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Autore: Becauseofme    04/01/2011    4 recensioni
Erano la stessa anima distribuita in corpi diversi.
La stessa quantità di sentimenti nascosti sotto l’orgoglio. Del resto, non si chiamerebbero Kaulitz e Gaillard.
“Avevamo deciso entrambi di andarcene. Di arrenderci. Non c’era più motivo per combattere una guerra contro un avversario più forte di noi. Tanto avremmo perso. Non sarebbe stata l’ultima notte che passavo con lui, di sicuro, perché in cuore mio, sapevo che non saremmo stati lontani per tanto tempo. Un anno era bastato ad entrambi per capire quanto avevamo bisogno l’uno dell’altra e di sicuro, non avremmo sbagliato una seconda volta. Chiusi il beauty-case e aprii la porta. Spostando il mio tacco 10 fuori dalla porta.”
Genere: Romantico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Just tonight I will see
It's all because of me.

 

E così finimmo nel circolo vizioso per l’ennesima volta. Ancora una volta mi lasciai trasportare da quegli occhi nocciola dentro ad un inferno.
Dentro ad un mare di dolore e tempeste. In fin dei conti però non seppi fermarmi o controllare la cosa, perché tutto ultimamente,
mi stava sfuggendo di mano. Avevo smesso di contare le notti insieme solo tre anni prima. Ma questa era la notte .
Dopo questa, non ci sarebbero stati più sbagli, dopo questa avremmo intrapreso strade diverse senza guardarci
indietro o fermarci per aspettare l’altro. E quando lui avrebbe oltrepassato la porta, io mi sarei ritrovata da sola.
A meno che non fossi stata io a farlo. Ma non ebbi intenzione di muovermi, affinchè lui avesse voluto restare.

It's all because of you
Just tonight.


 

“Ti amo”.

It's all because of you
Just tonight.


 

“Rimani ti prego, stanotte.”

It's all because of you
Just tonight.


“Non te ne andare, mai più.”

I am about to go.

 
La mattina, appena la luce che filtrava dalle finestre mi svegliò, accarezzai il materasso per sentire se lui era ancora lì.
E a mio grande dispiacere, era ancora fermo disteso alla mia sinistra. Respirava tranquillo e vedevo il movimento della pancia, che mi cullava.
Inserii la mia testa nell’incavo del suo collo, inspirando un po’ del suo profumo. Gli baciai il mento e appoggiai la mia gamba destra sulla sua, incrociandola. Sussurrai un “ti amo” pieno di sentimento e mi alzai. Con la massima calma raccolsi tutti gli abiti da terra e me ne andai.
Gli lasciai solo il mio reggiseno. Era sotto il suo cuscino e lo stringeva con la mano sinistra. Così decisi di concedergli un ricordo anche io.
Era forse quello più bello che avevo, perché aveva il pizzo nero sul bordo e poi nel mezzo era semi-trasparente.
Frugai fra la sua roba - no, non volevo rubargli soldi - e presi la sua maglietta. Era proprio quella che indossava quel giorno, di quattro anni fa.
La annusai per qualche minuto, poi me la strinsi sul petto, era calda, anche se il tessuto puzzava leggermente di fumo.
Era quella bianca, con qualche scritta nera sulla schiena ed il mio autografo sulla manica sinistra.
Glielo avevo fatto la prima notte per suo volere.
E dopo venti minuti di ricordi, mi alzai, feci le mie valigie e le chiusi, per poi sfiorare il suo volto e ripetergli un “ti amo”.
Lo guardai dormire, beato, era totalmente tranquillo, forse perso nei sogni, ovvero quelli che noi non avremmo mai potuto vivere perché costretti ad essere, in un certo qual modo, qualcun altro completamente diverso da noi.

Avevamo deciso entrambi di andarcene. Di arrenderci. Non c’era più motivo per combattere una guerra contro un avversario più forte di noi.
Tanto avremmo perso.
Non sarebbe stata l’ultima notte che passavo con lui, di sicuro, perché in cuore mio, sapevo che non saremmo stati lontani per tanto tempo.
Un anno era bastato ad entrambi per capire quanto avevamo bisogno l’uno dell’altra e di sicuro, non avremmo sbagliato una seconda volta.
Chiusi il beauty-case e aprii la porta. Spostando il mio tacco 10 fuori dalla porta. Mi voltai, ancora.
Forse  non si sarebbe mai svegliato prima che io arrivassi al taxi che mi aspettava di sotto.
Probabilmente non avrebbe neanche mai saputo che gli avevo preso in prestito la maglietta del nostro primo incontro.
Ma del resto non volevo che mi vedesse andare via. Era dura solo “scappare” sapendo che non avrebbe potuto fermarmi, figuriamoci vedendolo implorare perché rimanessi!

Avrei voluto fermarmi qualche altro minuto a guardarlo, forse ore, ma uno di noi due avrebbe dovuto cessare tutta quella sofferenza.
Ma adesso che sapevo che saremmo tornati, in qualche modo, in un equilibrio molto simile a quello precedente, ero convinta del fatto che almeno ci saremmo ricordati l’uno dell’altra. Perché in fondo siamo stati parte della vita dell’altro per circa tre anni pieni e sotto ogni “vattene” c’era sempre stato un “rimani” e, dietro ad ogni “puoi andartene, perché non mi importa di te” c’era il profumo di un “morirei senza vederti.”
Il taxi delle 09:15 era arrivato. L’autista caricò i miei bagagli nel baule e partii, mentre dal finestrino si intravedeva il maltempo.
Accavallai le gambe e tirai giù la gonna. Appoggiai la testa al finestrino e chiusi gli occhi per qualche istante. Inspirai il profumo di acqua che si era levato a causa dell’umidità e osservai la gente muoversi per le strade felici e sorridenti.

« Dove vuole che la porti signorina? » mi chiese l’autista.                                                                                                                                           
« Come scusi? »                                                                                                                                          
« Dove vuole che la porti? » ripetè.                                                                                            
« Em, sa il “Rocking Records”? »                                                                                                                                            
« A New York? »                                                                                                                                         
 « Sì, proprio lì. » risposi sicura.                                                                                                        
« Perfetto, ci metteremo due o tre orette. »                                                                                                                                             
« Ok. »  conclusi.
E mentre stavo tornando a casa, si intravedevano le prime gocce di pioggia.                                                                                                                                        
                                       Start the car and take me home.

O forse, erano solo le nostre lacrime.


               
 

« Meg, cazzo non sei eccitata? » mi chiese Jeremy saltandomi addosso da dietro.                                                                                                                                            
« Sì, un casino. » risposi inespressiva.                                                                                                                                         
« Suvvia faremo un altro album! Non ti eccita l’idea? » continuò insistente.                                      
« Sì J, mi eccita da morire. Guarda non sto più nella pelle! » feci indicando il mio corpo.                                                                                                                                            
« Quando un giorno diventeremo la rock band più famosa, poi mi dirai. » mormorò sognante.                                                                                                                                         
« J vai a provare va’! » conclusi sorridendo               .

Lo vidi allontanarsi e ridere. Io non ci trovavo niente di bello nel pubblicare un album pieno di ricordi, pieno di emozioni nascoste, di litigi, di lacrime, di errori. Eppure lo avevo scritto in meno di un mese da quella notte. Ma ora ne era passato un altro.
E il mio umore non sembrava cambiare.                                                                                                                                          
Entrai nello studio di registrazione e incisi il brano “Carrying through the night”.
Cominciai con il pezzo iniziale e continuai sulle note della canzone, fino a pronunciare l’ultimo “I love you” in un sussurro altamente impercettibile.

E a nostra grande sorpresa, divenne il singolo più ascoltato e scaricato dell'anno.


 


...



Note:Allora, eccoci alla fine di questa storia. Ci sarà sicuramente un seguito che ho già iniziato e forse anche un "dietro le quinte". Volevo ringraziare tutti loro che hanno letto la storia. Infine... Niente... Finisco con un grazie speciale a voi e auguri di buon anno nuovo anche se un po' in ritardo.

P.S:La canzone che ho usato, è Just Tonight  dei (The) Pretty Reckless. Ascoltatela se vi capita. (:

 

  
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