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Autore: fuffi    02/01/2004    6 recensioni
Una persona ha commesso numerosi crimini... con l'aiuto di un nemico giurato, riporterà alla sua mente i ricordi dolorosi della sua vita e cambierà radicalmente. One shot.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, James Potter, Lily Evans, Ron Weasley, Tom Riddle/Voldermort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cammino sotto la pioggia, quella pioggia che molte volte mi divertivo ad osservare scendere placida vicino ai miei amici… molte volte mi sono chiesto: perché? Perché sono diventato così? Forse per vendicarmi dei numerosi torti subiti, forse… solo per ripicca. Per far vedere agli altri che io non sono mai stato ‘un secchione’, ma, piuttosto, ‘il secchione’. Da quando ho iniziato il mio viaggio, mi sono chiesto: perché tutto questo a me? Inizio a correre. La vista di quei corpi accasciati senza vita ai miei piedi mi rende l’essere più disgustoso della terra. O meglio, ai loro occhi. Ora io mi sento ‘qualcuno’, una persona che ha fatto capire che con il fuoco non si scherza, che nemmeno l’acqua può spegnere il mio fiammeggiante istinto. E pensare che a quattordici anni volevo diventare Auror! Molte cose sono successe da allora, io stesso sono cambiato. In fondo, non esiste bene e male: esiste solo il potere e coloro che sono troppo deboli per averlo. Ma se io ritornassi l’essere umano che ero da ragazzo, a quest’ora… mi fermo, all’improvviso. Sento le gocce di pioggia che picchettano sulla schiena, sulla testa. Ho parecchio freddo, ma non so più cosa fare. Mi avvicino ad una casa di quel villaggio ed osservo, attraverso la finestra, gli abitanti. Due adulti e due bimbe, molto piccole, tre anni ciascuna. In una sedia a dondolo c’è un vecchietto che ride allegramente. A quest’ora, se io non fossi stato così… avrei una famiglia, dei figli, una moglie. Mi guardo le mani, normali agli occhi altrui, ma per me sono ancora sporche di sangue. Ne sento l’odore, quell’odore che prima io stesso chiamavo profumo. Il profumo della morte, come lo definivo fra gli amici. Ora dico l’odore della colpa. Anch’io ho una coscienza, sebbene consumata e logora. Mi allontano da quella finestra e corro a perdifiato. Dove, nemmeno io lo so. Mille pensieri mi attraversano la mente mentre scruto al di là della nebbiolina, fino a quando scorgo una cattedrale, vasta e imponente ma al tempo stesso povera e semplice. Forse questa qui è la volta buona. Mi avvicino a passi lenti e, con la mano tremante, apro il portone. Entro. Vedo l’acqua benedetta alla mia sinistra in una scodella di pietra e, sempre tremando, ci puccio la mano e mi faccio il segno della croce. Mi avvicino all’altare. Il Crocifisso gigantesco mi incute un senso di… come dire… un peso al cuore, come se fossi indegno di scrutarlo così attentamente. Abbasso lo sguardo. Ad un certo punto sento una mano nella spalla. Mi giro e vedo un vecchietto vestito con la tunica da prete: non è molto alto, è calvo, tozzo, tuttavia noto che nel viso ha un’espressione dolce e gentile.
”Posso esserle utile?” Mi chiede gentilmente.
È la mia grande occasione. Forse posso confidarmi con qualcuno. Così gli rispondo:
“Sì, grazie. Se, naturalmente, lei è disposto ad alleggerire il mio fardello.” La mia voce è sempre fredda e tagliente, ma il prete non ci fa caso. Sorride e ribatte:
“Certamente, signor…”
“Riddle:” Completo io. È da tanto che non pronuncio il mio vero cognome, ma è come se, lentamente, inizio a sfogarmi. L’uomo mi sorride e mi conduce in sacrestia. Non pensavo di conoscere così bene una chiesa, ma, in fondo, quando ero piccolo la frequentavo, eccome. All’orfanotrofio ce lo imponevano, così diventava, anziché una cosa piacevole e stimolante, una sottospecie di tortura settimanale. E, se facevamo baccano anche solo una volta, ci frustavano con la cinghia. Arrivato in sacrestia, mi siedo in una sedia di fronte al prete ed lui inizia:
“Sappi che ho notato già dalla prima occhiata che ti ho rivolto che hai molti peccati sulle spalle, ma il Signore assolve anche questi, solo se gliene dai la possibilità. Per dialogare meglio, io sono Rudolph. E lei è…”
“Tom, signore. Però preferirei se ci dessimo del tu. Sa, per avere più confidenza…” Propongo io timidamente. È da anni che non mi sento intimidito da una persona. Quel vecchietto mi ricorda qualcuno, anche se non mi ricordo chi.
“Certamente, Tom. Dimmi, quali sono i peccati da te commessi?” Annuisce lui. Io ci rifletto un attimo, e poi dico:
“Sai, io sono orfano. Mio padre ha lasciato mia madre quando ha saputo… quando ha saputo…” Esito un attimo. Dire ad un babbano quello che sono non è una cosa saggia. Tuttavia mi faccio un po’ di forza e continuo:
“Una strega. Io sono uno stregone, il più potente e malvagio del mondo. Tuttavia, avevo anch’io dei sentimenti, e la mia rabbia, la mia ricerca di vendetta, iniziò a otto anni, me lo ricordo bene…”
Camminavo a testa bassa, come tutti i giorni, del resto. Odiavo quell’orfanotrofio. Tutti venivano adottati, tranne me. Che cosa avevano gli altri di speciale che io non avevo? Mi reputavo un bel bambino: capelli neri, occhi rosso fuoco, carattere chiuso e timido. Subivo in silenzio tutto, per non colpevolizzare i miei compagni. E i miei maestri non lo avevano ancora capito. Ma a me faceva piacere sacrificare qualcosa di mio per un amico, ne ero fiero, anche se dopo non ricevevo ringraziamenti di nessun genere. Ma quel giorno fu diverso. Incontrai strada facendo, mentre uscivo dall’aula di Matematica, Justin Edgecombe. Era il mio migliore amico, un tipo grassottello, bassino, ma con un carattere che, io almeno pensavo, non avrebbe mai tradito un amico. Ma, come diceva la preside, mai valutare un libro dalla sua copertina. E quel giorno capii il significato di quella frase. Volevo marinare Italiano l’ora dopo, per ripassare per la verifica di Storia, così decisi di fare affidamento su Justin. Lo vidi e gli chiesi subito:
“Justin, me lo fai un favore?”
“Spara, Tom. Ogni cosa per il mio migliore amico!” Rispose lui sorridendo.
“Vedi, non ho studiato bene Storia per la verifica, così pensavo di saltare Italiano, in cui ho tutti Ottimi, per ripassare per il compito in classe. Mi copri?” Spiegai io.
Lui mi seguì molto attentamente e alla fine esclamò:
”Tom Marvolo Riddle, tu dovresti conoscermi! Ma certo che ti copro! In fondo, sei il mio migliore amico!” Io sorrisi. ‘È bello avere amici come Justin!’ Pensai. Così, passai quell’ora libera a ripassare Storia, a fare test ed esercizi per valutare se sapevo bene tutto. Dopo un’ora di intenso studio, chiusi il libro, pienamente soddisfatto. Senz’altro sarei andato bene nella verifica. Uscii dalla mia camera e, libri sotto mano, mi diressi verso l’aula di Storia, ma fui bloccato dalla preside.
“Riddle, nel mio ufficio!” Mi intimò lei severa.
“Che cosa ho fatto, signora maestra?” Chiesi io con un filo di voce.
“Ti spiego dopo. Tu seguimi!” Mi freddò lei. Io annuii e, quando arrivai in ufficio, trovai Justin con un sorriso malefico dipinto in viso.
“Così pensavi di marinare Italiano per andare al parco giochi?” Tuonò lei furiosa.
“Non capisco, signora maestra.” Mormorai io innocentemente. Non poteva essere che il mio migliore amico avesse fatto la spia!
“Oh, certo che lo capisci. Justin Edgecombe mi ha detto tutto. Progettavi di andare al parco giochi nell’ora di Italiano, e suppongo che ci sei anche stato!” Esclamò la preside.
“Le giuro, signora maestra, non l’avrei mai fatto!” Urlai sulla difensiva.
“Riddle, ti ho sempre creduto uno studente modello ma, in fondo, non è tutto oro ciò che luccica!” Concluse lei, avvicinandosi pericolosamente al cassetto della sua scrivania di legno di quercia. Io iniziai a tremare. Sapevo quello che voleva fare. Infatti, poco dopo si voltò e aveva il frustino da cavallo in mano.
“Riddle, girati!” Ordinò lei minacciosa. Io non obbiettai. Mi girai e sentii un colpo tremendo alla schiena. Ed era solamente il primo. Ne partirono altri cinque o sei prima che mi lasciasse in pace. Ed io non urlai, non feci nessuna smorfia di dolore, non mi accasciai a terra implorando pietà: rimasi dritto e con lo sguardo fiero. Ne andava della mia dignità, in fondo. Quando mi fece uscire, mi seguì anche Justin:
”Tom, senti, non volevo…” Iniziò lui. Io mi girai, ed un istante dopo era diventato un maiale. Ghignai, profondamente divertito. Da allora, iniziai a cercare vendetta.

Sento il mio cuore alleggerirsi un po’: allora confidarsi con qualcuno fa veramente bene!
“Mmmh… Tom, hai sbagliato a vendicarti, lo sai?” Mi fa notare Rudolph.
“Sì, e me ne pento. Ma questo è il meno: a sedici anni ho fatto una cosa terribile…” Rispondo io.
Era notte. Forse quella sarebbe stata la notte buona. Da quando avevo scoperto di essere un Rettilofono, nonché diretto discendente di Salazar Serpeverde, avevo iniziato ad aizzare un basilisco contro i Mezzosangue, cioè quelli che avevano sangue non mago nelle vene. Purtroppo, nessuno lo aveva guardato negli occhi, così nessuno era morto. Ma quella sarebbe stata senz’altro la vota buona. Entrai nel bagno delle ragazze, e, all’improvviso, sentii piangere e singhiozzare una ragazza:
“Non è giusto! Perché mi prendono tutti in giro per gli occhiali?” Gemeva disperatamente fra una lacrima e l’altra. Era senz’altro Mirtilla Reder, detta Malcontenta perché piangeva due giorni sì ed uno no. Una studentessa Tassorosso, odiosa Primina e sporca Mezzosangue: meglio di così? Ghignai e, parlando Serpentese, chiamai a me il basilisco ed ordinai a lui di uccidere la ragazzina. All’improvviso, vidi la porta del cubicolo aprirsi di scatto: capelli nerissimi e dritti come spaghetti, occhi castani gonfi incorniciati da occhiali rettangolari, fisico magrolino e costellato di brufoli; descrizione perfetta di Mirtilla.
“Senti, tu, sparisci, è il bagno delle ragazze!” Strillò lei. Ma, prima che potesse aggiungere qualcos’altro, il basilisco le fu davanti. Lei gli osservò gli spietati occhi gialli, e cadde al suolo, morta. E quello che era peggio, incolpai Hagrid Rubeus, uno del terzo anno, che fu espulso a causa della mia bugia. Tuttavia non me ne pentii, anzi: per coprirmi ero disposto a sacrificare altra gente.

“E ti senti ora in colpa?” Mi chiede Rudolph gentilmente, anche se il suo tono di voce così pacato mi incute abbatanza timore. Da tanto non ho paura.
“Sì, ero io quello che doveva essere espulso, non lui. Ma non è finita!” Rispondo io chinando il capo come un bimbo spaurito, anche se ho più di sessant’anni.
“Come, non è finita?” Mi domanda lui stupefatto. Forse è vero che non ho pietà.
“No, le voglio raccontare uno dei peggiori crimini che abbia mai commesso. Tutto iniziò la sera del 31 Ottobre.” Inizio io. Il solo pensiero dell’omicidio che ho commesso diciassette anni ad oggi mi fa impazzire dai sensi di colpa.
E così, è giunto chi mi può sconfiggere! Ma non scherziamo, io, sconfitto? Erano quelli i miei pensieri mentre mi dirigevo a Goldrick’s Hollow, una villa di campagna. Le luci delle finestre erano illuminate, e, alla finestra del piano terra, c’era un uomo visibilmente preoccupato. Per fortuna avevo un incantesimo dell’invisibilità. Mi avvicinai alla porta e mormorai:
“Alohmora” Questa si aprì senza nessun cigolio. Feci il controincantesimo alla mia magia stessa e ritornai visibile. L’uomo, James Potter, mi notò ed urlò:
”Lily, prendi Harry e scappa! È lui, scappa! Corri, io cercherò di trattenerlo!”
Una donna con i capelli rossi corse verso il piano superiore con un bimbo in braccio. Il mio obbiettivo. La ragione perché ero lì. Osservai il padre, che mi chiese, praticamente furioso:
”Perché vuoi mio figlio? Prendi me se vuoi, ma non Harry!” Io risi.
“Perché voglio tuo figlio? La conosci anche tu, vero, la storia della profezia? Ebbene, tuo figlio è, diciamo, il protagonista di questa profezia. Io non voglio morire, quindi sono costretto ad ucciderlo.” Spiegai io molto gentilmente.
“Prima dovrai passare sul mio cadavere!” Urlò lui. Apprezzai quel suo coraggio.
“Apprezzo il tuo coraggio, ma non servirà a salvarti la pelle! Avada Kedavra!” Strillai io. Un lampo di luce verde scaturì dalla mia bacchetta, ma Potter lo schivò. Ne evitò altri quattro, fino a che non lo centrai in pieno petto. Niente smorfie di dolore, niente di niente. Si accasciò al suolo con gli occhi spalancati, morto. Ghignai a quella vista, calpestai con piacere il suo corpo inerte e salii lentamente le scale. In fondo, che fretta c’era? Spalancai tutte le porte fino a che non trovai Lily Potter con il figlio in camera da letto. Il bimbo, appena mi vide, si accucciò dietro alla mamma con passo goffo. Lei gli sorrise amorevolmente e mi scrutò, spaventata.
“Prendi me! Uccidi me, se vuoi, ma non Harry!” Mi supplicò Lily.
“No, è tuo figlio che mi serve. Te l’ho detto, spostati, non ho bisogno di uccidere anche te!” Le ordinai. Io avevo sempre avuto un’adorazione per quella ragazza.
“Come anche te? Oh mio Dio, hai ammazzato James!” Strillò lei, scoppiando a piangere. Harry, il bimbo, le si avvicinò e le chiese:
”Mama, coda c’è?” Lei si asciugò gli occhi, gli rivolse un sorriso fatto di falsa gentilezza e gli spettinò i capelli.
“Niente, piccolo.” Lo tranquillizzò Lily.
“Perché James? Perché Harry? Perché noi?” Chiese convulsamente la donna.
“Lo sai già, non mi far ripetere la solita solfa. Levati di mezzo, ora!” Ripetei io.
“Mai, dovrai uccidere prima me!” Urlò Lily, mettendosi davanti al figlio.
“L’hai voluto te. AVADA KEDAVRA!” Il solito lampo di luce verde colpì la donna in pieno stomaco e cadde a terra, morta. Con la mia perfidia, lasciai un po’ di tempo al bimbo per capire quanto era successo. Si avvicinò alla madre e le spintonò il braccio, mormorando:
”Mama, dai! No dommie!” Quando capì tutto, alcune lacrime silenziose gli solcarono il volto paffuto. Si girò verso di me e mi squadrò con puro terrore. Risi compiaciuto a quella vista e alzai la bacchetta, mirando in fronte.
Urlai: “Avada Kedavra!” Il solito lampo di luce verde partì dalla mia bacchetta, ma l’effetto fu imprevisto: il bimbo respinse la mia maledizione, che mi si ritorse contro.
Sentii gli strilli convulsi del neonato, poi il mio dolore. Ora sapevo che significava morire. La morte è solo il principio. Tuttavia, non seppi come mai, non morii. Ero in uno stato fra la vita e la morte, ero ridotto come il più misero dei vermi, il fantasma più indegno al mondo. Non mi rimase altra scelta se non scappare.

“Hai ammazzato tutta questa gente?” Mi domanda Rudolph sorpreso.
“Sì, e non è finita… il crimine più grande l’ho commesso pochi giorni fa…” E mi lancio in un dettagliato racconto che risale a più di pochi giorni fa, due circa.
Potter era di fronte a me. Dovetti riconoscere che era diventato un bel ragazzo: i capelli nerissimi gli coprivano la cicatrice che io stesso gli avevo fatto, gli occhi verdi non erano spauriti, ma furiosi e molto più maturi. Accanto a lui, una ragazza riccia ed un ragazzo con i capelli rossi. Loro tre formavano il Dream Team, il Magnifico Trio o qualcos’altro. Erano così amici che erano venuti ad affrontarmi insieme.
“Voldemort, hai finito di far soffrire la gente!” Mi urlò Potter intimidatorio. Io scoprii il mio solito ghigno beffardo e gli rispondo:
”No, questo è il tuo ultimo giorno di vita, Potter. Piuttosto, puoi unirti a me e ti sarà risparmiata la vita. Stessa proposta di sette anni fa.”
“Piuttosto la morte!” Ribatté lui disgustato. Io conclusi:
”Che morte sia. Lucius, Bella, occupatevi degli amichetti di Potter. A lui ci penso io.” Ordino. Da dietro, vengono catturati gli amichetti e, sotto lo sguardo mio divertito e le urla di Potter, vengono portati via.
“Bene, che la battaglia abbia inizio. Se vinco io, mi tengo Ron ed Hermione. Se vinci tu, avrai me.” Decise il ragazzo. Io annuii. Patto ragionevole, perché poi mi sarei senz’altro tenuto tutti se avessi vinto, cosa probabile. Iniziammo a duellarci: le cose che aveva imparato il ragazzo erano molte, era diventato più agile, più… maturo.
“Crucio!” Urlai io, centrandolo. Lui non si sdraiò a terra, anzi, rimase dritto e fiero, anche se la sua espressione tradiva il profondo dolore che provava in quel momento. Mi sembrò un po’ me ad otto anni. Sorrisi ed incrementai la forza della maledizione. Niente da fare, non riuscivo a farlo inchinare. Alla fine smisi ed osservai la sua espressione: non osò sdraiarsi a terra e si vedeva lontano un miglio che lottava per non svenire.
“Vedo che sei migliorato, Potter, ma non portai raggiungere la perfezione!” Lo elogiai io. Lui per tutta risposta sorrise, sventolò la bacchetta e nella mano sinistra comparve una spada, quella di Godric Grifondoro.
“Iniziamo a giocare pesante, allora!” Esclamai io, ed, effettuando il suo stesso movimento, feci comparire una spada nella mia mano. Iniziammo a prenderci a colpi di spade. Lo mancai più volte fino a quando non gli perforai il braccio in cui impugnava la spada. Si accasciò a terra, ma poi si rialzò. Era decisamente svantaggiato in quello stato. Il sangue affluiva abbondante dalla ferita, tuttavia il ragazzo non dava segni di cedimento. Anzi, era forse proprio quella ferita a convincerlo che i suoi propositi erano più che giusti. Povero pazzo.
“Vedi… a differenza… di te… io… tengo… alta… la guardia!” Ansimò Potter, tagliandomi lungo il fianco sinistro, all’altezza delle costole.
“Povero illuso, ti ricordo che ho bevuto il sangue d’unicorno!” Esclamai io e la ferita si rimarginò. Il ragazzo apparve profondamente stupito. Forse iniziavo a demoralizzarlo.
“Senza ombra di dubbio, i tuoi amici saranno morti da un pezzo!” Constatai io.
“Almeno… sono… morti… combattendo…” Ansimò lui.
“Però hanno seguito te. È tutta colpa tua.” Continuai io mellifluo.
“Hanno… insistito… loro… io… non… ho… fatto… niente.” Si giustificò deciso Potter. Approfittando della sua distrazione, lo colpii all’altezza dell’anca. Cadde a terra, ma non gli morirono le parole in bocca:
”Meglio… morire… come… un eroe… che vincere… come… una formica…” Ansimò. Era oramai in fin di vita, aveva perso troppo sangue.
“Lo sai che faccio? Ti lascio morire qui, insieme al sangue e all’erba. Rivedrai i tuoi, Potter.” Decisi io. Lo lasciai lì, da solo. È da lì che iniziai a pentirmi dei miei gesti.

“Dimmi… perché hai fatto così?” Mi domanda gentilmente. Io sussulto: tutto qui? Pensavo che mi avrebbe aggredito.
“Perché… non lo so… forse perché… sfogavo la mia rabbia sugli altri.” Constatai io. Rudolph sorrise e, all’improvviso, mi sentii rinascere: avevo capito perché ero stato malvagio. Anche il mio corpo sta cambiando, trasformandosi in quello di un diciassettenne: a diciassette anni intrapresi il mio viaggio per studiare le Arti Oscure. Finalmente la mia vita sta iniziando a prendere colori.
“Mi perdoni?” Chiesi io semplicemente.
“Certo, e, se vuoi sapere di più… aspetta lo scoccare dell’ora!” Mi suggerì Rudolph con un suo sorriso smagliante. Osservo l’orologio… mancano cinque minuti. Un minuto… cinquanta secondi… trentacinque… venti… dieci… nove… otto… sette… sei… cinque… quattro… tre… due… uno… rivolgo il mio sguardo al parroco. Solo che, e qui rischio di cadere dallo sgabello, non c’è più nessun parroco: un diciassettenne è di fronte a me, i capelli neri, gli occhi verdi, una cicatrice sulla fronte, i vestiti stracciati… Harry Potter mi ha salvato.
“C-c-c-c-come hai fatto?” Domando io. “Vedi, ammetto che tutt’ora sono una mummia ambulante – e qui mi indica il braccio destro fasciato e una fasciatura all’altezza dell’anca – ma ho voluto provare. Come pensavo io, tu hai dei sentimenti.” Mi risponde sorridendo.
“E i tuoi amici…” Inizio io, ma lui mi zittisce con un gesto della mano: due ragazzi sono arrivati dietro di lui, sorridendomi.
“Grazie!” Lo ringrazio io.
“Oh, io non ho fatto niente! Ti ho solamente indicato la via, tu hai fatto un esame di coscienza da solo!” Mi spiega cordialmente. Sta per nascere un nuovo giorno, in cui Tom Riddle cambia radicalmente. E chi l’avrebbe mai detto che i nemici sono persone incapaci di capirti? A volte sono quelli che ti conoscono nell’intimo.

§THE END§
  
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