Lo squarcio nel buio (Joseph Boquet)
[AMBIENTATA DURANTE LA SERA DELLA RAPPRESENTAZIONE DE IL MUTO]
Nervosismo.
Serpeggiava
nei camerini, dietro le quinte del teatro, ben
nascosto dalla
sfarzosa scenografia, dal trucco, dai costumi, dalla mimica degli
attori...
Dietro le loro solite
facce, erano tutti nervosi anche se non volevano ammetterlo.
Affermare di avere paura
significava rendere la paura reale e nessuno voleva che accadesse
realmente qualcosa durante la prima de Il Muto.
Erano tutti ansiosi.
Anche lui.
L'uomo mandò giù una
lunga sorsata di cognac. Il liquore era di qualità scadente
ma
scaldava lo stomaco e alleggeriva i pensieri.
Sulla scia bruciante
dell'alcol l'ansia divenne meno pressante.
Dopo essersi scolato
mezza bottiglia non restava altro che un lieve prurito in mezzo ai
pensieri, molto simile alla pressione contro il cavallo dei pantaloni
quando indugiava più del dovuto nello spiare le ballerine.
Quando la bottiglia fu
quasi vuota, tutta l'ansia era ormai sparita. Joseph Buquet
cominciò
a trovare la situazione persino divertente. Del resto spaventare le
ragazzine lo faceva ridere e qualsiasi cosa il Fantasma dell'Opera
avesse in mente per quella sera, di certo lui non ne sarebbe stato
danneggiato.
C'era una cosa di cui
Buquet era certo: il Fantasma aveva bisogno di lui. Aveva bisogno che
qualcuno raccontasse storie paurose sul suo conto, perché i
fantasmi
si nutrono del timore che riescono a incutere e per incutere spavento
c'è bisogno che il buio resti un guscio intatto attorno alle
favole.
E Buquet era quello che teneva accesa la brace della superstizione,
quello che manteneva il buio intatto, che manteneva vivo il terrore.
Terrore che il Fantasma seminava come briciole di pane lungo il
sentiero. Un sigillo a forma di teschio sulle sue lettere, incidenti
più o meno gravi ai membri della compagnia teatrale,
sparizioni di
oggetti... anche sparizioni di ballerine, ultimamente.
Che fine avesse fatto la
piccola Christine Daae dopo la serata dell'Annibale sarebbe rimasto
un mistero...
Buquet rise, una risata
roca come lo scricchiolio delle assi di legno su cui camminava.
Evidentemente il Fantasma aveva i suoi stessi gusti, gli piacevano le
giovani ballerine, quelle fanciulle minute, donne nascoste sotto
strati di raso e organza e seni e fianchi ancora troppo piccoli.
Il Fantasma doveva
essersela spassata con la piccola svedese!
Buquet rise di nuovo.
Pensieri sporchi per un'anima sporca.
Sempre ridendo, il
macchinista si avviò al suo posto.
Lo spettacolo ebbe
inizio. Buquet pensò che la serata sarebbe stata
tremendamente
noiosa.
*
La
voce aveva un'eco
strana, come se il suono si fosse fatto cristallo e stesse assorbendo
i riflessi dei pendagli del lampadario. Come se ogni barlume di luce
obbedisse alla figura in nero comparsa sull'ultimo anello del
loggione.
“Non avevo forse dato
istruzioni che il palco numero cinque venisse lasciato
libero?”.
La luce si fece silenzio,
il silenzio si fece stupore, lo stupore si fece paura.
“Paura di cosa, branco
di idioti?”, Buquet sibilò le parole tra i denti,
snocciolando le
sillabe con la voce impastata dalla sbornia. Sentì il
Fantasma dire
qualcosa a proposito di un rospo e lo vide dileguarsi in un movimento
fluido, sparendo dietro la piccola porta che immetteva nel
sottotetto, dove c'erano le leve per muovere il lampadario.
“E' solo un uomo...”,
Buquet ghignò. Stava cominciando di nuovo a trovare la cosa
terribilmente divertente.
Giocare a rincorrersi,
come dei bambini. La sua mente annebbiata dal cognac gli fece
sembrare la cosa davvero davvero spassosa. Sarebbe stato ancora
più
spassoso quando avrebbe acciuffato quel tizio, quando tutti avrebbero
detto di lui che era l'uomo che aveva liberato il teatro dai suoi
spettri.
Il macchinista si lanciò
all'inseguimento della figura mascherata.
“Quel pagliaccio
travestito crede davvero di essere l'unico a sapersi
muovere?”,
Buquet sbuffò come un toro pronto alla carica.
Aprì la porta della
saletta con le leve del lampadario: niente. Ma un attimo dopo
avvertì
uno scricchiolio in lontananza e riprese a correre.
“Vedi amico? Ci so fare
anche io” disse muovendosi senza paura sulle assi sospese
sopra al
palco.
Poi un foro minuscolo si
aprì nella trama di buio e un riflesso bianco fece capolino
per un
solo istante e sparì. Buquet inseguì il bianco
attraverso il buio.
Il
macchinista ci mise
tempo a capire che i ruoli di inseguito e inseguitore si erano
ribaltati, ma quando lo capì smise di trovare la cosa
divertente.
Avrebbe voluto fermarsi ed esclamare: “D'accordo! Il gioco
è bello
quando dura poco...”. Ma era troppo tardi.
Si voltò di scatto
richiamato da un fruscio alle sue spalle. Il buio si aprì di
nuovo,
stavolta fu un vero e proprio squarcio, ne emerse un volto ghignante.
Non il volto mostruoso di cui raccontava alle ballerine, ma quegli
occhi e quel sorriso... quella doveva essere la faccia di benvenuto
che il diavolo riservava alle anime dannate sulla soglia
dell'inferno.
L'uomo pensò di
scappare. Inutile, tutto inutile...
Un pensiero gelido e
tagliente come una lama affiorò nella mente di Buquet,
fendendo la
nebbia dell'alcol e della paura. Il Fantasma dell'Opera aveva bisogno
di lui, perché lui era quello che manteneva vivo il terrore
con le
sue storie. Ma nessuna storia sarebbe stata più terrificante
della
sua morte.
Era così che il Fantasma
si sarebbe servito di lui. Per l'ultima volta.
Lo squarcio nel buio si
allargò ancora di più. Ora c'era un uomo e c'era
qualcosa che gli
serrava la gola. Poi il buio si richiuse per sempre.