Hopelessly Devoted To You <3
Capitolo 14. Brutte giornate.
Lui.
-Stupido
incosciente! Potrebbe venirti una polmonite! Come hai potuto solo
pensare di fare una cosa del genere? E come credi mi sia sentita
quando mi sono accorta che non solo non eri in camera tua, ma che tu
non eri neppure in casa? Mi è quasi venuto un infarto, ecco
come mi
sono sentita! Mi sono sempre fidata di te Jace, ma tu hai tradito
questa fiducia! Come posso fare affidamento su di te se ti comporti
in modo così immaturo? Mi hai deluso Jace, molto deluso!
Mai, e dico
mai, neppure se cascasse il mondo, avrei mai creduto possibile tu
potessi comportarti in modo così... Così...
Idiota!-
Eccole, le tre tremende parole che non avrebbe mai voluto sentirle pronunciare: mi hai deluso. Jace non sopportava di deluderla. Tutto ciò che faceva e che aveva fatto, era stato fatto perché lei non dovesse mai pronunciarle, ma aveva fallito in pieno. Probabilmente aveva compiuto l'unica azione che, a ragion veduta, sua madre non avrebbe mai potuto perdonargli. Come darle torto? Nel suo brillante piano non aveva messo in conto le conseguenze del suo gesto folle, ma ora doveva affrontarle. Sapeva d'aver sbagliato, e si vergognava tanto da non avere il coraggio di sollevare lo sguardo dal lucido parquet del salotto dei Barnes mentre Greta sbraitava e camminava avanti e indietro per la stanza come una leonessa in gabbia. Hannah si era ritirata non appena Greta aveva messo piede in casa. Li aveva lasciati soli per dar loro una parvenza di privacy, inutilmente dato che Jace era ormai certo che l'avessero sentita urlargli contro fino in Cina.
-Mi dispiace mamma...- mormorò solamente, pensando che forse quelle erano le uniche parole che non l'avrebbero messo ancor di più nei guai. Che altro poteva dirle, comunque? "Mamma sono scappato di casa per comprare dei fogli alla ragazza che credo di amare come pegno d'eterno amore, visto che i suoi li hanno fatto a brandelli!"? Oppure "Sai mamma, le fughe per amore oggi giorno sono ampiamente sottovalutate!". In entrambi i casi, avrebbe finito per strangolarlo con le sue stesse mani. Non l'aveva mai vista tanto fuori di sé. Non aveva mai combinato nulla che giustificasse un'ira di tale portata. Ne era addirittura trasfigurata, e Jace credeva che dipendesse per una certa parte dal trovarsi proprio nell'ultimo posto in cui sarebbe voluta essere.
Eccole, le tre tremende parole che non avrebbe mai voluto sentirle pronunciare: mi hai deluso. Jace non sopportava di deluderla. Tutto ciò che faceva e che aveva fatto, era stato fatto perché lei non dovesse mai pronunciarle, ma aveva fallito in pieno. Probabilmente aveva compiuto l'unica azione che, a ragion veduta, sua madre non avrebbe mai potuto perdonargli. Come darle torto? Nel suo brillante piano non aveva messo in conto le conseguenze del suo gesto folle, ma ora doveva affrontarle. Sapeva d'aver sbagliato, e si vergognava tanto da non avere il coraggio di sollevare lo sguardo dal lucido parquet del salotto dei Barnes mentre Greta sbraitava e camminava avanti e indietro per la stanza come una leonessa in gabbia. Hannah si era ritirata non appena Greta aveva messo piede in casa. Li aveva lasciati soli per dar loro una parvenza di privacy, inutilmente dato che Jace era ormai certo che l'avessero sentita urlargli contro fino in Cina.
-Mi dispiace mamma...- mormorò solamente, pensando che forse quelle erano le uniche parole che non l'avrebbero messo ancor di più nei guai. Che altro poteva dirle, comunque? "Mamma sono scappato di casa per comprare dei fogli alla ragazza che credo di amare come pegno d'eterno amore, visto che i suoi li hanno fatto a brandelli!"? Oppure "Sai mamma, le fughe per amore oggi giorno sono ampiamente sottovalutate!". In entrambi i casi, avrebbe finito per strangolarlo con le sue stesse mani. Non l'aveva mai vista tanto fuori di sé. Non aveva mai combinato nulla che giustificasse un'ira di tale portata. Ne era addirittura trasfigurata, e Jace credeva che dipendesse per una certa parte dal trovarsi proprio nell'ultimo posto in cui sarebbe voluta essere.
-No,
a te non dispiace affatto!- replicò astiosa, voltandosi di
scatto
verso il ragazzo e puntandogli contro l'indice. - Ti
dispiacerà
quando ti ritroverai chiuso a chiave in camera tua! Da questo momento
sei in punizione bello mio, fino a data da destinarsi. Niente
uscite...- Jace pensò tra sé e sé che
dato che non poteva uscire,
non era una grande punizione. -... e niente visite! Non voglio vedere
nessuno dei tuoi amici o delle tue amiche, sbatterò la porta
in
faccia a chiunque si presenti, fosse pure la regina Elisabetta in
persona!- Si era rallegrato troppo presto. E l'accenno alla monarchia
britannica sicuramente non era casuale.
-Da
oggi la musica cambia, in questa casa...- sbatte le palpebre, come se
si fosse ricordata solo in quell'istante di non trovarsi tra le
quattro mura del loro appartamento, e scosse il capo. -... voglio
dire, a casa nostra! Uscirai con me quando andrò a lavoro e
con me
tornerai a casa. Mi aspetterai in infermeria alla fine delle lezioni,
dove potrò tenerti sotto stretta sorveglianza! E ringrazia
che ti
consenta ancora di pranzare in mensa!-
Jace
cominciava seriamente a preoccuparsi per lo stato mentale di sua
madre. Vederla passare da una forse eccessiva permissività
ad una
severità in parte giustificata ma anche questa eccessiva,
era
preoccupante. Forse lo spavento era stato davvero troppo eccessivo.
Greta si zittì, infine. Aveva il fiato corto per l'avergli
urlato
contro per l'ultima mezz'ora. La sentì muoversi attraverso
la
stanza, giacché ancora non aveva sollevato lo sguardo dal
pavimento
e con la coda dell'occhio la vide avvicinarsi alla finestra della
sala. Fin da lì poteva vedere le scintillanti luci di
Manhattan
illuminare la sera e di riflesso il volto di sua madre, con bagliori
colorati che ne rendevano il volto più bello, ma che
sembravano
sottolineare le piccole rughe d'espressione intorno agli occhi e
sulla fronte corrugata.
-Ho
cercato di essere amica oltre che madre, per te. Ma se questo
è il
risultato, se credi di poter fare tutto ciò che ti passa per
la
testa e di passarla liscia mi costringi a diventare il tuo
carceriere. Non portarmi a questo, nessuno di noi lo sopporterebbe.-
L'esplosione di rabbia aveva lasciato dietro se un'insolita
malinconia. Sua madre era triste e stanca, le sue forza erano state
prosciugate completamente dallo scoppio di rabbia. - Non so se essere
più arrabbiata con te per aver fatto quel che hai fatto o
con me
stessa per avertelo permesso.- aggiunse, voltandosi verso di lui. Al
ragazzo mancava sempre più il coraggio si guardarla in
volto:
avrebbe reso tangibile tutto il dolore e la delusione che percepiva
nella sua voce. Gli si avvicinò, fermandosi e
inginocchiandosi
davanti a lui. -Spero sia per la vergogna che continui a fissare il
pavimento, ma vorrei che mi guardassi quando ti parlo.- gli strinse
il mento tra pollice e indice, costringendolo a sollevare il capo. -
Ora va meglio, almeno sono sicura di parlare con mio figlio non con
un manico di scopa.- che cercasse di fare dell'ironia, era un buon
segno, ma Jace non riusciva ad apprezzarlo. - Io so che tu capisci
perché devo punirti. Io non vorrei, non so neppure se
riuscirò a
essere coerente, ma lo devo fare. Non puoi e non devi minare la mia
autorità. Sono sempre tua madre, non devi scavalcarmi.- Gli
disse
tentando un approccio più morbido, già pentita
d'averlo aggredito a
quel modo.
-Lo
capisco.- Jace trovava insopportabile specchiarsi negli occhi di
Greta ricolmi com'erano di tristezza e delusione.
-Bene.-
si alzò, guardandosi intorno alla ricerca della borsa che
doveva
aver abbandonato da qualche parte senza ricordarsi dove esattamente.
La furia era stata troppo grande per focalizzare la propria
attenzione su particolari senza alcuna importanza come quelli. Alla
fine l'individuò accanto al divano. - Ora chiamo un taxi e
andiamo a
casa. Meglio tornare subito, prima che ti venga davvero una
polmonite.- Jace l'osservò raccogliere la borsa e preso il
cellulare
e digitato un certo numero di telefono la sentì discutere
con
un'anonima quanto incolpevole centralista cui unica colpa era, a
giudicare dal tono di sua madre e dalla sua espressione, quella di
averle dato una cattiva notizia.
-Come
scusi? No, forse lei non ha capito cosa ho appena detto...
Sì,
capisco, è sabato sera, ma è un'emergenza e...
Sì, certo, però...
Va bene, aspetteremo. Arrivederci.- Infilò nuovamente il
telefono in
borsa, con notevole stizza. - Ci vorrà almeno un ora. -
disse
lasciandosi cadere accanto al figlio sul divano dei Barnes. - Certo
che questo divano è proprio comodo! - esclamò in
tono scherzoso. -
Quasi giustifica una fuga da casa! É molto più
comodo del tuo
letto!- Jace annuì, e prima che potesse replicare con
altrettanta
ironia la porta della sala si aprì e con passo lento George
Barnes
fece la sua entrata. Sembrava, con tutta quella lentezza, che volesse
dare un che di drammatico al suo ingresso.
Non
appena Greta lo vide quel poco di buon umore riacquistato
scemò del
tutto. Tornò a corrugare la fronte e il suo sorriso si
spense.
Stringeva le labbra con tale forza da farle apparire esangui.
-Quale gradita sorpresa...- mormorò l'uomo, avanzando verso di loro con le braccia incrociate dietro la schiena e, a differenza di sua madre, un largo sorriso in volto. Jace si sentì improvvisamente a disagio e si rizzò a sedere con la schiena ben dritta, come sull'attenti, in una posizione rigida quanto scomoda.
-Quale gradita sorpresa...- mormorò l'uomo, avanzando verso di loro con le braccia incrociate dietro la schiena e, a differenza di sua madre, un largo sorriso in volto. Jace si sentì improvvisamente a disagio e si rizzò a sedere con la schiena ben dritta, come sull'attenti, in una posizione rigida quanto scomoda.
-Signor
Barnes...- replicò Greta, e tutto ciò che
riuscì a concedergli fu
un cenno del capo. - Non si preoccupi, ho già chiamato un
taxi,
arriverà il prima possibile.-
-Non
si preoccupi lei Greta, è sempre la benvenuta in questa
casa...- il
modo in cui lo disse sembrò sottolineare che sebbene lei
fosse una
compagnia più che gradita lo stesso non poteva dirsi di suo
figlio.
- … e speravo volesse fermarsi qui a cena. Ormai
è tardi e noi
stiamo per sederci a tavola.- Jace si trattenne dal ridere. Noi? Da
quando non si sedeva a tavola con sua figlia? Hannah gli aveva
accennato al fatto che suo padre fosse spesso tanto impegnato da non
riuscire a consumare alcun pasto, se non la colazione, con lei. Lo
disgustava che nel tentativo di apparire migliore agli occhi di sua
madre mentisse così spudoratamente.
-No
significa no. Quante volte te lo devo ripetere?- Jace si
voltò verso
la madre, afferrando immediatamente il senso delle sue parole.
C'erano stati altri inviti quindi, qualcosa che la donna gli aveva
tenuto nascosto.
-Suvvia
non sia testarda, è solo un invito a cena, una cortesia
che...-
cercò di insistere prima che Jace, alzandosi, lo
interrompesse.
-Credo sia meglio lasciarvi soli... Ehm... Mamma quando hai fatto io... Ti aspetto di là...-
-Credo sia meglio lasciarvi soli... Ehm... Mamma quando hai fatto io... Ti aspetto di là...-
Qualunque
cose stesse succedendo tra di loro, Jace non voleva averci niente a
che fare. Voleva solo far finta di non aver capito che a Barnes sua
madre piaceva più di quanto tollerasse e che a lei, visto
l'evidente
sdegno che mostrava in sua presenza, l'uomo non era indifferente.
Meglio non pensare a quali sarebbero potuti essere i danni
collaterali del loro agire, perché gli erano ancor meno
tollerabili
dell'idea di sua madre felicemente accoppiata con un uomo del genere.
Uscì
dalla stessa porta da cui Barnes era appena entrato, ritrovandosi in
quella che doveva essere la sala da pranzo. Uno enorme tavolo dai
meravigliosi intarsi dominava la stanza, e il ragazzo non
poté fare
a meno di chiedersi a cosa servisse mai una cosa così bella
se
nessuno ne godeva. Si avvicinò, per osservarne i decori
chiari sul
legno scuro e rossastro. Tanto era lustro che non osava toccarlo per
paura di lasciarci delle impronte. In quella casa tutto era splendido
e curato nel minimo dettaglio proprio come quel pezzo di mobilio,
eppure pur essendo piena di tanto splendore avvertiva un senso di
vuoto. Si chiedeva quante volte Hannah fosse stata costretta a sedere
a quel tavolo da sola, a consumare un pasto solitario. Quanto era
fortunato lui a suo confronto, che non era ricco, ma ricco d'affetti
sì.
Lo
sorprese un pensiero che non riuscì a scacciar via dalla
mente:
quanto Hannah e Tom fossero simili. Come lei, anche Tom era cresciuto
da solo o con la sola presenza dei domestici, che erano per lui
più
ombre che presenze tangibili. I suoi genitori si curavano ben poco di
lui e dei suoi fratelli, e dopo il loro divorzio le cose erano
peggiorate sempre più: la madre era la tipica donna ormai
non più
giovane ma ossessionata dall'aspetto fisico. Non c'era mese in cui
non facesse visita al chirurgo plastico di fiducia per eliminare
questa o quella rughetta appena visibile. Il medico aveva provato a
dirle che erano rughe d'espressione, normali a cinquantacinque anni,
ma lei non lo stava neppure a sentire. Suo padre, invece, era sempre
stato troppo preso dal lavoro o dalla nuova e giovane mogliettina,
una a caso, ormai era arrivato alla quarta. La seconda era stata
tanto giovane che poi dopo il divorzio aveva sposato uno dei figli
maggiori dell'ex marito.
Le volte che era stato a casa sua poi, l'aveva trovata sempre vuota, tanto che cominciava a chiedersi se non fosse costretto a invitarlo in casa solo quando i genitori non erano presenti perché non approvavano la loro amicizia, come ne L'amico ritrovato, o se al contrario non importava loro cosa facesse, purché non li disturbasse. Ora sapeva che era sicuramente la seconda ipotesi quella corretta. Allora però aveva visto l'opulenza di quella casa, i vantaggi dell'avere le tasche sempre piene di biglietti da cinquanta, e null'altro. E aveva continuato a farsi accecare dallo splendore, a vedere solo ciò che Tom poteva avere e lui no e non ciò che lui aveva la fortuna di possedere e che neppure tutti i soldi di suo padre avrebbero potuto comprare, finché non era arrivata Hannah. Lei levigava le asperità del suo carattere, e ci riusciva con la sua sola presenza. Bastava questo a migliorarne i tratti e la ragazza non se ne rendeva neppure conto.
Le volte che era stato a casa sua poi, l'aveva trovata sempre vuota, tanto che cominciava a chiedersi se non fosse costretto a invitarlo in casa solo quando i genitori non erano presenti perché non approvavano la loro amicizia, come ne L'amico ritrovato, o se al contrario non importava loro cosa facesse, purché non li disturbasse. Ora sapeva che era sicuramente la seconda ipotesi quella corretta. Allora però aveva visto l'opulenza di quella casa, i vantaggi dell'avere le tasche sempre piene di biglietti da cinquanta, e null'altro. E aveva continuato a farsi accecare dallo splendore, a vedere solo ciò che Tom poteva avere e lui no e non ciò che lui aveva la fortuna di possedere e che neppure tutti i soldi di suo padre avrebbero potuto comprare, finché non era arrivata Hannah. Lei levigava le asperità del suo carattere, e ci riusciva con la sua sola presenza. Bastava questo a migliorarne i tratti e la ragazza non se ne rendeva neppure conto.
Tale
profondo pensiero lasciò spazio ad un dubbio: se Tom fosse
riuscito
a guardare oltre la maschera che Hannah indossava, se fosse riuscito
a vedere quanto in fondo le loro vite fossero simili e se avesse
usato questo per far breccia nel suo cuore, come avrebbe mai potuto
competere? Lui non capiva la solitudine e forse per questo la scelta
della ragazza sarebbe potuta ricadere su qualcuno che lei potesse
considerare un suo simile. Qualcuno che potesse trovare rassicurante.
Se fosse successo non sapeva se l'avrebbe potuto sopportare, e non
perché avrebbe significato che Tom avrebbe vinto una guerra
che era
stato lui a cominciare ma che non aveva mai voluto, ma bensì
perché
avrebbe perso Hannah. Lei gli stava a cuore molto più di
qualsiasi
altra cosa, compreso il proprio orgoglio. Continuò a
pensarci anche
quando poco dopo sua madre uscì dal salotto e lo raggiunse e
anche
mentre la governante li accompagnava alla porta seguita a ruota da
Hannah. Si ridestò il tempo necessario per notare quanto la
ragazza
sembrasse felice nel vedere la sua adoratissima tata sforzarsi di
essere gentile con loro mentre consegnava a sua madre un enorme
thermos con sguardo tanto intenso e carico di significato che poteva
essere considerato l'equivalente metallico del biblico rametto
d'ulivo.
Riprese a pensarci mentre salivano in taxi e durante tutto il tragitto fino a casa. Ma tutto quel pensare lo portò all'unica conclusione che non poteva fasciarsi la testa prima d'essersela rotta. In quel momento doveva pensare solo a guarire, e il più il fretta possibile. Il resto l'avrebbe affrontato al momento opportuno. Non poteva fare altro, al momento, confinato com'era tra le quattro mura di casa.
Riprese a pensarci mentre salivano in taxi e durante tutto il tragitto fino a casa. Ma tutto quel pensare lo portò all'unica conclusione che non poteva fasciarsi la testa prima d'essersela rotta. In quel momento doveva pensare solo a guarire, e il più il fretta possibile. Il resto l'avrebbe affrontato al momento opportuno. Non poteva fare altro, al momento, confinato com'era tra le quattro mura di casa.
***
La
domenica la passò davvero male. Come ci si aspettava la
bronchite
tornò a tormentarlo, e con essa anche la tosse e il dolore
alla
gola. Il giorno successivo fu chiamato il dottore, che
decretò che
la bronchite era sì peggiorata ma non tanto da far temere
l'insorgere di complicanze potenzialmente pericolose. Fu comunicata
all'ammalato l'infausta novella: il suo esilio si sarebbe protratto
per almeno una settimana di più di quanto preventivato ed
era stata
aggiunto alla terapia antibiotica anche un mucolitico per aerosol.
-Tornerai a scuola in tempo per le vacanze di Natale!- gli disse il medico ridendo non appena finì di visitarlo. Jace non lo trovò affatto divertente.
-Tornerai a scuola in tempo per le vacanze di Natale!- gli disse il medico ridendo non appena finì di visitarlo. Jace non lo trovò affatto divertente.
Le
due settimane successive scivolarono via più in fretta di
quanto non
avesse sperato, forse perché ogni sua giornata era scandita
da una
rigida routine data la mole di medicine da prendere a orari diversi.
Il ragazzo non sgarrò mai, neppure di un minuto, sulla
tabella di
marcia. Voleva guarire in fretta e bene, e tornare da Hannah il
più
presto possibile e voleva che sua madre capisse che ce la stava
mettendo tutta per rimediare al suo sbaglio. Guarire era, seppure
piccolo, un passo avanti. Greta dal canto suo, vedendolo tanto
convinto, decise di aiutarlo come poteva e un pomeriggio
tornò a
casa con un umidificatore per ambienti, che fu piazzato in camera del
ragazzo e che gli fu di grande aiuto per quella tosse che pareva non
volersene proprio andare. Tutti i suoi sforzi non furono vani: due
venerdì dopo il medico lo autorizzò a tornare a
scuola il lunedì
successivo, a patto che stesse attento a non prendere troppo freddo,
dato che la tosse non era ancora guarita del tutto.
Non ci fu mai al mondo adolescente più felice di tornare a scuola di quanto fosse Jace. E quando furono tornati a casa, come ciliegina sulla torta...
Non ci fu mai al mondo adolescente più felice di tornare a scuola di quanto fosse Jace. E quando furono tornati a casa, come ciliegina sulla torta...
-Sai
che ti dico, Jace? Ti sei comportato da vero ometto in queste ultime
settimane.- cominciò Greta, prendendolo in giro, mentre
posava sul
tavolo due enormi buste: take away cinese, la loro cena. - Hai preso
tutte le medicine senza capricci, hai mandato giù tutto il
brodo che
ha preparato la governante di Hannah e tutte le verdure bollite che
ti ho propinato. Sì, sono profondamente colpita!- si
portò una mano
al petto, annuendo con aria commossa. Jace si limitò a
lanciarle un
occhiataccia e un sorriso divertito. - Soprattutto ti sei limitato
molto nell'uso del telefono. Ero certa saresti stato attaccato alla
cornetta notte e giorno, invece...- In realtà era stato
sempre
attaccato al proprio cellulare, ma forse era meglio non
ricordarglielo.
-Okay,
sono un bravo bambino, appurato ciò arriva al dunque!-
L'interruppe
bruscamente mentre disponeva sul tavolo i vari cartoni pieni di cibo
fumante. Greta prese dallo scolapiatti due piatti e le posate e le
dispose sul tavolo mentre riprendeva a parlare.
-La
tua punizione è revocata per buona condotta. Consideralo un
regalo
di Natale anticipato. Così potrai portare fuori una certa
ragazza...
Una che ha chiamato molto spesso negli ultimi tempi e di cui
attendevi con ansia i messaggi...-
Jace
decise che era meglio ignorare certe allusioni. -Davvero non sono
più
in punizione?- Chiese concedendole uno sguardo adorante e un sorriso
sornione. - Lo sai che sei la mia mamma preferita?-
-Tsk...
Adulatore spudorato!-
Lei.
Le
ultime due settimane erano state dure. L'assenza di Jace a scuola, e
il non poterlo andare a trovare, il doversi accontentare delle
telefonate e dei messaggi, era stato duro. Dopo aver finalmente
aperto gli occhi e ammesso di provare certi sentimenti nei suoi
riguardi sentiva di aver ancor più bisogno della sua
costante
presenza, come se temesse di disinnamorarsene pian piano se non lo
avesse avuto sempre sotto gli occhi. Era troppo presto
perché
comprendesse che la distanza talvolta amplifica i sentimenti d'amore.
Non
si era sentita sola, in ogni caso, anzi la presenza del Trio e di Ted
Shelby, che per qualche motivo che Hannah non riusciva proprio a
comprendere si era auto-proclamato suo protettore fino al ritorno di
Jace, era stata a momenti asfissiante. Tali momenti però
venivano
sopportati e superati con pazienza, perché la ragazza capiva
bene
quanto fosse fortunata ad avere attorno delle amiche tanto care.
Quando aveva trovato il suo album in pezzetti aveva creduto il suo
mondo fosse lì lì per crollare, invece aveva
fornito un ulteriore
motivo di gioia: la dimostrazione della sincera devozione delle
ragazze nei suoi confronti. Se avesse avuto ancora qualche dubbio sul
loro affetto, questo li avrebbe fugati tutti.
Chi si infuriò di più fu Jaquie. La ragazza sembrava pronta ad incolpare e aggredire chiunque posasse il suo sguardo sull'amica. Mal tollerava tutti i gesti che potessero danneggiare le proprietà altrui, perché fin da piccola le era stato trasmesso il rispetto per il denaro. Non è cosa che cresce sugli alberi, le diceva spesso suo padre, quindi non va sprecato inutilmente. C'è da dire però, che quando si trattava dei propri soldi, era sempre pronta a sprecarne tanti quanti le andasse di spenderne.
Chi si infuriò di più fu Jaquie. La ragazza sembrava pronta ad incolpare e aggredire chiunque posasse il suo sguardo sull'amica. Mal tollerava tutti i gesti che potessero danneggiare le proprietà altrui, perché fin da piccola le era stato trasmesso il rispetto per il denaro. Non è cosa che cresce sugli alberi, le diceva spesso suo padre, quindi non va sprecato inutilmente. C'è da dire però, che quando si trattava dei propri soldi, era sempre pronta a sprecarne tanti quanti le andasse di spenderne.
-Secondo
me è stata Amanda!- esordì una mattina, mentre si
avviava verso
l'aula di letteratura in compagnia delle altre. - Me lo sento! Devo
solo trovare qualche prova!-
-Jaquie, non fai Grissom di cognome! Pensi che sia stata lei solo perché la detesti.- la rimproverò Daphne, prendendo sottogamba l'intuizione della compagna. Così fecero anche Rose e Hannah, che dal canto suo poteva ben dire di non aver neppure mai visto l'ormai celeberrima Amanda in vita sua. Perché mai doveva avercela con lei una persona che non aveva neppure mai incontrato?
-Jaquie, non fai Grissom di cognome! Pensi che sia stata lei solo perché la detesti.- la rimproverò Daphne, prendendo sottogamba l'intuizione della compagna. Così fecero anche Rose e Hannah, che dal canto suo poteva ben dire di non aver neppure mai visto l'ormai celeberrima Amanda in vita sua. Perché mai doveva avercela con lei una persona che non aveva neppure mai incontrato?
***
Hannah
ricevette la bella notizia il venerdì stesso, non appena
Jace era
uscito dall'ambulatorio. In quel momento si trovava seduta al
tavolino di un bar in compagnia di Rose e Ted. Quella mattina aveva
chiesto all'amica se non potesse accompagnarla a cercare dei regali
di Natale, visto che ne aveva presi solo alcuni, e non aveva molte
idee né sapeva dove poter cercare gli altri.
All'appuntamento però
si era presentata in compagnia.
-Jace
lunedì torna a scuola!- aveva esclamato entusiasta non
appena letto
il suo sms. Quale gioia! Se fino a quel momento si era sentita
sfinita per l'intensa seduta di shopping appena conclusasi,
improvvisamente si sentì ringalluzzire tutta.
Cominciò a mandar giù
rapide sorsate della sua cioccolata calda (che non si dica che gli
inglesi bevono solo tè!), tanto che Rose si sentì
in dovere di
rimproverarla.
-Hannie,
ti andrà di traverso, cos'è tutta questa fretta?-
chiese mentre
allungava una mano per afferrare la sua tazza e fargliela posare sul
tavolino.
-Rosie,
credi ci sia qualche negozio ancora aperto?- chiese, presa da una
frenesia inusuale.- Devo sbrigarmi o chiuderanno, e io non ho ancora
preso nulla!-
-Ma
hai già comprato tutto ciò di cui hai bisogno!-
le fece notare
l'altra, accennando con il capo ai numerosi e variopinti sacchetti
posati sul pavimento del piccolo locale, accanto al tavolo. Era vero:
aveva scelto e comperato, seppure con enorme fatica, un piccolo
pensiero per tutti, esclusi i presenti, ovviamente, e Jace. Lui era
un'incognita. Ci aveva riflettuto l'intero pomeriggio, scandagliando
i propri ricordi alla ricerca di un qualche accenno che potesse
indirizzarla nella giusta direzione, ma si era resa conto che si era
sempre parlato di lei, di quello che era il suo passato, presente e
di quello che avrebbe voluto fosse il suo futuro, delle sue passioni,
eccetera. Poche volte si era parlato di Jace. Era un'imperdonabile
sgarro quello che gli aveva fatto, e voleva rimediare al più
presto
cominciando da un regalo di Natale più che azzeccato, ma non
sapeva
proprio da che parte cominciare.
-Ma
non ho trovato il regalo giusto per Jace!- le ricordò con
tono
petulante, emettendo un profondo sospiro.
-Io
so cosa potresti regalargli. - intervenne Ted, che fino a quel
momento, contravvenendo a quello che la sua indole gli suggeriva, era
rimasto zitto zitto a godersi la scena. – Ma non si compra in
un
negozio. Non c'è niente che un ragazzo gradirebbe di
più del bacio
di una bella ragazza!- le suggerì, ammiccando
maliziosamente. Hannah
lo fissò perplessa.
-Devo
pagare una modella perché lo baci?- chiese ingenuamente,
senza
neppure sospettare ciò che il ragazzo intendeva dirle in
realtà.
Guardò poi Rose come se si aspettasse da lei una traduzione
simultanea, perché pareva evidente dall'espressione di lui
che
doveva averne frainteso le parole. In certi momenti le pareva
parlasse una lingua a lei sconosciuta. Ted la fissò
stranito, tra il
sorpreso e il perplesso, per qualche secondo prima di scoppiare a
ridere fragorosamente, tanto di gusto da fargli venire le lacrime
agli occhi.
-Ma
no! Lo devi baciare tu!- esclamò, puntandole contro
l'indice.
Qualcuno dei clienti del locale si voltò nella loro
direzione,
incuriositi da tanto schiamazzare. Hannah impallidì e
arrossì in
rapida successione, tremendamente imbarazzata. Il ragazzo era andato
a toccare un argomento delicato per Hannah, qualcosa di cui non aveva
ancora avuto il coraggio di parlare con nessuno, neppure con la
fidatissima Rose. Aveva paura che a condividere i suoi pensieri con
qualcun altro li avrebbe sentiti meno suoi.
-Che assurdità...- si limitò a mormorare con sguardo basso e malinconico. Lei baciare Jace, questa poi! Non sarebbe mai potuto accadere. Era qualcosa di troppo bello perché potesse realizzarsi. Era, per lei, un avvenimento che sarebbe potuto accadere solo nei suoi sogni più arditi. Perché mai Jace avrebbe dovuto baciare lei, in fondo? Non aveva neppure mai osato immaginare come sarebbe stato un bacio tra loro. A quel pensiero non poté impedire a se stessa di chiedersi come fossero le labbra di un ragazzo, che sensazione si dovesse provare nello sfiorarle. Erano morbide? Avevano un sapore in particolare come spesso stava scritto nei romanzetti rosa? Quelle di Jace sembravano soffici, quasi di velluto. Lui non sembrava rendersene conto ma talvolta, quando era assorto o concentrato su qualcosa, prendeva a mordicchiarsele o a succhiarsi il labbro inferiore, facendole arrossare e rendendole inconsapevolmente ancora più appetibili. L'aveva ritratto in quella posa tanto ne era rimasta affascinata, tanto le era parso bello come mai prima, ma non riusciva a ritrovare quello schizzo in particolare. Non era nell'album che le avevano distrutto, altrimenti sarebbe l'avrebbe di certo ritrovato in pezzi come tutto il resto. Non ricordava però dove l'aveva riposto.
-Che assurdità...- si limitò a mormorare con sguardo basso e malinconico. Lei baciare Jace, questa poi! Non sarebbe mai potuto accadere. Era qualcosa di troppo bello perché potesse realizzarsi. Era, per lei, un avvenimento che sarebbe potuto accadere solo nei suoi sogni più arditi. Perché mai Jace avrebbe dovuto baciare lei, in fondo? Non aveva neppure mai osato immaginare come sarebbe stato un bacio tra loro. A quel pensiero non poté impedire a se stessa di chiedersi come fossero le labbra di un ragazzo, che sensazione si dovesse provare nello sfiorarle. Erano morbide? Avevano un sapore in particolare come spesso stava scritto nei romanzetti rosa? Quelle di Jace sembravano soffici, quasi di velluto. Lui non sembrava rendersene conto ma talvolta, quando era assorto o concentrato su qualcosa, prendeva a mordicchiarsele o a succhiarsi il labbro inferiore, facendole arrossare e rendendole inconsapevolmente ancora più appetibili. L'aveva ritratto in quella posa tanto ne era rimasta affascinata, tanto le era parso bello come mai prima, ma non riusciva a ritrovare quello schizzo in particolare. Non era nell'album che le avevano distrutto, altrimenti sarebbe l'avrebbe di certo ritrovato in pezzi come tutto il resto. Non ricordava però dove l'aveva riposto.
-Io...
Non... Non vorrebbe essere baciato da me.- farfugliò ancora
con una
vocetta strozzata. Sentiva come un nodo in gola che le rendeva
difficile parlare.
-Sì, come no! Hannah, sei proprio ingenua!- borbottò Ted irritato. Probabilmente, non conoscendo bene la ragazza, si doveva essere aspettato una diversa reazione e maggiore ironia e malizia da parte sua.
-Sì, come no! Hannah, sei proprio ingenua!- borbottò Ted irritato. Probabilmente, non conoscendo bene la ragazza, si doveva essere aspettato una diversa reazione e maggiore ironia e malizia da parte sua.
-Ted,
non sono affari nostri. Smettila di impicciarti. - lo
rimproverò
Rose, prima di rivolgersi ad Hannah, decisa, per il bene dell'amica,
a cambiare argomento. - So che Jaquie e Daphne gli regaleranno una
maglia firmata da un certo Koga...Koba...Koda....-
-Vorrai
dire Kobe! Kobe Bryant, il giocatore dei Lakers!- la interruppe il
ragazzo con un certo tono saccente. Evidente era l'intento di farle
un dispetto e vendicarsi di come lei l'aveva zittito appena un minuto
prima. Hannah li avrebbe trovati divertenti se non fosse stata
concentrati su ben altri pensieri e preoccupazioni.
-A
Jace piace il basket?- Se così era, Hannah non ne aveva mai
avuto
neppure il sentore. Le aveva detto che giocava nella squadra di
football quindi aveva presunto che quello fosse il suo sport
preferito, non aveva mai pensato ci fosse la possibilità che
si
sbagliasse. - Non lo sapevo. Non ne abbiamo mai parlato in
verità.-
Non ne avevano mai parlato perché lei non aveva mai chiesto
nulla a
riguardo. Mentre Jace sembrava lottare strenuamente per riportare
alla luce quanti più ricordi possibili dell'amica e farli
suoi, lei
si era limitata ad aspettare, o sperare, le piovessero addosso quelli
di lui. - In ogni caso, visto che le ragazze gli regalano qualcosa,
non potrò prendergli qualcos'altro anche io.-
sentenziò infine,
sospirando profondamente. Poco dopo la cameriera portò loro
il conto
e usciti dal locale si divisero. Le ragazze procedettero nella stessa
direzione. Per un po' stettero in silenzio. Hannah aveva bisogno di
parlarne con Rose per essere rassicurata, per sentirsi dire che
quello che sentiva per Jace non era frutto di false aspettative che
lei si era costruita negli ultimi mesi, ma che davvero amava Jace,
anche se ancora tante erano le cose che non sapeva di lui. Al
contempo aveva paura di scoprirsi troppo, quindi, dopo un lungo
silenzio, cercando di apparire piuttosto indifferente, le chiese:
-Rosie... Come fai ad essere sicura che Seth ti piaccia davvero?
Voglio dire, tu stessa hai ammesso che vi siete parlati molto poco.-
-Ho
chiesto a Jace di parlarmi di lui.- rispose la ragazza con
semplicità.- Con molta nonchalance ovviamente! Non sono
andata da
lui a dirgli “Hei Jace trovo il tuo amico bellissimo,
potresti
spiattellarmi tutto ciò che sai di lui?”.- la
ragazza ridacchio
delle sue stesse parole. - E lui l'ha fatto. Ha capito e mi ha detto
tutto ciò che avrei voluto sapere. Ora vorrei solo poter
vedere con
i miei occhi ciò che ho solo sentito da altri.- ammise con
rimpianto.
-Ho
capito...- Hannah se ne stette zitta zitta finché non
arrivarono
davanti al portone d'ingresso del suo palazzo. L'usciere la riconobbe
e si avvicinò all'ingresso, aprendole la porta con fare
servizievole. Rose a quel punto sollevò una mano, in un
accenno di
commiato che però Hannah non le permise di terminare.
-Rosie,
ti va di salire? Io vorrei... Vorrei che tu... Potresti parlarmi di
Jace?-
***
Il
lunedì successivo Hannah aveva ancora in testa tutte le cose
meravigliose che Rose le aveva riferito durante il week end appena
trascorso. Avevano finito per vedersi anche il sabato e la domenica,
per fare gli ultimi acquisti o per una semplice chiacchierata. Hannah
si era resa conto di essersi convinta di conoscere piuttosto bene
Jace, mentre invece sembrava non conoscere nulla di lui, neppure la
data del suo compleanno, cosa che scoprì con orrore sarebbe
stato
poco dopo Capodanno. In realtà aveva solo fatto il pieno di
aneddoti
e particolari insignificanti, anche se per la ragazza erano grandi e
importanti novità.
L'amica
aveva cercato di rassicurarla, dicendole che lei in realtà
lo
conosceva molto meglio di quanto non lo conoscesse l'intero Trio
messo insieme, ed era vero, perché con lei il ragazzo si era
aperto
più che con qualsiasi altra persona. Hannah però
non ne era affatto
convinta, abituata com'era a focalizzarsi sui particolari quasi
insignificanti in maniera maniacale quando dipingeva, supponeva di
doverlo fare anche in questo caso, senza notare la fondamentale
differenza: Jace non era un disegno. Lui era vivo, reale, non poteva
cambiarlo con un colpo di gomma, non poteva prevedere quale sarebbe
stato il risultato finale dell'opera nel suo complesso.
Una
volta arrivata a scuola, mentre si levava il cappellino di lana e i
guanti per riporli nell'armadietto ed era sempre presa dalle sue
elucubrazioni, intravide con la coda dell'occhio un'ombra, qualcuno
che le si avvicinava. Immaginò fosse Jace. Al solo pensiero
il
battito cardiaco accelerò e fu scossa da un piacevole
fremito quando
infine impose a se stessa di voltarsi. Davanti a lei però,
con suo
grande dispiacere, scoprì che non c'era Jace.
-Ciao
Hannah. Come stai?- era Thomas Rushmore, con il suo sorriso gentile
ma insieme altezzoso, con i begli occhi verdi e i capelli neri ben
pettinati che ne incorniciavano il volto dai lineamenti delicati. -
Sono felice di vederti in salute.- I soliti convenevoli a cui Hannah
rispose con un cenno del capo.
-Grazie.
Spero sia lo stesso per te.- Fu educata ma gelida. Infilò i
libri
necessari per le lezioni della mattina nella borsa e chiuse
l'armadietto. - Mi dispiace ma ora devo proprio andare, buona
giornata.- Attese qualche istante per dargli la possibilità
al
ragazzo di accomiatarsi, ma lui senza smettere di sorriderle le
chiese a brucia pelo : - Posso accompagnarti in classe?-
Ne
fu talmente sorpresa che si limitò ad annuire. Si avviarono
insieme
per il corridoio. Tom parlava, di tutto e di niente in
verità,
Hannah si limitava ad ascoltare. Non era interessata ai suoi piani
per le vacanza, che sarebbero cominciate di lì a qualche
giorno,
nulla di ciò che lui diceva poteva attirarne l'attenzione
perché,
in fondo al corridoio lei aveva già visto Jace.
Lui.
Jace
fissava con gli occhi sbarrati l'avviso affisso all'ingresso della
palazzina in cui ricordava di aver sempre vissuto. Lui e sua madre, e
un nutrito gruppo di vicini si erano fermati ad osservare un uomo in
giacca e cravatta, dallo splendido completo di alta sartoria che
appendeva al portone un foglio di carta stampato fitto fitto. Quando
l'uomo se ne fu andato (molto in fretta in realtà, come se
temesse
di venire aggredito da un momento all'altro) tutti, chi con
più
interesse di altri, chi per semplice curiosità, si erano
avvicinati
a controllare cosa fosse. I vecchio Scrooge aveva venduto il palazzo.
Il
vecchio Scrooge era il soprannome che i suoi
affittuari
avevano dato al padrone della palazzina, un certo Harvey Perry, che
nessuno di loro aveva mai visto, dato che preferiva mandare i suoi
legali a fare il lavoro sporco per lui. Era opinione comune che fosse
un uomo avaro, che faceva pagare un affitto mensile mediamente alto
se rapportato al pessimo stato in cui versavano i singoli
appartamenti e la palazzina nel suo complesso, e che pretendeva che
qualsiasi miglioria, fosse anche pitturare la facciata, dovesse
essere a carico degli affittuari. Contava sul fatto che la maggior
parte di loro avesse vissuto fin dall'infanzia in case popolari, in
delle catapecchie ben peggiori di quella o peggio per la strada e che
quindi nessuno di loro avrebbe osato mai tirar fuori la voce.
Purtroppo era vero, per non parlar del fatto che la maggior parte
degli abitanti del palazzo non si sarebbero potuti permettere un
avvocato, e anche se così non fosse stato, sicuramente non
avrebbero
potuto pagarne uno bravo al pari dei suoi.
Jace sentì il terreno mancargli da sotto i piedi, per un instante pensò di stare per svenire. Certo, lui e sua madre avrebbero trovato una soluzione, avrebbero trovato facilmente un altro appartamento, probabilmente niente di meglio di quanto non avessero ora. Ma gli altri? Per alcuni era difficile già tirare avanti, pagare quell'affitto che piano piano negli anni era cominciato a lievitare mentre l'edificio diventava sempre più vecchio, logoro e malmesso.
Jace sentì il terreno mancargli da sotto i piedi, per un instante pensò di stare per svenire. Certo, lui e sua madre avrebbero trovato una soluzione, avrebbero trovato facilmente un altro appartamento, probabilmente niente di meglio di quanto non avessero ora. Ma gli altri? Per alcuni era difficile già tirare avanti, pagare quell'affitto che piano piano negli anni era cominciato a lievitare mentre l'edificio diventava sempre più vecchio, logoro e malmesso.
-Jace...-
Greta lo tirò per un braccio. - Andiamo, faremo tardi.- Jace
non si
mosse. Fissava ancora quell'inutile, stupido foglio di carta, su cui
stava scritto che il futuro di tutti loro era nelle mani di tale
compagnia, la Gamble & Harclay Co. Potevano
buttarli fuori
di casa quel giorno stesso se solo avessero voluto, e loro non
potevano farci niente. Dovevano subire, subire e ancora subire. Ne
aveva le tasche piene di chinare la testa e sopportare i tiri mancini
della sorte.
Greta lo strattonò tanto forte da farlo voltare. - Jace muoviti. - gli intimò fissandolo negli occhi. - Andiamo.- Nonostante l'apparente calma poteva leggerle dentro, poteva percepirne la paura e quanto fosse sconvolta, molto più di quanto lui non fosse. Trovarsi senza un tetto sotto il quale vivere era il suo peggiore incubo, un tuffo nel passato, e Jace ne era dolorosamente consapevole. Ma stavolta lui non era un bambino, non sarebbe rimasto a guardare sua madre spezzarsi la schiena nel tentativo perlomeno di sopravvivere. C'erano tante cose che poteva fare, e gli era chiaro da quale dovesse cominciare.
Greta lo strattonò tanto forte da farlo voltare. - Jace muoviti. - gli intimò fissandolo negli occhi. - Andiamo.- Nonostante l'apparente calma poteva leggerle dentro, poteva percepirne la paura e quanto fosse sconvolta, molto più di quanto lui non fosse. Trovarsi senza un tetto sotto il quale vivere era il suo peggiore incubo, un tuffo nel passato, e Jace ne era dolorosamente consapevole. Ma stavolta lui non era un bambino, non sarebbe rimasto a guardare sua madre spezzarsi la schiena nel tentativo perlomeno di sopravvivere. C'erano tante cose che poteva fare, e gli era chiaro da quale dovesse cominciare.
***
Aveva
atteso con ansia il ritorno a scuola, ma in quel momento desiderava
solo stare da solo, tornarsene a casa e dormire, e perdere il
completamente i contatti con la deludente realtà. Provava
l'intenso
desiderio di mandare a quel paese chiunque lo salutasse, e siccome lo
facevano in tanti, la sua pazienza veniva messa a dura prova.
Arrivato al suo armadietto, lo fissò per qualche istante: aveva voglia di sbatterci contro la testa fino a perdere conoscenza. Si sentiva pieno di rabbia, tanta da riuscire a malapena a controllarla. Aveva voglia di urlare, di prendere a pugni qualcuno. Lui non era come Hannah, che si teneva tutto dentro lasciando sfogare i suoi sentimenti nel silenzio, lui aveva bisogno di esternarli o sarebbe esploso. Aprì l'armadietto con uno scatto rabbioso.
Arrivato al suo armadietto, lo fissò per qualche istante: aveva voglia di sbatterci contro la testa fino a perdere conoscenza. Si sentiva pieno di rabbia, tanta da riuscire a malapena a controllarla. Aveva voglia di urlare, di prendere a pugni qualcuno. Lui non era come Hannah, che si teneva tutto dentro lasciando sfogare i suoi sentimenti nel silenzio, lui aveva bisogno di esternarli o sarebbe esploso. Aprì l'armadietto con uno scatto rabbioso.
-Nervosetto
oggi?- chiese una vocina melliflua alle sue spalle.
-Amanda,
oggi non è giornata.- sbottò lui, senza degnarsi
di voltarsi a
guardarla. Lei era senza dubbio l'ultima persona che avrebbe voluto
incontrare. Sembrava essere venuta al mondo solo per irritarlo.
-Povero
bambino... E io che ero venuta a farti le mie congratulazioni.- gli
si avvicinò, allungando una mano verso i suoi capelli. Jace
se ne
allontanò con uno scatto, afferrandole il polso.
-Dimmi
cosa vuoi e lasciami in pace.- Amanda lo guardò con quei
suoi occhi
di ghiaccio, inespressivi tanto da fargli venire i brividi. Se gli
occhi erano lo specchio dell'anima allora quella di Amanda era vuota.
Aveva lo stesso fascino di una tigre mentre si prepara ad attaccare
la sua preda. Le lasciò andare il polso con uno scatto
repentino,
come se gli avesse dato la scossa, distogliendo lo sguardo dal suo
volto.
-Te
l'ho detto, volevo solo farti le mie congratulazioni. Ora che ti sei
liberato della principessina puoi dedicarti a qualcuno che ti merita
veramente... Qualcuno come me, per esempio.- Si appoggiò
all'armadietto accanto a quello del ragazzo, incrociando le braccia
sotto il seno prosperoso, messo in evidenza dall'aderente divisa da
cheerleader.
-Mandy,
vedi di essere più chiara, non ho tempo da perdere con i
tuoi
giochetti.- sbuffò lui, cominciando ad infilare in fretta i
libri
nello zaino.
La
ragazza tirò fuori dalla tasca del cappotto un foglio
piegato. -
Forse ti interesserà sapere cosa disegna... Scusa,
disegnava...
L'inglesina.- Jace le strappò di mano il foglio, aprendolo:
era lui.
Fissò incredulo la bozza che aveva tra le mani. Hannah
disegnava
lui. E questo, conoscendo Hannah, doveva essere qualcosa di
importante, di fondamentale. Se lo disegnava allora doveva
significare che lei lo considerava parte della sua vita. Lui era
importante per lei, tanto da meritare di essere oggetto di una sua
opera.
-Dove l'hai trovato?- chiese solamente, nascondendo quanta gioia invece che fastidio gli avesse donato facendogli vedere quel disegno. - Potrebbe anche non essere stata Hannah a farlo.-
-Dove l'hai trovato?- chiese solamente, nascondendo quanta gioia invece che fastidio gli avesse donato facendogli vedere quel disegno. - Potrebbe anche non essere stata Hannah a farlo.-
-C'è
la sua firma sul retro... Firma i suoi disegni, si crede un'artista!-
rise, con quella sua irritante risatina colma di sarcasmo. -
é una
pazza Jace! É una che ti ritrae di nascosto!-
-Non
mi importa. E ancora non capisco perché ti dovresti
complimentare
con me.- sentenziò il ragazzo, infilando il disegno in una
tasca del
cappotto.
-Non
ti importa se è ossessionata da te? Voglio dire, si
può essere più
anormali di così? Ma te l'ho detto! Finalmente ti sei
liberato di
lei, ora che esce con Tom. Li ho visti passeggiare per il corridoio
mano nella mano. Erano tremendamente carini. Due schizzati che si
sono trovati. Dolci, non credi?- Amanda finse grande commozione, e si
compiacque nel vedere la mano di Jace tremare a quella notizia, ma
non ebbe la soddisfazione di vederlo crollare per cadere dritto tra
le sue braccia.
-Se
esce con Tom...- cominciò, e quale sforzo gli
costò mantenersi
indifferente. - Vuol dire che non è poi tanto ossessionata
da me,
non credi?- Jace, al contrario di lei, poté godersi a pieno
la
soddisfazione di vedere la sua espressione cambiare e passare da un
sorrisetto compiaciuto ad una smorfia scontenta.
-Sei
un idiota.- disse prima di andarsene sbuffando e pestando i piedi
perché non era riuscita a rovinargli la giornata. Non si
voltò
neppure per osservarla andar via. Gli bastò sentire i suoi
passi che
si allontanavano per sentirsi sollevato. Prese a respirare
profondamente, un pensiero gli martellava nella mente impedendogli di
formulare qualsiasi altro pensiero: Hannah e Tom. Ma come era
successo, quando? E lui come aveva potuto permetterlo? Cercò
di
convincersi fosse una bugia, un parto della mente contorta di Mandy,
ma non ci riusciva.
Si
sentì toccare una spalla. Eccola di nuovo, pensò.
Decise di
ignorarla. Ma gli picchiettò nuovamente sulla spalla. Si
voltò di
scatto, afferrando la mano che tanto lo infastidiva, e urlò,
senza
neppure sincerarsi che fosse davvero Amanda.
-Lasciami
in pace!- Hannah lo fissò con occhi sbarrati. Il dolore che
lei
provava lo colpì come una scossa elettrica e prima che
potesse dire
qualcosa lei se n'era già andata.
-Avanti
Jace...- disse Tom, e solo allora si rese conto della sua presenza e
che doveva essere arrivato con Hannah, rendendo la bugia di Amanda
verità. - Così rendi le cose troppo facili. Non
c'è gusto a
vincere così.-
Angolo dell'autrice:
Ebbene rieccomi qui! Purtroppo non sono riuscita a completare anche il capitolo "Natalizio" in tempo per questa pubblicazione, ma spero di riuscire a pubblicarlo entro la fine delle vacanze (sarà un capitoletto piccino picciò, praticamente un'appendice di questo'ultimo). Grazie a chi mi legge, e a chi mi segue, chi ha questa storia tra i preferiti, e chi continua a recensire! :-) Mi illuminate tutti la giornata! Mi sono accorta ora che la mia storia ha compiuto già un anno... Ma quanto sono lenta a pubblicare??? ç___ç Avrei voluto fare qualcosa di speciale per questa importante occasione, ma credo che la cosa migliore che io possa fare è continuare a scrivere. é stato un lunghissimo anno, con alti e bassi (forse più bassi che altro =_=), ma la mia piccola è ancora qui, e cresce e promette di venir su bene. Grazie ai compagni d viaggio che sono ancora qui, a quelli che ci hanno accompagnato solo per poco e a chiunque abbia compiuto anche un solo passo in compagnia di Hannah e Jace. :-)
Angolo dell'autrice:
Ebbene rieccomi qui! Purtroppo non sono riuscita a completare anche il capitolo "Natalizio" in tempo per questa pubblicazione, ma spero di riuscire a pubblicarlo entro la fine delle vacanze (sarà un capitoletto piccino picciò, praticamente un'appendice di questo'ultimo). Grazie a chi mi legge, e a chi mi segue, chi ha questa storia tra i preferiti, e chi continua a recensire! :-) Mi illuminate tutti la giornata! Mi sono accorta ora che la mia storia ha compiuto già un anno... Ma quanto sono lenta a pubblicare??? ç___ç Avrei voluto fare qualcosa di speciale per questa importante occasione, ma credo che la cosa migliore che io possa fare è continuare a scrivere. é stato un lunghissimo anno, con alti e bassi (forse più bassi che altro =_=), ma la mia piccola è ancora qui, e cresce e promette di venir su bene. Grazie ai compagni d viaggio che sono ancora qui, a quelli che ci hanno accompagnato solo per poco e a chiunque abbia compiuto anche un solo passo in compagnia di Hannah e Jace. :-)