Punti di vista
Qualcuno avrebbe potuto dire che, nonostante ne
avesse viste davvero di tutti i colori, Remus a ventidue anni era ancora capace
di sorridere.
Era vero. Obbiettivamente
vero.
Remus aveva sorriso ancora dopo aver capito cosa volesse
dire essere un lupo mannaro. Aveva sorriso ancora dopo aver compreso davvero le
parole di vigliacco odio che la gente
gli aveva sputato addosso. Aveva continuato a sorridere dopo ogni notte di luna
piena trascorsa nella Stamberga Strillante; dopo ogni sguardo timoroso,
scettico, indifferente o disgustato che gli era stato rivolto.
Ed ogni suo eroico
sorriso, alla fine, era stato ripagato dalla presenza di persone uniche, che
avevano reso meno sola la sua esistenza.
Remus non aveva smesso di sorridere mai agli occhi
della gente, neanche quando era tornato ad essere solo, quando quelle persone
lo avevano – involontariamente o meno – abbandonato; eppure lui sapeva che
quella era una semplice questione di punti di vista.
I pochi conoscenti che aveva a ventidue anni – forse
perché si sentivano in dovere di dire qualcosa, forse semplicemente per dare
fiato alla bocca – erano soliti riservare parole di compassione di consolazione per quel povero ragazzo
dalla vita tanto travagliata e Remus aveva l’impressione che puntualmente ogni loro atto di carità
finisse con la stessa frase.
«Almeno
tu sei ancora vivo»
Ed era a quel punto che al mannaro scappava un sorriso
e il buon samaritano di turno,
soddisfatto del successo, se ne andava per la propria strada.
Nessuno
era stato capace di capire davvero quel sorriso.
Nessuno
aveva colto fra le sue pieghe l’ironia che emanava, il dolore che gridava.
Avevano ragione. Obiettivamente
ragione.
Remus sorrideva ed era ancora vivo.
Eppure questa convinzione, se analizzata in ogni sua
sfaccettatura, si sgretolava con la stessa velocità di un castello di sabbia
bagnato dalle onde del mare.
La verità che nessuno aveva colto – o forse che a
nessuno faceva comodo cogliere – era che era spento quel sorriso, spenta quella
vita, che nulla aveva più senso.
Quanta poteva essere la differenza, allora, tra il
vivere in quel modo e l’essere morto?
Per molti sarebbe potuta sembrare tanta, essenziale.
Punti di vista,
si era detto Remus.
Per lui la
differenza era sottile come un filo di spago sul punto di spezzarsi.
Remus era nato
con i Malandrini, uscendo fuori da uno strano limbo fatto di fumo e dolore
grazie alla loro parole cortesi e ai loro sorrisi.
Remus era cresciuto
con i Malandrini, in quella quotidianità che mai avrebbe sperato di vivere
e che si era istaurata fra loro come una brezza sottile e calda.
Remus era maturato
con i Malandrini, nel momento in cui aveva scoperto che non tutte le
persone la pensano allo stesso modo e che non tutti gli sguardi che si posavano
su di lui una volta scoperto il suo segreto erano di odio o di disgusto:
esistevano anche sguardi preoccupati, sguardi che parevano dire “non cambia nulla”, “restiamo con te”, “sei la
stessa persona con cui parliamo di giorno”.
Remus era morto
con i Malandrini, la notte di Halloween del 1981, tra le grida di dolore, le
lacrime di paura, le grida di tradimento.
Eppure continuava a vivere; il cuore a battere, a
pulsare sangue nelle vene; i polmoni ad immagazzinare aria per un corpo che
continuava solo per inerzia.
Semplicemente
per punti di vista.
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Se vi state chiedendo
da dove diavolo sia uscita questa flash mancata (550 parole), beh non ne ho la
più pallida idea. La colpa è di Morea – a cui è
dedicata questa cosa – che con la sua
“The Cold Mirror” (che consiglio) mi ha messo la
voglia di scrivere su Remus… e dalla mia folgorazione è uscita questa roba che
sarà scontata, banale e strausata, ma perdonatemi: non ho resistito all’impulso
di scriverla e all’idea di pubblicarla.
Bene. Detto ciò credo
sia arrivato il momento di eclissarmi (seguita da un lancio di ortaggi e – dato
il periodo – palline di natale).
Ringrazio in anticipo
chi leggerà, recensirà, preferirà o ricorderà.
Alla prossima, un bacio…
Alchimista ♥