Hel, si
comprende da quanto già è stato detto, era una
dea molto riservata. Le altre
divinità non la odiavano né la amavano, ma
provavano per lei una sorta di
fascinoso timore: era come se ne fossero attratti e respinti al tempo
stesso. I
loro sentimenti verso di lei erano un misto di ammirazione, invidia e
un
pizzico di paura. Da quando Surtr era sceso a Niflheimr
per discutere con lei della sua eventuale partecipazione
al suo piano, la dea non aveva avuto quasi alcun contatto con altri
individui
di nessun genere. Durante questa lunga pausa aveva riflettuto molto a
lungo su
di sé e sul suo rapporto con gli altri mondi: era giunta
esattamente alle
stesse conclusioni cui era già pervenuta dialogando con
Surtr, cioè che non lo
avrebbe seguito nel suo folle attacco a uomini e divinità.
Infine, constatando
la volontà degli dèi di intervenire al fianco
degli umani a Miðgarðr,
aveva deciso di unirsi al
gruppo, senza tuttavia dare troppo nell’occhio e senza mai
schierarsi
apertamente con esso. Voleva vedere cosa accadesse laggiù
per pura curiosità,
non per convinzione.
Aprire i miei
orizzonti non potrà farmi
male. Conoscere non potrà farmi male.
Dopo
essere
stata in Islanda con gli altri dèi, appena
saputo che si sarebbe aperto un nuovo fronte in
Scandinavia non aveva
perso tempo e aveva preceduto tutti gli altri, arrivando con leggero
anticipo
sugli stessi giganti in procinto di invadere quella terra. Ora vagava,
travestita da mendicante, per una foresta di abeti in Norvegia.
Il Sole
filtrava tra le fronde gettando bagliori irregolari sul sottobosco.
Soffiava
una lieve brezza che spandeva tutt’attorno un morbido profumo
di muschio e
funghi: se ne aveva un’impressione di pace e
tranquillità, proprio come piaceva
a Hel. La dea cercava con la vista un segno che l’informasse
su dove si trovava;
per alcuni minuti vagò senza punti di riferimento, poi
finalmente apparve la
fine di quella foresta. Usciva silenziosamente dalla selva, guardando
ammirata
la magnificenza del paesaggio montuoso, quando vide una donna sulla
trentina d’anni
con le mani e le gambe graffiate e un’aria piuttosto spaesata
e afflitta. Non
avendo idee migliori le si avvicinò, intenzionata a
conoscere lo stato di
quella persona.
- Chi sei,
mendicante, che vuoi da me? – le chiese Jàrnsa.
- Sono una
donna che ha vagato a lungo e senza meta. C’è
nulla che io possa fare per te?
- A meno che
tu non abbia poteri sovrumani e un gran cuore temo proprio di no,
grazie.
Hel avrebbe
sorriso, se ne fosse stata capace.
- A seconda
della situazione potrei averli oppure no – disse.
Jàrnsa la
guardò, perplessa.
- Che
significa? – chiese.
- Sai dirmi
perché non c’è nessuno oltre a te qui
nei dintorni? – fece Hel.
- Ci hanno
attaccato i giganti. Ne so quasi quanto te: sono appena riuscita a
liberarmi,
non so cosa sia successo nel frattempo, maledetto verme che hai norme
Surtr, io
ti…
- Surtr? Ho
sentito bene?
- Sì,
purtroppo. Quel… quello schifoso ha ucciso mio marito, il
nobile Baldrir!
Scoppiò a
piangere. Hel le si avvicinò e le carezzò i
capelli con una mano.
- Lo sai,
penso che per te potrei usare poteri sovraumani, Jàrnsa
– le disse Hel.
La donna si
voltò di scatto verso la mendicante, senza capire.
- Come
conosci il mio nome? Che poteri puoi usare? Per che cosa?
Hel si tolse
di dosso gli abiti stracciati da mendicante e si presentò
con una tunica
candida e i capelli neri sciolti. La sua figura si ergeva stagliandosi
contro
il disco solare, conferendosi un aspetto mistico e grandioso: pareva la
personificazione dell’immensità.
- Sono Hel,
regina di Helheimr. Conosco Surtr,
conosco tuo marito Baldrir. Voglio aiutarti.
Jàrnsa la
abbracciò con grande forza, fiduciosa di poter recuperare il
marito
dall’oltretomba.
- Riporterai
indietro mio marito? Puoi farlo?
- Tuo marito
sta benissimo, Jàrnsa. Surtr deve averti mentito per farti
soffrire. Non
tollererò che un bestione imbecille si prenda gioco di una
nobildonna: ti
aiuterò a fare avere a quel bellimbusto quanto si merita,
non temere.
Jàrnsa le
diede un bacio sulla guancia, piangendo ora di felicità per
la lieta notizia.
- Grazie, non
finirò mai di ringraziarti, Regina.
- Non preoccuparti.
Se non ci si
aiuta tra di noi!
Jàrnsa,
annuendo, sorrise.