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Autore: Noony    28/12/2010    1 recensioni
Hannah e Jace non hanno nulla in comune. Vengono da mondi differenti, sono la principessa e il povero dei giorni nostri. Sono due persone che nonostante tutto, si trovano e si innamorano delle proprie differenze.
Lei ha solo sedici anni quando si trasferisce a New York con suo padre. Lascia alle sue spalle un'esistenza vuota, e nessun amico a cui dire addio. Non ha nulla da portare con se nella sua nuova vita. Una vita che non vuole, perché identica alla precedente. É ricca, ma povera di affetti. É una ragazza sola, taciturna,malinconica.
Lui vive con la madre in un appartamento malconcio ad Harlem, frequenta un'esclusiva scuola privata solo perchè ha ottenuto una borsa di studio. Ma è una vita piena la sua, di affetti, di amici, di ricordi felici. Ha solo diciassette anni ma ha già in se un forte desiderio di rivalsa. Ha già progettato tutto il suo futuro, e sa come riuscire a raggiungere i propri obbiettivi: lavorando duramente. É ottimista, intraprendente, bello e carismatico.
Sullo sfondo della loro storia d'amore si intrecciano le vicende di amici e genitori, ognuno con i propri drammi e amori. Questa è una storia banale, una storia come tante altre già scritte e già raccontate.
Dal capitolo 8. Il cambiamento: E sapeva che non pensava di perdere un'amica, pensava di
perdere Hannah. Hannah era Hannah, un mondo a se stante nel suo
universo. Non era un'amica, forse non lo era mai stata.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo  14. Brutte giornate.

Lui.

-Stupido incosciente! Potrebbe venirti una polmonite! Come hai potuto solo pensare di fare una cosa del genere? E come credi mi sia sentita quando mi sono accorta che non solo non eri in camera tua, ma che tu non eri neppure in casa? Mi è quasi venuto un infarto, ecco come mi sono sentita! Mi sono sempre fidata di te Jace, ma tu hai tradito questa fiducia! Come posso fare affidamento su di te se ti comporti in modo così immaturo? Mi hai deluso Jace, molto deluso! Mai, e dico mai, neppure se cascasse il mondo, avrei mai creduto possibile tu potessi comportarti in modo così... Così... Idiota!-
Eccole, le tre tremende parole che non avrebbe mai voluto sentirle pronunciare: mi hai deluso. Jace non sopportava di deluderla. Tutto ciò che faceva e che aveva fatto, era stato fatto perché lei non dovesse mai pronunciarle, ma aveva fallito in pieno. Probabilmente aveva compiuto l'unica azione che, a ragion veduta, sua madre non avrebbe mai potuto perdonargli. Come darle torto? Nel suo brillante piano non aveva messo in conto le conseguenze del suo gesto folle, ma ora doveva affrontarle. Sapeva d'aver sbagliato, e si vergognava tanto da non avere il coraggio di sollevare lo sguardo dal lucido parquet del salotto dei Barnes mentre Greta sbraitava e camminava avanti e indietro per la stanza come una leonessa in gabbia. Hannah si era ritirata non appena Greta aveva messo piede in casa. Li aveva lasciati soli per dar loro una parvenza di privacy, inutilmente dato che Jace era ormai certo che l'avessero sentita urlargli contro fino in Cina.

-Mi dispiace mamma...- mormorò solamente, pensando che forse quelle erano le uniche parole che non l'avrebbero messo ancor di più nei guai. Che altro poteva dirle, comunque? "Mamma sono scappato di casa per comprare dei fogli alla ragazza che credo di amare come pegno d'eterno amore, visto che i suoi li hanno fatto a brandelli!"? Oppure "Sai mamma, le fughe per amore oggi giorno sono ampiamente sottovalutate!". In entrambi i casi, avrebbe finito per strangolarlo con le sue stesse mani. Non l'aveva mai vista tanto fuori di sé. Non aveva mai combinato nulla che giustificasse un'ira di tale portata. Ne era addirittura trasfigurata, e Jace credeva che dipendesse per una certa parte dal trovarsi proprio nell'ultimo posto in cui sarebbe voluta essere.
-No, a te non dispiace affatto!- replicò astiosa, voltandosi di scatto verso il ragazzo e puntandogli contro l'indice. - Ti dispiacerà quando ti ritroverai chiuso a chiave in camera tua! Da questo momento sei in punizione bello mio, fino a data da destinarsi. Niente uscite...- Jace pensò tra sé e sé che dato che non poteva uscire, non era una grande punizione. -... e niente visite! Non voglio vedere nessuno dei tuoi amici o delle tue amiche, sbatterò la porta in faccia a chiunque si presenti, fosse pure la regina Elisabetta in persona!- Si era rallegrato troppo presto. E l'accenno alla monarchia britannica sicuramente non era casuale.
-Da oggi la musica cambia, in questa casa...- sbatte le palpebre, come se si fosse ricordata solo in quell'istante di non trovarsi tra le quattro mura del loro appartamento, e scosse il capo. -... voglio dire, a casa nostra! Uscirai con me quando andrò a lavoro e con me tornerai a casa. Mi aspetterai in infermeria alla fine delle lezioni, dove potrò tenerti sotto stretta sorveglianza! E ringrazia che ti consenta ancora di pranzare in mensa!-
Jace cominciava seriamente a preoccuparsi per lo stato mentale di sua madre. Vederla passare da una forse eccessiva permissività ad una severità in parte giustificata ma anche questa eccessiva, era preoccupante. Forse lo spavento era stato davvero troppo eccessivo. Greta si zittì, infine. Aveva il fiato corto per l'avergli urlato contro per l'ultima mezz'ora. La sentì muoversi attraverso la stanza, giacché ancora non aveva sollevato lo sguardo dal pavimento e con la coda dell'occhio la vide avvicinarsi alla finestra della sala. Fin da lì poteva vedere le scintillanti luci di Manhattan illuminare la sera e di riflesso il volto di sua madre, con bagliori colorati che ne rendevano il volto più bello, ma che sembravano sottolineare le piccole rughe d'espressione intorno agli occhi e sulla fronte corrugata.
-Ho cercato di essere amica oltre che madre, per te. Ma se questo è il risultato, se credi di poter fare tutto ciò che ti passa per la testa e di passarla liscia mi costringi a diventare il tuo carceriere. Non portarmi a questo, nessuno di noi lo sopporterebbe.- L'esplosione di rabbia aveva lasciato dietro se un'insolita malinconia. Sua madre era triste e stanca, le sue forza erano state prosciugate completamente dallo scoppio di rabbia. - Non so se essere più arrabbiata con te per aver fatto quel che hai fatto o con me stessa per avertelo permesso.- aggiunse, voltandosi verso di lui. Al ragazzo mancava sempre più il coraggio si guardarla in volto: avrebbe reso tangibile tutto il dolore e la delusione che percepiva nella sua voce. Gli si avvicinò, fermandosi e inginocchiandosi davanti a lui. -Spero sia per la vergogna che continui a fissare il pavimento, ma vorrei che mi guardassi quando ti parlo.- gli strinse il mento tra pollice e indice, costringendolo a sollevare il capo. - Ora va meglio, almeno sono sicura di parlare con mio figlio non con un manico di scopa.- che cercasse di fare dell'ironia, era un buon segno, ma Jace non riusciva ad apprezzarlo. - Io so che tu capisci perché devo punirti. Io non vorrei, non so neppure se riuscirò a essere coerente, ma lo devo fare. Non puoi e non devi minare la mia autorità. Sono sempre tua madre, non devi scavalcarmi.- Gli disse tentando un approccio più morbido, già pentita d'averlo aggredito a quel modo.
-Lo capisco.- Jace trovava insopportabile specchiarsi negli occhi di Greta ricolmi com'erano di tristezza e delusione.
-Bene.- si alzò, guardandosi intorno alla ricerca della borsa che doveva aver abbandonato da qualche parte senza ricordarsi dove esattamente. La furia era stata troppo grande per focalizzare la propria attenzione su particolari senza alcuna importanza come quelli. Alla fine l'individuò accanto al divano. - Ora chiamo un taxi e andiamo a casa. Meglio tornare subito, prima che ti venga davvero una polmonite.- Jace l'osservò raccogliere la borsa e preso il cellulare e digitato un certo numero di telefono la sentì discutere con un'anonima quanto incolpevole centralista cui unica colpa era, a giudicare dal tono di sua madre e dalla sua espressione, quella di averle dato una cattiva notizia.
-Come scusi? No, forse lei non ha capito cosa ho appena detto... Sì, capisco, è sabato sera, ma è un'emergenza e... Sì, certo, però... Va bene, aspetteremo. Arrivederci.- Infilò nuovamente il telefono in borsa, con notevole stizza. - Ci vorrà almeno un ora. - disse lasciandosi cadere accanto al figlio sul divano dei Barnes. - Certo che questo divano è proprio comodo! - esclamò in tono scherzoso. - Quasi giustifica una fuga da casa! É molto più comodo del tuo letto!- Jace annuì, e prima che potesse replicare con altrettanta ironia la porta della sala si aprì e con passo lento George Barnes fece la sua entrata. Sembrava, con tutta quella lentezza, che volesse dare un che di drammatico al suo ingresso.
Non appena Greta lo vide quel poco di buon umore riacquistato scemò del tutto. Tornò a corrugare la fronte e il suo sorriso si spense. Stringeva le labbra con tale forza da farle apparire esangui.
-Quale gradita sorpresa...- mormorò l'uomo, avanzando verso di loro con le braccia incrociate dietro la schiena e, a differenza di sua madre, un largo sorriso in volto. Jace si sentì improvvisamente a disagio e si rizzò a sedere con la schiena ben dritta, come sull'attenti, in una posizione rigida quanto scomoda.
-Signor Barnes...- replicò Greta, e tutto ciò che riuscì a concedergli fu un cenno del capo. - Non si preoccupi, ho già chiamato un taxi, arriverà il prima possibile.-
-Non si preoccupi lei Greta, è sempre la benvenuta in questa casa...- il modo in cui lo disse sembrò sottolineare che sebbene lei fosse una compagnia più che gradita lo stesso non poteva dirsi di suo figlio. - … e speravo volesse fermarsi qui a cena. Ormai è tardi e noi stiamo per sederci a tavola.- Jace si trattenne dal ridere. Noi? Da quando non si sedeva a tavola con sua figlia? Hannah gli aveva accennato al fatto che suo padre fosse spesso tanto impegnato da non riuscire a consumare alcun pasto, se non la colazione, con lei. Lo disgustava che nel tentativo di apparire migliore agli occhi di sua madre mentisse così spudoratamente.
-No significa no. Quante volte te lo devo ripetere?- Jace si voltò verso la madre, afferrando immediatamente il senso delle sue parole. C'erano stati altri inviti quindi, qualcosa che la donna gli aveva tenuto nascosto.
-Suvvia non sia testarda, è solo un invito a cena, una cortesia che...- cercò di insistere prima che Jace, alzandosi, lo interrompesse.
-Credo sia meglio lasciarvi soli... Ehm... Mamma quando hai fatto io... Ti aspetto di là...-
Qualunque cose stesse succedendo tra di loro, Jace non voleva averci niente a che fare. Voleva solo far finta di non aver capito che a Barnes sua madre piaceva più di quanto tollerasse e che a lei, visto l'evidente sdegno che mostrava in sua presenza, l'uomo non era indifferente. Meglio non pensare a quali sarebbero potuti essere i danni collaterali del loro agire, perché gli erano ancor meno tollerabili dell'idea di sua madre felicemente accoppiata con un uomo del genere.
Uscì dalla stessa porta da cui Barnes era appena entrato, ritrovandosi in quella che doveva essere la sala da pranzo. Uno enorme tavolo dai meravigliosi intarsi dominava la stanza, e il ragazzo non poté fare a meno di chiedersi a cosa servisse mai una cosa così bella se nessuno ne godeva. Si avvicinò, per osservarne i decori chiari sul legno scuro e rossastro. Tanto era lustro che non osava toccarlo per paura di lasciarci delle impronte. In quella casa tutto era splendido e curato nel minimo dettaglio proprio come quel pezzo di mobilio, eppure pur essendo piena di tanto splendore avvertiva un senso di vuoto. Si chiedeva quante volte Hannah fosse stata costretta a sedere a quel tavolo da sola, a consumare un pasto solitario. Quanto era fortunato lui a suo confronto, che non era ricco, ma ricco d'affetti sì.
Lo sorprese un pensiero che non riuscì a scacciar via dalla mente: quanto Hannah e Tom fossero simili. Come lei, anche Tom era cresciuto da solo o con la sola presenza dei domestici, che erano per lui più ombre che presenze tangibili. I suoi genitori si curavano ben poco di lui e dei suoi fratelli, e dopo il loro divorzio le cose erano peggiorate sempre più: la madre era la tipica donna ormai non più giovane ma ossessionata dall'aspetto fisico. Non c'era mese in cui non facesse visita al chirurgo plastico di fiducia per eliminare questa o quella rughetta appena visibile. Il medico aveva provato a dirle che erano rughe d'espressione, normali a cinquantacinque anni, ma lei non lo stava neppure a sentire. Suo padre, invece, era sempre stato troppo preso dal lavoro o dalla nuova e giovane mogliettina, una a caso, ormai era arrivato alla quarta. La seconda era stata tanto giovane che poi dopo il divorzio aveva sposato uno dei figli maggiori dell'ex marito.
Le volte che era stato a casa sua poi, l'aveva trovata sempre vuota, tanto che cominciava a chiedersi se non fosse costretto a invitarlo in casa solo quando i genitori non erano presenti perché non approvavano la loro amicizia, come ne L'amico ritrovato, o se al contrario non importava loro cosa facesse, purché non li disturbasse. Ora sapeva che era sicuramente la seconda ipotesi quella corretta. Allora però aveva visto l'opulenza di quella casa, i vantaggi dell'avere le tasche sempre piene di biglietti da cinquanta, e null'altro. E aveva continuato a farsi accecare dallo splendore, a vedere solo ciò che Tom poteva avere e lui no e non ciò che lui aveva la fortuna di possedere e che neppure tutti i soldi di suo padre avrebbero potuto comprare, finché non era arrivata Hannah. Lei levigava le asperità del suo carattere, e ci riusciva con la sua sola presenza. Bastava questo a migliorarne i tratti e la ragazza non se ne rendeva neppure conto.
Tale profondo pensiero lasciò spazio ad un dubbio: se Tom fosse riuscito a guardare oltre la maschera che Hannah indossava, se fosse riuscito a vedere quanto in fondo le loro vite fossero simili e se avesse usato questo per far breccia nel suo cuore, come avrebbe mai potuto competere? Lui non capiva la solitudine e forse per questo la scelta della ragazza sarebbe potuta ricadere su qualcuno che lei potesse considerare un suo simile. Qualcuno che potesse trovare rassicurante. Se fosse successo non sapeva se l'avrebbe potuto sopportare, e non perché avrebbe significato che Tom avrebbe vinto una guerra che era stato lui a cominciare ma che non aveva mai voluto, ma bensì perché avrebbe perso Hannah. Lei gli stava a cuore molto più di qualsiasi altra cosa, compreso il proprio orgoglio. Continuò a pensarci anche quando poco dopo sua madre uscì dal salotto e lo raggiunse e anche mentre la governante li accompagnava alla porta seguita a ruota da Hannah. Si ridestò il tempo necessario per notare quanto la ragazza sembrasse felice nel vedere la sua adoratissima tata sforzarsi di essere gentile con loro mentre consegnava a sua madre un enorme thermos con sguardo tanto intenso e carico di significato che poteva essere considerato l'equivalente metallico del biblico rametto d'ulivo.
Riprese a pensarci mentre salivano in taxi e durante tutto il tragitto fino a casa. Ma tutto quel pensare lo portò all'unica conclusione che non poteva fasciarsi la testa prima d'essersela rotta. In quel momento doveva pensare solo a guarire, e il più il fretta possibile. Il resto l'avrebbe affrontato al momento opportuno. Non poteva fare altro, al momento, confinato com'era tra le quattro mura di casa.

***
La domenica la passò davvero male. Come ci si aspettava la bronchite tornò a tormentarlo, e con essa anche la tosse e il dolore alla gola. Il giorno successivo fu chiamato il dottore, che decretò che la bronchite era sì peggiorata ma non tanto da far temere l'insorgere di complicanze potenzialmente pericolose. Fu comunicata all'ammalato l'infausta novella: il suo esilio si sarebbe protratto per almeno una settimana di più di quanto preventivato ed era stata aggiunto alla terapia antibiotica anche un mucolitico per aerosol.
-Tornerai a scuola in tempo per le vacanze di Natale!- gli disse il medico ridendo non appena finì di visitarlo. Jace non lo trovò affatto divertente.
Le due settimane successive scivolarono via più in fretta di quanto non avesse sperato, forse perché ogni sua giornata era scandita da una rigida routine data la mole di medicine da prendere a orari diversi. Il ragazzo non sgarrò mai, neppure di un minuto, sulla tabella di marcia. Voleva guarire in fretta e bene, e tornare da Hannah il più presto possibile e voleva che sua madre capisse che ce la stava mettendo tutta per rimediare al suo sbaglio. Guarire era, seppure piccolo, un passo avanti. Greta dal canto suo, vedendolo tanto convinto, decise di aiutarlo come poteva e un pomeriggio tornò a casa con un umidificatore per ambienti, che fu piazzato in camera del ragazzo e che gli fu di grande aiuto per quella tosse che pareva non volersene proprio andare. Tutti i suoi sforzi non furono vani: due venerdì dopo il medico lo autorizzò a tornare a scuola il lunedì successivo, a patto che stesse attento a non prendere troppo freddo, dato che la tosse non era ancora guarita del tutto.
Non ci fu mai al mondo adolescente più felice di tornare a scuola di quanto fosse Jace. E quando furono tornati a casa, come ciliegina sulla torta...
-Sai che ti dico, Jace? Ti sei comportato da vero ometto in queste ultime settimane.- cominciò Greta, prendendolo in giro, mentre posava sul tavolo due enormi buste: take away cinese, la loro cena. - Hai preso tutte le medicine senza capricci, hai mandato giù tutto il brodo che ha preparato la governante di Hannah e tutte le verdure bollite che ti ho propinato. Sì, sono profondamente colpita!- si portò una mano al petto, annuendo con aria commossa. Jace si limitò a lanciarle un occhiataccia e un sorriso divertito. - Soprattutto ti sei limitato molto nell'uso del telefono. Ero certa saresti stato attaccato alla cornetta notte e giorno, invece...- In realtà era stato sempre attaccato al proprio cellulare, ma forse era meglio non ricordarglielo.
-Okay, sono un bravo bambino, appurato ciò arriva al dunque!- L'interruppe bruscamente mentre disponeva sul tavolo i vari cartoni pieni di cibo fumante. Greta prese dallo scolapiatti due piatti e le posate e le dispose sul tavolo mentre riprendeva a parlare.
-La tua punizione è revocata per buona condotta. Consideralo un regalo di Natale anticipato. Così potrai portare fuori una certa ragazza... Una che ha chiamato molto spesso negli ultimi tempi e di cui attendevi con ansia i messaggi...-
Jace decise che era meglio ignorare certe allusioni. -Davvero non sono più in punizione?- Chiese concedendole uno sguardo adorante e un sorriso sornione. - Lo sai che sei la mia mamma preferita?-
-Tsk... Adulatore spudorato!-


Lei.
Le ultime due settimane erano state dure. L'assenza di Jace a scuola, e il non poterlo andare a trovare, il doversi accontentare delle telefonate e dei messaggi, era stato duro. Dopo aver finalmente aperto gli occhi e ammesso di provare certi sentimenti nei suoi riguardi sentiva di aver ancor più bisogno della sua costante presenza, come se temesse di disinnamorarsene pian piano se non lo avesse avuto sempre sotto gli occhi. Era troppo presto perché comprendesse che la distanza talvolta amplifica i sentimenti d'amore.
Non si era sentita sola, in ogni caso, anzi la presenza del Trio e di Ted Shelby, che per qualche motivo che Hannah non riusciva proprio a comprendere si era auto-proclamato suo protettore fino al ritorno di Jace, era stata a momenti asfissiante. Tali momenti però venivano sopportati e superati con pazienza, perché la ragazza capiva bene quanto fosse fortunata ad avere attorno delle amiche tanto care. Quando aveva trovato il suo album in pezzetti aveva creduto il suo mondo fosse lì lì per crollare, invece aveva fornito un ulteriore motivo di gioia: la dimostrazione della sincera devozione delle ragazze nei suoi confronti. Se avesse avuto ancora qualche dubbio sul loro affetto, questo li avrebbe fugati tutti.
Chi si infuriò di più fu Jaquie. La ragazza sembrava pronta ad incolpare e aggredire chiunque posasse il suo sguardo sull'amica. Mal tollerava tutti i gesti che potessero danneggiare le proprietà altrui, perché fin da piccola le era stato trasmesso il rispetto per il denaro. Non è cosa che cresce sugli alberi, le diceva spesso suo padre, quindi non va sprecato inutilmente. C'è da dire però, che quando si trattava dei propri soldi, era sempre pronta a sprecarne tanti quanti le andasse di spenderne.
-Secondo me è stata Amanda!- esordì una mattina, mentre si avviava verso l'aula di letteratura in compagnia delle altre. - Me lo sento! Devo solo trovare qualche prova!-
-Jaquie, non fai Grissom di cognome! Pensi che sia stata lei solo perché la detesti.- la rimproverò Daphne, prendendo sottogamba l'intuizione della compagna. Così fecero anche Rose e Hannah, che dal canto suo poteva ben dire di non aver neppure mai visto l'ormai celeberrima Amanda in vita sua. Perché mai doveva avercela con lei una persona che non aveva neppure mai incontrato?

***
Hannah ricevette la bella notizia il venerdì stesso, non appena Jace era uscito dall'ambulatorio. In quel momento si trovava seduta al tavolino di un bar in compagnia di Rose e Ted. Quella mattina aveva chiesto all'amica se non potesse accompagnarla a cercare dei regali di Natale, visto che ne aveva presi solo alcuni, e non aveva molte idee né sapeva dove poter cercare gli altri. All'appuntamento però si era presentata in compagnia.
-Jace lunedì torna a scuola!- aveva esclamato entusiasta non appena letto il suo sms. Quale gioia! Se fino a quel momento si era sentita sfinita per l'intensa seduta di shopping appena conclusasi, improvvisamente si sentì ringalluzzire tutta. Cominciò a mandar giù rapide sorsate della sua cioccolata calda (che non si dica che gli inglesi bevono solo tè!), tanto che Rose si sentì in dovere di rimproverarla.
-Hannie, ti andrà di traverso, cos'è tutta questa fretta?- chiese mentre allungava una mano per afferrare la sua tazza e fargliela posare sul tavolino.
-Rosie, credi ci sia qualche negozio ancora aperto?- chiese, presa da una frenesia inusuale.- Devo sbrigarmi o chiuderanno, e io non ho ancora preso nulla!-
-Ma hai già comprato tutto ciò di cui hai bisogno!- le fece notare l'altra, accennando con il capo ai numerosi e variopinti sacchetti posati sul pavimento del piccolo locale, accanto al tavolo. Era vero: aveva scelto e comperato, seppure con enorme fatica, un piccolo pensiero per tutti, esclusi i presenti, ovviamente, e Jace. Lui era un'incognita. Ci aveva riflettuto l'intero pomeriggio, scandagliando i propri ricordi alla ricerca di un qualche accenno che potesse indirizzarla nella giusta direzione, ma si era resa conto che si era sempre parlato di lei, di quello che era il suo passato, presente e di quello che avrebbe voluto fosse il suo futuro, delle sue passioni, eccetera. Poche volte si era parlato di Jace. Era un'imperdonabile sgarro quello che gli aveva fatto, e voleva rimediare al più presto cominciando da un regalo di Natale più che azzeccato, ma non sapeva proprio da che parte cominciare.
-Ma non ho trovato il regalo giusto per Jace!- le ricordò con tono petulante, emettendo un profondo sospiro.
-Io so cosa potresti regalargli. - intervenne Ted, che fino a quel momento, contravvenendo a quello che la sua indole gli suggeriva, era rimasto zitto zitto a godersi la scena. – Ma non si compra in un negozio. Non c'è niente che un ragazzo gradirebbe di più del bacio di una bella ragazza!- le suggerì, ammiccando maliziosamente. Hannah lo fissò perplessa.
-Devo pagare una modella perché lo baci?- chiese ingenuamente, senza neppure sospettare ciò che il ragazzo intendeva dirle in realtà. Guardò poi Rose come se si aspettasse da lei una traduzione simultanea, perché pareva evidente dall'espressione di lui che doveva averne frainteso le parole. In certi momenti le pareva parlasse una lingua a lei sconosciuta. Ted la fissò stranito, tra il sorpreso e il perplesso, per qualche secondo prima di scoppiare a ridere fragorosamente, tanto di gusto da fargli venire le lacrime agli occhi.
-Ma no! Lo devi baciare tu!- esclamò, puntandole contro l'indice. Qualcuno dei clienti del locale si voltò nella loro direzione, incuriositi da tanto schiamazzare. Hannah impallidì e arrossì in rapida successione, tremendamente imbarazzata. Il ragazzo era andato a toccare un argomento delicato per Hannah, qualcosa di cui non aveva ancora avuto il coraggio di parlare con nessuno, neppure con la fidatissima Rose. Aveva paura che a condividere i suoi pensieri con qualcun altro li avrebbe sentiti meno suoi.
-Che assurdità...- si limitò a mormorare con sguardo basso e malinconico. Lei baciare Jace, questa poi! Non sarebbe mai potuto accadere. Era qualcosa di troppo bello perché potesse realizzarsi. Era, per lei, un avvenimento che sarebbe potuto accadere solo nei suoi sogni più arditi. Perché mai Jace avrebbe dovuto baciare lei, in fondo? Non aveva neppure mai osato immaginare come sarebbe stato un bacio tra loro. A quel pensiero non poté impedire a se stessa di chiedersi come fossero le labbra di un ragazzo, che sensazione si dovesse provare nello sfiorarle. Erano morbide? Avevano un sapore in particolare come spesso stava scritto nei romanzetti rosa? Quelle di Jace sembravano soffici, quasi di velluto. Lui non sembrava rendersene conto ma talvolta, quando era assorto o concentrato su qualcosa, prendeva a mordicchiarsele o a succhiarsi il labbro inferiore, facendole arrossare e rendendole inconsapevolmente ancora più appetibili. L'aveva ritratto in quella posa tanto ne era rimasta affascinata, tanto le era parso bello come mai prima, ma non riusciva a ritrovare quello schizzo in particolare. Non era nell'album che le avevano distrutto, altrimenti sarebbe l'avrebbe di certo ritrovato in pezzi come tutto il resto. Non ricordava però dove l'aveva riposto.
-Io... Non... Non vorrebbe essere baciato da me.- farfugliò ancora con una vocetta strozzata. Sentiva come un nodo in gola che le rendeva difficile parlare.
-Sì, come no! Hannah, sei proprio ingenua!- borbottò Ted irritato. Probabilmente, non conoscendo bene la ragazza, si doveva essere aspettato una diversa reazione e maggiore ironia e malizia da parte sua.
-Ted, non sono affari nostri. Smettila di impicciarti. - lo rimproverò Rose, prima di rivolgersi ad Hannah, decisa, per il bene dell'amica, a cambiare argomento. - So che Jaquie e Daphne gli regaleranno una maglia firmata da un certo Koga...Koba...Koda....-
-Vorrai dire Kobe! Kobe Bryant, il giocatore dei Lakers!- la interruppe il ragazzo con un certo tono saccente. Evidente era l'intento di farle un dispetto e vendicarsi di come lei l'aveva zittito appena un minuto prima. Hannah li avrebbe trovati divertenti se non fosse stata concentrati su ben altri pensieri e preoccupazioni.
-A Jace piace il basket?- Se così era, Hannah non ne aveva mai avuto neppure il sentore. Le aveva detto che giocava nella squadra di football quindi aveva presunto che quello fosse il suo sport preferito, non aveva mai pensato ci fosse la possibilità che si sbagliasse. - Non lo sapevo. Non ne abbiamo mai parlato in verità.- Non ne avevano mai parlato perché lei non aveva mai chiesto nulla a riguardo. Mentre Jace sembrava lottare strenuamente per riportare alla luce quanti più ricordi possibili dell'amica e farli suoi, lei si era limitata ad aspettare, o sperare, le piovessero addosso quelli di lui. - In ogni caso, visto che le ragazze gli regalano qualcosa, non potrò prendergli qualcos'altro anche io.- sentenziò infine, sospirando profondamente. Poco dopo la cameriera portò loro il conto e usciti dal locale si divisero. Le ragazze procedettero nella stessa direzione. Per un po' stettero in silenzio. Hannah aveva bisogno di parlarne con Rose per essere rassicurata, per sentirsi dire che quello che sentiva per Jace non era frutto di false aspettative che lei si era costruita negli ultimi mesi, ma che davvero amava Jace, anche se ancora tante erano le cose che non sapeva di lui. Al contempo aveva paura di scoprirsi troppo, quindi, dopo un lungo silenzio, cercando di apparire piuttosto indifferente, le chiese: -Rosie... Come fai ad essere sicura che Seth ti piaccia davvero? Voglio dire, tu stessa hai ammesso che vi siete parlati molto poco.-
-Ho chiesto a Jace di parlarmi di lui.- rispose la ragazza con semplicità.- Con molta nonchalance ovviamente! Non sono andata da lui a dirgli “Hei Jace trovo il tuo amico bellissimo, potresti spiattellarmi tutto ciò che sai di lui?”.- la ragazza ridacchio delle sue stesse parole. - E lui l'ha fatto. Ha capito e mi ha detto tutto ciò che avrei voluto sapere. Ora vorrei solo poter vedere con i miei occhi ciò che ho solo sentito da altri.- ammise con rimpianto.
-Ho capito...- Hannah se ne stette zitta zitta finché non arrivarono davanti al portone d'ingresso del suo palazzo. L'usciere la riconobbe e si avvicinò all'ingresso, aprendole la porta con fare servizievole. Rose a quel punto sollevò una mano, in un accenno di commiato che però Hannah non le permise di terminare.
-Rosie, ti va di salire? Io vorrei... Vorrei che tu... Potresti parlarmi di Jace?-

***
Il lunedì successivo Hannah aveva ancora in testa tutte le cose meravigliose che Rose le aveva riferito durante il week end appena trascorso. Avevano finito per vedersi anche il sabato e la domenica, per fare gli ultimi acquisti o per una semplice chiacchierata. Hannah si era resa conto di essersi convinta di conoscere piuttosto bene Jace, mentre invece sembrava non conoscere nulla di lui, neppure la data del suo compleanno, cosa che scoprì con orrore sarebbe stato poco dopo Capodanno. In realtà aveva solo fatto il pieno di aneddoti e particolari insignificanti, anche se per la ragazza erano grandi e importanti novità.
L'amica aveva cercato di rassicurarla, dicendole che lei in realtà lo conosceva molto meglio di quanto non lo conoscesse l'intero Trio messo insieme, ed era vero, perché con lei il ragazzo si era aperto più che con qualsiasi altra persona. Hannah però non ne era affatto convinta, abituata com'era a focalizzarsi sui particolari quasi insignificanti in maniera maniacale quando dipingeva, supponeva di doverlo fare anche in questo caso, senza notare la fondamentale differenza: Jace non era un disegno. Lui era vivo, reale, non poteva cambiarlo con un colpo di gomma, non poteva prevedere quale sarebbe stato il risultato finale dell'opera nel suo complesso.
Una volta arrivata a scuola, mentre si levava il cappellino di lana e i guanti per riporli nell'armadietto ed era sempre presa dalle sue elucubrazioni, intravide con la coda dell'occhio un'ombra, qualcuno che le si avvicinava. Immaginò fosse Jace. Al solo pensiero il battito cardiaco accelerò e fu scossa da un piacevole fremito quando infine impose a se stessa di voltarsi. Davanti a lei però, con suo grande dispiacere, scoprì che non c'era Jace.
-Ciao Hannah. Come stai?- era Thomas Rushmore, con il suo sorriso gentile ma insieme altezzoso, con i begli occhi verdi e i capelli neri ben pettinati che ne incorniciavano il volto dai lineamenti delicati. - Sono felice di vederti in salute.- I soliti convenevoli a cui Hannah rispose con un cenno del capo.
-Grazie. Spero sia lo stesso per te.- Fu educata ma gelida. Infilò i libri necessari per le lezioni della mattina nella borsa e chiuse l'armadietto. - Mi dispiace ma ora devo proprio andare, buona giornata.- Attese qualche istante per dargli la possibilità al ragazzo di accomiatarsi, ma lui senza smettere di sorriderle le chiese a brucia pelo : - Posso accompagnarti in classe?-
Ne fu talmente sorpresa che si limitò ad annuire. Si avviarono insieme per il corridoio. Tom parlava, di tutto e di niente in verità, Hannah si limitava ad ascoltare. Non era interessata ai suoi piani per le vacanza, che sarebbero cominciate di lì a qualche giorno, nulla di ciò che lui diceva poteva attirarne l'attenzione perché, in fondo al corridoio lei aveva già visto Jace.

Lui.

Jace fissava con gli occhi sbarrati l'avviso affisso all'ingresso della palazzina in cui ricordava di aver sempre vissuto. Lui e sua madre, e un nutrito gruppo di vicini si erano fermati ad osservare un uomo in giacca e cravatta, dallo splendido completo di alta sartoria che appendeva al portone un foglio di carta stampato fitto fitto. Quando l'uomo se ne fu andato (molto in fretta in realtà, come se temesse di venire aggredito da un momento all'altro) tutti, chi con più interesse di altri, chi per semplice curiosità, si erano avvicinati a controllare cosa fosse. I vecchio Scrooge aveva venduto il palazzo.
Il vecchio Scrooge era il soprannome che i suoi affittuari avevano dato al padrone della palazzina, un certo Harvey Perry, che nessuno di loro aveva mai visto, dato che preferiva mandare i suoi legali a fare il lavoro sporco per lui. Era opinione comune che fosse un uomo avaro, che faceva pagare un affitto mensile mediamente alto se rapportato al pessimo stato in cui versavano i singoli appartamenti e la palazzina nel suo complesso, e che pretendeva che qualsiasi miglioria, fosse anche pitturare la facciata, dovesse essere a carico degli affittuari. Contava sul fatto che la maggior parte di loro avesse vissuto fin dall'infanzia in case popolari, in delle catapecchie ben peggiori di quella o peggio per la strada e che quindi nessuno di loro avrebbe osato mai tirar fuori la voce. Purtroppo era vero, per non parlar del fatto che la maggior parte degli abitanti del palazzo non si sarebbero potuti permettere un avvocato, e anche se così non fosse stato, sicuramente non avrebbero potuto pagarne uno bravo al pari dei suoi.
Jace sentì il terreno mancargli da sotto i piedi, per un instante pensò di stare per svenire. Certo, lui e sua madre avrebbero trovato una soluzione, avrebbero trovato facilmente un altro appartamento, probabilmente niente di meglio di quanto non avessero ora. Ma gli altri? Per alcuni era difficile già tirare avanti, pagare quell'affitto che piano piano negli anni era cominciato a lievitare mentre l'edificio diventava sempre più vecchio, logoro e malmesso.
-Jace...- Greta lo tirò per un braccio. - Andiamo, faremo tardi.- Jace non si mosse. Fissava ancora quell'inutile, stupido foglio di carta, su cui stava scritto che il futuro di tutti loro era nelle mani di tale compagnia, la Gamble & Harclay Co. Potevano buttarli fuori di casa quel giorno stesso se solo avessero voluto, e loro non potevano farci niente. Dovevano subire, subire e ancora subire. Ne aveva le tasche piene di chinare la testa e sopportare i tiri mancini della sorte.
Greta lo strattonò tanto forte da farlo voltare. - Jace muoviti. - gli intimò fissandolo negli occhi. - Andiamo.- Nonostante l'apparente calma poteva leggerle dentro, poteva percepirne la paura e quanto fosse sconvolta, molto più di quanto lui non fosse. Trovarsi senza un tetto sotto il quale vivere era il suo peggiore incubo, un tuffo nel passato, e Jace ne era dolorosamente consapevole. Ma stavolta lui non era un bambino, non sarebbe rimasto a guardare sua madre spezzarsi la schiena nel tentativo perlomeno di sopravvivere. C'erano tante cose che poteva fare, e gli era chiaro da quale dovesse cominciare.

***
Aveva atteso con ansia il ritorno a scuola, ma in quel momento desiderava solo stare da solo, tornarsene a casa e dormire, e perdere il completamente i contatti con la deludente realtà. Provava l'intenso desiderio di mandare a quel paese chiunque lo salutasse, e siccome lo facevano in tanti, la sua pazienza veniva messa a dura prova.
Arrivato al suo armadietto, lo fissò per qualche istante: aveva voglia di sbatterci contro la testa fino a perdere conoscenza. Si sentiva pieno di rabbia, tanta da riuscire a malapena a controllarla. Aveva voglia di urlare, di prendere a pugni qualcuno. Lui non era come Hannah, che si teneva tutto dentro lasciando sfogare i suoi sentimenti nel silenzio, lui aveva bisogno di esternarli o sarebbe esploso. Aprì l'armadietto con uno scatto rabbioso.
-Nervosetto oggi?- chiese una vocina melliflua alle sue spalle.
-Amanda, oggi non è giornata.- sbottò lui, senza degnarsi di voltarsi a guardarla. Lei era senza dubbio l'ultima persona che avrebbe voluto incontrare. Sembrava essere venuta al mondo solo per irritarlo.
-Povero bambino... E io che ero venuta a farti le mie congratulazioni.- gli si avvicinò, allungando una mano verso i suoi capelli. Jace se ne allontanò con uno scatto, afferrandole il polso.
-Dimmi cosa vuoi e lasciami in pace.- Amanda lo guardò con quei suoi occhi di ghiaccio, inespressivi tanto da fargli venire i brividi. Se gli occhi erano lo specchio dell'anima allora quella di Amanda era vuota. Aveva lo stesso fascino di una tigre mentre si prepara ad attaccare la sua preda. Le lasciò andare il polso con uno scatto repentino, come se gli avesse dato la scossa, distogliendo lo sguardo dal suo volto.
-Te l'ho detto, volevo solo farti le mie congratulazioni. Ora che ti sei liberato della principessina puoi dedicarti a qualcuno che ti merita veramente... Qualcuno come me, per esempio.- Si appoggiò all'armadietto accanto a quello del ragazzo, incrociando le braccia sotto il seno prosperoso, messo in evidenza dall'aderente divisa da cheerleader.
-Mandy, vedi di essere più chiara, non ho tempo da perdere con i tuoi giochetti.- sbuffò lui, cominciando ad infilare in fretta i libri nello zaino.
La ragazza tirò fuori dalla tasca del cappotto un foglio piegato. - Forse ti interesserà sapere cosa disegna... Scusa, disegnava... L'inglesina.- Jace le strappò di mano il foglio, aprendolo: era lui. Fissò incredulo la bozza che aveva tra le mani. Hannah disegnava lui. E questo, conoscendo Hannah, doveva essere qualcosa di importante, di fondamentale. Se lo disegnava allora doveva significare che lei lo considerava parte della sua vita. Lui era importante per lei, tanto da meritare di essere oggetto di una sua opera.
-Dove l'hai trovato?- chiese solamente, nascondendo quanta gioia invece che fastidio gli avesse donato facendogli vedere quel disegno. - Potrebbe anche non essere stata Hannah a farlo.-
-C'è la sua firma sul retro... Firma i suoi disegni, si crede un'artista!- rise, con quella sua irritante risatina colma di sarcasmo. - é una pazza Jace! É una che ti ritrae di nascosto!-
-Non mi importa. E ancora non capisco perché ti dovresti complimentare con me.- sentenziò il ragazzo, infilando il disegno in una tasca del cappotto.
-Non ti importa se è ossessionata da te? Voglio dire, si può essere più anormali di così? Ma te l'ho detto! Finalmente ti sei liberato di lei, ora che esce con Tom. Li ho visti passeggiare per il corridoio mano nella mano. Erano tremendamente carini. Due schizzati che si sono trovati. Dolci, non credi?- Amanda finse grande commozione, e si compiacque nel vedere la mano di Jace tremare a quella notizia, ma non ebbe la soddisfazione di vederlo crollare per cadere dritto tra le sue braccia.
-Se esce con Tom...- cominciò, e quale sforzo gli costò mantenersi indifferente. - Vuol dire che non è poi tanto ossessionata da me, non credi?- Jace, al contrario di lei, poté godersi a pieno la soddisfazione di vedere la sua espressione cambiare e passare da un sorrisetto compiaciuto ad una smorfia scontenta.
-Sei un idiota.- disse prima di andarsene sbuffando e pestando i piedi perché non era riuscita a rovinargli la giornata. Non si voltò neppure per osservarla andar via. Gli bastò sentire i suoi passi che si allontanavano per sentirsi sollevato. Prese a respirare profondamente, un pensiero gli martellava nella mente impedendogli di formulare qualsiasi altro pensiero: Hannah e Tom. Ma come era successo, quando? E lui come aveva potuto permetterlo? Cercò di convincersi fosse una bugia, un parto della mente contorta di Mandy, ma non ci riusciva.
Si sentì toccare una spalla. Eccola di nuovo, pensò. Decise di ignorarla. Ma gli picchiettò nuovamente sulla spalla. Si voltò di scatto, afferrando la mano che tanto lo infastidiva, e urlò, senza neppure sincerarsi che fosse davvero Amanda.
-Lasciami in pace!- Hannah lo fissò con occhi sbarrati. Il dolore che lei provava lo colpì come una scossa elettrica e prima che potesse dire qualcosa lei se n'era già andata.
-Avanti Jace...- disse Tom, e solo allora si rese conto della sua presenza e che doveva essere arrivato con Hannah, rendendo la bugia di Amanda verità. - Così rendi le cose troppo facili. Non c'è gusto a vincere così.-








Angolo dell'autrice:
Ebbene rieccomi qui! Purtroppo non sono riuscita a  completare anche il capitolo "Natalizio" in tempo per questa pubblicazione, ma spero di riuscire a pubblicarlo entro la fine delle vacanze (sarà un capitoletto piccino picciò, praticamente un'appendice di questo'ultimo). Grazie a chi mi legge, e a chi mi segue, chi ha questa storia tra i preferiti, e chi continua a recensire! :-) Mi illuminate tutti la giornata! Mi sono accorta ora che la mia storia ha compiuto già un anno... Ma quanto sono lenta a pubblicare??? ç___ç Avrei voluto fare qualcosa di speciale per questa importante occasione, ma credo che la cosa migliore che io possa fare è continuare a scrivere. é stato un lunghissimo anno, con alti e bassi (forse più bassi che altro =_=), ma la mia piccola è ancora qui, e cresce e promette di venir su bene. Grazie ai compagni d viaggio che sono ancora qui, a quelli che ci hanno accompagnato solo per poco e a chiunque abbia compiuto anche un solo passo in compagnia di Hannah e Jace. :-)








  
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