Cho Chang era seduta in soggiorno su un divano scarlatto davanti al televisore babbano. Era spento, ovvio. Non sentiva il bisogno di un oggetto simile, ma Harry aveva pensato fosse utile, allora l’avevano preso.
Sedeva rigidamente, in maniera composta, con la schiena perfettamente dritta, le gambe unite e le mani in grembo. Fissava il vuoto davanti a sé.
Era distratta, ma una posizione simile le era stata inculcata sin dalla nascita, dalla rigida educazione tradizionale che i suoi genitori le avevano imposto. Pensava al passato, e al futuro che le appariva come una nebulosa incerta, cosa sarebbe successo, se…
Il campanello interruppe queste sue riflessioni.
Dopo il secondo di stordimento che ne era derivato, si alzò in fretta
per andare alla porta, che aprì velocemente facendo capolino col viso.
“Perché proprio lei…. - pensò, scorgento il volto che le appariva dinanzi – e perché… Perché non è con Ron?”
L’espressione che per pochi attimi comparve sul volto di Hermione Granger tradì la stessa delusione e lo stesso nervoso sorriso di cortesia.
<< Buonasera… Sono in anticipo? >>
<< Non ti preoccupare, sei la prima che arriva. >>
<< ah, capisco…beh, come state? >>
<< Tutto bene…Io…vado a chiamare Harry… >>
<< Non ce n’è bisogno, sono già qua. >>, disse il ragazzo dai capelli scuri comparendo dalla tromba delle scale. Fissava con insistenza Cho.
<< Harry, da quanto tempo… >>, disse tranquillamente Hermione
<< Sì, è da molto. Ma è colpa tua, non ti fai mai sentire. >>
<< Lo sai che sono molto impegnata e… >>
<< Sì, lo so, appunto. Ma non è un problema. Togliti il capotto, andiamoci a sedere. >>
<< Dallo a me… >>, Cho esitò alla fine della frase. Avrebbe dovuto darle del lei? No, no… ma come doveva chiamarla? Granger? Hermione?
“Granger…esci subito di qui.”, si ritrovò a pensare.
No, no, non andava. Quella sera doveva andare andato tutto bene.
E’ vero, in quel periodo tra lei ed Harry le cosa non andavano per il
meglio, ma non importava, non gli avrebbe detto nulla.
Non voleva impensierirlo, non doveva.
Non gli avrebbe dato fastidio, lui aveva sicuramente le proprie buone ragioni
per essere così nervoso. Presto si sarebbero sicuramente chiariti…
Già, sicuramente.
Quando tornò in salotto, era talmente concentrata a trattenere tutto
quel che sentiva, che non si accorse che Harry ed Hermione si erano chiusi in
un ostinato silenzio, e non potè neanche intuire cos’era successo,
cos’era stato rivangato, in sua assenza.
Harry stava in piedi dietro al divano, Hermione era seduta su
di esso davanti all’aggeggio babbano.
Cho si sentì ignorata.
Si sentì inutile, fuori luogo.
Ebbe l’istinto di afferrare il giaccone e uscire nella fredda sera di
novembre, perché in quella casa, in quella casa dove ormai convivevano
da tre anni, si sentiva soffocare, si sentiva un’estranea.
Non mosse un muscolo.
Si schiarì la voce, voleva urlare, voleva arrabbiarsi, voleva dirgli,
sono qui! Guardami, io sono qui!
Il campanello suonò nuovamente, tutti tirarono un sospiro
di sollievo; ed Harry si accorse che c’era anche lei, nella stanza.
Cho aprì con rassegnazione la porta.
Non disse nulla per un attimo.
<< oh, benarrivato… >>, riuscì a sillabare
<< sì, ho cercato di venire in orario! Allora, chi è arrivato…? >>
Ron entrò in casa, l’espressione cordiale del suo volto si spense appena vide la ragazza che, con un’espressione preoccupata, sedeva sul divano guardando verso il basso.
<< Hermione…. – disse in un sussurro – non mi avevate detto che c’era anche lei. Ciao. >>
<< Ciao, Ron. >>, rispose lei sospirando.