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Autore: cassiana    01/01/2011    2 recensioni
"Una delle più celebri leggende del Medioevo, quella di Patrice, boscaiolo coraggioso, che contro le superstizioni locali, decide di usare per i propri scopi la legna di una sacra foresta e che, appunto per questo, non farà più ritorno a casa."
Strano esperimento di meta-narrativa.
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La leggenda di Pratice
Nota: Non so, sinceramente, come mi sia venuta fuori questa cosa: una sorta di esperimento di meta-narrativa che è tutto frutto della mia immaginazione e che mi è stato ispirato dai miei studi di storia medievale. In particolare ho un debito notevole con Carlo Ginzburg per i suoi "I Benandanti" e "Storia notturna. Una decifrazione del sabba." che consiglio vivamente (soprattutto il secondo). 


Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.



La leggenda di Patrice

        





    "Il sole faceva appena capolino tra stracci di nuvole che si rincorrevano nel cielo. La selva era silenziosa ed immobile mentre il piccolo rio saltellava sussurrando fra i ciottoli levigati. Le fronde degli alberi scintillavano quasi fossero di pietre preziose, ma era solo il riverbero della luce. Una piccola polla, un pò più su, rispecchiava gli animali che vi andavano ad abbeverare, caprioli, scoiattoli, conigli di giorno; gufi e lupi di notte. Ma la sorgente aveva un segreto: in certe notti dell'anno, quando la luna era nel suo pieno fulgore, si ricopriva di una  pellicola argentea e accadevano strani prodigi al suo interno. Alcuni credono che vi siano dei mostri, altri, invece, che sia abitata da una ninfa che esce dall'acqua coperta della pellicola argentea, come se fosse un mantello. Ma nessuno ha mai avuto il coraggio di andare a verificare. La foresta di rado viene visitata dagli uomini perché è sacra ad una divinità il cui nome può essere nominato solo dai suoi sacerdoti. Ma anche questi raramente mettono piede nella selva. Tuttavia, io so di povero boscaiolo che per la disperazione si decise a raccogliere legna proprio in questa foresta. Oltre che essere molto povero Patrice era anche piuttosto scettico: riteneva, infatti, che la foresta non fosse affatto sacra ma che appartenesse a qualche ricco barone che aveva fatto circolare la voce della sua pericolosità per spaventare i poveracci come lui. Così un mattino si mise in cammino, senza dire a nessuno dove si stesse dirigendo. In poco tempo raggiunse i primi alberi della foresta. Patrice sorrise perché aveva temuto di trovarsi in un luogo cupo e tetro ed invece la foresta era invitante e tranquilla. Tuttavia, addentrandosi sempre di più si rendeva conto che non vi erano rami per terra che potesse raccogliere. Patrice si vide costretto ad usare la propria ascia e questo, benché fosse scettico, gli creava dei grossi problemi. Gli sembrava un delitto intaccare quella foresta mai disturbata da attività umane ed, inoltre, il silenzio lo metteva a disagio; avrebbe lavorato meglio se intorno vi fossero state le grida degli animali, il cinguettio degli uccelli o, ancora meglio, il canto degli uomini. Comunque non poteva sprecare lì troppo tempo perché voleva tornare a casa assolutamente prima di notte. Così cominciò a tagliare i rami di uno degli alberi più giovani. Dopo avere fatto una buona scorta di legna Patrice si decise a tornare a casa: ma nessuno l'ha mai più rivisto."

    Così inizia una delle più celebri leggende del Medioevo, quella di Patrice, boscaiolo coraggioso, che contro le superstizioni locali, decide di usare per i propri scopi la legna di una sacra foresta e che, appunto per questo, non farà più ritorno a casa.
Sul cosa gliel'abbia impedito ci sono diverse versioni. Una ritiene che Patrice sia stato ucciso dai sacerdoti della divinità a cui era stata dedicata la foresta in quanto li ha scoperti mentre commettevano turpi riti. E' la versione preferita dagli ambienti religiosi-cristiani. Questo per il chiaro motivo di debellare le credenze pagane, che ancora erano forti in quel periodo, descrivendo come turpi e portatrici di sventura tutte quelle dottrine che non facevano capo al cristianesimo. Non a caso la "Orgia naturae" è di chiaro stampo monastico e anche se anonimo, non si può escludere che non sia stato scritto da un benedettino o da un domenicano. Altra versione, di più chiaro stampo popolaresco, è quella secondo la quale il protagonista sarebbe stato preda degli spiriti maligni che abitano la foresta. E' una versione molto più cupa di quella religiosa perché non volta ad uno scopo didattico ma al provocare il puro terrore. Infatti vi si mescolano elementi pagani con quelli più oscuri della religione ufficiale: demoni, streghe, folletti. Insomma, è il tipico racconto narrato ai fanciulli davanti al fuoco prima di andare a dormire. Un'altra versione ancora è molto più solare e tranquillizzante, se così si può dire, di quelle precedenti. Qui il nostro Patrice incontra una bellissima ninfa-fata che lo porta a scoprire gli elementi più puri e più belli della natura. Chiaramente è una storia d'amore ed infatti la "Chanson de Patrice" è una ballata scritta da un trovatore per un pubblico femminile e cortigianesco. Ultima versione, quasi sconosciuta, ma per questo assai più affascinante, è quella secondo la quale il nostro boscaiolo assiste ad un rito dei druidi della foresta, che non è affatto turpe come vuole far credere l' "Orgia naturae" ma è anzi volto a conservare la bellezza della foresta e la pace per tutti gli animali che vi vivono; quasi fossero ecologisti ante litteram. Per questo Patrice rimane affascinato e decide di unirsi a loro. E' chiaramente una polemica anticlericale, che privilegia gli aspetti più pagani della natura, non nel senso orrorifico, ma in una concezione panteistica e piena di vita della natura stessa. 
    Sinceramente non so quale versione sia la migliore, così le riporterò tutte e quattro in modo tale che possiate scegliere quella che vi piace di più. Ho preso le mie informazioni da alcune ballate, come la "Chanson de Patrice" o "Orgia naturae", da racconti popolari, da novelle in versi. Inoltre mi è stato molto utile uno studio di leggende francesi e tedesche compiuto da sir Percival Browning, un antropologo di Oxford di notevole autorità nel secolo scorso. Purtroppo questo trattato è una edizione universitaria quindi non ha grande circolazione. La leggenda del boscaiolo che si perde nel bosco, con le sue molte varianti, è un topos comune della novellistica popolare e si possono trovare i suoi ascendenti nelle letterature del mondo classico. Ciò ha indotto sir Browning a ritenere che fosse la mitizzazione di fatti accaduti realmente che sono stati poi riuniti in questa leggenda che, a sua volta, è stata smembrata in più varianti. Questa teoria mi ha molto affascinato, come, d'altronde, la leggenda stessa. Un' ultima puntualizzazione: ho cercato di rendere il meglio possibile le versioni poetiche nella prosa. Comunque chi volesse leggere la storia dall'originale può farlo grazie a "Le ballate francesi del XII sec." di Aline Guizot, "Racconti popolari nel Medioevo" di Gianbattista Andreoli o, ancora, "Canti popolari e novelle in versi nell' Europa dei secoli bui" di Alfred Spencer. Abbiamo lasciato Patrice che raccoglieva legna ed era deciso a tornarsene a casa, ecco invece cosa gli capita secondo l' "Orgia naturae":

    "La foresta si era incupita sempre di più, man mano che era calata la sera ed ora non aveva più l'aspetto sereno della mattina. Strani versi provenivano dai recessi più bui del sottobosco e grida e schiocchi che fecero venire i brividi a Patrice. Il ragazzo era deciso, però, a non farsi spaventare. Prese l'ascia in mano e cominciò ad incamminarsi verso l'uscita di quella selva. Le ore passavano e Patrice, che ancora non aveva trovato la strada per tornare al villaggio, cominciò a disperare di poter tornare sano e salvo a casa e si sedette sconsolato ai piedi di una grossa quercia. Ormai si rassegnò a restare nella foresta tutta la notte e sperava che la mattina successiva avrebbe potuto trovare la strada del ritorno con più successo. Aveva acceso un focherello per farsi coraggio nella notte tenebrosa e per scaldarsi un poco, quando gli sembrò di udire un canto salmodiante non molto lontano da lì. Incuriosito Patrice decise di andare a vedere da dove provenisse il canto e quale significato potesse avere. Cominciò a camminare silenziosamente seguendo la musica ed arrivò in una piccola radura nella quale si apriva una fonte vicino alla quale vi era un piccolo tempio. Questo sembrava una di quelle costruzioni antiche che spesso vi sono sotto le chiese, ma era di un colore rossastro e le figure rappresentate sembravano torcersi e gemere in preda alla sofferenza.
    Brividi di paura scorrevano lungo la schiena di Patrice che si costrinse a guardare affascinato da quella scena. Intorno alla polla vi erano sei uomini vestiti con una lunga tunica rossa e con i crani rasati. Erano loro che intonavano la strana musica salmodiante che aleggiava nella radura. Un sacerdote gettò nell'acqua una manciata di foglie che presero fuoco non appena il celebrante gridò una certa parola. Successivamente la processione si spostò nei pressi del tempio dove vi era un altare di pietra nera. Un adepto recò al Gran Sacerdote un pugnale sacrificale dalla strana forma ondulata. Un altro portò sull'altare un capriolo. Il Gran Sacerdote lo sgozzò e con il sangue zampillante riempì una coppa. Intanto la musica era divenuta sempre più spasmodica finché non divenne un grido di giubilo quando il sacerdote si portò la coppa alle labbra e bevve il contenuto. Dopodiché la coppa fece il giro degli adepti ed ognuno sorseggiò il sangue della creatura innocente. Patrice era raggelato dall'orrore, meglio per lui sarebbe stato voltarsi e correre via, lontano da quella turpe cerimonia, ma il ragazzo non riusciva a muoversi. Il rito non era ancora terminato. Dall'interno del tempio due adepti portarono una fanciulla appena entrata nella pubertà. Era completamente nuda e aveva sugli occhi una benda nera, i suoi capelli erano una trama finissima di fili d'oro e la sua pelle bianca risplendeva. Il Gran Sacerdote le fece bere una pozione fatta con il sangue del capriolo e con l'acqua nella quale erano bruciate le foglie. Poi le levò la benda dagli occhi. Patrice vide il terrore nei suoi occhi, nonostante fosse incapace di fare qualsiasi movimento. I sacerdoti l'adagiarono sull'altare e a quel punto Patrice si riscosse e gridando corse verso l'altare per salvare la fanciulla. Ma i sacerdoti, anche se sorpresi, seppero riprendersi e lo sopraffecero. Anche a lui fecero bere quella mistura e gli fecero compiere azioni che lo avrebbero dannato al fuoco eterno. Infine lo sgozzarono e decapitarono la ragazza, continuando tutta la notte a compiere le azioni più turpi e vergognose con i due cadaveri."
   
    Come si può benissimo notare questa versione monastica è volta a far vedere gli aspetti più tremendi delle religioni pagane con un certo atteggiamento di oscurantismo e intolleranza verso qualcosa che è diverso dal cristianesimo. Difatti, quella che segue è la versione più paganeggiante, tratta da un antico manoscritto che ha una storia piuttosto interessante. E' scritto in lingua latina, non quella "volgare" in uso alla letteratura ecclesiastica, ma in un latino classicheggiante, chiaro esempio che la storia è stata scritta da uno studioso. Forse, all'inizio, il manoscritto può avere avuto una circolazione ma poi è scomparso. Solo Magnus Angri, un umanista fiammingo, è riuscito a riportare alla luce il racconto. Era stato coperto da una versione della vita di San Francesco, la "Vita Maior" di San Bonaventura.  Ma tuttavia questa versione della leggenda di Patrice è nuovamente scomparsa fino a che una ventina di anni fa non è stato trovato, questa volta per sempre, per caso, nella biblioteca di un nobile romano, scomparso da molto tempo. Infatti gli eredi, decisi a vendere il palazzo, vollero fare un inventario di quanto conteneva. Per la biblioteca si rivolsero ad una studiosa, Ottavia Shnellemburg, che riportò alla luce il manoscritto, ora conservato negli archivi del museo nazionale di filologia.

    "Patrice, notando che il cielo si andava scurendo, decise di tornare a casa. Ma mentre stava camminando, guardingo, perché in fondo aveva un poco di paura, udì un canto salmodiante. Incuriosito decise di andare a vedere da dove provenisse e seguendo la musica sbucò, infine, in una piccola radura. Al centro vi era una fonte di acqua cristallina e vicino un tempietto. Assomigliava ad una di quelle costruzioni che spesso sono coperte dalle chiese ma era d'un bianco splendente e le figure rappresentate dolcemente armoniose. Le statue avevano tuniche ariose e corone di foglie sul capo e rappresentavano fanciulle e fanciulli. Tra tutte spiccava una, la più splendida di tutte: una dea con lunghi capelli trattenuti da una corona di rose e un arco sulla spalla. Il canto proveniva da quattro vecchi vestiti di bianco con capelli e barbe fluenti. Avevano in mano una fronda di vischio e l'agitavano intorno a loro spruzzando d'acqua la radura. Poi gettarono nella polla alcune manciate di erbe e, dopo aver riempito una coppa, bevvero quell'acqua. Subito comparve una luce intensissima e dalla fonte uscì la Dea. I druidi fecero atti di devozione e la Dea cominciò a danzare. Intanto la radura si era riempita di curiosi personaggi, ninfe, fauni,centauri che danzavano e cantavano anch'essi. Patrice era rimasto estasiato dalla visione e provò un desiderio fortissimo di unirsi alla cerimonia. I druidi, incuranti dell'animazione della radura, si aggiravano  curando la flora. All'improvviso un cerbiatto sbucò dal sottobosco zoppicando perché aveva una gamba ferita malamente. Il più vecchio dei druidi, allora, lo spruzzò con un pò d'acqua della fonte e miracolosamente la ferita si rimarginò e il cerbiatto cominciò a saltellare per tutta la radura. Patrice non riuscì più a controllare la smania che si era impadronita di lui e anche lui cominciò a danzare al centro della radura. Ma appena palesò la sua presenza la musica cessò ed ogni creatura scomparve dalla sua vista.
    La Dea aggrottò le sopracciglia e ritornò nella fonte. Patrice, rimasto solo con i druidi, cominciò a provare paura oltre alla struggente nostalgia della cerimonia. IL buio si era fatto più denso e cominciò a piovere. I druidi corsero a rifugiarsi nel tempio lasciandolo all'ira della Dea. Piovve per moltissimo tempo e a Patrice sembrò che sarebbe durato per sempre. Ma come era cominciata, così improvvisamente la pioggia cessò di cadere. Un druido, allora, si avvicinò al ragazzo, sorridendo. Patrice istintivamente si tirò indietro ma il viso del vecchio era così  dolce e rassicurante che il giovane rimase fermo dov'era. Il druido lo accarezzò sulla fronte dicendo parole in una lingua che Patrice non capiva. Tuttavia, riuscirono a riportare la calma nel suo cuore. Patrice non desiderava altro che rivedere la Dea e lo disse con timidezza al vegliardo. Il druido capendo le intenzioni del ragazzo lo portò nel tempio. Altri druidi lo aspettavano, sorridenti. Lo spogliarono e lo fecero purificare. Poi gli diedero una veste bianca. Patrice sarebbe rimasto lì e sarebbe diventato un druido adorando la meravigliosa Dea della natura e cercando di servire le sue creature il meglio possibile."

    Come si può vedere le due versioni, quella dell' "Orgia naturae" e quest'ultima, sono piuttosto simili tra di loro. Effettivamente non si sa quale delle due sia più antica. Infatti, se quella del manoscritto è la stata scritta prima, si può pensare ad un tentativo della chiesa di nascondere un qualcosa di già noto o di riportare sulla "giusta via della verità" quanti fossero venuti a conoscenza del manoscritto. Ma se quest'ultimo è posteriore all' "Orgia naturae" allora non si può fare a meno di pensare che sia stato scritto in un atteggiamento di polemica verso una Chiesa oscurantista e ignorante. Insomma, che sia stato un tentativo di uno studioso del tempo di rendersi indipendente dalla cultura ecclesiastica preponderante di quegl'anni.
    Un' altra versione, forse la più conosciuta, è quella popolare. Come ho detto prima è la classica storia del terrore da raccontare davanti al fuoco. Quindi vi si possono notare sia elementi tipici della cultura di quei secoli quali streghe, demoni, folletti, sia elementi più pagani mutuati, forse, dai culti misterici dell'età ellenistica. Sto parlando dei culti misterici dionisiaci od orfici, di cui si aveva una conoscenza molto grossolana e che, perlopiù, erano visti come nell' "Orgia naturae". Tuttavia anche adesso non ne sappiamo molto di più ed anche noi riteniamo che fossero riti orgiastici.  Comunque questa è la versione più prettamente gotica della leggenda.

    "La foresta era sempre più buia e gli alberi erano contorti, quasi sofferenti e sembravano protendere i propri rami per ghermire il boscaiolo. Aleggiava qualcosa di maligno nella selva, qualcosa che metteva i brividi e che rendeva più veloce il battito del cuore. Patrice cominciò a correre incurante dei rovi che lo graffiavano. La luna si vedeva a malapena tra i rami degli alberi, ma anch'essa, invece di dare un senso di calma, sembrava ridere della paura di Patrice. Sembrava il volto di una dea crudele e sanguinaria e lentamente mutò il suo colore fino a divenire di un rosso cupo, come il sangue delle vittime che chiedeva in sacrificio. Patrice, terrorizzato dall'ululare dei lupi, dal verso del gufo, dai pipistrelli che gli scarmigliavano i capelli, si accucciò sotto un albero. Sentiva lo scalpiccio delle fiere sul terreno, che mandava un odore di marcio e che era coperto da una sottile nebbia. Improvvisamente udì un suono, un canto, e vide molto lontano, davanti a se, il bagliore di un fuoco. Rincuorato decise di avvicinarsi. Strisciò nel sottobosco fino ad una radura ma con orrore si accorse di essere capitato in un Sabba. Delle donne orribili ballavano e cantavano intorno al fuoco. Erano seminude e lasciavano intravedere i loro vecchi corpi, i seni cascanti, i ventri prominenti. Insieme le streghe danzavano strane creature, mostri ripugnanti. Alcuni erano uomini con teste di tori, altri erano viscidi ed avevano al posto delle braccia due serpenti e ancora  zoccoli al posto dei piedi, teste all'incontrario rispetto i corpi, gobbe, proboscidi, corna, volti sui ventri. Ma non era ancora finita perché streghe e demoni cominciarono a congiungersi in un enorme, satanica orgia. I corpi si aggrovigliavano, si contorcevano in posizioni impossibili e proprio quando il Sabba raggiunse l'orgasmo comparve un uomo bellissimo.
    Gli indemoniati si prostrarono al loro Signore. Aveva il volto finemente cesellato, grandi, ipnotici, occhi scuri, una piccola barba nera e le labbra carnose incurvate in un sorriso. Ma quel volto esprimeva  crudeltà e lussuria che presto trasformarono i suoi lineamenti. Adesso Satana aveva il viso gonfio, i denti marci dai quali guizzava una lingua serpentina. Le sue corna erano ricurve, la sua coda guizzava a frustare i suoi adoratori e la sua pelle coriacea era rossa. Ma la sua trasformazione non era ancora finita perché i suoi lineamenti si contrassero fino a che non raggiunsero la definitiva forma del caprone. Quindi anche lui si unì all'orgia. Patrice cercò di fuggire ma gli indemoniati si accorsero della sua presenza e lo inseguirono.
    Patrice sentiva il respiro putrido delle streghe, i rumori disgustosi dei demoni che strisciavano, volavano, si contorcevano dietro di lui, mentre il Signore del Male lanciava la sua maligna risata. Al ragazzo sembrava di correre in eterno e si pentì amaramente di non aver dato retta alle tradizioni del suo paese. Improvvisamente, Patrice vide che la foresta qualche metro più avanti lasciava spazio ad un ampia radura. Sperò che uscendo da lì avrebbe trovato la salvezza e, per questo, raddoppiò i suoi sforzi. Effettivamente, una volta raggiunta la pianura, gli orrori dietro di lui smisero di correre e, tuttavia, continuavano a sghignazzare. Patrice si appoggiò ad una pietra per cercare di calmare i battiti del suo cuore ed il suo respiro. La foschia nascondeva il suolo e la notte era ancora alta. Il boscaiolo si rimise in piedi ma provava ancora terrore poiché sentiva strani, maligni sussurrii. Anche quella pianura trasudava malvagità e Patrice si accorse  con orrore di trovarsi in un antico cimitero, le lapidi si ergevano davanti a lui come un esercito e, improvvisamente, la terra si smosse.
    Patrice era impietrito dall'orrore quando vide una mano scheletrica sbucare di lì. Quasi senza accorgersene si rese conto di essere circondato da morti. Dalle loro orbite vuote scaturiva la scintilla di un desiderio mai assopito, il desiderio di impadronirsi del soffio vitale. Patrice non poteva fare più nulla ormai per impedire che quelle mani uncinate lo ghermissero, che quei orridi sorrisi, quei teschi scoperchiati lo toccassero. In breve, un'intera legione di morti lo circondò e ridusse in brani il suo povero corpo. Giubilanti le streghe e i demoni si fecero avanti, ma i morti non volevano privarsi del corpo del giovane da cui potevano suggere ancora un pò di sangue caldo. I due eserciti del male ingaggiarono una lotta furibonda per ottenere le spoglie del povero Patrice. Ma Satana in persona comparve in mezzo alla radura. I morti tornarono alle loro dimore eterne mentre gli indemoniati si prostrarono e offrirono al loro Signore il cuore ancora pulsante di Patrice. Il Demonio lo accettò con un'orribile risata e lo mangiò, imitato dai suoi accoliti che si cibarono dei resti del giovane.

    Come si può notare, questa versione racchiude tutte le paure degli uomini medioevali: la paura del diavolo e quella di perdere la propria anima. Il Sabba, in particolare, sembra la descrizione di uno dei quadri di Hieronymus Bosch. Questa versione ebbe tanto successo che fu ripresa dai romantici in epoca ottocentesca. In particolare, vorrei riportare una poesia del poeta sepolcrale inglese Mark Oswald che è stato particolarmente affascinato da questa leggenda.

    Quando la notte giungerà all'orizzonte,
    quando tingerà ogni angolo del cielo
    e si udirà solo il grido amaro del lupo,
    e il verso lugubre del gufo,
    e il vento scuoterà le cime dei cipressi,
    e la foschia avvolgerà il bosco:
    quella è l'ora che dovrai temere.
    Quella è l'ora in cui sentirai
    sospirare i morti, bramosi,
    in cerca del calore della vita.
    Guàrdati dai fuochi scintillanti
    accesi nel bosco:
    la celebrazione dei Sabba
    è  ormai iniziata
    e sghignazzano le streghe,
    e ululano gli invasati,
    e gridano il loro terrore
    le virginee vittime.
    Oscuri orrori trovano ricetto
    nella negra terra,
    ti afferrano senza requie,
    riducono in brandelli le tue vesti,
    e il panico riempie i tuoi occhi,
    e un urlo ti sfugge dalle labbra
    e muore con un singulto.
    Fuggi, fuggi, se riesci,
    da questo luogo maledetto,
    fuggi verso il giorno,
    il calore, la vita.

Evidentemente il povero Patrice non c'è  riuscito!
    Completamente contrapposta a questa versione è la "Chanson de Patrice" .  La chanson è leggermente posteriore rispetto alle altre. Si può ragionevolmente credere che sia stata accolta negli ambienti nobiliari ma che sia stata trasformata in una storia d'amore per non turbare gli animi delle damigelle di corte. Si ritiene che tale versione della leggenda sia stata scritta dal trobadour provenzale Christiane de Arles, attivo soprattutto nella corte di Avignone, per lo stile nel quale è narrata. Tuttavia non possediamo il manoscritto originale che, purtroppo, è andato perduto. La "Chanson de Patrice" , comunque, era molto nota e, per questo, ne possediamo diversi accenni e un' intera versione composta, però, posteriormente, nel secolo XVI° , da un novelliere lombardo rimastoci anonimo. Tuttavia, qui, ciò che importa è la storia d'amore, mentre tutto il contesto non è nient'altro che contorno. Forse, lo scrittore era realmente innamorato e, con questa novella, ha voluto omaggiare la propria amata.

    "La selva si faceva sempre più buia, ma la luna riusciva a rischiararla con la sua luce argentea. Patrice si rese conto, con un brivido, di essersi perduto ma continuò a camminare in cerca di un riparo per la notte. Improvvisamente sbucò in una  radura dalla quale sgorgava una sorgente d'acqua cristallina formando una piccola polla. Il ragazzo, assetato per la lunga camminata, vi si avvicinò per abbeverarsi. Tuttavia l'acqua sembrava ricoperta da una pellicola d'argento che non permetteva di vedere il fondo. Patrice dimenticò la paura per osservare quello strano fenomeno. Intanto nella radura si erano accesi piccoli globi di luce e si udivano risate argentine e scalpiccii.     Patrice si voltò  varie volte ma non vide mai nessuno, sebbene intravedesse delle ombre con la coda dell'occhio. Pian piano le ombre cominciarono a farsi sempre più definite fino ad assumere forme che Patrice aveva creduto esistessero solo nelle favole. Vedeva piccolissimi uomini dal visetto grinzoso che si facevano scherzi l'un l'altro, oppure che riposavano sotto il cappello di un fungo particolarmente grosso, o ancora che suonavano piccolissimi flauti e cembali e che ballavano a quella musica. In seguito, dal folto della foresta, vide farsi strada degli strani ragazzi dai piedi fessi, con piccole barbe a punta e due graziosi cornetti che si intravedevano appena tra i riccioli scuri. Anche questi ballavano e suonavano, imitati da graziose fanciulle vestite di leggere vesti fluttuanti e con i capelli del colore delle fronde degli alberi.
    E intorno a lui volavano graziose farfalle che, viste più da vicino, erano fatine dai piccoli corpi torniti. Patrice rimase deliziato dalla festa che le creature del bosco gli stavano facendo. Ma, non appena la luna raggiunse il suo zenit nel cielo, la musica e i balli pian piano si acquietarono e le creature della foresta scomparvero tra risatine e ammiccamenti. L'acqua della piccola sorgente s'increspò e Patrice vide che una meravigliosa fanciulla stava uscendo di lì. Il suo corpo pallido sembrava una rosa bagnata dalla rugiada del mattino, i suoi capelli erano simili ad una colata d'argento fuso, i suoi occhi avevano lo stesso colore dell'acqua dalla quale era nata e la sua bocca, un bocciolo di rosa, era atteggiata in un sorriso. La fanciulla non sembrò avere visto il ragazzo, ma cominciò a ballare alla luna su di un'armonia che non sembrava terrestre ma divina. Patrice osservava ammirato i movimenti fluidi della fanciulla, le sue piroette e i suoi salti. La musica, intanto, aveva raggiunto il suo parossimo e, improvvisamente, terminò lasciando la fanciulla nata dall'acqua tremante e senza fiato. Patrice si avvicinò per aiutarla sentendo che il proprio cuore batteva sempre più forte e che ormai esso apparteneva completamente a lei. Ma la fanciulla si ritrasse, vedendolo spuntare all'improvviso.
    Patrice cercò di rassicurarla e la ninfa gli sorrise teneramente mandandogli in frantumi il cuore. La fanciulla gli disse qualcosa, ma Patrice non riuscì a capirlo perché le sue parole sembravano il mormorio dell'acqua di un torrente su ciottoli levigati. La ninfa, allora, gli prese la mano e se la portò al cuore, poi gli accarezzò il volto e gli fece capire che anche lei provava piacere e amore nel guardarlo. I due giovani, allora, si allacciarono in un tenero abbraccio e le loro bocche si sfiorarono per un bacio. Adesso, Patrice riusciva a comprendere la lingua della ninfa che gli stava chiedendo se volesse vivere con lei. Il ragazzo le si inginocchiò davanti e le disse che lei era l'unica donna con la quale desiderasse passare il resto della propria vita. Detto questo vide che i suoi capelli divennero di colore azzurro e il blu dei suoi occhi si fece più intenso. Patrice, allora, comprese e sorridendo prese la mano della sua donna. Da quel giorno un torrentello sgorgò dalla sorgente e nelle notti di luna piena si possono ancora vedere le figure di due giovani che danzano il loro amore alla luna."

    Che dire di più? Credo che questa sia la migliore di tutte le versioni perché non ha alcuno scopo; non vuole insegnare niente, né ha alcun intento polemico e, men che meno, non vuole spaventare nessuno. Io penso che sia solo una meravigliosa dichiarazione d'amore, scritta con il cuore da un uomo alla propria donna.




   
 
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