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Autore: crissi    27/12/2010    22 recensioni
La notte del tradimento. Il generale vuole punire la figlia ribelle con le sue stesse mani. Ma Andrè prende in mano il suo destino, cogliendo l’occasione, e la storia cambia. Nel bene, nel male, da questo momento dell’anime, che sfrutto come punto di partenza, cambia tutto; cambiano anche quei fatti che avrei voluto lasciare, perché basilari, anche per quei personaggi che sarebbero stati bene dove stavano, ma che non volevo perdere per strada.
Ho pensato alla frase conclusiva di Alain nell’anime: Oscar ed Andrè erano stati felici perché non avevano visto gli orrori della rivoluzione. Quindi, se non fossero morti, come avrebbero affrontato quegli orrori?
Nuovi luoghi, nuovi personaggi, un nuovo destino. Perché il destino è anche il risultato delle scelte compiute e Andrè ed Oscar hanno scelto diversamente. CON "FAN ART"
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: * Victor Clemente Girodelle, Alain de Soisson, André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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IL MIO DOVERE cap. 1
 

IL MIO DOVERE
La notte del tradimento. Il generale vuole punire la figlia ribelle con le sue stesse mani. Ma Andrè prende in mano il suo destino, cogliendo l’occasione, e la storia cambia. Nel bene, nel male, da questo momento dell’anime, che sfrutto come punto di partenza, cambia tutto; cambiano anche quei fatti che avrei voluto lasciare, perché basilari, anche per quei personaggi che sarebbero stati bene dove stavano, ma che non volevo perdere per strada.
Ho pensato alla frase conclusiva di Alain nell’anime: Oscar ed Andrè erano stati felici perché non avevano visto gli orrori della rivoluzione. Quindi, se non fossero morti, come avrebbero affrontato quegli orrori?
Nuovi luoghi, nuovi personaggi, un nuovo destino. Perché il destino è anche il risultato delle scelte compiute e Andrè ed Oscar hanno scelto diversamente.


Capitolo 1


 “..ora andrò via insieme ad Oscar”
“ E magari vorresti sposarla…”
“ Si!”
“Pazzi! la differenza non si cancellerebbe mai!”

Poche battute veloci, impensabili fino ad un attimo prima, tra loro.
- Non posso perdonarvi. – Fu la conclusione del Generale.
- Me ne dispiaccio, ma rimarrà un problema solo vostro, signore! – Fu la risposta che Andrè sentiva lui meritasse.
Nessuna replica. Non se l’aspettava. La sua rabbia era evidente.

- Andrè, io …
Fu quasi meno di un bisbiglio. L’energia, la decisione, anche l’arroganza, Andrè poteva dirlo, della Oscar che lui conosceva, trasformata in un soffio d’aria, debole come quello di un morente.
La prese per la manica e la tirò mentre arretrava con la pistola puntata su di lui.
“Spero tu sappia che non potrei mai sparargli!
Spero tu sappia che il mio è solo un bluff, imparato guardando Alain e gli altri giocare a carte ogni sera!
Spero tu sappia che, nel bene e nel male, è un padre anche per me!”

Non la prese per mano.
“Non voglio distrarmi al contatto con la tua pelle”.
Uscirono cautamente dalla porta, senza mai volgere le spalle a lui, il nemico.
Appena fuori, Andrè la spinse via e chiuse velocemente il battente.
Il generale si scagliò contro la porta e cercò d’aprirla,
“… sono più forte io, signore.”
Si sfilò velocemente la cinta e la usò per legare insieme le due maniglie.
Jarjaies gridava di aprire.
La nonna piangeva.
Lei era muta immobile. Completamente passiva.
- Mettiti abiti civili! – gridò Andrè al di sopra delle urla e delle spallate sul legno.
“Non te l’ ho chiesto: te l’ ho ordinato, senza nemmeno guardarti.”
Si inginocchiò davanti alla nonna, seduta sul pavimento, appoggiata alla parete. Le prese il viso tra le mani e cercò di calmarla.
- Ti prego! Ti prego, nonna … Ho bisogno di te! Non devi aprirgli almeno finché non ci saremo allontanati. Meglio domattina. Ti prego, lo farai per me? Lo farai per me, nonna?
Marron annuì singhiozzando.
Fuori, il temporale esplose come l’ira del generale.
Andrè corse nella sua camera. Senza rallentare scivolò, sulle ginocchia,  sul pavimento di marmo, fino ai piedi del cassettone. Sul pavimento troppo lucido, come quella sua vita da finto aristocratico in quella  casa.
“Hai mangiato il loro cibo, André! Hai bevuto il loro vino, ti sei innamorato di una di loro … E adesso? Adesso cominci a pagare! Prima o poi, doveva finire.”
Strappò con forza l’ultimo cassetto dalla sua sede, si infilò con il braccio, in fondo, e frugò in quel vano libero che restava tra il retro dei cassetti e la parete del mobile, dove le cameriere e la nonna di sicuro non arrivano.
I suoi risparmi. La loro sola possibilità.
La testa di Andrè correva veloce. Analizzava il più possibile le loro opzioni che non erano tante.
“Un aristocratico traditore ed un servo. Che fare? “
Prese una sacca dalla cassapanca. Ci infilò vestiti e tutto ciò che gli poteva servire.
Si tolse quasi strappandola l’uniforme e si cambiò.
Uscì dalla stanza con ancora la camicia aperta e si fiondò in quella di Oscar.
- …ma, come…? non ti sei ancora cambiata! – esclamò fuori di sé mentre il generale continuava a gridare.
Lei lo stava fissando, immobile,  appoggiata al suo piano.
“Non mi sono neanche sognato di chiederlo se vuoi fuggire … con me. ”
Si rese conto che prima, là dentro, le aveva indirettamente proposto di sposarlo. Anzi, aveva fatto qualcosa di orribile: l’aveva dato per scontato in una discussione tra uomini, come se lei non fosse parte in causa.
- Oscar, ti prego .. Ti giuro che ne parleremo. - mormorò - Ma non puoi restare qui. Nessuno di noi due può.
Lei annuì e cominciò a spogliarsi, piano da principio, poi sempre più velocemente.
“ …vado! “
Andrè corse per il corridoio con la sacca, giù per le scale, quasi volando.
Irrompendo in cucina trovò la nonna, ripresasi quel tanto che bastava, che stava preparando dei viveri per entrambi.
Trovò l’istante necessario per stamparle in fronte un energico bacio di ringraziamento e andò velocemente nella biblioteca, all’armadio delle armi.
“Prendo la chiave dal cassetto nascosto della scrivania di tuo padre. Questa casa non ha segreti per me! Due di tutto: fucile, pistola, pugnale. E munizioni.”
Uscì nell’atrio ed uno strano silenzio lo mise in allarme. Il sangue cominciò a picchiargli nelle tempie per la tensione.
 “Tuo padre non grida più! “
Mollò tutto li e si lanciò di nuovo su per le scale, con il cuore in gola.
La vide lì, davanti alla porta chiusa, con lo sguardo fisso.
“Sei tentata di aprirgli”, pensò allarmato. Ma poi udì la sua voce.
“Per questo lui non grida più: gli stai dicendo addio. Stai tornando in te.”

***

“ Non ti perdonerò mai, Oscar, mai! “ aveva detto e ripetuto quella sera.
Oscar sfiorò la porta dello studio con la mano. Esitante, poi la ritrasse, la serrò a pugno.
Gli occhi le si riempiono di lacrime e li chiuse, chinando il capo.
-    Padre …Perdonatemi per i dispiaceri che vi ho dato.
Il generale si zittì improvvisamente. Sorpreso di sentire quella figlia così caparbia, così simile a lui, chiedere scusa per qualcosa che, nonostante gli ultimi avvenimenti, sapeva non essere colpa sua.
Rimase sorpreso anche di sé, che bastasse quella frase per metterlo alle strette.
Si lasciò scivolare lungo la porta, fino al pavimento; e nel farlo percorse con la mente gli errori, i capricci, le prepotenze di una vita su di lei.
-    Non importa … - ammise a sé stesso – Vivi! vivi la tua vita Oscar, come il cuore ti suggerisce.
Anche quelle erano scuse.
-    Il mio cuore è con Andrè, padre. E’ con i miei soldati, con i miei amici… - disse piano la figlia.
Andrè le arrivò accanto silenzioso, riservato come sempre. Le raccolse la sacca e scesero senza altre parole.
Suo padre non gridava più.

Passando dalla cucina trovarono Nanny con una borsa di viveri pronta e tracimante.
Piangeva in silenzio.
Li abbracciò.
Prima Andrè, poi Oscar, poi tutti e due insieme.
Poi, sempre senza un fiato, li cacciò via.
Non c’era tempo per altre parole.

Il temporale si era trasformato in uno spaventoso acquazzone. Solo il tragitto per arrivare alle scuderie e già erano fradici.
Andrè la guardò prendersi la sella e preparare César.
Muta. Non una sola parola, non uno sguardo a lui. Gesti secchi, precisi, privi di qualsiasi emozione.
“Ma almeno, si sta muovendo!”, pensò l’uomo.
Caricarono anche delle coperte; e poi … via, senza guardarsi indietro, diretti a Parigi.

Andrè si stupiva di come la sua mente fosse organizzata, come se quella fosse una fuga programmata negli anni e non qualcosa di completamente improvvisato, obbligato da una catena di eventi.
“Ma, forse, è così …. “, pensò, “Forse sono anni che aspetto un’occasione come questa. L’occasione di fuggire via, ma non da lei: con lei! “


***

Era notte fonda quando arrivarono in città.
Fino a una decina di anni prima, ci sarebbe stato movimento anche a quell’ora tarda.
Feste, festicciole e festaioli, ma ormai, c’era ben poco da festeggiare in Francia, dopo un decennio di raccolti andati a male e debiti per guerre.
Andrè smontò da cavallo ed indirizzò Oscar in un vicolo vicino.
Le visite notturne a casa di un rivoluzionario non dovevano essere una rarità, ma meglio era farsi vedere il meno possibile.
Andrè si guardò intorno ed accertatosi di essere solo nella strada, si chinò a prendere del ghiaietto e lo lanciò ad una delle finestre di Bernard e Rosalie. Non era il caso di svegliare il quartiere chiamando o battendo ad un uscio.
Ci volle qualche tentativo.
Evidentemente, questo tipo di rivoluzionario non aveva il sonno molto leggero.
Finalmente Bernard s’affacciò alla finestra. Era chiaramente stato buttato giù dal letto. Andrè si fece riconoscere mettendosi sotto ad un lampione acceso, l’unico dell’intera via.
L’altro gli fece cenno “un  minuto” e poco dopo Andrè sentì armeggiare col catenaccio alla porta del pianterreno.
-    Ci serve un posto sicuro. Dobbiamo nascondere i cavalli e noi stessi. – gli disse piano.
Bernard non ebbe dubbi che il plurale fosse riferito ad Oscar.
Gli fece cenno di seguirlo fuori, lungo la via. Andrè fece lo stesso gesto ad Oscar.
Li condusse ad una stalla vuota lì vicino, un luogo sicuro, dove nascosero i cavalli da sguardi indiscreti. Sempre senza una parola, tornarono poi sui loro passi e si accomodarono da Bernard per parlare, finalmente.
Rosalie, capelli in disordine e sguardo assonnato, si era infilata una vestaglia e, lampada in mano, li aspettava in cima alle scale.
-    Che è successo? – domandò Bernard, ultimo ad entrare nel modesto appartamento.
-    E’ complicato … - esordì Andrè.
-    Allora sarà meglio se parti dal principio . – disse l’ex Cavaliere Nero con tono severo e si sedette, facendogli cenno di imitarlo.

Oscar, senza una parola, andò alla finestra, stando attenta di rimanere al riparo delle tende, fissando il buio più per addestramento al pericolo, ormai radicato in lei, che per il timore concreto di un nemico nell’ombra. Sapeva che i veri guai, sarebbero arrivati il mattino seguente.
Non un saluto, non un cenno, neppure a Rosalie, che continuava a fissarla preoccupata, con gli occhi che si inumidivano man mano che il racconto di Andrè proseguiva.
La sua testa era altrove, mentre Andrè riassumeva la loro situazione.

***

Lo guardava riflesso nel vetro della finestra; guardava lui, l’amico che credeva di conoscere da una vita; lui, l’uomo forte, coraggioso, generoso che era diventato mentre lei era … dove?
E, mentre Andrè spiegava, mentalmente rivide tutto quanto accaduto.

Lo studio di suo padre, la lama pronta a colpire, cancellando così la sua esistenza e con quella gli errori, veri o presunti, di entrambi i Jarjaies.
Andrè le si era piazzato davanti e le aveva fatto scudo.
Lei era riuscita a vedere sopra la sua spalla, l’espressione feroce di suo padre mentre lo sfidava come nessun servo e pochi nobili si sarebbero arrischiati.
Riusciva ancora a sentire la sua voce, indicibilmente calma, indicibilmente sicura. Spezzoni di discussione erano giunti alle sue orecchie, mentre lei si era sentita come su di una giostra.
Lui aveva detto che l’amava…
La voleva sposare?
Sì!…
“Pazzi! la differenza non si cancellerebbe mai!”
“Che significa?…”
“Non posso perdonarvi!…”

Poi l’aveva tirata per la manica, l’aveva spinta verso l’uscita.
Lei era riuscita a balbettare “Andrè, io …” sentendosi un’imbecille, ma non era riuscita a dire altro; non sapeva che dire, non ne aveva la forza.
Andrè aveva preso in mano la situazione e nessuno poteva fermarlo.
Le aveva ordinato cosa fare ed Oscar non si era neppure posta il dubbio se obbedirgli o meno. Ma, giunta nella sua camera, si era fermata accanto al piano. La luce era debole, però riusciva a vedere il suo riflesso nella cera nera, perfettamente lucida.
“Il riflesso di una fuggiasca!”
Per obbligo, certo, ma si era domandata se, sotto sotto, non avesse mai desiderato, anche inconsciamente, una situazione come quella. Dove non restavano che poche scelte, poche strade che normalmente mai avrebbe scelto di percorrere, per … paura.
Sì, paura! Di cambiare, di diventare qualcuno diverso da quel che era convinta di essere e di voler essere. Poche scelte, poche strade e lui che decideva per lei.

Quel “lui” si era affacciato alla porta, mezzo svestito, ed aveva gridato qualcosa che le era parso di non capire, frastornata com’era.
Ma il suo sguardo si era subito addolcito.
“Sei preoccupato per me... “
Aveva parlato.
“E come sempre hai ragione, Andrè …”
Così aveva annuito, cominciando a spogliarsi. Si era cambiata velocemente ed aveva riempito la sacca da viaggio senza la precisione da militare che normalmente caratterizzava ogni suo gesto.
Era uscita nel corridoio. Suo padre gridava ancora.
Per un attimo era stata tentata di aprire quella porta. Poi si era arresa a sé stessa, a quella verità che non poteva più essere ignorata. E aveva chiesto perdono. Perdono per il passato e per il futuro imminente.
Perché aveva deciso. Deciso di essere una persona diversa.

***

Ormai Rosalie era un fiume di lacrime: i Jarjaies rischiavano di perdere tutto per la presa di posizione di Oscar, che avrebbe pagato per prima.
-    Potete nascondervi nella stalla, per un paio di notti, ma poi dovrete andarvene, rifugiarvi nelle campagne. E’ troppo pericoloso restare a Parigi. Troppi soldati. - disse Bernard.
Improvvisamente, Oscar se ne uscì con una domanda.
-    Cosa facciamo con Alain e gli altri?
“Già vero. Noi siamo nei guai, ma loro, tra due giorni, saranno morti se non facciamo qualcosa.”
-    Tu cosa suggerisci?
Chiese Bernard.
-    Pensavo che tu potessi far intervenire la folla.
Si spiegò nei dettagli. Si trattava solo di "suggerire" la direzione agli eventi.
Bernard annuì. Era deciso.
-    Faremo così.
-    Funzionerà? – esitò Andrè.
-    Deve funzionare. – gli rispose quella Oscar che conosceva bene.

-    Ora sarà meglio andare a dormire. – concluse Bernard, – Domani sarà una giornata impegnativa.
Rosalie guardò il marito intensamente, in modo interrogativo, come a cercare di ricordargli qualcosa che pareva aver dimenticato. Bernard ricambiò lo sguardo con uno altrettanto intenso, ma completamente perso.
Rosalie sbuffò.
-    Bernard ha scordato la buona educazione e di cavalleresco ormai non gli è rimasta neppure la maschera. – disse ridendo. – Madamigella Oscar, il nostro letto è ben misera comodità, ma se volete, è vostro.
Lei si volse e le sorrise appena.
-    La stalla andrà benissimo, Rosalie. Non è la prima volta che dormo sulla paglia.
Andrè sorrise.
“Tempi lontani, Oscar…”  (1)

***

Andrè richiuse il battente del portone e lo fissò col gancio dall’interno. La guardò arrampicarsi su per la scala a pioli reggendo la lampada, fino al soppalco pieno di paglia; si muoveva leggera come un felino, ma stancamente gettò la sacca a terra.
Lei aveva parlato solo lo stretto indispensabile.
Era rimasto sorpreso, piacevolmente sorpreso, quando aveva rifiutato l’offerta di Rosalie, di dormire in casa. Ma non gli aveva ancora rivolto la parola direttamente.
Andrè avrebbe voluto udire la sua voce, ma al tempo stesso temeva quel che avrebbe potuto dirgli.
“Ti sto portando via alla tua vita, Oscar…Lo so ….”

Andrè la raggiunse sul soppalco.
Lei insisteva a non guardarlo.
Ciascuno prese la propria coperta e le stesero sulla paglia.
Non lontani, non vicini.
L’uomo si accorse che nella fretta aveva sbagliato ad allacciarsi la camicia.
Scosse il capo, sorridendo della sua goffaggine e cominciò a slacciarla per rimediare. Ma lo fece volgendole le spalle in quello che doveva essere un segno di riguardo nei suoi confronti.
La sentì muoversi e coricarsi. Quando si girò vide che gli voltava la schiena.
“… Mi odi? …”
Sospirò appena, rassegnato.
Quando Oscar chiudeva le comunicazioni, era come sua nonna: non c’era niente da fare! Era molto femminile quando era arrabbiata, già.
Realizzò in quel momento che non avevano cenato.
Si chinò a raccogliere la sacca dei viveri. Sedette sulla coperta e cominciò a frugarci dentro.
-    Vuoi mangiare qualcosa?
-    No. – gli rispose, glaciale.
-    Va bene … - mormorò, inspirando prima di replicare.
Addentò piano la mela, cercando di gustarsela e farla durare.
Poi, quand’ebbe finito, tirò il torsolo giù ai cavalli che se lo contesero. Vinse César, di prepotenza.
“Tale e quale la padrona”, pensò sorridendo.
La guardò ancora. Non si muoveva. Forse stava già dormendo.
“Pazienza…”
Abbassò la luce della lampada e si sdraiò.
“Meglio provare a dormire…”

Ma troppi erano i pensieri, le responsabilità che improvvisamente gli erano cadute addosso.
Fu allora che la sentì.

***

Andrè non le parlava.
Continuava a sbirciarla, ma non diceva nulla.
D’altronde anche lei era stata una tomba.
Lo aveva visto guardarsi la camicia, che aveva allacciato male, e girarsi per sistemarla.
“…Sei in imbarazzo? Beh… Scusa!”, pensò stizzita, ricordando tutte le volte che lo aveva visto mezzo nudo durante la loro lunga convivenza.
“Meglio mettersi a dormire, allora! “
Ma non capiva perché si sentiva così seccata.
L’aveva sentito armeggiare coi viveri.
“No”, gli aveva risposto, acida.
“…non ho fame!”
Le aveva detto ancora “va bene”.
Stava diventando monotono con quella sua accondiscendenza.
Lo aveva sentito ridacchiare, chissà perché, poi aveva abbassato la luce.

E era stato allora che aveva sentito arrivare la malinconia per quel che aveva lasciato.
Ma era cosa stupida, perché tutto quel di cui aveva bisogno era lì con lei.
Così capì che doveva farlo.
Senza altre esitazioni, lo raggiunse sulla sua coperta e lo abbracciò stretto, di spalle.
-    Oscar… - sussultò lui leggermente.
-    Shhh, non parlare! – ordinò.
“… Non parliamo, ti prego. Lasciami piangere. Adesso sono io in imbarazzo.”
Una mano sui suoi capelli, l’altra sul suo petto.
Andrè la sentì nascondere il viso tra le sue ciocche ed avvertì qualcosa di caldo scivolargli sul collo. Lacrime.
Lei gli annusò la pelle, inspirando profondamente.
“… Voglio solo sentire il tuo respiro ed il battito del tuo cuore.
Lo sai che questo è un “sì”?
Spero tu lo sappia!
Spero tu sappia che anch’io ti amo.
Ma non riesco a dirlo perché…
Tu sei uomo, André. Sei uomo già da tanto di quel tempo.
Io, ora, sono solo una ragazzina spaventata. E tu sei tutto quel di cui ho bisogno per ritrovare il mio coraggio.
Restiamo così…Non parlare …”
-    Oscar…
-    Shhh … – lo zittì ancora.
-    Va bene. – mormorò.
Mise la mano sulla sua mano e restarono così.
“.. Così riesco a dormire ”, pensò Andrè.



Per la prima volta, Andrè dormì sereno come quando era bambino ed Oscar gli si accoccolava accanto.
Stanco, ma felice come dopo un intero pomeriggio trascorso a giocare con lei.
Quando si svegliò, per un  attimo provò terrore, non trovandola accanto a sé. Ma non era andata lontano. La sentì di sotto, parlottare e ridacchiare con César.
Andò carponi all’orlo del soppalco. Era là, accanto al pozzo che c’era nella stalla; si era tirata su un secchio d’acqua e si stava lavando. Gli dava le spalle, senza camicia, senza fasce. César la importunava dandole musate sulla schiena, candida e perfetta, e “brucando” leggermente i suoi capelli.
“… Vecchio porco di un cavallo!”,  pensò Andrè sorridendo, con un pizzico di invidia.

*** continua

(1) mi riferisco a quando da bambini Andrè si addormentava dove capitava, come disse Oscar nell’anime, in compagnia di Oscar come visto nel film (bleah! Il film…)


   
 
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