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Autore: Criros    30/12/2010    4 recensioni
A Milano, Victoria ha sempre avuto una vita da sogno: reginetta della scuola, capitana della squadra di pallavolo, amici e fidanzato perfetti. Ma, dopo essersi improvvisamente trasferita in un paesino in mezzo al nulla, dovrà faticare non poco per tornare ad essere la ragazza popolare che è sempre stata. Soprattutto se i suoi piani verranno costantemente ostacolati dalla Queen Bee Margherita, dall’odiosissimo snob Alessandro e dal criptico Damiano.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO IX: Stuck

“Qualcuno mi sa dire chi è l’autore di Cuore di tenebra?”
La voce gracchiante della rospa si sparse per tutta la classe risvegliando parecchi ragazzi semiaddormentati. Come al solito l’ora di inglese era stata un interrotto monologo in lingua della professoressa riguardo i grandi romanzi inglesi, talmente noioso che nemmeno Victoria era riuscita a restare attenta. Il compito in gruppo con Polipi e Stefano stava procedendo bene, i ragazzi si erano consultati il giorno precedente riguardo una serie di saggi da leggere e commentare e la rossa era stata contenta nel constatare che anche Damon aveva deciso di collaborare attivamente.
“Stevenson?” azzardò con voce sonnacchiosa Francesco Curi, un ragazzo dall’aria scontrosa che non parlava mai con nessuno.
“COOOOOSA?” lo strillo di puro orrore della professoressa riuscì a svegliare anche Damon che per tutto il tempo aveva continuato imperterrito a dormire alla grande di fianco a lei.
“Polipi?” Victoria dovette sforzarsi non poco a trattenere le risate, gettando un’occhiata allo sguardo interrogativo del suo compagno di banco.
Era ovvio che non sapesse nemmeno quale fosse la domanda.
“Sono d’accordo” si ritrovò infatti a dire tutto deciso, facendo ridere tutta la classe.
“Con cosa, di grazia?” chiese la rospa, in un evidente sforzo di rimanere calma.
“Con quello che ha detto lei”
Amelia, di fianco alla rossa, si diede un colpetto sulla fronte scuotendo energicamente la testa.
“Polipi, sono tentata di metterti un bello zero, ma siccome siamo appena ad Ottobre per oggi sei graziato. Signorina Reali?”
“Joseph Conrad”  rispose allora Victoria semplicemente, senza alzare lo sguardo dal quaderno.
Ottobre. Erano già ad Ottobre e lei ancora non aveva trovato il coraggio di parlare con Colombini.
“Che hai?” le sussurrò Damon, dandole una leggera gomitata sul fianco.
“Niente, sono solo un po’ stanca. Matematica mi tiene sveglia” decise di dire, il che non era proprio una bugia. La settimana successiva avrebbero avuto un compito e lei ancora non sapeva cosa diavolo fossero delle disequazioni.
“Se vuoi svagarti un po’ oggi puoi venire alle prove” la rossa gli sorrise. L’aveva proprio giudicato male all’inizio. Certo il novanta per cento delle volte era estremamente irritante, logorroico e un po’ troppo arrogante, ma quando voleva Damiano Polipi sapeva anche essere un buon amico, dopotutto.
“Mi piacerebbe, ma ho pallavolo” e nel dirlo non poté evitare una smorfia.
L’allenatore ancora non aveva deciso chi sarebbe stato il capitano della squadra e le sue compagne ormai la odiavano tutte. Carlotta poi faceva tanto la sorridente con le altre, ma si capiva lontano un chilometro che era gelosa marcia.
Nell’unico mese che aveva passato al Bianchi, le uniche persone di valore che aveva incontrato erano state il suo scapestrato compagno di banco, Amelia e Stefano. Tutti gli altri le erano rimasti indifferenti, senza contare che era sul libro nero di almeno una trentina di persone, a cominciare da Colombini che la guardava come se volesse scaraventarla in un fosso da un momento all’altro.
Fortunatamente Margherita e le due arpie sue compari non l’avevano esasperata più di tanto, aspettando forse una vera e propria bomba da sganciare.
 La campanella fu una liberazione.
“Ho sentito che manca Casali, è a casa con l’influenza” disse Cristina tutta contenta. Se non fosse stata così amica di Margherita sarebbe anche potuta risultare abbastanza simpatica.
“Speriamo sia assente anche per il compito” disse qualcuno, probabilmente lo scansafatiche della classe, Nicholas Araldi, dal fondo dell’aula.
Qualche secondo più tardi un bidello entrò a confermare la notizia, suscitando applausi e urla di assenso.
“Quindi possiamo andare a casa prima!” esclamò Amelia tutta contenta, seguita da altri ragazzi.
“Parla per te, io ho pallavolo” disse Carlotta al suo fianco.
Perfetto, due ore buche in compagnia della biondina!
Ma il peggio arrivò alle parole di Damiano: “Beh, voi due siete ancora fortunate! Ale deve rimanere qui fino a stasera visto che ha gli allenamenti! E non c’è neanche Teo a fargli compagnia!”
La smorfia che si dipinse sul volto di Victoria fu notata da tutti nelle vicinanze.
“Non riesco a capire perché proprio non riuscite ad andare d’accordo! Eppure siete così simili” disse Amelia spostando lo sguardo dalla rossa al moro non troppo distante.
No, lui alla fine non è neanche una cattiva persona.  Si ritrovò a riflettere la ragazza. A quel pensiero un nodo le si era stretto alla bocca dello stomaco, i sensi di colpa non facevano che peggiorare la situazione.
Era ora di chiarire quella storia, di strisciare per chiedere perdono. Non l’aveva mai fatto in vita sua e difatti non sapeva proprio come cominciare. Ma una cosa era certa: non avrebbe fatto finta di niente un giorno di più. Se c’era una cosa che non era mai stata era essere codarda. E in più non voleva avere debiti con nessuno.
Sapeva perfettamente che delle banali scuse, seppure accorate, non avrebbero mai potuto rimediare al torto che aveva fatto non solo al ragazzo, ma anche a tutto il liceo, ma almeno valeva la pena tentare.
La classe si svuotò velocemente e alla fine rimasero solo Carlotta, Victoria, Alessandro e due ragazzi che avrebbero aspettato l’autobus della scuola.


Era circa l’una quando la rossa uscì dalla tavola calda che ormai era diventata un po’ il suo posto abituale. La preferiva persino alla caffetteria, forse perché non era sempre così affollata o perché Margherita e le sue due schiavette non provavano nemmeno a metterci dentro piede.
Appena Carlotta era aveva aperto il libro di storia pronta a studiare nelle due ore buche e i tre ragazzi avevano formato un piccolo gruppetto che aveva passato i minuti a guardare il soffitto o a dormicchiare sui banchi, Victoria aveva saggiamente deciso di uscire dalla classe e andare un po’ in giro per la scuola. Sebbene fosse passato già un mese, ancora non aveva ben capito dove fossero i vari laboratori e dove si trovassero le macchinette al terzo piano. Quasi subito, però, si era stancata di quella perlustrazione solitaria e aveva ripiegato sul pranzo, ma anche addentando una enorme fetta di pizza la sua inquietudine non si era calmata.
Doveva trovare un piano per avvicinare Colombini e potergli parlare da solo. Non sarebbe stato facile, vista la presenza di Carlotta, senza contare che probabilmente il ragazzo se la sarebbe filata in meno di due secondi.
Aveva bisogno di un posto chiuso. Ma, ammesso anche di trovarlo, come avrebbe avvicinato il ragazzo?
Era ancora immersa in quelle congetture quando entrò nella sua classe. Mancava ancora un quarto d’ora circa alla fine dell’ultima lezione, ma nell’aula era rimasta solamente Carlotta, la testa ancora piegata sul noiosissimo libro di storia.
“Gli altri?” chiese in un sussurro indeciso la rossa. Non aveva proprio voglia di parlare con la bionda, ma se voleva attuare il suo piano doveva almeno sapere dove si fosse cacciato Colombini.
“Paolo e Andre sono andati alla fermata, Ale è in palestra” rispose velocemente Carlotta, non alzando nemmeno lo sguardo.
“In palestra? Ma non c’è lezione?”
L’altra scosse la testa, paziente.
“Non quella principale. Qualche anno fa facevamo educazione fisica in un'altra palestra, ma poi ci siamo spostati in quella nuova perché l’altra era troppo piccola. Ora è una specie di deposito.”
Era sconcertante quanto la biondina apparisse calma e rilassata, benché fosse ovvio che tra le due non ci fosse proprio una grande simpatia.
“Ah. E ci si può andare a piacimento?”
Il sorrisetto ironico di Carlotta fu solo in parte nascosto dalla massa di capelli color grano che ricadevano composti sul libro.
“Se non ti fai scoprire sì”
 Victoria annuì velocemente: aveva trovato il luogo perfetto per attuare il suo piano.
“Non è che sapresti dirmi dove si trova questa palestra?” disse con nonchalance, quasi la risposta non le importasse per niente.
Finalmente Carlotta alzò il viso dal banco e le puntò gli occhi da cerbiatto addosso.
“Perché ti interessa?” chiese sospettosa.
“Così, almeno se una volta o l’altra non saprò che fare potrò sempre imboscarmi là”


Victoria si guardò ancora una volta nello specchio del vecchio spogliatoio femminile. L’antica palestra si trovava nella parte più isolata della scuola, vicino ai laboratori ormai in disuso e ai vari sgabuzzini dove i bidelli organizzavano partite a carte nei momenti di calma.
Si sistemò i lunghi boccoli rossi in una coda alta e osservò con sguardo critico l’effetto di quella nuova capigliatura. Storse il naso. I capelli raccolti non facevano proprio per lei.
Respirò profondamente. Doveva rimanere calma.
Si trattava solo di entrare in palestra, fingere di dover allenarsi a pallavolo, essere sorpresa di aver incontrato il suo peggiore incubo e intavolare con lui un discorso pieno di scuse e pentimento.
Era proprio quest’ultima parte quella che più la metteva in agitazione: mai nella sua vita si era scusata con qualcuno e soprattutto mai per una cosa così grave. Non sapeva davvero da dove cominciare, come iniziare il dialogo, cosa dire, che tono mantenere...
Si maledì per non aver mai apprezzato Cicerone. In quel momento lo studio di un po’ di retorica classica le sarebbe di certo stato utile!
Si passò una mano un po’ tremante sulla fronte, giusto per sistemare il solito ciuffo ribelle che era sfuggito all’elastico, poi si girò di scatto e uscì furtivamente dal piccolo stanzino.
In giro non c’era ovviamente nessuno e percorse i quindici metri che la separavano dalla palestra in un attimo.
Trovò la porta accostata, tenuta aperta solo da un piccolo peso da un chilo.  
Con la punta della scarpa lo spostò di lato.
Ma era scemo Colombini a tenere aperta la porta? E se qualcuno l’avesse notato?
Cercando di fare silenzio entrò nella stanza - un rettangolo che a malapena conteneva un campo da basket e due file di scalinate – e, con suo gran sollievo, vide che il moro era tanto concentrato a correre lungo il perimetro del campo da non averla ancora notata.
Senza aspettare un secondo di più, spinse la pesante maniglia della porta e se la richiuse alle spalle. Il tonfo che produsse quel movimento rimbombò nella palestra come una bomba, in netto contrasto con l’assoluto silenzio che era regnato fino a qualche istante prima.
Alessandro smise all’istante di correre e guardò subito nella sua direzione, il suo sguardo passò velocemente dall’incredulo, allo sconvolto, all’arrabbiato, al furioso.
“Ehm, scusa. Non volevo fare rumore...” ma la rossa non poté nemmeno finire la frase che il moro si scagliò istantaneamente contro di lei.
“MA CHE CAZZO HAI FATTO?”
“Ehi! Non c’è bisogno di essere così volg…”
“SEI COMPLETAMENTE IDIOTA?”
Ok, forse seguirlo era stata un’idea avventata, ma essere brutalmente offesa per una cosa del genere le sembrava davvero troppo!
Così dall’iniziale mortificazione scaturì subito una forte indignazione.
“Idiota sarai tu! Volevo solo allenarmi un po’, non credo ci sia scritto il tuo nome su questa palestra!”
La risata sarcastica del moro le fece strabuzzare gli occhi: non è che era completamente pazzo e ora l’avrebbe uccisa su due piedi?
“Sei davvero un fenomeno, riceverai un nobel per l’arguzia” le sputò addosso lui, tra l’ironico e il velenoso.
“Scusa? Qui l’imbecille che lascia la porta aperta sei tu! Se ti avesse scoperto qualcuno? Nooo, figuriamoci, tanto tu sei il grandissimo Alessandro Colombini, re degli stronzi arroganti, di sicuro anche la preside si prostrerà ai tuoi piedi!” disse lei, cercando di non urlare per paura che qualcuno potesse sentirli e passare poi dei guai.
“Molto bene, allora perché non te ne vai?” chiese lui a quel punto, incrociando le braccia e guardandola con sufficienza.
Al diavolo il piano, al diavolo le scuse! Questo idiota si merita tutto quello che ha avuto!
“Certo, non starei nella stessa stanza con te nemmeno in cambio di un appuntamento con Jake Ghyllenhaal”
Detto questo, si girò di scatto verso l’ingresso e tirò violentemente la maniglia.
La porta non si mosse.
Forse è incastrata!
Tirò con tutta la forza che aveva, ma ancora una volta non ci fu nessun movimento.
La risata saputella che le arrivò da dietro le spalle quasi le fece sputare fuoco.
“Si apre solo dall’esterno. Spero bene per te, genio, che tu abbia un cellulare, perché altrimenti mi dispiace dirti che passeremo un bel po’ di tempo insieme.”  


Ovviamente tutte le sue cose erano rimaste nello spogliatoio.
E, fatto ancora più ovvio, Colombini l’aveva guardata per i successivi dieci minuti con una rabbia mista ad arroganza che la faceva veramente imbestialire.
D’accorto, c’era una ragione se la porta era rimasta socchiusa. Ma lei che ne sapeva?
Senza dire una parola, cercando di mantenere un certo contegno e superiorità, camminò verso le scalinate e si sedette su uno dei gradini in legno, escogitando un modo per uscire da lì.
L’unico ingresso era la porta bloccata, le finestre erano troppo alte per essere raggiunte e, anche nel caso che ce l’avessero fatta e le avessero trovate fortunosamente aperte, saltare fuori equivaleva anche a farsi un bel giretto in ospedale.
Colombini si posizionò esattamente dalla parte opposta della palestra, il più lontano possibile da lei.
La rossa sbuffò sonoramente. E adesso?
“Che c’è Barbie, hai finalmente capito di essere totalmente senza cervello?”
“Perché al posto di insultarmi non pensi ad un modo per uscire di qui?” chiese Victoria, cercando di essere civile e di ignorare le battutine del moro. Ucciderlo non avrebbe migliorato la sua situazione.
“La risposta è semplice: non usciremo di qui fino alle otto, quando Giulio – che per tua informazione è il bidello - non farà il giro delle aule per vedere se è tutto a posto e così troverà noi due”
Non andava bene per niente. Cosa avrebbe detto suo padre, non trovandola a casa? E Antonio che l’avrebbe aspettata tutto il pomeriggio nel parcheggio?
Senza contare che aveva anche gli allenamenti nel pomeriggio e forse il coach avrebbe scelto il capitano! Se non si fosse presentata forse Carlotta…
“CARLOTTA!” urlò lei allora, ricordandosi improvvisamente che la bionda, non vedendola agli allenamenti, avrebbe ricollegato la loro precedente chiacchierata al motivo della sua assenza e quindi l’avrebbe cercata in quella vecchia palestra.
“Che c’entra la Altieri?”
“Le ho tipo detto che ero qui, quindi quando non mi vedrà agli allenamenti…”
“Si perderà l’occasione d’oro di ottenere il posto di capitano che le spetta per venire a cercarti, mi sembra ovvio.”
Il sorriso di trionfo della rossa si congelò all’istante.
Ovviamente aveva ragione lui.
“Benissimo allora, se vuoi stare lì seduto a far niente per le prossime ore, fa’ pure. Io continuo a pensare a qualche soluzione”
“Non c’è nessuna soluzione se non aspettare, tesoro. Ma se vuoi fonderti quei pochi neuroni rimanenti, non sarò di certo io a fermarti!” detto questo sfilò da una tasca dei pantaloncini un Ipod nero e, ficcatosi le cuffie nelle orecchie, si sdraiò per terra e chiuse gli occhi, intenzionato a non calcolarla per le prossime ore.
“TI ODIO!” gli urlò dietro e fu certa che sul viso di lui fosse comparso un sorrisetto compiaciuto.


Toc. Toc. Toc. Toc.
La pallina da tennis rimbalzava sul muro a intervalli regolari.
Il grande orologio sul tabellone fisso al muro non funzionava, quindi non sapeva dire quanto tempo fosse già passato, ma aveva il brutto presentimento che non fosse così tanto quanto lei avrebbe sperato.
Ovviamente il principino dall’altra parte della stanza sapeva esattamente l’ora, ma mai e poi mai si sarebbe abbassata a chiederglielo.
“Ne hai ancora per molto?” grugnì il microcefalo, togliendosi una cuffia per sentire meglio la risposta piccata che di lì a poco gli avrebbe rivolto la ragazza.
“Devo passare il tempo in qualche modo”
“Esistono anche modi silenziosi”
Victoria si morte la lingua per non insultarlo di nuovo. In quella maniera non si andava da nessuna parte.
“Senti, perché non la piantiamo? Almeno per oggi.” Disse esasperata.
Il moro si alzò un poco da terra e la guardò interrogativo.
“Di fare cosa, di grazia?”
“Di offenderci a vicenda. Qui finisce che uno dei due non arriva a stasera.”
Alessandro continuò a fissarla, probabilmente in cerca di una risposta adatta.
“Vuoi propormi una tregua?”
Victoria annuì: “Sì, fino a quando non usciremo da questa stanza”
“E io che ci guadagno?”
“Come cosa ci guadagni! Non vieni insultato per le prossime ore e puoi intrattenere una conversazione civile con un altro essere umano, esperienza per te del tutto nuova”
Alessandro si sforzò di non sorridere. Persino nel proporre una sosta bellica la ragazza non evitava di fare ironia.
“Guarda che qui quella che non ne può più sei tu, io posso continuare in questo modo per tutto il pomeriggio”
“Va bene, allora! Continuiamo ad azzannarci!” rispose lei con fare esasperato, cosa che fece ridere apertamente il moro.
“Te l’ho già detto che ti odio?” chiese allora lei sarcasticamente, nella vana speranza di zittirlo.


Il cielo stava cominciando ad arrossarsi, presto ci sarebbe stato il tramonto.
Victoria guardò di sottecchi l’immobile Colombini a qualche metro da lei. Probabilmente si era addormentato.
Strano come sembrasse del tutto indifeso, steso lì sul pavimento lucido, il respiro regolare e il viso stranamente disteso, senza quella smorfia antipatica costantemente presente.
Non ce la faceva più! non era abituata a stare in silenzio per tutto quel tempo, senza contare che era irritata da tutta quella strana situazione.
Aveva davvero pensato di poter cambiare le cose con quel ragazzo?
Impossibile! Loro due sarebbero sempre stati su due mondi completamente diversi. Lui avrebbe continuato a disprezzarla e lei si sarebbe sempre sentita in colpa e avrebbe nascosto questa sua debolezza sotto chili di acido e sarcasmo.
Si sdraiò anche lei sulla gradinata. Tanto valeva dormicchiare un po’.
Proprio quando i suoi pensieri stavano lasciando il posto a una beata tranquillità onirica, la voce di Colombini la riportò alla realtà.
“Sei sveglia?” chiese in un sussurro.
Senza rispondere girò lentamente il capo verso di lui, trovando subito un paio di iridi di ghiaccio che la guardavano curiosi.
Non disse nulla, limitandosi a fissarlo negli occhi, nella speranza di leggerci una scheggia del vero Alessandro che pareva piacere a tutti.
Presto però non poté far altro che imbambolarsi di fronte al viso perfetto di lui.
Se solo non fosse così attraente!
Davanti a un essere insignificante non avrebbe avuto problemi a rimanere indifferente e invece, giusto per aggiungere un’altra figuraccia alle tante altre raccolte in sua presenza, arrossì fino alla punta dei capelli già rossi.
“Ti senti bene?” chiese lui, non capendo il perché di quell’imbarazzo improvviso.
Victoria tornò subito a guardare il soffitto.
Forse se lei e le sue compagne non avessero messo in atto quella vendetta inutile, Colombini sarebbe stato una persona totalmente differente. Forse avrebbero anche potuto avere un rapporto civile.
Forse non avrebbe sentito il bisogno impellente di sputarle addosso fiumi di veleno. Forse quell’immagine arrogante e cattiva di lui non sarebbe nemmeno mai esistita.
Era tutta colpa sua. Era davvero una persona orribile.
Aveva sempre agito per i suoi personalissimi vantaggi, senza badare alle conseguenze.
Non poteva biasimare Alessandro se ora non voleva nemmeno stare nella stessa stanza con lei.
“Fai bene, sai?” disse in un filo di voce. Aveva la gola ostruita, come se un blocco le impedisse di respirare normalmente.
“Cosa?” chiese il moro, non del tutto certo delle parole che aveva appena sentito.
“Fai bene. Ad odiarmi, intendo. Mi odio anch’io. Non mi è mai successo prima. Ho sempre pensato di essere perfetta e invece arrivo qui e dopo nemmeno un mese mi sento orribile.”
Ammettere tutto ciò le aveva fatto venire un groppo in gola che avrebbe fatto fatica a mandar giù.
“Presumo tu abbia capito il perché ce l’abbia con te” disse lui con tono neutro, non sapendo ancora se fosse meglio attaccarla o commiserarla.
“Già. E hai dannatamente ragione”
Si mise a sedere, cercando di non guardare nella direzione del moro altrimenti si sarebbe di sicuro messa a piangere, cosa che aveva tutte le intenzioni di evitare. Non importa quanto miserabile potesse essere, non avrebbe mai pianto di fronte a lui, non voleva essere compatita.
Passò qualche minuto di assoluto silenzio.
Forse quella sua candida ammissione l’aveva scioccato talmente tanto da fargli venire un infarto o, cosa più probabile, non voleva nemmeno sprecare fiato per insultarla.
Stava quasi per iniziare delle patetiche scuse che non avrebbero mai convinto nessuno, quando qualcosa la colpì in testa: era un piccolo pacchetto di biscotti, di quelli che si prendono alle macchinette.
“Ma cosa…?”
Guardò dritta verso Colombini che, da parte sua, sembrava totalmente immerso nei suoi pensieri.
“E questi cosa sono?”
“Barbie, ti facevo un po’ più sveglia. Sono biscotti” rispose sarcasticamente lui, sebbene il sorriso sul suo volto rivolto verso il soffitto fosse placido.
“So cosa sono! Intendevo dire: perché?” rispose un po’ acida lei.
“Perché ho ripensato alla tua tregua e ho deciso di accettare.”
“Davvero?”
“Davvero. Ora non montarti la testa. Non andremo d’accordo. Non ci faremo le treccine né ci racconteremo i nostri segreti. Ma prometto di non insultarti senza motivo. Almeno fino a quando non ci troverà qualcuno”
“Come mai hai cambiato idea?” chiese allora, letteralmente stupita.
“Diciamo che mi sto annoiando. In più forse, e dico forse, non sei la persona snob che vuoi disperatamente far credere di essere. Forse c’è speranza”
Cosa voleva dire tutto questo? L’aveva perdonata, anche solo in parte? Era disposto a deporre l’ascia di guerra? Le faceva così pena?
“Allora, ho ancora un’oretta di batteria nell’ipod. Se mi giuri che non sei una fan di Hannah Montana o di Justin Bieber, potrei anche decidere di cederti una cuffia.”


Aveva ragione lui. Non erano diventati amici tutto ad un tratto, non si adoravano alla follia. Stavano solo ingannando il tempo ascoltando la discografia completa dei Depeche Mode. Eppure Victoria non riusciva a smettere di sorridere. Come aveva detto Alessandro: c’era speranza.
L’ora successiva era passata tutto sommato velocemente. Quella tensione che prima aveva regnato sovrana si era dispersa nell’ambiente per lasciar posto a una placida tranquillità.
Ad un tratto, il rumore della porta che si apriva spezzò il silenzio rilassato che si era creato.
“… mi dispiace veramente averla disturbata, ma…”
“Vedrà che sarà da qualche parte”
La figura bassa di Antonio, l’autista di casa Reali, e quella imponente della preside entrarono a passo spedito nella palestra, avvistando subito i due ragazzi seduti con la schiena appoggiata al muro.
“Ah! Ecco qui Miss Reali! E chi abbiamo con lei? Ovviamente il Signor Colombini! Spero per voi che abbiate una buona spiegazione, altrimenti ve la vedrete molto male, ragazzi miei”
Nella sua breve vita scolastica al Bianchi, la rossa aveva visto la preside solo una volta quando vi era stata l’assemblea generale di inizio anno e una cosa era certa: quella donna sprizzava autorità da tutti i pori. A partire dal vocione da uomo fino alla stazza solida, quella cinquantenne sembrava un sergente dei Marines pronta a mettere in riga chiunque.
Victoria e Alessandro, non appena la videro, si alzarono in piedi di scatto, allontanandosi velocemente l’una dall’altro, quasi si fossero scottati.
“Non è come sembra!” implorò subito la rossa, ma la preside sembrava tutta presa dal moro.
“Colombini, mi pare di averle ripetuto più di una volta che questa palestra non è il suo luogo segreto per poter avere degli appuntamenti” disse la donna, la voce aspra e priva di benevolenza.
“Appuntamenti?” le fece eco la ragazza, piuttosto scandalizzata.
APPUNTAMENTI??
La preside credeva davvero che lei e quell’idiota…?
“Ha ragione, ma sa, era una opportunità che dovevo cogliere al balzo!”
E quell’idiota stava pure facendo dello spirito!
“Sono più che certa di non voler sapere i dettagli, signorino. Inutile dirvi che per il prossimo mese ogni venerdì vi troverete ad aiutare Giulio a pulire. Così potrete benissimo restare insieme tutto il tempo che vorrete!” decretò lei, le mani sui fianchi e nessun cenno di indulgenza.
“Ma preside, noi…!”
“Niente ma, signorina Reali. Pensavo che almeno lei non fosse una delle solite ragazzine cotte di questo bell’imbusto!”
E fu così che la povera Victoria, la faccia che passava velocemente dal rosso imbarazzato al bianco cadaverico a qualche altro malsano colore, venne scortata fuori dalla scuola dove ad attenderla vi era la sua macchina.
Perfetto, assolutamente perfetto!





ANGOLO AUTRICE:
Alloraaaa! Non ce l'ho fatta a postare prima di Natale, mi dispiace! Però dai, almeno prima del 2011 ci sono riuscita! ^^
Innanzitutto ringrazio moltissimo chi mi ha scritto e chi sta leggendo questa storia, siete fantastici e non riesco a capire come possiate continuare a seguire una povera diciannovenne stressata dagli esami e da una quantità abnorme di problemi personali (aggiungeteci anche problemi mentali, va'!)

Comunque, visto che ho ritrovato l'ispirazione e visto che sto ignorando bellamente tutti i miei minacciosi libri universitari, vi posso dire che nel prossimo capitolo ci sarà una sorpresa per Victoria! Non vi dico cosa nello specifico, ma vi anticipo che la nostra rossa ne sarà davvero contenta!

14thoctober: prima di tutto, mi piace tantissimo il tuo nick! è la mia data di nascita :) seconda cosa: grazie mille per tutti i complimenti, non ti immagini quanto significhino per me! spero che abbia apprezzato anche quest'ultimo capitolo!
un bacio, a prestissimo! :)

ellie_: MA CIAOO!! wow, sono contentissima che non abbia ancora perso interesse per la mia FF!! :D spero ti sia piaciuto anche quest'ultimo capitolo! Diciamo che per ora Ale non l'ha perdonata, anche perchè non credo che dopo anni di rancore si possa perdonare una persona così su due piedi, però è un pò più disposto a conoscerla, a capire se l'ha giudicata male e anche nei prossimi capitoli sarà un pò più magnanimo con lei, sebbene non sarà subito tutto rose e fiori! ^^
spero di sentirti prestissimo! un bacione e buon anno nuovo! :)


dimenticavo: ho aggiornato il blog (Hurrà per meeeee! ^^) e ho aggiunto la scheda di Amelia:
http://criroscorner.blogspot.com/2010/12/scheda-iii-amelia-rinaldi.html

Buon 2011 a tutti! Speriamo che sia un pò meglio del 2010!
E ricordatevi: biancheria rossa, amico astemio assoldato come autista, champagne a palate e un pizzico di buonsenso! (si vede molto che sto per andare a fare una grande spesa alcolica, vero??)
  
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