La colonna avanzava a passo lento, con circospezione, in attesa dell’avvistamento dei nemici. Si era alzato un forte vento che batteva insistentemente, facendo ondeggiare ed increspare le vesti di quell’armata mista, umana e divina; sui volti degli uomini si leggeva la tensione causata dall’attesa, dalla perpetua imminenza del pericolo, che a lungo andare logora chiunque.
Freyr rendeva più vario, con lo scorrere del carro, il monotono rumore di calpestio del terreno causato da tutti gli altri. Tutti assieme, uomini e dèi sembravano un’unica, grandissima orchestra che eseguiva una sinfonia fatta di stivali, lame e sassi urtati durante la marcia. Odino, massimamente saggio e onnisciente, sapeva cosa stesse per succedere, ma nemmeno le divinità sono infallibili; anche la consapevolezza di ciò rendeva quel dio tanto saggio.
Thorgrim accarezzava la sua Göta, la stessa spada che aveva usato, solo pochi giorni prima, per tentare di uccidersi. Beato ferro… non riguardano te le preoccupazioni degli uomini; non ti preoccupano le carestie, le guerre, le sofferenze d’amore o i tormenti della malattia. Sei inanimato, insensibile, quindi invincibile, perché se anche venissi distrutto materialmente non lo potresti essere nell’animo, essendone privo. Condivise queste riflessioni con Thor, che camminava, al fianco di Sif, proprio dinanzi a lui. Il dio gli rispose che sì, aveva ragione dicendo che una spada non soffre come un uomo, ma che, oltre a questo, una spada non può gioire di nulla, mentre un uomo può farlo. Sif, sorridendo, si chiedeva come facesse il marito a sapere cosa provassero gli esseri umani, ma evitò di manifestare tale pensiero. In fondo, si disse, forse la sensibilità è qualcosa di trasversale, umano e divino, proprio degli esseri più intelligenti ed elevati; se fosse stato proprio così, un dio non avrebbe avuto problemi ad immedesimarsi in un uomo.
Le riflessioni di tutti vennero bruscamente interrotte dal suono greve del corno di una vedetta, che annunciava così l’avvistamento dei nemici. Le sagome dei giganti e dei nani, tanto sproporzionate tra loro, apparivano come un grottesco accostamento di colori non abbinabili tra loro; all’armonia del concerto umano-divino si opponeva la dissonanza di quelle creature, pure antropomorfe. Furono loro a caricare per prime, selvagge nei modi e nei pensieri. Un intenso fragore di ferri colmò l’altrimenti silenziosa distesa, mentre i primi caduti tingevano il suolo di sangue. Uomini e dèi, sia pure dotati di forza ben diversa tra loro, erano accomunati dal valore con cui combattevano; anche Thorgrim, ormai, aveva vinto quella paura che gli era costata la sfiducia dei suoi uomini prima, l’ammutinamento degli stessi dopo.
Lo scontro si perpetuò per un tempo imprecisato, mentre sia l’una che l’altra parte avvertivano il logoramento portato da quello sforzo prolungato. Alla fine i nani e giganti superstiti batterono in ritirata, sperando di potersi poi riorganizzare per un contrattacco.
Sul campo rimase, tra gli altri, un gigante che, ancora morente, fu avvicinato da Freyr e Thor.
- Hai qualcosa da dire, prima di essere inghiottito per sempre dall’oscurità? – gli chiese Freyr.
- Certamente. Voi forse avete vinto questo scontro, ma…
- Ma? – lo incalzò Thor.
- Miðgarðr non è solo l’Islanda. Non avrete pace: ci rivedrete nella terra d’origine di questi uomini!
Mentre il gigante moriva con un sorriso malevolo stampato in volto, i due dèi si guardarono l’un l’altro, consapevoli che il prossimo scontro sarebbe avvenuto in Scandinavia.