Viola va veloce
di Kima
Viola, diciassette
anni, nessun segno particolare. Così lei si sente. Una tra tante.
Un topo tra i cigni, o era l’anatroccolo?! Non importa poi
molto perché Viola non è nulla, non ha nulla, neppure per se
stessa. E mentre passa veloce tra gente, a testa bassa, nessuna
mano si alza per un saluto, nessuna voce dice: "Ciao Viola!"
o "Come va Viola? " Lei sembra correre tra la gente, il
suo passo è veloce, si insinua nei piccoli vuoti tra un
capannello e l’altro e non guarda in giro. Guarda solo
avanti per non incappare in qualcuno, il suo sguardo si limita ai
piedi, non arriva ai volti. Non vuole arrivare agli occhi.
Invisibile. Lei sogna ogni giorno di esserlo, invisibile come l’aria.
E si impegna per esserlo, per passare totalmente inosservata. Per
tutti è solo tappezzeria, la sua presenza è un aspetto del
tutto secondario. E sua madre è troppo impegnata a cercarle un
padre per accorgersi che non ne ha più bisogno. Lei non ha
bisogno di niente. Le basta un posto dove rintanarsi, in
silenzio, dimenticata. Solo un visitatore a lei caro. Egli che si
affaccia nella piccola fessura che Viola gli ha permesso di
aprire. Le racconta il mondo che lei non vede, a cui sfugge e che
le sfugge. E anche, ora, tra la gente lui è il pensiero fisso.
Lui partirà e lei lo sa. Eppure lei non si dispera. Nulla in
superficie. Si sente triste, grigia, ancora più spenta. Ma il
visitatore degli occhi grigi non lo saprà. Lei non vuole che lui
rinunci. Lui ne ha l'opportunità, deve andare. Se avesse più
coraggio forse lo seguirebbe. Glielo chiederebbe, forse. Ma il
suo guscio non può lasciarlo. E’ il mondo, per quanto
sterile, che si è creata. La gente in giro è tanta, troppa.
Viola si sente strisciare qualche sguardo addosso. Trema e tira
sul colletto del capotto neri, le mani incrociate, piegata
lievemente in avanti. È felice che sua madre si sia arresa sul
farle tagliare i capelli. Lunghi e mossi ai lati del viso a
difenderla dal resto, sbarre che pettina con cura. Neri da sempre.
A coppia con le iridi basse, si potrebbe pensare che il cielo non
ci si sia mai specchiato. E la pelle così chiara e sottile da
farle meritare l’appellativo di vampira. Così si è sentita
chiamare stamattina, a scuola, nei bagni. "Quella tipa fa
proprio venire i brividi!" "Ma chi, la vampira?"
"Certo! Sta sempre zitta e ha quell’aria lugubre…"
Viola era uscita proprio allora e nel solito silenzio era tornata
in classe, perché lei va veloce e non pesa le parole. Però
Viola non capisce…più tenta di essere invisibile più tutti
si sforzano di capire. Come se avesse qualcosa da nascondere.
Come se fosse così difficile comprendere che lei vuole solo
andare veloce. Veloce alla fine.
Esce dalle strade più frenetiche, si infila nel suo portone, sul
per le scale con passo leggero, leggero come l’impronta che
vuole lasciare nei ricordi altrui. Ora è in camera sua e
finalmente si rilassa. Sua madre non c’è, le ha lasciato un
biglietto sul tavolo, come sempre. Nella penombra respira calma.
Respira la musica che si diffonde discreta tra le pareti. Nella
penombra che non la mette di fronte ai sui limiti. Si rannicchia
in un angolo, tra il letto e l’armadio la testa in avanti e
il peso del nulla. Pensa a quello che avrebbe da perdere e a lui
che non saprà quello che dovrebbe dirgli. Il suo affetto per l’angelo
custode. L’angelo della forza e del sogno. E subito la penna
sibila sul foglio, guidata dalla sua mano presa da un raptus
inspiegabile. E mentre il suo cuore si apre, si scioglie nella
sua voce che sussurrando canta, gli occhi si alzano a cercare
qualcosa che ancora non trova...