La
giornata di un uomo all’interno della propria casa può non essere importante…
ma sicuramente lo diventa quando quelle mura sono custodite da potenti magie, e
quello è il suo ultimo giorno di vita.
Chiuso in quelle stesse mura da cui venti anni prima, da ragazzo, aveva
tentato più volte di scappare, un uomo girava per la casa nella continua attesa
di poter fuggire per l’ennesima volta.
Rinchiuso
nuovamente da troppo tempo, per chi, dopo tredici anni in prigione si era ripromesso
di morire prima di vivere di nuovo in gabbia. L’uomo
si dedicava alla sua unica occupazione: ripulire quella casa da tutti i ricordi
del passato.
Con gesti semplici
ma decisi afferrava gli oggetti più svariati, e senza pensarci troppo li
gettava risoluto dentro una grossa busta nera. Con sguardo intenso, i suoi
occhi grigi ripercorrevano frenetici ogni angolo della
stanza, alla ricerca di altri oggetti da gettare. Ogni cosa di cui
freneticamente si liberava gli riportava alla mente troppi ricordi, troppe
delusioni.
Ricordi
di genitori, odiati genitori, che avrebbero voluto fare di lui tutto ciò che
lui non era.
Ricordi di se
stesso, un se stesso ormai ben diverso. Un ragazzo sfacciato
e libero di fare ciò che voleva. E che certo,
non si sarebbe lasciato spontaneamente rinchiudere dentro quelle quattro mura.
“Neanche io posso
farmi rinchiudere” pensò tra se e se.
Avrebbe voluto
fuggire con tutte le sue forze. Anche a rischio della
sua stessa incolumità, ma sapeva che questo avrebbe fatto soffrire molte
persone, mettendole oltretutto in pericolo di vita.
Pensava
principalmente ad una fra tutte, qualcuno che da soli due anni aveva ritrovato.
E di certo non poteva ne voleva allontanarsi da lui,
che aveva i capelli sempre spettinati e due grandi occhi verdi e luminosi.
Racchiudendo in se tutte gli aspetti delle due persone
che in modi diversi aveva più amato.
Aveva amato suo
padre come il migliore degli amici, come chi gli era stato vicino in ogni
momento. Era proprio lui che l’aveva aiutato anni prima
quando non aveva più una casa. Colui che si era fidato a tal punto da affidargli il suo
stesso figlio.
Ed aveva amato sua madre, come non aveva mai
amato nessun’altra donna.
- No! - abbaiò
improvvisamente a se stesso. Quel pensiero che da tanto non si affacciava alla
sua mente, lo colpì improvvisamente. Facendogli provare lo stesso disagio che
aveva provato per molti anni, quando distratto ammirava quegli occhi verdi,
trovandosi al fianco di colui a cui ormai
essi appartenevano: il suo migliore amico!
Sembrava un
pensiero quasi irreale, eppure sapeva che non lo era. Ne aveva
un chiaro ricordo, riusciva ancora a sentirne l’intensità, ma con essa anche la
vergogna. La vergogna di desiderare, lui che avrebbe potuto avere
qualsiasi donna, l’unica che mai sarebbe stata sua.
Immerso in quel
ricordo l’uomo si gettò ansioso alla ricerca, all’interno della grossa busta
nera che teneva fra le mani, di un oggetto che era certo aver da poco gettato.
Riemerse poco dopo, tenendo fra le mani un logoro quaderno rosso.
Con un lieve
sorriso l’uomo aprì il diario, molte pagine erano state strappate, ed altre
erano quasi illeggibili. Ma qua e là si potevano
distinguere alcuni pezzi e leggendoli l’uomo riconobbe subito la calligrafia:
la sua.
“È notte, e sono nella mia stanza. Oggi è
stato un altro giorno di esami, come al solito tutto è
andato bene. Ma non sono certo queste le mie preoccupazioni, in realtà non c’è
niente che mi tormenta, eppure non riesco a
sbarazzarmi da questa fastidiosa sensazione di disagio.
Non è sicuramente colpa di ciò che ho fatto a quell’idiota di Severus, se lo meritava,
soprattutto dopo essere stato tanto cafone con chi aveva cercato di aiutarlo…
Lily Evans.
Lei… No… non può certo essere il suo
pensiero a mettermi a disagio. Eppure perché nel
pensarla mi manca il respiro, perché ricordarla mentre litiga con James mi fa
sentire così male? Lui la desidera, su questo non ho
dubbi. E nonostante tutto, sono convinto che anche lei
provi qualcosa per lui. Ma allora perché non sono
felice per loro? Perché non sono felice per lui che è -l ---li-re ---co…….“
- No – disse
ancora una volta, l’uomo furioso. La pagina che stava leggendo da quel punto in
poi era totalmente illeggibile. E
lui non poté continuare e quindi scoprire quali erano state le sue conclusioni
quella volta.
“Oggi, al lago con lei, è stato diverso. Non
era certo la prima volta che ci andavo con una ragazza, eppure non mi ero mai
sentito così. È strano, e non lo credevo possibile, di
poter provare dell’affetto per un’altra. Eppure posso
dire con una certa sicurezza di sentire qualcosa per lei.
E questo nonostante sia una Serpeverde… e
con una parentela alquanto riprovevole.
Fa quasi ridere la cosa! Una volta tanto
non sono uscito con una ragazza nella speranza di non pensare a… a LEI.
Ma l’ho fatto solo per fare
dispetto a quel bastardo di suo cugino.
Invece alla fine ho passato davvero un bel
pomeriggio. Certo all’inizio continuava a mantenere
quell’insopportabile atteggiamento da oca, nel vano tentativo di imitare la mia
insopportabile cugina, ma dopo che si è lasciata andare ed ha iniziato a
mostrarsi per quella che è, le cose sono migliorate.”
“ Non mi ricordavo
di lei” pensò tra se e se l’uomo. Leggendo la pagina del diario riusciva a
ricordare il pomeriggio trascorso in riva al lago: il caldo, i raggi di sole
che risplendevano nell’acqua e due grandi occhi
nocciola che lo scrutavano sognanti. Ma oltre a quello
non riusciva a ricordare altro, non riusciva a ricordarsi il viso della
ragazza, non riusciva a ricordare il suo nome.
Veloce sfogliò il
diario verso l’ultima pagina, come rapito da un improvviso ricordo.
“Ciao piccola,
sai quanto odi questo genere di
cose, ma sembri così felice mentre dormi su quel letto, che non me la sento di
svegliarti. Così come non me la sento di dirti a voce quello che sto per scriverti. Come posso guardarti in quegli occhi
nocciola che così tanto mi hanno aiutato, e dire che non desidero vederti più?
Dovrei mentirti e dire che non voglio, perché so che non capiresti che in
realtà la vera ragione è che non posso. Li vedrei inondarsi di lacrime, e
sarebbe tutto più difficile. Perché io vorrei tenerti
ancora una volta tra le mie braccia e stringermi a te, ma anche dopo sarei
costretto ad andarmene, e tu ne soffriresti ancora di più.
E non voglio che tu soffra, non voglio che
tu t’innamori irrimediabilmente di me. E poi lo sappiamo entrambi che le parti
da noi scelte sono opposte, se ne avessi il coraggio
dovrei ucciderti, prima che sia tu durante la battaglia ad uccidere un mio
compagno……….”
Nuovamente la
pagina era interrotta, ma questa volta l’uomo sapeva
il perché. Si ricordava ancora quel giorno, si trovava a Diagon Alley in una
piccola locanda, dove era solito incontrarsi con lei. La loro storia andava
avanti a “singhiozzi” dai tempi della scuola.
La ricordava ora:
occhi nocciola, capelli color miele e un sorriso raggiante. Non si poteva dire
bella come altre ragazze che aveva conosciuto, ma qualcosa in lei lo aveva aiutato
a dimenticare. Non aveva più pensato, all’amore per la compagna del suo
migliore amico.
Ricordava quel
giorno, il giorno in cui Voldemort aveva ucciso i primi babbani. Il giorno in cui era ormai chiaro a tutti quali fossero i suoi
piani.
Avevano appena
passato la notte insieme. Dopo essersi svegliato aveva cominciato a leggere “La
Gazzetta del Profeta”. In questa aveva appreso la notizia della morte
misteriosa di alcuni maghi mezzosangue. Tale notizia
che per altri non era rilevante, per lui, che faceva parte de L’Ordine della
Fenice, era di fondamentale importanza. E aveva un
solo significato: la guerra era cominciata!
Resosi conto di
questo, l’uomo aveva deciso di troncare la relazione con la ragazza. Era
qualcosa che sapeva doveva succedere da molto tempo, ma aveva sempre rimandato.
Aveva deciso di farlo con una lettera, lo trovava squallido,
ma non aveva altro modo. Non poteva lasciarla guardandola negli occhi.
Velocemente si rivestì e prese il vecchio diario di scuola che per qualche motivo si ostinava
a portare con se, e iniziò a scriverle. Avrebbe strappato il foglio e lo
avrebbe lasciato da qualche parte. Ma qualcosa lo
aveva interrotto.
Mentre scriveva la lettera, un gufo planò davanti
alla sua finestra che aprì con cautela per non svegliare la donna. La lettera,
portava la notizia della morte di alcuni suoi compagni
dell’ordine. Senza pensarci aveva raccolto le sue cose, tra cui il diario e
senza badare a lei che si stava svegliando,
si era smaterializzato dalla stanza.
Quella fu l’ultima
volta che la vide, e questa la prima a cui ripensava a lei. Dopo quel giorno
per lui tutto era cambiato, la guerra, la morte dei suoi migliori amici, la
prigione, la ritrovata libertà…
- Signore… - un
piccolo essere era comparso davanti a lui silenziosamente, interrompendo i suoi
pensieri.
- Cosa vuoi? - chiese sgarbato l’uomo.
- Kreacher voleva
solo avvisare il suo padrone che il suo animale è
ferito, Signore - disse il piccolo elfo evitando lo sguardo intenso dell’uomo.
- Fierobecco… -
disse l’uomo, dirigendosi verso la soffitta dal suo Ippogrifo e dimenticandosi
per la seconda volta della ragazza che un tempo aveva forse amato.
Più tardi in
soffitta dopo aver finito di curare la ferita dell’animale, chiedendosi come
poteva essersela procurata, l’uomo fu di nuovo interrotto da qualcuno comparso
all’improvviso.
- Sirius - si
sentì chiamare.
- Severus –
rispose, portandosi istintivamente la mano alla bacchetta.
- Allora sei
sempre qui? - disse Piton.
Sirius non
rispose, ma si limitò a chiedere: - Cosa vuoi? -
- Sapere dove eri
- rispose Piton. - Potter ha farfugliato qualcosa circa il fatto che Voldemort
ti avesse preso. Ha bisogno di cure quel ragazzo - aggiunse
con un ghigno.
- Non permetterti di
parlare così di… - cominciò a dire Sirius tenendo sempre più stretta la sua
bacchetta, ma fu interrotto.
- Vedo che stai
bene, quindi me ne torno a scuola… -
rispose Piton e poi aggiunse malignamente: - … fuori
da qui. -
Ancora una volta
l’uomo cercò di ignorare le sue provocazioni. - Severus aspetta… - disse prima
che l’altro scomparisse. - Tu avevi una cugina a scuola vero?
-
A quelle parole il
viso di Piton cambiò improvvisamente, era diventato
ancora più pallido e rigido. - Sì.. - rispose nervoso.
- Perché? - aggiunse con tono interrogatorio.
- Non ricordo il
suo nome… qual era? - domandò Sirius.
- Perché? - insistette Piton visibilmente scosso.
- Così, pensavo a
lei. Che fine ha fatto? – continuò cercando di
sembrare distratto.
Un attimo di silenzio
riempì la stanza, e i due uomini continuavano a fissarsi e a tenere strette le
rispettive bacchette. Finche Piton non si decise a rispondere, prima di
scomparire dalla stanza: - E’ morta! -
Quelle parole
risuonarono per un po’ nella testa dell’uomo, che rimase immobile ed in piedi
accanto all’Ippogrifo ferito. Provava una strana sensazione di smarrimento e
tristezza, non poteva credere che anche lei, come molti altri del suo passato, fosse morta.
Si sentiva davvero
solo ed infelice come mai gli era successo in tutti quegli anni, compresi
quelli passati ad Azkaban. Gli sembrava di aver sbagliato tutto in vita sua, a
cominciare dal poco amore provato per lei, di cui ancora non ricordava il nome.
Poteva prendersi
cura di lei ed evitare la sua morte. Poteva amarla e liberarsi dei suoi
sentimenti per Lilly, sentimenti che non gli permisero di sentirsi degno di essere il custode del segreto dei suoi migliori
amici.
Ma ora poteva
riscattarsi, avrebbe difeso loro figlio a costo della
propria vita. Avrebbe difeso loro figlio come se fosse
stato il suo. Per questo quando Piton tornò per d’are
l’allarme della scomparsa di Harry, non esitò un solo istante, si precipitò
fuori pronto anche a morire.
********************
Piccola
premessa(alla fine): tutte le mie fic, sulla saga di Harry, sono
collegate tra loro.
Anche questa, la mia prima ONE-SHOT, lo è. Infatti
anche lei fa parte di un progetto più grande.
Ciò
non vuol dire che non si possa leggere anche da sola, devo dire che mi è venuta
davvero bene (ME MODESTA), concordate? Beh fatemelo sapere!
Comunque se vi è piaciuta e vi ha incuriosito
leggete anche “La nuova arrivata” e “Venti anni prima”, là ogni cosa verrà
risolta (prima o poi)!
Altra
premessa! Ho postato nuovamente la storia perché qualcuno è stato davvero
GENTILE da darmi qualche suggerimento in più su qualcosa che non andava. A
questa persona: GRAZIE (sei l’angelo protettore delle mie fic!).
Invece
alle due ragazze che avevano recensito in precedenza,
chiedo UMILMENTE PERDONO! Avevo (come comunicato in privato) intenzione di
postare io nuovamente le vostre recensioni. Ma scema
come sono ho cancellato la storia prima di salvarle… spero vorrete perdonarmi e
inserire nuovamente i vostri commenti. GRAZIE!
Per
quanto riguarda il commento di Dolceamara (che fa parte del Gruppo Recensori),
lo inserisco qui. Questo perché visto che ho
cancellato sbadatamente gli altri due (il tuo è salvo perché l’avevo postato
nel forum) mi farebbe piacere che rileggeste tutte la “nuova” fic e lasciaste
un nuovo commento!
Commento
di Dolceamare alla versione precedente di “THE LAST DAY”:
“Ciao, sono qui per rispondere alla tua
richiesta di una recensione... Allora... devo dire che
questa storia si evolve mano a mano che la narrazione prosegue... in tutti i
sensi. Diviene più fluida, ricca, profonda... le sensazioni sono accentuate ed
assumono un ruolo determinante. Dissemini qua e là
qualche errore di ortografia, soprattutto nei verbi (
parli di ricordi, non scordarlo, e non sempre il passato remoto è adatto...); e
inizialmente la narrazione è troppo ricca di punteggiatura. Questo toglie
scorrevolezza alla storia e carica il lettore di un'ansia, un'insoddisfazione
che trapela sì dal personaggio che descrivi, ma diviene eccessiva. Per la rimanente
parte questa ff mi ha colpita. Nuova, originale,
profonda... questo viaggio nei ricordi coinvolge colui che
legge in una dimensione dimenticata e mistica, senza parlare di ciò che alla
fine lo stesso protagonista scopre: una redenzione, un chiarimento che porta
lui e il lettore in una riflessione malinconica ma emozionante. In conclusione:
attenta alla grammatica e alla fluidità della fic, ma complimenti per le
emozioni che riesci a trasmettere!”