mentre ansimava parole sconnesse. Si fermò un attimo per accarezzare il petto e lo stomaco, sussurrando un : “Perfetto…” che mi lusingò parecchio.

Ero sempre stato a conoscenza del mio essere così… assurdamente egocentrico e di come piaceva alla gente la perfezione del mio corpo.

El sollevò il capo dal cuscino giusto per baciarmi un attimo e iniziare a trafficare con la fibbia della mia cintura.

Mi ritrassi quando tentò di sfilarmeli e mi sollevai da lui per mettermi in ginocchio aprire e disfare, con lentezza disarmante, dei suoi blu jeans.

Rimase nudo sotto il mio sguardo e dovetti ammettere che era veramente una meraviglia… il viso arrossato, il petto che si alzava e si abbassava in preda all’eccitazione, le lunghe gambe piegate e aperte. Era seriamente una visione che avevo fatto bene a non lasciarmi scappare.

“Brend…” sussurrò, incitandomi a muovermi. Gli sorrisi, colpevole di essere rimasto imbambolato a fissarlo. Mi alzai in piedi giusto il tempo di sfilarmi i jeans assieme ai boxer e tornare in ginocchio sul materasso.

Posai le mani suoi polpacci di El e lentamente risalii, fino a circondare i suoi fianchi stretti e tremendamente eccitanti.

El si allungò un attimo, aprendo con impazienza il cassetto del comodino e afferrando un preservativo.

Entrare dentro di lui fu come risalire le montagne russe e riscendere a una velocità pazzesca. Era stretto e perfetto.  Gli baciai un attimo le labbra quando corrugò la fronte per il fastidio, mormorandogli quanto fottutamente era meraviglioso. Fu lento all’inizio, così lento che fu quasi straziante, poi accelerare il ritmo fu una specie di toccasana. Presto mi ritrovai seduto contro la sponda del letto, El che ansimava sul mio grembo. Gli baciai la spalla, intrecciando le dita alle sue, in lontananza un cellulare squillò, ma non me ne curai perché eravamo entrambi catapultati nell’oblio dell’orgasmo.

 

 

 

Ryan pov

 

Tornare a casa mia fu bellissimo. Non mi era mai mancato così tanto il mio appartamento e mai mi era mancata così tanto Hobo che per quella settimana avevo lasciato a mia sorella Kate l’incarico di occuparsene. La spupazzai per il resto della giornata, finchè lei non scappò sotto il tavolo in cucina, infastidita.

Nick non mi parlava da giorni, rifiutando ogni genere di contatto con me. Non veniva nemmeno alle prove.

Non fu difficile trovare qualcuno con qui alleviare le mie voglie e così mi ritrovai ad uscire con un uomo sulla trentina, occhi azzurro cielo, uomo in carriera e un pacco ben fornito.

Non potevo voler di meno, no?

Era anche gentile e ben disponibile, almeno finchè non cominciò a fantasticare un po’ troppo. Vivere insieme?

Casa in campagna d’estate?

Matrimonio?

No grazie, passo.

Lo scaricai presto, così come la biondina che lavorava al bar sotto casa mia e il ragazzo dei giornali. Jon aveva cominciato a dividere il quaderno in colonne dove annota tutte le scopate etero e homo che avevo la briga di fare. L’inchiostro della penna fucsia era finito e ora stava utilizzando una vecchia matita di Hello Kitty fregata a mia sorella.

Da quella disastrosa sera erano passate la bellezza di due settimane e per la mia gioia, nessun Pete Wentz inferocito era apparso dal nulla per sbranarmi.

C’era una cosa però, che nonostante il mio totale menefreghismo non riuscivo ad accettare era l’assenza di Nick nella mai vita.

Non potevo dargli quello che voleva, ma lo consideravo il mio migliore amico, l’unico che aveva saputo capirmi.

Andai a trovarlo i primi di dicembre, quando la temperatura della California si era leggermente abbassata e le strade erano già addobbate a festa per il Natale imminente.

Nick non mi sbattè la porta in faccia, come pensavo facesse, ma mi invitò ad entrare, facendomi sedere sul divano del salotto, dove capitanava un bellissimo albero addobbato di blu e argento. Non era solo, visto che la sua famiglia era venuto a trovarlo per le festività, ma fortunatamente quel giorno, erano tutti usciti per fare compre e l’unica rimasta era la nipote lattante di Nick, secondogenita di non so quale sorella, perché ancora era immersa nel mondo dei sogni.

Fu difficile iniziare un discorso, anche perché lui mi guardava in attesa, con stampato in faccia il più perfido ghigno mai esistito sulla faccia della terra.

“Non è difficile dirlo, sai.” Esclamò a un certo punto, quando io avevo fatto fallire l’ennesimo tentativo di chiedergli scusa.

Era incredibile come, nelle ultime settimane, la parola che più spesso mi era uscita dalla bocca era “Scusa.” o “Mi dispiace.”

Sbuffai e mi portai le mani ai capelli. “Va bene, vado dritto al punto.” Mi schiarii la voce e gli presi una mano fra le mie, accarezzando il dorso liscio con i pollici. “sono un coglione. Il più grande coglione del mondo. Me la sono presa con te, quando volevi solo aiutarmi. Nick annuii alle mie parole, mentre un sorriso aveva già preso a fare capolino dalle sue labbra.è per questo che non voglio continuare a farti soffrire.” Aggiunsi, guardandolo negli occhi.

Sapeva meglio di me che quel momento sarebbe arrivato. “So cosa stai per dire.” Mi interruppe, continuando a sorridere dolcemente. “hai ragione, non è giusto portare avanti questa sorta di relazione…” disse e mi ritrovai ad annuire. “non fa bene a nessuno dei due e poi, dovrò pure mettermi il cuore in pace, no?”

Mi allungai verso di lui per abbracciarlo. Sospirò sulla mia spalla e me la baciò prima di staccarsi.

“Okay, Ross ora abbiamo un problema.” Disse, alzandosi in piedi all’improvviso e asciugandosi gli occhi pieni di lacrime con la manica del maglione.

Gli sorrisi tristemente. “Sarebbe?”

“Conquistare Brendon prima di Natale.” Annunciò, portandosi le mani sui fianchi e assumendo un’espressione subdola sul volto.

“Cosa?! Sei impazzito?” sbraitai e lui mi intimò di fare silenzio.

“Non urlare! Se si sveglia Sophie, siamo nella merda!”  esclamò, riferendosi alla nipote.

“Non è colpa mia se dici cazzate!” sbottai, incrociando le braccia al petto.

“Ascoltami, vuoi vivere tutta la vita sperando che lui cambi idea all’improvviso? O vuoi almeno provarci a fargli cambiare idea?”  mi chiese, prendendo a scuotermi le spalle.

Non sapevo cosa rispondergli.

Era ovvio che non volevo impiegare il resto della mia vita ad aspettare come un coglione il ritorno di Brendon, ma era anche vero che non avevo assolutamente voglia di provarci per poi sentirmi infelice della sua risposta negativa.

“Preferisco sì, piuttosto che fare la figura del coglione!” dissi, mentre Nick mi regalava uno scappellotto.

“Senti Ross, io ho perso le speranze con te per un solo e unico motivo.” Ringhiò. “perché Urie ti ama. Quindi ora aziona il cervello e pensa a un modo per riconquistarlo, intesi?!

Nick mi faceva paura quando perdeva la calma. Proprio perché non gli capitava mai, quando impazziva era una vera e propria furia.

Cercai di ribattere che sarebbe stato impossibile riuscire anche solo a parlargli, ma il pianto acuto della nipote di Nick ci fece zittire.

Lui corse come una furia fuori dalla stanza e lo sentii vezzeggiare la nipote prima che entrambi facessero l’ingresso in salotto.

Sophie era una bambina bellissima di un anno e mezzo, con gli occhi scuri rossi di sonno e pianto e i capelli neri come la pece.

Grazie a lei il discorso “conquista Brendon o ti appendo per le palle” , fu messo da parte e passai un’intera serata a giocare con Sophie.

Tornai a casa che erano le dieci passate e dopo essere stato presentato a tutti i membri della famiglia White.

Hobo mi venne incontro appena misi piede in casa, scodinzolando contenta e pretendendo un po’ di coccole.

Se non ci fosse stata lei, la solitudine di quella casa mi avrebbe davvero messo addosso una tale malinconia e sicuramente mi sarei abbandonato a me stesso.

Mangiai del cibo precotto, riscaldandolo nel microonde, davanti a un film datato.

Nick aveva fottutamente ragione.

Restare in attesa mi avrebbe portato solamente alla pazzia.

Così, deciso a provarci afferrai il telefono e cercai in rubrica il numero di Brendon.

Sperando in una risposta.

 

 

 

 

Brendon pov

 

Stavo vivendo delle settimane che avevo paragonato a qualcosa di idilliaco. El era meraviglioso, la mia vita era meravigliosa, anche il callo che avevo sull’indice era meraviglioso.

Niente e soprattutto nessuno poteva intralciare la ripresa totale della mia vita. Nemmeno Ross. Nemmeno il fatto che, solo nominarlo mi si stringeva lo stomaco.

Comunque sia, ero felice, okay felice era una parola troppo grossa, ma sentivo di essere molto vicino alla felicità.

Ariel aveva confessato di amarmi qualche settimana dopo il ritorno in California e se ancora non riuscivo a ricambiarlo del tutto, sapevo di provare per lui un grande affetto.

Sapevo di dover ringraziare Pete fino a riempirlo di regali e favori per aver proposto a El di venire a fare una vacanza lontano dalla sua bella Australia. La cosa positiva era che sarebbe rimasto fino alla fine delle vacanze natalizie.

C’erano ancora molte cose di lui che non sapevo o che ancora non avevo avuto l’opportunità di chiedere o di ricevere risposta.

Sapevo che era nato ad aprile, due giorni dopo di me, ma sinceramente l’anno mi sfuggiva.

La prima settimana di dicembre stava già volando ed ero uscito per una sessione di shopping solitario per poter comprare i regali. Me ne tornai a casa, ricolmo di pacchi e quasi caddi a terra quando Bogart decise di zampettarmi attorno. El mi aiutò a sistemare i pacchi e le varie buste sotto l’albero che poi avrei provveduto a distribuire a Natale.

Aveva lasciato la casa di Pete da qualche giorno, giusto per poter passare più tempo insieme e cercare di non deprimerci pensando a quanto lontana fosse Adelaide.

Quella stessa sera, invitai Pete, Ash e gli altri dei Panic per una cena, dove potevamo stare in compagnia. Adoravo fare questo tipo di cose perché restavamo ore a parlare di eventi passati o a fare cose stupide da riprendere e mettere su twitter.

A metà della serata, quando Spencer era talmente ubriaco che aveva acconsentito a infilarsi un pastello su per il naso, il cellulare di El squillò.

Guardò il display con una smorfia e corse nell’altra stanza per avere un po’ di pace.

“Sarà l’adorabile Maggie.” Commentò Pete sorseggiando birra e stringendo teneramente la vita di Ash,che si era appoggiata a lui per qualche coccola.

“Chi?” chiesi, prendendo posto al suo fianco.

“Maggie, la madre di Ariel, tua suocera. Mia cugina.” Disse, agitando una mano per spiegare meglio il concetto.

“Ho capito, ho capito” risi e poi mi sorse un dubbio. “scusa Petey, ma lui non è il figlio della sorella di tuo padre?”

“Certo che no! Maggie è la figlia di Zia Carol, lui è solo il cugino di secondo grado. Spiegò, girandosi per cominciare a pomiciare con sua moglie.

Rimasi un attimo interdetto.

“Quindi zia Carol è la nonna di Ariel?” chiesi, facendo in modo che Pete si staccasse da Ashlee. 

“Bdon, vuoi studiarti tutto l’albero genealogico dei Wentz?” chiese un po’ scazzato.

“Volevo solo sapere come faceva Ariel ad avere ventitré anni! Forse Maggie è rimasta incinta a quattordici anni o cosa?” sbottai, arrossendo sulle guance.

“ventitré? Brendon ma ti droghi?!” strillò Pete, abbandonando le braccia della sua donna per fissarmi con gli occhi spalancati. “Ariel ha a mala pena sedici anni!”

Okay, immaginate di avere un grosso tasto rosso con la scritta “STOP” alla vostra destra, premetelo e osservate o provate ad immaginare la mia faccia.

Non delle migliori, certamente.

Avevo ricevuto una delle notizie più sconvolgenti delle ultime settimane e quasi, dico quasi, superava la batosta di scoprire che il ragazzo che avevo sempre amato, che si fingeva etero convito, in realtà era un maledetto finocchio.

“Sedici?” chiesi istericamente, mentre la faccia di Pete assumeva una sfumatura preoccupata.

“Non lo sapevi?” borbottò e quando vide che scossi il capo, mi porse la sua birra. “tieni. Ti servirà.”

Ariel ritornò da noi dopo dieci minuti, sorridente e assolutamente ignaro.

Bastò uno sguardo, uno solo per farlo arretrare. “Ehm.” Disse.

Ottimo, non avevo voglia di rimanere in quella casa un minuto di più. Afferrai cappotto e il cellulare e uscii di casa, senza degnare di uno sguardo El.

Un ragazzino.

Un fottuto ragazzino.

Cazzo, potevo essere arrestato per pedofilia!

Vagai per un po’, deluso e molto, molto incazzato.

Avevo sempre questa fortuna di riuscire a essere preso per il culo da tutti. Da tutti quelli che amavo, a quelli a cui donavo la mia totale fiducia.

“Fanculo!” ringhiai, facendo posare su di me lo sguardo scandalizzato di una vecchietta tutta impellicciata. “cos’ha da guardare, eh? Lo sa che lei ha ucciso un povero animale comprando quella pelliccia? Eh? Lo sa?!” sbraitai, facendola scappare. Non ero certo in me, quella sera.

Avevo una tale voglia di sparire, di scappare e caso mai cambiare identità.

Ne avevo abbastanza della gente che mi stava intorno, salvo qualche eccezione.

Continuai a camminare per un po’, guardando le vetrine illuminate, pensando a quanto la sfortuna amava starmi tra i piedi.

Il cellulare squillò e notando che era un numero a me sconosciuto risposi, poteva essere Pete con uno dei suoi vari numeri. 

Fu sgarbato e me ne pentii perché chiunque ci fosse dall’altra parte del cellulare non aveva colpe.

“Chi cazzo è che rompe?” sbottai, ficcando una mano dentro il cappotto.

“F-forse non è un buon momento. Provo più tardi.” Fu la risposta.

Ryan Ross.

Ah, lui si che si meritava un’accoglienza del genere.

“Ross?” chiesi sorpreso, fermandomi per la sorpresa. Tra tutte le chiamate, la sua era assolutamente inaspettata. Non è certo quello che mi aspettavo, dopo il nostro ultimo incontro.

“Già, io.”

“Cos’è, hai sbagliato numero?”

“No, no in realtà volevo parlarti.” Iniziò e mi scappò da ridere perché stava balbettando. Mi ricordava Beckett.

“Oh.”

“Possiamo vederci?” si meritava un applauso per la spavalderia.

“Non è serata, Ross. Davvero.” Risposi, in tono quasi lamentoso.

“Ah, okay.” Disse solo, mentre in sottofondo sentivo gli abbai allegri di Hobo.

“Okay? Non è niente okay, tu sei un maledetto finocchio, Ariel è un maledetto ragazzino di sedici anni e io sono un cretino perché prima mi innamoro di un coglione e poi mi scopo un minorenne!” sbraitai, ricominciando ad attirare l’attenzione della gente.

“Sedicenne?!” fu l’unica sua reazione.

Proprio quello che mi serviva.

“Senti, non voglio essere compatito, per cui ti lascio andare, così potrai farti una bella risata alle mie spalle e scriverlo in una canzone!”

“Aspetta Bden!” strillò, tornando a balbettare subito dopo. “dove sei?”

“Vicino ai grandi magazzini.” Risposi, senza un vero e proprio motivo.

“Sto arrivando. Aspettami.” Ci fu un attimo di silenzio. “per favore.”

Non feci in tempo a rispondere che cadde la linea.

Sta di fatto che, rimasi ad aspettarlo, le mani in tasca e la testa ancora piena di pensieri.

 

 

 

Ryan pov

 

Correre non era mai stato il mio forte, alle superiori mi davo sempre per malato durante le ore di ginnastica, ma quella sera, ero talmente esagitato che correre era il modo miglior per far scemare un po’ quell’adrenalina che mi era entrata in corpo.

I grandi magazzini, dove mi aspettava Brendon (vi rendete conto?!), erano un po’ lontani dal mio appartamento, ma come un demente evitai di prendere l’auto.

Arrivai all’angolo tra la caffetteria e i grandi magazzini, fermandomi per riprendere fiato e riassumere un certo controllo per non sfigurare davanti a Brendon.

Feci qualche passo e lo notai.

Stava fissando con curiosità una grande vetrina natalizia piena di giocattoli per bambini. Aveva l’espressione corrugata e l’aria triste, così diversa dalla solita espressione allegra che gli illuminava il viso.

Mi avvicinai cautamente, richiamando la sua attenzione posandogli una mano sulla spalla.

“Sei qui.” Lo disse come se fosse veramente sorpreso della mia presenza.

“Sì. Voglio parlarti.”

“Sai, ne hai avuto di tempo per farlo.” Mi rispose, girandosi finalmente a guardarmi. “dimmi quello che vuoi dirmi e poi sparisci.”

Deglutii pesantemente, iniziando a giocherellare con le dita. “ Voglio…vorrei… in realtà spero che tu possa perdonarmi un giorno.”

“Ah. Però questa era divertente.” Borbottò sarcastico.

“Dimmi cosa posso fare, dimmi tutto quello che vuoi che faccia e io lo farò.”

“Spariresti dalla mia vita se te lo chiedessi? Lo faresti per me?”  domandò, mentre i suoi occhi iniziavano a riempirsi di lacrime.

Trattenni il respiro, per poi mormorare : “Sì, lo farei.”

Brendon abbassò un attimo il capo, cominciando a singhiozzare. “Sei già sparito una volta, non farlo più, ti prego.”

Annuii e lui singhiozzò più forte, mentre mi permetteva di abbracciarlo. Risentire di nuovo il suo calore era come andare in paradiso.

Quando mi era mancato stare fra quelle braccia, accarezzare quei capelli. Fu come essere catapultati indietro di anni.

“Non ti ho perdonato.” Bofonchiò fra le lacrime, strofinando il viso sul cappotto.

Sorrisi, posandogli un bacio sui capelli. “Lo so.”

“Devi darti da fare, sia chiaro.” Esclamò, staccandosi da me. “mi hai fatto passare mesi d’inferno Ross. E la cosa peggiore è che sono ancora innamorato di te.

Rimasi a bocca aperta, letteralmente, mentre Brendon rideva della mia faccia da imbecille.

“Imbecille.” Disse.

Ecco appunto.

“Ma il tuo ragazzo?” chiesi, cercando di limitare le esaltazioni, almeno davanti a lui. “non stai più con lui?”

“Ovvio che ci sto ancora.” Rispose, scuotendo il capo.

“Ma ha sedici anni.”

“Cosa vuol dire, scusa? Sai dovresti preoccuparti del fatto che, nonostante io stia con lui ami ancora te.

Arrossii, invidioso della naturalezza con cui diceva di amarmi.

Volevo poter fare lo stesso, dirgli quando follemente lo amavo e quanto idiota sono ero stato per non averlo capito prima.

“Uhm.”  Fu tutto ciò che dissi.

“Sono veramente infuriato con entrambi, vorrei tagliarvi la testa e buttarla nella discarica.” Esclamò, stringendo i pugni e imitando qualche mossa da lottatore.

Risi e lui mi guardò male. “Non essere così rilassato, bello mio.” Io alzai le mani in segno di scuse. “Ora, offrimi da bere.” Proclamò, indicando con la testa la caffetteria.

“Questo fa parte del piano di riconquista?” chiesi lasciandomi trascinare. Brendon si bloccò, la cosa fu piuttosto preoccupante perché lo fece in mezzo alla strada.

“Riconquista?” chiese, spalancando i suoi occhioni scuri.

“Hai capito bene.” Sorrisi per un attimo, mentre lo trascinai sul marciapiede. “cosa vuoi da bere?” dissi, mentre entravamo nella caffetteria quasi deserta.

“Un caffè. Corretto. E una bottiglia di vodka.” Rispose, continuando a fissare davanti a sé come imbambolato. 

Alla fine si accontentò di un decaffeinato, mentre lasciava che parlassi di stronzate.

La realtà era che non sapevo cosa dire e finii per nominare Nick.

“Stai insieme a lui?” chiese, rigirando il cucchiaino della tazza.

Io scossi il capo. “No. Non più.”

Certo quella mia e di Nick non poteva certo considerarsi una relazione, forse una specie di... coppia aperta? Dove solo io prendevo la briga di andare con altre persone?

“Ah, mi dispiace.” Borbottò appena, afferrando il cellulare per leggere il messaggio che gli era appena arrivato.  “è Ariel. Mi aspetta a casa.” Annuii e feci per alzarmi, ma lui mi trattenne, posando la mano destra sulla mia e sorridendo un poco.  “ raccontami altro. Voglio sapere quello che hai combinato lontano da me. Lo disse senza sarcasmo o cattiveria, così mi risedetti, tornando a parlare di cose prettamente inutili.

Rise un paio di volte a battute cretine e per un solo attimo mi sembrò di essere tornato davvero indietro.

C’era però quella linea sottile che ci divideva e che ci ricordava quanto le cose non erano cambiate e non sarebbe stato facile incollare nuovamente i pezzi di una viva passata insieme.

A mezzanotte passata uscimmo dal locale e mi permise di accompagnarlo a casa. Questa volta fu lui a parlare, della band, di Pete e di Ariel.

Provava un grande affetto per lui.

Non ero geloso però.(Giuro, è vero non ero geloso….! Okay, va bene forse solo un pochetto, ma nulla di che!)

Tornando al racconto, arrivati sotto casa Urie, lui mi salutò con un abbraccio veloce, prima di vederlo sparire su per le scale.

Inutile dire che trotterellai fino a casa e nonostante l’ora fosse davvero tarda chiamai Nick.

“Spiegami solo il perché….” Disse, con voce assonnata. “perché mi chiami a quest’ora?”

“Ho visto Brendon.” Esclamai tutto d’un fiato, saltellando con un povero deficiente.

“Stai scherzando?” strillò Nick, improvvisamente sveglio.

“No! Nick credo voglia perdonarmi!” esultai.

Decisi di prenderla sul serio, di fare di tutto per poter riavere con me Brendon ancora una volta.

Senza casini, senza stronzate.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

Eccoci alla fine del quarto capitolo! Ringrazio chi ha letto i capitoli precedenti e chi leggerà questo. Soprattutto a chi mi ha dato una sua opinione con un commentino!

Grazie a  AnniPrisoner e ChemicalLady  <3

 

Alla prossimaaaaaaaaaaaaaaa!!

 

Grè.

  
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