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Autore: maude17    02/01/2011    2 recensioni
Durante la mia carriera mi erano capitati clienti di tutti i generi: c’erano quelli che ti pagavano subito come per sottolineare che non sei nulla per loro, solo un divertimento, ed erano specialmente gli uomini sposati a farlo; quelli che dovevi pregare in ginocchio per darti i soldi, e per fortuna ne ho incontrati ben pochi; quelli che ti tenevano tra le braccia dopo l’amplesso come segno di appartenenza, anche se non era vero, ma era solo il post-orgasmo a renderli così dolci, ed erano specialmente gli uomini single; poi c’erano quelli perversi, che ti chiedevano di tutto, fregandosene dei tuoi desideri; quelli violenti e ogni amplesso con loro era quasi uno stupro; quelli che a malapena li sentivi; quelli che non duravano niente; e, infine, quelli come lui, che erano un insieme di tutte le sensazioni che si potevano provare, di tutti modi di fare l’amore, quella capacità di essere passionali e dolci allo stesso tempo, si, tutto questo era Marco e mi manca da morire.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 2. Fuga.

 


Ammoniaca.
Ecco cos’aveva usato quel folle bastardo: ammoniaca inzuppata in un fazzoletto.
Erano stati talmente veloci che nemmeno me ne ero accorta, del fazzoletto.
Non so in quanta quantità ne avevano utilizzata ma diciamo abbastanza da farmi vedere le stelle per una buona oretta.
Stronzifottuti bastardi!
Quella mattina mi svegliai con una nausea enorme che persisteva ogni giorno, mi si era bloccato il ciclo e un’orribile realtà si parò davanti a me come uno schiaffo: ero incinta.
Ero incinta di un bastardo, mi aveva lasciato un pezzo di lui anche nel corpo e non solo nell’anima, mi aveva rovinato definitivamente la vita.
Non potevo di certo dire ai miei genitori che ero incinta: mi avrebbero rinchiusa, e forse era anche un bene.
Così preparai una borsa e lasciai loro un biglietto con scritto che me ne andavo, ma che gli volevo bene e che non era colpa loro.
Mi presentai a casa di Carol e quella, ridendomi in faccia, richiuse la porta con forza. E chi pensava che questa fosse così, lei, la mia unica amica.
Così mi rimisi in spalla la borsa e presi un autobus, senza sapere dove era diretto.
Quando si fermò al capolinea scesi, ancora mezza addormentata e dolorante, alzai il viso e un’enorme scritta mi si parò davanti: Hollywood.
Non ci potevo credere, ero finita nella città dello spettacolo!
Era una sottospecie di sogno per me.
Ma un forte conato di vomito mi riportò alla realtà: avevo 15 anni, ero incinta e senza un soldo…avrei dovuto rimandare il mio giro turistico, forse non lo avrei mai fatto. 
Mi andai a rifugiare in un vicolo buio e isolato, vicino ad un ristorante italiano.
Trovai per terra degli scatoloni e li posizionai come meglio potevo.
Tirai fuori una coperta dalla borsa e mi ci si avvolsi. 
Quella sarebbe stata la mia nuova vita: una povera barbona per giunta incinta. 
Non so per quanto tempo andai avanti con quella misera vita, finchè un giorno, me lo ricordo come se fosse oggi, Marco, il figlio del capo del ristorante italiano, mi trovò quando ero al quinto mese di gravidanza, con una pancia non più nascondibile. 
Non si era mai accorto di me: normalmente mi nascondevo quando usciva a buttare fuori la spazzatura, ma io lo avevo sempre notato.
-Ciao e tu chi sei?-, mi chiese con un accento italiano lievemente udibile e uno sguardo pieno di compassione.
Eh no! Io l’odiavo la compassione.
-Non guardarmi con quello sguardo. Della tua pietà non ne ho bisogno-, sbottai acida, anche a causa degli ormoni impazziti.
Lui sgranò gli occhi, forse per la rabbia con cui avevo pronunciato quelle parole.
-Ehi, ehi calma! Come ti chiami?-, si avvicinò lentamente per non spaventarmi.
-Megan-, sussurrai dopo un po’, incapace di reagire in altro modo, le forze ormai mi stavano abbandonando.
E poi non era colpa sua. Lui era la prima persona che mi rivolgeva la parola gentilmente da quando me ne ero andata. 
-Io sono Marco, quanti anni hai?-
-Che giorno è?-
-Il 27 Gennaio-, rispose confuso.
-Allora ne ho ancora 15-
-Io ne ho 19, cosa ti è successo?-
Non risposi, non ero pronta a ripercorrere quel giorno orribile.
Lo avevo accantonato in un piccolo cassetto della mia mente: sigillato, ma purtroppo presente.
Era troppo doloroso cercare di ricordare, troppo, e io non ero ancora pronta per farlo.
-Stai tremando-, mentre pensavo non mi ero accorta che si era avvicinato fino a toccarmi una spalla.
Sobbalzai.
-Non toccarmi!-, gridai spaventata.
-Ehi, tranquilla, voglio solo aiutarti!-, sembrava sincero.
-Non ho bisogno del tuo aiuto!-
Non riuscivo più a fidarmi di nessuno, non dopo quello che mi era successo.
-A me non sembra proprio. Vieni dentro: ti fai una bella doccia, mangi qualcosa, ti do vestiti puliti, ti porto in ospedale a fare delle analisi e poi ti riposi un po'. Non fa bene stare qui al gelo nelle tue condizioni-
Lo guardai incredula: era il primo che si offriva di aiutarmi senza volere niente in cambio.
Era stato… gentile… era gentile.
Mi sorrise rassicurante.
Lo osservai meglio: era bello, aveva gli occhi verde scuro e i capelli spettinati e marroni scuri.
Era alto, molto più di me, non che ci volesse molto.  
-Quanto sei alto?-, mi uscì dalla bocca senza che potessi impedirlo.
Che domanda stupida, Megan. Complimenti!
Lui ridacchiò e mi tese la mano per aiutare ad alzarmi.
-Più o meno un metro e novanta, nana-, scherzò per alleggerire l'atmosfera.
Sorrisi e gli presi la mano. 
Mi sembrava una buona persona dopotutto. 
Sobbalzò al contatto: dovevo essere gelida.
Mi portò dentro e mi mostrò dov’era il bagno, e mentre mi facevo una doccia bollente, la prima dopo mesi, andò a spiegare la situazione ai suoi genitori, che mi accolsero con calore.
Non ci credevo, sembrava la prima svolta positiva nella mia vita dopo mesi di agonia.
Mi rivestii con i vestiti che mi aveva preparato e andai nella cucina.
-Stai meglio, Megan?-, mi chiese affettuosa la madre di Marco, Maria.
-Si, la ringrazio. Siete stati molto gentili ad aiutarmi- 
-E’ stato un piacere, ti ho preparato il letto per stanotte. Marco dormirà sul divano letto-
-Oh, ma non dovete disturbarvi, posso dormire pure io sul divano, per me sarebbe comunque comodo-, sussurrai in imbarazzo.
-Ma non ci pensare neanche! Il divano è comodo lo stesso, quindi starò bene!-, mi sorrise Marco.
Ringraziai ancora poi mi lasciarono sola, dove potei scrollare nella mia bolla di dolore.
Mi mancavano i miei genitori, mi mancava un sacco l’affetto di una vera famiglia e vivere con i Di Carlo era come avere un pugnale nel cuore che mi ricordava cosa avevo lasciato per sempre scappando di casa.
Mi addormentai solamente dopo parecchie ore e, per la prima volta, dormii bene, come non facevo da anni, ma quella sensazione durò poco.
Avevo il sonno molto leggero a causa della mia situazione non potevo permettermi di dormire profondamente: poteva arrivare un maniaco da qualsiasi parte e in qualunque momento. 
Avevo sentito distintamente il rumore di un vaso che si spezzava, mi alzai di colpo e mi accostai alla porta: doveva essere entrato qualcuno.
Una parte di me mi diceva di stare ferma, mentre l’altra mi diceva di andare a controllare.
Ovviamente seguii la seconda parte, ero sempre stata curiosa ed impulsiva, e andai in cucina.
Potevo sentire dalla sala il russare di Marco, segno che non si fosse accorto di niente.
Mi avvicinai lenta al suo letto per svegliarlo quando qualcuno mi tirò dai capelli e bloccò il grido che mi stava per uscire dalla bocca.
-Urla e ti uccido-, mi sussurrò all’orecchio minaccioso un uomo.
Spalancai gli occhi terrorizzata quando sentii la sagoma di un coltello vicino alla mia gola.
Maledetta me e la mia seconda parte!
Dovevo starmene ferma e muta in camera!
Alzai il più piano possibile la gamba e l’allungai fino a raggiungere il corpo di Marco, incominciai a dargli colpetti piano e ripetuti per svegliarlo.
Il tempo passava e la presa sui miei capelli non accennava a diminuire e Marco non si svegliava. 
Stavo sudando freddo!
Si sentì un altro piccolo rumore e ne approfittai per serrare un calcio forte alla schiena di Marco.
-Ma cosa..?!-, chiese disorientato.
La mano che mi bloccava la bocca si fece ancora più forte, quasi non riuscivo a respirare.
Marco mi toccò la gamba nuda mentre cercava cosa lo avesse svegliato.
-Megan?!-, incominciai a dargli altri colpetti che lo spinsero ad accendere la luce e a vedere l’orribile scena che aveva davanti.
Spalancò gli occhi e i due criminali scapparono temendo che gli avesse visti in faccia lasciandomi accasciata a terra, spaventata e piangente.
Marco mi circondò con le braccia e io mi aggrappai a lui.
-Tranquilla, sei al sicuro ora. Ti hanno fatto del male?-
Scossi debolmente il capo, mentre lui mi stringeva facendomi sentire finalmente protetta da qualcuno.



Note dell'autrice:


Ok, non era previsto Marco, ma mentre scrivevo mi è venuto in mente, e ho dovuto aggiungerlo!
Si, ho scritto tutto di getto ed è uscito un capitolo orribile >w<
Ma spero vivamente che a qualcuno piaccia!
Dunque... Megan scappa di casa dopo che ha scoperto di essere incinta di Matt, Carole le ride in faccia e questo fa aprire gli occhi a Megan sulla vera natura della sua amica: una stronza.
Marco, invece, è la prima persona che si è presa cura di lei da quando Matt l'ha violentata.
Sembra quasi un paradosso: prendersi cura di una ragazza trovata per strada, ma lo sguardo spaventato e la situazione fisica di Megan gli hanno fatto comprendere che ci si poteva fidare, vedremo poi come andrà a finire ;)
Grazie a tutti coloro che leggeranno e/o recensiranno!
  
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