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Autore: crazyhorse    24/12/2010    2 recensioni
Quando Luce varcò la soglia di quel grande centro commerciale di Dallas, mano nella mano con Jay, fù pervasa da una sensazione di pace e tranquillità così forti da scaldarle il cuore.
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Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL PRIMO NATALE INSIEME Quando Luce varcò la soglia di quel grande centro commerciale di Dallas, mano nella mano con Jay, fù pervasa da una sensazione di pace e tranquillità così forti da scaldarle il cuore. Essere circondata da così tante famiglie felici e sorridenti alla ricerca degli ultimi regali fece scomparire come per magia quel senso di oppressione che da troppo tempo le pesava sul cuore.
Era la Vigilia di Natale. Il primo che lei e Jay avrebbero passato insieme.
Si erano conosciuti quattro anni prima a Roma in occasione di un congresso nel corso del quale lei avrebbe dovuto ricevere un premio per la sua ricerca sull’uso delle cellule staminali nel trattamento delle lesione ai tendini nei cavalli sportivi. Suo marito non aveva gradito il fatto che lei avrebbe dovuto passare due intere giornate così lontano, ma lei non avrebbe rinunciato per niente al mondo a ricevere direttamente nelle proprie mani il premio per quel lavoro che le era costato sacrifici, fatica e tempo per tre lunghissimi anni (oltre al fatto che con suo marito erano mesi che le cose proprio non andavano). La sua presentazione andò benissimo, tuttavia Camilla, il suo capo, l’aveva praticamente costretta a presenziare anche al party alla fine del congresso per cercare raggranellare qualche fondo in più per l’anno successivo. Detestava quella parte del suo lavoro, era decisamente più a suo agio fra centrifughe, spettrometri ed incubatrici, ma Camilla era pur sempre il suo capo. Quella sera Luce era incantata davanti ad un enorme finestrone e si stava godendo il panorama mozzafiato di Roma di notte tutta illuminata con il Colosseo che sembrava il puntale luminoso in cima ad un gigantesco albero di Natale. Le sarebbe piaciuto passeggiare per le strade di quella meravigliosa città, immersa nella Dolce Vita. D’un tratto sentì la voce di un uomo che, con uno spiccato accento americano, la stava chiamando:
-Dottoressa Maria Luce Medici?-
“Ok, ora sistemo questo scocciatore poi me ne trono in albergo! Che Camilla e le sue pubbliche relazioni vadano pure al diavolo” pensò lei mentre si voltava verso quella voce. Rimase di sasso quando si rese conto di avere di fronte la più grossa autorità mondiale nel campo delle ricerche sulle cellule staminali.
-Jay Reynolds- si presentò lui.
Luce non mosse un singolo muscolo del suo corpo pietrificato dall’emozione, e quasi si sentì svenire quando lui continuò:
-I’m a big fan of your work!-
Il primo pensiero che attraversò la mente di Luce nell’udire quelle parole fù: “Oddio Jay Reynolds è un fan del mio lavoro; il più giovane presidente mai eletto della Società Americana per la ricerca sulle cellule staminali ammira il mio lavoro! Accidenti oltre ad essere un genio è anche uno schianto! Ecco, ora posso morire in pace”
Così cominciò una conversazione che durò tutta la notte, o almeno fino a quando il cameriere non li invitò gentilmente ad uscire perché stavano chiudendo il locale. Parlarono di tutto, oltre che di lavoro, della loro vita e dei loro gusti. Quella serata fù, per Luce, come una boccata d’aria fresca, Jay fù come puro ossigeno per i suoi polmoni oppressi da una vita monotona sempre uguale a se stessa. Un mese dopo arrivò l’invito di Jay a fare uno stage di un mese presso i suoi laboratori a Dallas. Lei accettò senza pensarci due volte, anche perché con suo marito le cose andavano sempre peggio. Il mese, però, diventò due mesi. I due mesi diventarono quattro. E poi arrivò il divorzio. Ormai non aveva più senso stare insieme: lei semplicemente aveva smesso di amarlo, e suo marito anche, nonostante non l’avrebbe mai ammesso. “Almeno non avete figli”. Quella frase le fù ripetuta da tutti: parenti, genitori, amici. Odiava quella frase! Come se l’assenza di figli potesse automaticamente cancellare tutto il dolore, quasi fisico, ed i sensi di colpa e di vergogna che la opprimevano come una camicia di forza. Alla fine arrivò anche il divorzio di Jay. Ormai  era chiaro che nessuno dei due poteva vivere lontano dall’altro. Avevano cominciato scoprendo di lavorare in perfetta sintonia, come se i pensieri dell’uno si traducessero istantaneamente nelle azioni dell’altro, senza bisogno di parole. Poi questa sintonia divenne simpatia ed infine amore. Passavano più tempo possibile insieme, specialmente in laboratorio. Quando c’erano delle colture cellulari da incubare ed analizzare, facevano in modo di mandare a casa prima dell’orario di chiusura dottorandi e ricercatori e rimanevano loro a fare quei semplici lavori solo per godere in pace della reciproca presenza. La prima volta che fecero l’amore fù proprio in laboratorio. La gioia e la soddisfazione per aver riprodotto artificialmente un perfetto tessuto fibroso  animale vivo e vitale fù così incontenibile che non riuscirono a non buttarsi l’uno nelle braccia dell’altra per fare l’amore tutta la notte. Ormai erano diventati inseparabili. Ed il problema fu proprio questo. I rispettivi divorzi, gli impegni di lavoro di Jay, i continui viaggi in Italia di Luce succhiarono tutte le loro forze per i tre anni successivi. Ogni separazione li svuotava; ogni volta si sentivano come involucri vuoti ed inutili.
Luce era devastata, fisicamente ed emotivamente, quando quell’anno, finalmente, quattro giorni prima di Natale arrivò la sentenza definitiva del suo divorzio.
Non ebbe neanche le forze di passare due giorni con i suoi genitori: l’unica cosa che voleva era riabbracciare prima possibile Jay. Giusto il tempo di fare le valigie e prenotare il primo volo disponibile (anche se voleva dire volare da Roma a Dallas facendo scalo prima a Francoforte poi a Stoccolma) ed era già seduta al suo posto vicino al finestrino diretta negli Stati Uniti.
Dopo 12 lunghissime ore di volo era frastornata e distrutta, ma contenta di essere con Jay. In quel momento si trovavano nel reparto di abbigliamento da uomo e stavano scegliendo una cravatta da regalare al padre di Jay quella stessa sera. Per radio stava passando la canzone “Santa Claus is comin’ to town”(1). Luce non seppe se per colpa della stanchezza o di quell’improvviso senso di liberazione o del fatto che aveva passato le ultime dodici ore confinata in un piccolissimo sedile di aeroplano, ma inaspettatamente la musica allegra di quella canzone le impartì un’esigenza quasi fisica: ballare. E ballare fù proprio quello che fece. Cominciò a muoversi sempre più a ritmo della musica fino a che non si ritrovò al centro del reparto uomo mentre tutti la guardavano che ballava a ritmo di quella vecchia canzone. La sua allegria e l’atmosfera natalizia contagiarono anche altri clienti , primo fra tutti Jay; i bambini si buttarono insieme a loro dimenandosi come pazzi senza riuscire a smettere di ridere, e dopo un po’ anche i genitori raggiunsero i figli trasformando il centro commerciale in una pista da ballo.
Quando la canzone terminò, Jay e Luce si abbracciarono, sfiniti dalle risate ma con il cuore più leggero e felici di passare il Natale insieme…per la prima volta.

(1)    Versione originale di J. Fred Coots, Henry Gillespie, 1934
  
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