Crossover
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Autore: FleurDeLys    03/01/2011    1 recensioni
[Supernatural x Doctor Who]
[Personaggi: Castiel/Sally Sparrow]
“Mi chiamo Sally Sparrow, vivo a Londra e gestisco un piccolo negozio sulla Queen Street. Un anno fa ho incontrato un uomo chiamato il Dottore. Da allora è cambiato il mio modo di vedere il mondo. E di pensare allo scorrere del tempo. Il tempo non è quello che le persone pensano che sia. E' qualcosa di molto più complicato. Il tempo vacilla, va e viene, fluttua e traballa. E quando il tempo fa i capricci non si sa mai come andrà a finire. Adesso sta succedendo di nuovo e io mi ritrovo un angelo tra i piedi. Ma questa volta, quando dico angelo intendo un vero angelo: un angelo del Signore.”
[SPOILER 5° STAGIONE DI SUPERNATURAL]
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Telefilm
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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C07

Declaimer: Questa storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I personaggi di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono proprietà di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat (geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.

Note:  posso spiegare il motivo di questo vergognoso ritardo. Una mattina, uscendo di casa sono caduta in un portale interdimensionale che mi ha trasportato due mesi in avanti nel futuro, direttamente nel 2011. Vi prego di credere a questa scusa, perché è  molto più interessante dell'elenco di imprevisti e impicci che mi hanno tenuta occupata nelle settimane scorse. Come sempre ringrazio tutti coloro che leggono, quelli che hanno messo la storia tra le seguite e coloro che spendono un po' del loro tempo nel lasciarmi dei commenti. *_* GRAZIE! E ora che c'è il pulsante di risposta, potrò rispondere e ringraziarvi singolarmente. 

VIII

«Sally Sparrow?»

Con le dita nervosamente strette attorno alla maniglia della porta, Sally fissò il poliziotto in uniforme fermo davanti all'uscio dell'appartamento. Era un uomo giovane, e di bell'aspetto anche. Tuttavia, fosse anche stato il più bel sosia del più bel divo hollywoodiano , dal punto di vista di Sally, la visita restava estremamente sgradita.

«Sì, sono io...»

Sì, lei era Sally Sparrow e non voleva parlare con il poliziotto. Non in quel momento. Dopo aver passato la mattinata ad inseguire spettri e leggende, e l'ultima mezz'ora a riflettere su angeli e viaggiatori nel tempo, solo in quel momento Sally realizzò di non essersi mai veramente fermata a pensare a cosa dire alla polizia.

«Sono l'agente Henrich» si presentò il poliziotto, togliendosi quel copricapo scuro, dalla vaga forma a campana, che completa l'uniforme dei poliziotti di Sua Maestà. L'uomo aveva i capelli ricci e castani, orecchie leggermente a sventola e un modo di fare apparentemente molto pacato. Sorrise a Sally. Le piccole rughe d'espressione ai lati degli occhi – ed erano dei begli occhi verdi – suggerivano un carattere incline al buonumore. Un particolare, quest'ultimo, che Sally avrebbe certamente notato, se non fosse stata tanto presa dal decidere quale espressione dare al proprio, di viso.

«Non voglio farla agitare, signorina Sparrow, ma sono qui per farle delle domande. Posso entrare?»

Sally limitò la sua risposta ad un annuire rapido e silenzioso. Si spostò di lato per lasciar entrare il poliziotto e chiuse la porta, con poca fretta. Era ancora voltata quando si sentì domandare, senza alcun giro di parole: «Lei conosceva Arden Huddlestone, signorina Sparrow?»

Sally chiuse gli occhi solo per un istante, mentre faceva scivolare via le dita dalla maniglia. Si voltò, mordendosi forte l'interno della guancia.

«L'ho incontrato, per caso, una sola volta» disse. «Ieri sera. Ero a un'esposizione, a Bloomsbury».

«Signorina Sparrow... » l'agente Henrich sembrò titubare un istante, «mi dispiace informarla che il signor Huddlestone è... »

« ...morto».

Sally non era riuscita a frenarsi e non si sforzò neppure di fingersi sorpresa.

Chi sembrava sinceramente sorpreso era, invece, l'agente Henrich: guardò Sally con aria poco professionalmente attonita. E continuò a farlo per una manciata di lunghi e silenziosi secondi, scanditi dal secco tic tac dell'orologio nella vicina cucina. Sally, con le labbra strette in un'espressione di attesa e di disagio, fissava – senza vederle in realtà – le tende bianche della finestra del soggiorno. Le tende erano tirate e la striscia di cielo, sopra i tetti scuri della case del quartiere, era ridotta ad un ammasso di nuvoloni grigi. Il tempo andava peggiorando. La luce nella stanza era livida e sonnolenta.

«C-C-come sa c-c-che il s-s-signor Huddlestone è m-m-morto?» domandò a fatica il poliziotto. Le consonanti gli si bloccavano in gola, le vocali gli uscivano sfiatate.

Sally spostò lo sguardo sull'agente Henrich. Grandioso. Deve avere la balbuzia nervosa, pensò. E pensò anche che farglielo notare sarebbe stata una gran scortesia. L'insicurezza dell'uomo, unita alla giovane età, fecero supporre a Sally di trovarsi davanti a un poliziotto alle prime armi.

«Perché ho trovato il cadavere» spiegò Sally, che si sentiva incapace di architettare bugie. «Ieri sera, intorno alle sette, in una delle sale della mostra».

«L-l-lei ha ritrovato il c-c...il ca-cadavere?» esclamò l'agente Henrich. «E p-perché n-n-non è andata alla polizia?»

Sally batté le palpebre. Pensò in fretta. Qui una bugia era necessaria.

«Io... io ero sotto shock» rispose, ma senza esagerare con l'enfasi. «Sono rimasta chiusa in casa per tutta la mattina». I suoi occhi corsero rapidi alla propria giacca, abbandonata sul divano, assieme alla sciarpa e al portatile. «Ma ero sul punto di decidermi ad andare dalla polizia».

L'agente Henrich si rigirò il capello tra le mani, come se fosse indeciso. O meglio, come se sapesse cosa fare, ma fosse restio a farlo. Infine, parlò usando un tono formale, sforzandosi di darsi un'aria professionale e capace.

«S-s-s-si... » Riprese il controllo e ingranò la marcia. «Signorina Sparrow, ho bisogno di una sua dettagliata deposizione su tutto quel che ha fatto da ieri sera alle sette fino ad ora».

Sally provò una spiacevole sensazione allo stomaco, qualcosa di molto simile alla nausea, ma si impose di mostrarsi tranquilla e disponibile. Si disse che, a ben guardare, partendo dalla sera precedente, fare una deposizione poteva considerarsi la cosa più normale che le fosse capitata. Questo pensiero non impedì però alla sua immaginazione di mostrarle l'angosciante scena di una sé stessa, chiusa in una piccola stanzetta illuminata da una verdognola luce al neon, seduta a un tavolo a rispondere a un fiume di pressanti domande.

Quel che invece Sally non poteva immaginare era che, in capo a pochi minuti, non avrebbe più trovato così terribile l'idea dell'interrogatorio, se messa a confronto con quanto le stava per accadere.

«Devo seguirla alla stazione di polizia?»

«No» rispose inaspettatamente l'agente Henrich. «Posso ascoltare qui la sua testimonianza».

Digiuna com'era di pratiche investigative, Sally non si porse il dubbio dell'ortodossia della pratica. Mentre invitava il poliziotto ad accomodarsi sul divano, si limitò a meravigliarsi con sollievo del fatto che questo avesse usato la parola “testimonianza” e non “confessione”.

«Suppongo» disse lei, mentre l'uomo sedeva a gambe larghe sul divano, «che sia stata l'ex moglie del signor Huddlestone a fare il mio nome alla polizia».

L'agente Henrich, che aveva abbassato lo sguardo sul portatile, probabilmente per leggerne la schermata – angeli e manifestazioni – tornò a guardare Sally.

«Sì, è stata la signora ha farci il suo nome». Abbozzò un sorriso a labbra strette. «Lei non si siede?»

Sally guardò il divano: era piccolo. Non c'era posto per lei se prima non avesse tolto la giacca e il computer.

«Mi dispiace per la confusione» si scusò la ragazza, piegandosi in avanti per raccattare le proprie cose. Gettò sciarpa e giacca sull'avambraccio destro e con la mano libera abbassò lo schermo del laptop. «Vado a metterli a posto. Non si preoccupi: non posso fuggire dalla finestra. Siamo al terzo piano».

Il tentativo di fare dell'ironia sfiorì in un debole accenno di sorriso da parte dell'agente Henrich e in un certo imbarazzo da parte di Sally.

Sally lasciò il poliziotto in soggiorno e percorse a passo svelto quei pochissimi metri di corridoio che portavano alla camera da letto. La porta era socchiusa. Sally la aprì silenziosamente, spingendola con la schiena. Gettò i vestiti sul letto, prima di poggiare giù con cura anche il computer. Pensò di frugare nelle tasche della giacca, ritrovare il biglietto d'ingresso alla Torre di Londra e nasconderlo da qualche parte. E invece si voltò per tornare indietro. Nel farlo, si fermò ad osservare il proprio riflesso nello specchio appeso sopra al mobile del comò. Non le sembrò di avere un gran bell'aspetto: era troppo pallida. Sally si accostò al mobile, il ripiano era pieno di tutti quegli oggetti che si possono trovare nella camera da letto di una giovane donna. Pur restando di fronte allo specchio, gli occhi della ragazza puntarono verso la porta della camera.

Se dico tutta la verità, l'agente Henrich mi prenderà per una pazza. Se invece non la dico tutta, la verità, potrei essere accusata di aver nascosto informazioni alla polizia.

Si mise a fissare con stizza il profumo color ambra all'interno di una boccetta di vetro trasparente. E fu nello stesso momento, quasi l'idea l'avesse semplicemente letta nel riflesso del vetro, che Sally capì quale fosse la cosa migliore da fare. Fu una di quelle idee che sembrano venir fuori da sole, come se fossero sempre stata pronte e ripiegate in angolo della mente, in attesa di venir spolverate e utilizzate: Sally avrebbe detto la verità, me privandola di quei particolari che sarebbero inevitabilmente suonati falsi. Li avrebbe sostituiti con altri, somiglianti e più credibili. Sorrise dentro di sé, credendo di aver trovato un onesto compromesso tra la bugia e la verità. Pronta a tornare in soggiorno, prese un bel respiro. E vide il proprio respiro trasformarsi in una nuvoletta di vapore bianco.

Sally alzò la testa. Guardò nello specchio. E si sentì gelare il sangue nelle vene.

Quel che vide riflesso le strappò un verso strozzato, qualcosa a metà tra un urlo rauco e un sussulto di paura.

Lo specchio mostrava l'immagine di Sally e, alle sue spalle, una seconda figura. Era una figura femminile, una figura nera e spettrale.

Era lei: era Anna Bolena. Ed era nella camera, immobile in angolo, accanto alla testa del letto. Dal viso incavato, contornato dalla sporca matassa scura di lunghi capelli, gli occhi neri e vischiosi fissavano Sally. Le mani scheletriche riposavano sulle pieghe delle soffocanti vesti nere, drappeggiate come teli funebri. Il ciondolo e le perle della collana possedevano una lucidità innaturale.

Sally, inorridita, non osava respirare. Non voleva – non poteva credere che il fantasma fosse lì. Trovò a stento la forza di voltarsi. E lo fece con un movimento brusco, urtando il mobile con la schiena. Le boccette di profumo tintinnarono.

Ma non c'era assolutamente nessuno accanto al letto. Non c'era nessuno nella stanza.

«Va tutto bene?»

Sally trasalì. Si voltò verso la porta. L'agente Henrich era sulla soglia della camera. Dapprima tranquillo, l'uomo sembrò preoccuparsi quando incrociò lo sguardo spaventato della ragazza.

«Signorina, non si sente bene?»

Sally tornò a guardare la testa del letto. Lo spettro non c'era. E si chiese se mai ce ne fosse stato veramente uno. Che fosse stato solo un brutto scherzo della sua mente, turbata dalla situazione?

«È pallida» notò l'agente Henrich, che si era avvicinato a Sally.

Sally fissava con ostinazione la parete contro la quale era addossato il letto. Inghiottì per schiarirsi la voce.

«Le... le è parso di sentire freddo poco fa?» domandò, con una calma fin troppo forzata.

«Freddo? No, per nulla. Anzi, l'appartamento è decisamente caldo».

Sally respirò. Chiuse gli occhi e strinse forte le labbra.

L'ho immaginato. L'ho soltanto immaginato, ripeteva nella sua testa, come un disco rotto. Sentiva ancora il cuore batterle forte. Sì, doveva aver immaginato il fantasma perché era assolutamente ridicolo pensare che lo spettro di Anna Bolena potesse aggirarsi per il suo appartamento. Ridicolo. E terrificante.

Sally si sforzò di sorridere all'agente Henrich.

«Le chiedo scusa. Ho avuto una mattinata pesante e sono molto stanca».

***


Tornati in soggiorno, sedettero entrambi sul divano. L'agente estrasse, da una tasca interna del giubbotto scuro, un piccolo blocco per gli appunti con la copertina nera e una penna a sfera. Quando il poliziotto chiese a Sally se non si sentisse troppo turbata e stanca per affrontare ora una deposizione, lei gli rispose che si sentiva meglio adesso ed era pronta a dire e a spiegare tutto quanto fosse necessario. Ma, contemporaneamente, pizzicava e torturava nervosamente con le dita l'orlo del suo maglioncino. Aveva lo stomaco stretto in un nodo e si guardava attorno con la paura di veder comparire il volto dello spettro in qualche angolo della stanza.

Era perseguitata da un fantasma o era vittima di allucinazioni? Entrambe le opzioni le facevano venire i brividi e concentrarsi sulla conversazione con il poliziotto fu un'impresa.

L'agente Henrich leggeva a voce alta i propri appunti.

«La signora Huddlestone ci ha detto di aver visto l' ex-marito vivo per l'ultima volta ieri sera, poco prima delle sette. Ha aggiunto anche che l'uomo era in compagnia di una giovane donna bionda, di nome Sally Sparrow. Quindi lei conferma? Lei, Sally Sparrow, attorno alle sette di ieri sera si trovava con il signor Arden Huddlestone, al numero 4** di M.... Street, nel quartiere di Bloomsbury?»

«Sì» rispose semplicemente Sally.

«E la signora ha inoltre affermato» continuò il poliziotto, gli occhi bassi sul taccuino, «che lei, signorina Sparrow, era l'ultima visitatrice della mostra. Ed è rimasta sola con il signor Huddlestone».

«È così, non c'era nessun altro» disse Sally, ma specificò anche di aver lasciato l'esposizione subito dopo la signora Eleanor.

«La guardia nella portineria del palazzo ha detto di non aver visto nessuno altro uscire dall'edificio, dopo l'organizzatrice della mostra. Ma, poiché si è allontanato dal suo posto per alcuni minuti... pare che il palazzo sia rimasto al buio proprio attorno alle sette... la guardia non ha escluso che lei, signorina Sparrow, possa aver lasciato l'edificio in quel frangente di tempo».

«Non credo di essere uscita passando per l'entrata principale».

A quella risposta, l'agente Henrich alzò lo sguardo dal taccuino.

Sally cercò di essere il più breve e chiara possibile nello spiegare quali fatti erano intercorsi tra il momento in cui aveva lasciato la sala dell'esposizione e quello in cui aveva trovato il cadavere del signor Huddlestone.

«Avevo tutta l'intenzione di andare ad avvertire la guardia» spiegò Sally, «ma quando sono tornata all'ingresso dell'esposizione ho trovato la porta chiusa a chiave». E disse di aver raggiunto l'uscita di sicurezza e le scale di servizio, ma senza fare parola dell'incontro con lo spettro. Affermò, invece, che una volta vicina alla scale era stata addormentata da un uomo – uno sconosciuto – che l'aveva sorpresa alle spalle. E quando il poliziotto, stupito dall'ultima rivelazione, le chiese cosa intendesse quando dire quando parlava di “essere stata addormenta, Sally inventò sul momento.

«Cloroformio, suppongo. Mi ha premuto un fazzoletto umido sulla bocca, è tutto quello che mi ricordo. So solo di essermi risvegliata nel mio letto, qui in casa, nel cuore della notte».

L'agente Henrich segnò qualcosa sul taccuino, sfregandosi la fronte con una mano.

Sally lo osservò. Non mi crede, capì.

La ragazza approfittò della pausa di silenzio per alzarsi dal divano. Stava diventando insofferente a quella luce grigiastra. Al clic secco dell'interruttore il soggiorno e tutto il suo modesto mobilio vennero illuminati dal chiarore asettico del lampadario.

Sally tornò a sedersi, e il poliziotto le domandò:  «Come ha fatto il suo misterioso rapitore ad entrare in casa?»

«Deve aver trovato le chiavi nella tasca della mia giacca» rispose debolmente Sally, fissando il pavimento.

«Dovrò prendere sotto sequestro le sue chiavi allora. Potrebbero esserci sopra le impronte digitali dell'uomo».

Sally annuì. La storia del rapitore non reggerà, ragionò. Le uniche impronte digitali che la polizia avrebbe trovato sulle chiavi sarebbero state quelle di lei; la ragazza ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Mentre l'agente Henrich scribacchiava dell'altro sul taccuino, Sally guardò fuori dalla finestra, ascoltando il rumore delle auto che passavano in strada.

Per la seconda volta, nel giro di pochi minuti, Sally si spaventò tanto da trattenere involontariamente il respiro.

L'agente Henrich sollevò lo sguardo dal taccuino. «E un'altra doman... signorina, qualcosa non va?»

Sally era pallida, con gli occhi castani impauriti e le dita aggrappate all'orlo del maglione.

Visibilmente confuso e preoccupato, il poliziotto alternò lo sguardo tra Sally e il punto del soggiorno che quest'ultima fissava con tanto sbigottimento: la finestra.

«S-signorina?»

Sally spostò lentamente gli occhi sul poliziotto. Batté piano le palpebre.

«Lei... lei non la vede» mormorò Sally, con uno strano tono: una sorta di calma ma disperata rassegnazione.

«Vedere cosa? La finestra? Certo che vedo la finestra... » L'agente Henrich sembrava davvero smarrito.

«No» disse Sally con un filo di voce, «non la finestra... »

Non era la finestra a spaventare Sally, ma ciò che sul vetro della finestra era appena comparso. Segni. Sally aveva visto apparire dei segni sul vetro della finestra, come tracciati da un gelido soffio di brina. E i segni si erano rivelati lettere dell'alfabeto. Sei lettere: una singola parola.

Hidden.

Nascosto.

Sally inghiottì, sforzandosi di mettere in moto la testa e la sua capacità di pensare, soffocata dai battiti concitati del proprio cuore. Quando parlò di nuovo, si accorse che il respiro le tremava.

«A-agente Henrich, so che questo mi farà sembrare un pazza, ma... ma credo che ci sia qualcosa in questa casa. E noi dovremmo andarcene, perché non è sicuro restare qui».

L'agente Henrich, riprendendo evidentemente coscienza del proprio ruolo, le posò con ferma gentilezza le mani sulle spalle di Sally.

«Si calmi» le disse, tentando di combattere contro la balbuzia. «N-n-non so cosa lei abbia v-v-visto, ma n-n-non c'è n-n-nessuno in questa casa o-o-oltre a noi. E siamo entrambi perfettamente al sicuro...».

«No... no... no, mi ascolti... » protestò la ragazza. Non stava urlando, ma ad ogni parola la voce era sempre più alterata dall'agitazione. «Lo so che sembra il discorso di una pazza, ma ci sono delle cose che non le ho detto... Cose molto strane e pericolose...»

«A-a-allora, mi dica che cosa l'ha spaventata tanto?»

Sally si schiarì la voce. Sollevò una mano per indicare la finestra del soggiorno.

«C'è una parola scritta su quel vetro...» Spostò lo sguardo verso la finestra: la parola era scomparsa. Il vetro era tornato pulito e trasparente. «Ehm... non c'è più» soffiò in un sussurro di sorpresa.

«Infatti, signorina, non c'è nessuna parola su quel vetro».

Sally si voltò di scatto.

«Ma c'era prima»

«No, n-n-non c'è mai stata nessuna parola» ripeté l'agente Henrich.

«Le dico di sì, invece».

«E chi avrebbe mai scritto questa parola sul vetro della finestra?»

Sally esitò. Fissò il poliziotto, mordendosi forte il labbro inferiore. La situazione le stava decisamente sfuggendo di mano.

«Io... credo che ci sia un fantasma in casa» ammise, parlando lentamente e consapevole di come quella frase avrebbe mandato all'aria ogni suo rimasuglio di credibilità.

L'agente Henrich la guardava infatti come se fosse ormai certo di avere davanti un'interlocutrice non del tutto sana di mente.

«Un... fantasma?» chiese, in tono piatto. Non balbettava nemmeno più.

«Sì»

«Un fantasma, del tipo Casper?»

«No» sbottò – suo malgrado – Sally. «Uno molto più spaventoso. E pericoloso. Per favore, non mi guardi come se fossi matta!»

L'agente Henrich distolse lo sguardo da Sally. Strinse le labbra in un fischio muto, facendo scivolare le mani sulle ginocchia.

«Ehm... tanto per sapere, era un fantasma anche il suo “aggressore” dell'altra sera?»

Sally dovette mordersi la lingua per impedirsi di rispondere male all'agente. Serrò la mascella.

«No» rispose duramente. «Quello era uno vivo. Non posso mettere la mano sul fuoco sul fatto che fosse umano, ma vivo lo era di certo».

«E sarebbe in grado di fare una descrizione di questo uom... di questo tizio vivo

«No, non posso. Mi dispiace. Non l'ho visto in volto» rispose asciutta.

«D'accordo. Va bene così» sospirò il poliziotto, sistemando penna e taccuino nella tasca interna del suo giubbotto. Ma invece di alzarsi, come si aspettava Sally, si accomodò meglio sul divano. Fece aderire per bene la schiena ai cuscini e allungò una mano sul bracciolo.

«Non mi sono mai piaciute le piccole puttanelle bugiarde».

Sally spalancò gli occhi. Si voltò verso il poliziotto con tanta rapidità da farsi quasi male al collo. Aveva capito male? O adesso era vittima di allucinazione uditive, oltre che visive?

«Chiedo scusa?» esclamò.

L'agente Henrich la guardò, un sorriso serafico sul bel viso d'angelo.

«Ho detto che non mi sono mai piaciute le piccole puttanelle bugiarde».

I sentimenti di Sally passarono al volo dalla sorpresa all'indignazione.

«Agente Henrich, nessuna divisa le dà il diritto di parlarmi in questo modo!» ribatté, decisa ma senza alzare la voce.

«Ah, la divisa!» ripeté l'agente in tono svagato. Sollevò una mano e se la portò davanti al volto, come se fosse un oggetto da ammirare. Guardò il palmo e il dorso, poi la lasciò ricadere sul bracciolo. «Farei con piacere a meno di certi travestimenti, se avessi la possibilità di agire alla luce del sole».

Sally si irrigidì, ma restò ferma dov'era, seduta. Improvvisamente inquieta e diffidente, mentre osservava il poliziotto trattenendo quasi il fiato, si impose di mostrare solo la seconda emozione e nascondere la prima.

«Ad ogni modo, ho una buona notizia per te» riprese il poliziotto. «Non sei matta. Sei solo molto sfortunata».

Qualcosa in lui era cambiato, qualcosa nei modi: parlava mellifluo, femminino e freddamente sardonico. Non c'era più traccia del giovane uomo insicuro e balbettante di pochi minuti prima.

Senza scatti o movimenti bruschi, Sally si alzò in piedi, indietreggiando di un paio di passi, con le braccia tese lungo in busto.

«Tu non sei un poliziotto. Non... uno vero» .

L'agente Henrich le lanciò un'occhiata di divertita sufficienza. «Ma quanta perspicacia, tutta in una sola testolina!» Si voltò col busto verso di lei, sollevando un braccio per appoggiare il gomito al divanetto. «Ma prima di fuggire, non vuoi sapere cosa si nasconde in casa tua?»

Sally, che aveva mosso un altro passo all'indietro, si bloccò.

«Cosa?»

«Me»

Sotto lo sguardo allarmato e attonito di Sally, l'agente Henrich si trasformò.

CONTINUA.

   
 
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