I’ll stand by you
When the night falls on you, baby,
you're feeling all alone,
you won't be on your own...
I'll stand by you...
I'll stand by
you,
won't let nobody hurt you.
(I’ll Stand By You, The Pretenders)
“Non
mi serve l’aiuto di una sporca mezzosangue!”- James ascoltò quelle parole
uscire dalla bocca di Mocciosus quasi al rallentatore, mentre il sangue gli
affluiva velocemente alla testa e una rabbia cieca si impossessava di lui,
osservando quel guizzo di puro dolore negli occhi di Lily, la sua Lily.
Lei
tentò di nascondere subito quel sentimento dietro una barriera invalicabile di
disprezzo e odio, ma James la conosceva bene, forse meglio di quanto si
conoscesse lei stessa, e sapeva che in realtà avrebbe voluto solamente piangere
e probabilmente picchiare alla babbana quello stesso ragazzo che aveva sempre
considerato il suo migliore amico e che si era appena rivelato essere un grandissimo
idiota… Non che James avesse mai avuto dubbi al riguardo.
Il
grifondoro agì d’istinto, sollevò la bacchetta e la puntò nuovamente contro
Piton, che era ancora appeso per aria, poi, con voce tremante, gli intimò di
chiederle scusa. Richiesta a cui il serpeverde rispose in modo decisamente poco
consono, soprattutto considerando la sua condizione di svantaggio. L’unica cosa
che bloccò sul nascere la maledizione che il grifone aveva pensato, fu l’arrivo
della professoressa McGranitt che, furibonda, gli ordinò di “Far scendere
immediatamente il signor Piton e andare a trovare il professor Silente, che”-
come aggiunse poco dopo- “sente di certo la sua mancanza, signor Potter”.
Dopo
aver, seppur controvoglia, eseguito il contro incantesimo e dopo aver lanciato
un’ultima occhiata in direzione di Lily, James si recò a passo di marcia verso
l’ufficio del preside.
Quando
giunse fuori dall’ufficio, i gargoyle di pietra che vi facevano la guardia si
spostarono senza alcun bisogno della parola d’ordine: erano abituati alle
frequenti visite del giovane Potter e dei suoi amici.
Silente
lo stava aspettando seduto dietro la scrivania, le mani incrociate davanti agli
occhi, le labbra piegate in un sorriso appena accennato. Il ragazzo si lasciò
cadere su una delle poltrone e, senza nemmeno aspettare l’invito del preside,
afferrò una liquirizia e la addentò con rabbia.
“Ma tu
guarda che maleducato!”-sibilò irritato uno dei ritratti-“Ai miei tempi…”
“Si,
Phineas, ai tuoi tempi era tutta un’altra cosa, lo sappiamo.”-lo interruppe
subito Silente, abituato alle continue lamentele del vecchio preside sul
comportamento degli studenti “moderni”.
“Sei
arrabbiato, James.”-continuò poi, rivolgendosi al ragazzo. Non era una domanda,
era una semplice constatazione.
“Per
quale motivo sei arrabbiato, James?”-chiese, dopo cinque minuti di silenzio.
“L’ha
chiamata mezzosangue”-il grifondoro sputò fuori quella parola con disprezzo e
rabbia-“come se l’abilità di un mago si potesse davvero misurare in base al
sangue! Ma soprattutto, ha insultato la sua migliore amica! L’ha ferita senza
nemmeno curarsene.”
Se
c’era una cosa che per James era sacra, quella era l’amicizia. Proprio non
riusciva a capire come si potesse insultare, tradire, un amico; quello che
aveva fatto Piton era inconcepibile, per lui.
“E
dimmi, James, avresti reagito allo stesso modo se l’amica in questione non
fosse stata la signorina Evans?”-lo incalzò il preside, sorridendo.
“Ehm…
Ecco, io… Oh, insomma, cosa c’entra questo adesso?”-sbottò il ragazzo, mentre
uno strano calore gli infiammava le guance. Era arrossito, lui, il grande James
Potter, mitico cercatore della squadra di Quidditch del Grifondoro, era
arrossito.
“Oh,
nulla, James, nulla. Bene, diciamo che per questa volta puoi andare, niente
punizione, mi sento particolarmente magnanimo, probabilmente perché oggi è una
così bella giornata!”-fu il commento divertito del preside.
“La
ringrazio, Signore. Arrivederci.”-il ragazzo si allontanò in fretta
dall’ufficio, temendo che Silente potesse ripensarci.
Quasi
senza accorgersene, James iniziò a correre verso il campo da Quidditch, quando
era nervoso, l’unica cosa che riusciva a calmarlo era un giro sulla scopa.
Oppure uno scherzo a Mocciosus ma, si disse, in quel momento era meglio evitare
quella seconda opzione.
Quando
arrivò nei pressi della capanna di Hagrid, però, qualcosa interruppe la sua
corsa: un singhiozzo, che proveniva da una ragazza dai capelli rossi,
accucciata sui gradini della casa del guardiacaccia.
James
la riconobbe subito, nonostante avesse il viso nascosto tra le ginocchia.
L’aveva
osservata bene, in quei cinque anni, imprimendo nella propria mente ogni
singolo particolare della sua esile figura: quella ragazza era Lily Evans.
Il
ragazzo si bloccò, incerto sul da farsi. Da una parte avrebbe voluto
avvicinarsi a lei e consolarla, dall’atra temeva che Lily potesse pensare che
fosse solamente l’ennesimo modo per infastidirla e lo cacciasse in malo modo.
Non lo
dava a vedere, ma i continui rifiuti della sua compagna di Casa lo ferivano.
Ogni “no”, ogni battuta che la ragazza rivolgeva nei suoi confronti era come
una coltellata. Era anche vero che James non si era mai comportato in modo
propriamente signorile con lei. Le dava letteralmente la caccia: la inseguiva
per i corridoi, le gridava inviti ad Hogsmeade nel bel mezzo della Sala Grande,
le faceva scherzi stupidi davanti a tutta la scuola. Dietro al comportamento
del ragazzo, oltre ad una certa stupidità di base, si nascondeva il fatto che
lui adorasse l’espressione stizzita che si dipingeva sul volto della rossa ogni
volta che lo vedeva, e il suo buffo modo di gonfiare le guance quando davvero
non lo sopportava più e si stava a stento trattenendo dall’affatturarlo.
Vederla
seduta lì, indifesa, fece scattare qualcosa in James, qualcosa che lo spinse a
vincere la paura di un suo rifiuto.
Lentamente,
con una titubanza che non gli si addiceva, si avvicinò a lei e le passò un
braccio dietro alle spalle, per poi attirarla a sé con delicatezza. Lei
spalancò gli occhi sorpresa e tentò di liberarsi, quantomeno per controllare
chi la stesse abbracciando.
“Calmati
Evans, non ti farò nulla. Sfogati, piangi pure”-mormorò lui piano, impedendole
di allontanarsi.
Lily
si aggrappò a lui, come se in quel momento fosse la sua ancora di salvezza,
l’unica cosa che le impediva di lasciarsi andare a quell’abisso di dolore che
sentiva sempre più vicino. Si aggrappò a lui e pianse tutte le sue lacrime,
lasciandosi cullare dalle braccia muscolose del ragazzo e dalle sue parole
rassicuranti.
Nessuno
dei due seppe per quanto tempo restarono lì, abbracciati, probabilmente per
ore, perché quando Lily smise di singhiozzare e si liberò lentamente
dall’abbraccio la luna era già alta nel cielo.
“Grazie…
James.”-mormorò sorridendo, prima di correre via.
Ci
volle un attimo perché lui si riprendesse. L’aveva chiamato per nome. Per la
prima volta in cinque anni l’aveva chiamato per nome.
James.
Il suo nome pronunciato dalle labbra di Lily gli era sembrato una dolce melodia
che avrebbe voluto riascoltare all’infinito.
Fu in
quel momento che James promise a se stesso che avrebbe fatto qualsiasi cosa per
sentirle ripetere il suo nome ancora, per vedere il suo splendido sorriso
rivolto lui.
Voleva
che lei non provasse imbarazzo nel piangere sulla sua spalla, voleva che gli
permettesse di starle accanto anche nei momenti peggiori.
Fu in
quel momento che James promise a se stesso che le sarebbe stato accanto per
sempre, fino alla fine.
Fu in
quel momento che James promise a se stesso che l’avrebbe sempre protetta, anche a costo della sua stessa vita.
“Prego…
Lily.”-il suo sussurro si perse nell’aria tiepida di quella notte di Maggio che
era stata testimone dell’inizio di una storia che sarebbe sempre stata
ricordata.
Fu in
quel momento che James Potter scelse, inconsapevolmente, il proprio destino.