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Autore: _Atlas    20/12/2010    2 recensioni
Racconto di una giornata, raccontata in prima persona dallo stallone Cascade, uno dei cavalli di una scuderia da corsa, nonchè giornata determinante per la sua carrier di corridore. Questa One-Shot potrebbe essere l'inizio per una futura storia. Scritta senza pretese, leggete e commentate ^-^
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'inizio di una grande carriera


Era un mite lunedì mattina d’inizio estate e, come al solito, ero stato svegliato dalla tiepida e rosata luce del sole nascente e dai rumori dei miei amici negli altri box.
Rimasi sdraiato ancora un pochino tra la paglia calda e morbida, ancora piuttosto assonnato, lasciandomi cullare dagli odori e dai rumori soffusi che mi circondavano ed irradiavano l’aria come la polvere sottile della segatura.
I mormorii degli altri cavalli, i loro movimenti, l’odore intenso della paglia e quello dolce dell’avena e del fioccato...
Sbadigliai e mi misi in piedi sulle zampe, scrollandomi la criniera nera e morbida. La luce dell’alba irradiò il mio box spazioso e illuminò il mio lucido manto d’ebano, facendolo brillare.
Mi avvicinai tranquillamente al catino e bevvi a grandi sorsi l’acqua fresca e cristallina. Sollevando il muso gocciolante, potei vedere il mio riflesso sul liquido tremolante.
La lista bianca che avevo sulla fronte pareva uno squarcio di luce tra le tenebre e i miei occhi blu scuro scintillavano.
Rabbrividii e distolsi lo sguardo. Non mi ero mai abituato a vedere la mia immagine riflessa, mi incuteva un timore reverenziale, come nel rimirare qualcosa di misterioso, una sensazione di diffidenza indescrivibile... era una cosa strana.
Misi la testa fuori dallo stabbio, verso il corridoio interno, e mi diedi un’occhiata intorno.
Anche Miluna era sveglia e mi salutò con un leggero nitrito, drizzando le orecchie. Io ricambiai il saluto emettendo un rumore sordo dilatando le narici.
Miluna era una bella giumenta dal mantello color castagna, crini scuri e un paio di scintillanti occhi nocciola. Su tutte e quattro le zampe aveva delle balzane bianche e una larga lista candida le partiva dalla fronte, con bevente che si allargava e comprendeva le narici e il mento.
Il mio box confinava a sinistra con il portone della scuderia e a destra con il box di Miluna.
Dall’altra parte del corridoio c’erano altri box, ma quei cavalli non mi erano molto simpatici.
Dopo qualche minuto arrivò quello che il mio padrone chiamava ‘lo stalliere’. Di solito ci dava il pasto della mattina, ci puliva i box e dava una spazzata alla scuderia, ma di solito era il mio padrone a prendersi cura di me e darmi il fieno del pomeriggio.
Tecnicamente il mio padrone non mi possedeva davvero, ma era solo il mio fantino, però io lo consideravo un amico e perciò era il mio proprietario. Quello ‘vero’ per gli umani lo vedevo solo quando facevamo le gare, altrimenti lo incontravo raramente.
Sapevo tutto questo perché il mio padrone me ne parlava e anche se non potevo rispondergli, gli facevo capire che comprendevo ciò che mi spiegava, anche durante il lavoro e gli allenamenti.
Avevamo davvero un bel rapporto perché lui mi rispettava, perciò io rispettavo lui.
Lo stalliere cominciò a darci il fieno e, dato che era lunedì, diede a tutti una generosa porzione di pastone a base di avena e fioccato.
Quando terminammo di mangiare, ci pulì i box e cambiò la paglia, dopodichè arrivarono alcuni padroni per farci lavorare.
Il mio arrivò qualche minuto dopo del solito, e io fui felicissimo di vederlo.
Quando aprì la porta del box strofinai il muso contro la sua spalla e lui mi diede un gustosissimo pezzo di mela e un abbondante razione di carezze.
Rimasi fermo e buono mentre mi puliva, anche se scalpitavo dalla voglia di galoppare. Sentivo un’energia irrefrenabile pervadermi i muscoli delle zampe e della groppa, come se un fiume di fuoco mi inondasse le vene e mi facesse formicolare gli zoccoli.
Il mio padrone percepì la mia tensione.
“Buono, Cascade. Tra poco andiamo in pista ad allenarci.”
Mi sussurrò con la sua voce pacata e melodiosa, trasmettendomi un po’ di calma. Non era vecchio come lo stalliere, anzi, se fosse stato un cavallo avrebbe avuto più o meno la mia stessa età.
Quando finì di strigliarmi, facendomi sentire piacevolmente fresco e pulito, andò in selleria per prendere i finimenti che mi metteva sempre e a posare le spazzole.
Non serviva che mi legasse come gli altri o che chiudesse la porta del box, sapeva che non sarei uscito e si fidava pienamente di me.
All’inizio il nostro rapporto non era così, anzi. Io detestavo tutti gli umani perché quando ero giovane l’uomo che mi addestrava mi faceva sempre male ed io non lo capivo e quando la persona che mi acquistò mi portò via e cominciò a farmi allenare dal mio padrone, facevo sempre il possibile per ribellarmi e buttarlo a terra.
Ma lui non mi picchiava come credevo avrebbe fatto, anzi, mi carezzava e parlava piano, cercando di calmarmi e spiegandomi che andava tutto bene.
Pian piano entrambi imparammo a conoscerci e a rispettarci, divenendo inseparabili.
Quando il mio fantino tornò, mi sellò e imbrigliò e mi condusse a mano fuori.
La brezza mi scompigliò leggermente la criniera e la luce del sole mi abbagliò per pochi secondi. Avevo ormai imparato a riconoscere rumori e movimenti di quel luogo, perciò quando vidi il gatto pezzato della scuderia sfrecciarmi davanti, non mi spaventai e continuai a seguire il mio padrone.
Mi condusse al campo coperto dove c’erano già altri cavalli e lì mi montò senza sella per farmi scaldare i muscoli, in modo da prepararmi gradualmente per l’allenamento sulla grande pista da galoppo. Al solo pensiero di potermi lanciare a tutta velocità al fianco degli altri cavalli e batterli come al solito, mi si contraeva la groppa e mi si irrigidivano i muscoli delle zampe per l’esaltazione, ma rimasi tranquillo per tutto il riscaldamento, determinato a risparmiare le energie per il galoppo.
Finalmente, dopo del tempo che mi parve interminabile, il padrone mi risellò e mi condusse fuori, assieme agli altri cavalli. Con mia felicità c’era anche Miluna, bardata di tutto punto, persino con la maschera rossa che solitamente il suo fantino le metteva per le gare.
Entrai quasi automaticamente nel mio cancelletto di partenza, da sempre il numero due, e attesi trepidante che il mio padrone salisse e l’inferriata si spalancasse sulla pista, dando il via alla corsa.
Anche gli altri si posizionarono e Miluna, la numero cinque, mi lanciò uno sguardo incoraggiante.
Passò qualche secondo carico di tensione e poi, finalmente, i cancelletti si spalancarono.
Spinsi tutto il mio peso sui posteriori e scattai in avanti con tutta la forza del mio essere. Sentivo l’adrenalina scorrermi tra le vene e il battito forte del mio cuore contro il petto.
Galoppai in avanti a grandi falcate, mettendomi subito in testa al gruppo.
Mi sembrava di volare e quasi non percepivo il peso del mio fantino sulle spalle, che mi favoriva stando sollevato sulle panche e piegato in avanti sul mio collo, dandomi redine.
Percepii Miluna vicino a me, ma continuai a concentrarmi sulla pista ed aumentai l’andatura. Sapevo di poter reggere ancora per molto e perciò diedi il meglio di me, immaginando di essere ad una gara, piuttosto che in un allenamento.
Sentivo il vento tra i crini, percepivo la potenza delle mie stesse zampe, i miei zoccoli che solcavano il terreno sempre più velocemente... avevo l’impressione di volare.
Con l’aiuto del mio fantino, presi largamente le due curve, senza perdere l’equilibrio o scivolare.
Avevo distanziato di molto gli altri cavalli, ma non per questo diminuii l’andatura. Anzi, diedi il massimo per galoppare ancora più velocemente.
Il cuore mi batteva velocemente contro il petto, dilatavo al massimo le narici per inspirare quanta più aria possibile e percepivo il rombo del vento nelle orecchie, ma sentivo di potercela fare.
Aumentai la velocità più che potei in vista del rettilineo finale.
Stesi il collo in avanti, incurvai leggermente la groppa e spinsi con tutte le mie forze sui posteriori.
Piegai le orecchie all’indietro, aumentando la velocità e l’ampiezza delle falcate. Sentii il mio padrone piegarsi ancora di più in avanti e allungando le braccia ai lati del mio collo.
Quel giorno raggiunsi una velocità talmente elevata da non credere me stesso capace di tanto.
Solcai la dirittura d’arrivo con un ultimo, potente balzo e cominciai a rallentare lentamente.
Il mio fantino si piegò in avanti, abbracciandomi l’incollatura e dandomi pacche sulle spalle. Sentivo la sua felicità crescente, e la sua euforia quando si accorse che l’uomo che mi aveva acquistato quando ero giovane aveva assistito alla corsa.
Lentamente decelerai fino a fermarmi e il mio padrone scese di sella, continuando a carezzarmi e lodarmi. L’altro padrone ci venne incontro di corsa, quasi stravolto, con uno strano strumento argentato e rotondo tra le mani.
“Guarda, guarda il cronometro!! Hai visto che tempo?! E’ assolutamente eccezionale!!”
Lo sentii esclamare. Nel frattempo io respiravo forte, per recuperare fiato.
Il mio fantino guardò quell’affare strano e sgranò gli occhi, cominciando a farmi camminare per evitare che mi ammalassi.
“E’ assolutamente incredibile! Cascade non aveva mai corso così...”
Cominciò, rispondendo all’altro uomo. Al resto della conversazione non prestai ascolto, perché ero troppo stravolto per pensare persino a ciò che mi accadeva intorno.
Avevo creduto di volare.
 
Più tardi il mio padrone mi riportò in box, servendomi una razione extra di fieno e dolci carote.
Mi pulì per bene e trascorse il resto del pomeriggio con me nel paddock, continuando a parlarmi e a lodarmi, dicendo che mi ero proprio meritato tutte quelle gentilezze.
In risposta, per ringraziarlo, strofinavo il muso contro la sua spalla e gli sfioravo la mano con le labbra, seguendolo e standogli sempre vicino.
Quando venne la sera mi riportò in box e mi mise la coperta di pile, in modo che non prendessi freddo durante la notte. Ero davvero molto stanco e avevo una gran voglia di dormire.
Il mio fantino, prima di andare via, mi diede altre dolci carote e dei golosi pezzi di mela croccante che mangiai con molto gusto, dopodichè mi coccolò, mi baciò sul muso e partì, augurandomi la buonanotte e dicendomi che sarebbe tornato l’indomani.
E da quel giorno la mia carriera di cavallo da corsa non fece che migliorare a dismisura, tanto che presi il nome di Cascade, the Black Miracle.









   
 
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