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Autore: Valery_Ivanov    03/01/2011    1 recensioni
Hakkai si svegliò con un malditesta colossale e il braccio destro che bruciava da morire. Si guardò intorno, la vista ancora annebbiata, cercando di capire dove si trovava. Era in una piccola stanza accogliente e pulita, con delicate tendine verdi alla finestra. La porta era chiusa, ma da fuori sentiva provenire alcune voci, fra cui…
«Piuttosto che indossare quella roba preferisco andare in giro nudo!!!»
Sanzo.
«Te lo lascerei anche fare se non facesse questo dannato freddo!! Cosa vuoi, una bella polmonite?»
Una… ragazza?
«Voglio che i miei vestiti siano pronti!!»
«Beh, mi spiace ma qui non siamo nel tuo tempio dove sono tutti ai tuoi ordini! Per cui ficcati questi abiti e non scocciarmi!»
«Come ti…»
«Veloce!»
Ci fu il rumore di una porta sbattuta e poi passi che si allontanavano.
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cho Hakkai, Genjo Sanzo Hoshi, Nuovo Personaggio, Sha Gojio, Son Goku
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti!! Questo è il penultimo capitolo, dopo ci sarà l’epilogo e la storia sarà conclusa!! Questa è un’immagine di Joruri: http://28.media.tumblr.com/tumblr_lc072bDfo61qbvoiyo1_500.jpg bella, vero??? *-*

 

Inuyasha_Fede: ciao!! Ho come la vaga sensazione che Sanzo ti stia antipatico… xDxD mi fa piacere sapere che segui la mia storia, grazie!!!^^ Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo!! Un bacione!!

 

Vorrei poi ringraziare Ramona37, Inuyasha_Fede e roxrox per aver aggiunto questa storia fra le seguite!!!!

 

 

Lead us to the light

 

- Capitolo 4 -

 

Hakkai aveva preso l’abitudine di passeggiare, la sera, abitudine che gli permetteva di pensare a lungo e di osservare le finestre illuminate attraverso cui ogni tanto passava la figura sottile di Joruri. La demone aveva una corporatura esile che in qualche modo riusciva ugualmente a farla apparire imponente e autoritaria; Hakkai si era reso conto di aver iniziato a paragonarla a Kanan, senza sapere bene perché. Kanan aveva forme più morbide, mentre Joruri aveva il corpo asciutto e scattante di chi si è allenato per lunghi anni; Kanan curava sempre i suoi lunghi capelli biondi, Joruri lasciava che i suoi si arricciassero ribelli attorno al viso, dandole un’aria al tempo stesso infantile e indaffarata. Spesso, quando leggeva o si fermava ad osservare il lago – cose che faceva quasi tutti i giorni – giocava con qualche ciocca, attorcigliandosela attorno ad un dito in modo quasi ipnotico. Kanan aveva una voce dolce e gentile, sempre pacata; Joruri perdeva raramente la calma, ma la sua voce era forte, autoritaria, molto simile a quella di Sanzo. Però sapeva essere anche gentile.

E infine… Kanan era morta. Joruri era viva, ed era lì con loro.

Quest’ultimo pensiero soprattutto lo logorava, mostrandogli una possibilità che lo terrorizzava e affascinava al tempo stesso. Di una sola cosa era certo: la pace che provava era più difficile da abbandonare ogni giorno che passava. Spesso si chiedeva se sarebbe stato davvero in grado di lasciare quella casa e tornare alla sua vita da vagabondo.

«Hakkai»

Il moro si voltò lentamente, sorridendo alla figura che si avvicinava.

«Sanzo…»

«Dobbiamo parlare» il monaco si fermò accanto a lui. Davanti a loro la casetta di legno risplendeva di tutte le sue finestre illuminate e dava una sensazione di sicurezza difficile da ignorare.

«Ti ascolto» mormorò Hakkai, anche se già sapeva benissimo ciò che l’altro intendeva dirgli.

«Sarò breve» iniziò Sanzo, accendendosi una sigaretta. «Joruri sa tutto del nostro viaggio, ed è perfettamente consapevole del fatto che prima o poi dovremo partire. Ora, il punto è: tu cosa vuoi fare?»

Hakkai sorrise, e gli costò uno sforzo indescrivibile pronunciare le parole che sapeva di dover dire, voltandosi verso di lui. «Non vedo perché me lo chiedi, Sanzo. Verrò con voi, mi sembra ovvio»

«E la abbandoni così?»

«La abbandoneremmo tutti, non vedo cosa…»

«Hakkai, non dirmi che a forza di stare a contatto con Gojyo sei diventato stupido quanto lui»

Il moro tacque, portandosi una mano al viso. Ci furono lunghi secondi di silenzio.

«Non la abbandonerò» mormorò infine, fissando lo sguardo sulle finestre illuminate. «Quando avremo risolto il problema dell’anomalia, tornerò qui»

«Potrebbero volerci anni»

«Lo so. Ma se lei vorrà aspettarmi, tornerò. Non importa quanto sarà lungo il nostro viaggio»

«E hai mai considerato l’idea che potrebbe perdere il proprio io?»

Hakkai scrollò le spalle. «Non succederà»

Una nuvoletta di fumo soffiata nell’aria.

«Non succederà finchè io e Gojyo non perderemo il nostro. Lo sento, è forte almeno quanto noi, se non di più»

«… potremmo portarla con noi» propose distrattamente il monaco, senza guardarlo.

«Non potrei mai permetterlo. Non riuscirei a combattere sapendola in pericolo»

Sanzo lo fissò con sguardo indecifrabile, infine gettò il mozzicone a terra e lo calpestò con un piede.

«E’ così, allora. Sei andato avanti»

Hakkai rimase in silenzio, assorbendo l’impatto di quella frase. Non si era reso conto fino a quel momento di ciò che le sue parole di prima implicavano. Aveva scelto Joruri.

«Così pare… ma credo mi ci vorrà ancora parecchio tempo per abituarmici»

«Il tempo non ti mancherà. La missione richiederà ancora parecchi mesi, se non anni»

Il moro sospirò, passandosi una mano fra i capelli.

«Devo parlare con lei»

Sanzo si voltò, incamminandosi verso la casa.

«Allora fallo stasera. Domani partiamo»

 

All’interno della casa il camino era acceso e scoppiettava un allegro fuocherello, accanto al quale era accovacciato un Goku concentratissimo nel compito di sistemare i ciocchi di legno. Gojyo giocherellava con un coltello, stravaccato su una sedia, e quando Sanzo e Hakkai rientrarono furono accolti dalla voce di Joruri: «Per stasera vi sconsiglio di stare fuori, a meno che non vogliate prendervi una polmonite con i fiocchi»

La demone era intenta a lavare i piatti della cena, e non li guardò. «Statevene qui in cucina, è la stanza più calda della casa» disse soltanto.

I due si sedettero attorno al tavolo rettangolare e Sanzo si accese subito un’altra sigaretta.

«Ma tu non fai altro che fumare?!» commentò esasperata Joruri, alzando gli occhi al cielo. «Non ti basta il fumo del camino?»

«No» ribattè seccamente il monaco, aspirando un boccata con immenso piacere. «Giochiamo?» propose dopo qualche istante. Gojyo saltò subito in piedi. «Ehi, stavo per dirlo io! Vado a prendere le tessere!!» esclamò, scattando fuori dalla stanza.

Joruri non diede segno di essere interessata alla cosa e i quattro si misero a giocare a Mah-Jong, fra le solite bisticciate di Goku e Gojyo. Giocarono per più di un’ora, e fu solo dopo la ventesima partita che Hakkai si accorse dell’assenza di Joruri.

«Continuate da soli, ragazzi, io sono stanco» li informò, alzandosi dal tavolo. Ignorò le loro lamentele e si diresse verso le scale, salendole silenziosamente. La cercò in tutte le stanze, ma senza successo. Eppure non poteva essere uscita, aveva raccomandato loro di non andare fuori con quel tempo. Si affacciò al balcone, senza sperarci troppo, ma sorprendentemente lei era lì. Appoggiata alla ringhiera, con i lunghi capelli sciolti che le svolazzavano intorno, mossi dal vento impetuoso, sembrava il soggetto perfetto per un quadro. Per un attimo Hakkai rimpianse di non saper dipingere.

«Non fa troppo freddo?» chiese, avvicinandosi a lei. Joruri sospirò e si voltò a fronteggiarlo. Il demone si chiese com’era possibile che rimanesse fulminato dalla sua bellezza ogni volta che la vedeva.

«Cosa ci fai qui, Hakkai?»

«Vorrei parlarti»

La demone annuì e gli andò incontro, spingendolo gentilmente dentro casa.

«Parliamo qui. Sei guarito da poco, ricorda, e il tempo non è dei migliori»

Hakkai annuì e la seguì docilmente nella sua stanza, dove non era mai entrato prima. Era più piccola delle altre camere della casa e arredata molto semplicemente: una scrivania, un armadio e un letto erano tutti i mobili presenti. Le pareti, però, erano tappezzate di quadri e poster; immagini di ogni genere gli restituivano lo sguardo dai muri che una volta dovevano essere stati bianchi.

«Li hai fatti… tu?» chiese il demone, ammirato, ma lei scosse la testa.

«Certo che no, io non so dipingere. Li ho comprati nei villaggi vicini»

Rimasero in silenzio alcuni istanti, infine Joruri gli fece cenno di sedersi sul letto, accanto a lei. Hakkai obbedì e, prima che la demone potesse dire qualcosa, iniziò a parlare. Le raccontò tutto; di Kanan, di come era diventato un demone, di come aveva conosciuto Sanzo e gli altri e del loro viaggio. Quando finì cadde nuovamente il silenzio, finchè Joruri non sospirò nuovamente, e iniziò a raccontare a sua volta.

«I miei genitori erano demoni gentili, che andavano d’accordo con gli esseri umani. Vivevamo in una casetta poco lontana dal villaggio e siamo stati felici per tantissimi anni. Quando l’anomalia iniziò a diffondersi, seguita dai racconti di demoni sanguinari che uccidevano gli umani, le persone del villaggio ci chiesero gentilmente di abbandonare la nostra casa. Erano spaventati, lo capimmo, e ce ne andammo senza fare storie. Iniziammo a viaggiare e vedemmo con i nostri occhi la distruzione portata dai demoni. Decidemmo di costruire una casa isolata nella foresta» si interruppe facendo un cenno con la mano verso le pareti. «Ci trasferimmo qui e ci facemmo la promessa che se uno di noi avesse perso il proprio Io, lo avremmo ucciso. Eravamo arroganti, pensavamo di essere forti, pensavamo che non ci sarebbe mai potuto capitare. Ma la prima a cadere fu mia madre. Era una dottoressa, abituata ad essere circondata da persone bisognose del suo aiuto, abituata a dare la sua vita per gli altri; qui, chiusa in una casa dove tutti erano indipendenti, finì con l’ammalarsi di depressione, diventando una facile preda per l’anomalia. Mio padre non ebbe il coraggio di ucciderla con le proprie mani, così lo fece mio fratello – oh, sì, avevo un fratello. Mio padre impazzì subito dopo e stavolta fui io a porre fine alla sua vita. Ma mio fratello non riusciva a darsi pace, diceva che forse si era sbagliato, che forse nostra madre sarebbe potuta guarire… vivemmo per alcuni anni da soli, lui con terrore, io rassegnata. Ero convinta che, se i miei genitori erano caduti, presto sarei caduta anch’io. Invece a cadere fu mio fratello» fece una pausa, cercando le parole. «Impazzì, senza alcun preavviso, senza motivo apparente; era andato a caccia, per procurarci provviste per l’inverno, e quando tornò coperto di sangue capii con orrore che non mi riconosceva più. Lo uccisi» la voce le si impigliò in gola. «Eravamo gemelli» rivelò, chinando la testa. «Guardando il suo viso, mi sembrò di aver ucciso me stessa. Per un istante pensai che sarei impazzita anch’io, ma poi ricordai improvvisamente che qua intorno c’erano dei villaggi. C’erano persone innocenti. Ricordai che non c’era più nessuno in grado di fermarmi se fossi impazzita. Non so come, ma riuscii a mantenermi cosciente»

Cadde il silenzio.

«Quanti anni fa è…?»

«Non lo so. Due? Dieci? Cinquanta? Non ho mai voluto tenere il conto»

Hakkai la guardò, chiedendosi come poteva lasciarla da sola un’altra volta.

«Joruri…» iniziò, passandosi una mano fra i capelli nel tentativo di schiarirsi la mente. «Noi dobbiamo partire»

La demone sospirò. «Lo so. Ma sono comunque felice di avervi conosciuti»

«No, Joruri, io… io tornerò»

Lei alzò la testa, guardandolo senza capire.

«Quando avremo risolto il problema dell’anomalia, io tornerò. Non so cosa faranno gli altri, ma io… farò in modo che tu non sia più sola»

La demone sgranò i suoi magnifici occhi color del mare e trattenne il respiro, comprendendo il significato di quelle parole.

«Hakkai, io non…» iniziò, ma il demone le posò un dito sulle labbra, sorridendo.

«Nulla di ciò che dirai potrà farmi cambiare idea, Joruri. Io ho scelto te»

 

Guardandoli andare via, Joruri promise a se stessa che, se Hakkai fosse riuscito a sopravvivere e a tornare davvero da lei, gli avrebbe rivelato di essersi innamorata di lui fin dalla prima volta che il suo sguardo si era posato sul suo corpo febbricitante nel bosco. Non sapeva se anche gli altri sarebbero tornati… forse Goku sì – aveva addirittura pianto quando si erano salutati – ma dubitava che Sanzo sarebbe mai riuscito a mettere le radici da qualche parte. Comunque aveva lasciato ad Hakuryù la chiave per ritrovarla, ed era certa che il draghetto li avrebbe riportati da lei, un giorno.

Alzò lo sguardo al cielo, sorridendo appena. Le piaceva avere qualcuno da aspettare.

  
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