Scusate il mio
deplorevole
ritardo °-°
Questa volta sono proprio imperdonabile, sono passati due mesi e mezzo
dal mio ultimo aggiornamento!
Ma so che voi siete buone e clementi e mi perdonerete *-* Anche
perché mi sono data da fare, questi ultimi due giorni, e vi
ho sfornato questo nuovo capitolo!
Spero davvero che i miei sforzi siano serviti e che vi piaccia :D
Ringrazio di cuore music__dreamer,
che non manca mai *-* Dovrò farti un monumento xD
E ora vi lascio :) Buona lettura!
Capitolo
13
«E
se non fosse strettamente
necessario che una persona della famiglia sappia dei viaggi
dimensionali?»,
esordii all’improvviso, facendo sobbalzare Ale nel suo letto,
sopra al mio. Si
era addormentata e con la mia esclamazione l’avevo fatta
spaventare.
Quella
sera, dopo ciò che avevamo
rischiato, non me l’ero proprio sentita di stare lontana da
lei, così ero
andata a casa sua a dormire. Però, nonostante la stanchezza,
non ero riuscita a
chiudere occhio: continuavo a pensare a perché Ale fosse
riuscita a tornare e
forse ero arrivata ad una conclusione più o meno plausibile.
«Eh?»,
mi chiese con la voce rauca
ed assonnata.
Mi
levai frettolosamente le
coperte di dosso e salii le scalette laterali che portavano al suo
letto, su
cui mi misi seduta, al suo fianco.
«Ma sì, è ovvio! Sono quasi certa
che sia per questo motivo che tu sia riuscita a tornare!»
«Ti
prego… non urlare e,
soprattutto, spiegami tutto da capo che non ho capito
niente», sbadigliò.
La
presi per le spalle e la
scrollai, con un sorriso estasiato sul viso. «Tu sei riuscita
a tornare
nonostante nessuno della tua famiglia sapesse dei viaggi dimensionali,
no?» Lei
annuì. «Quindi, pensavo… E se bastasse
solo una persona che sappia degli
spostamenti fra dimensioni? Mio fratello sapeva che tu saresti andata
nell’altra dimensione e che saresti tornata con me, per
questo non è successo
nulla di spiacevole. Certo, la mia è solo una teoria e
dovrei parlarne con
Fiore, ma… potrebbe essere la soluzione al problema che mi
pongo da settimane!»
Portai
lo sguardo, acceso di
eccitazione, sulla sua faccia gonfia di sonno e mi resi conto che
parlare con
lei alle due di notte era inutile: sarebbe stato più
produttivo discutere con
un muro.
«Ne
parliamo domani, dai», le
sussurrai e le passai una mano fra i capelli. Si rilassò in
un attimo, come
avevo previsto, e chiuse gli occhi, di nuovo nel mondo dei sogni.
Quanto
volevo bene alla mia
migliore amica lo sapeva solo Dio.
***
«Mi
raccomando, divertitevi
ragazze», urlò mamma dal vialetto di casa,
sventolando una mano nella nostra
direzione.
«Sì,
e non ti preoccupare troppo!
Ciao Davide!» Salutammo anche lui e poi ci avviammo verso la
fermata
dell’autobus.
Una
normalissima giornata al
mare, io e Ale. O almeno lo sarebbe stata, se avessimo preso veramente
l’autobus. La verità è che non ci
salimmo mai, usammo un altro metodo per
andare in spiaggia: il mio.
Riaprimmo
gli occhi e ci
ritrovammo comodamente sedute sui divanetti nel giardino della villa
dei Jonas
Brothers. Niente capitomboli, niente nausea, nulla di nulla.
«Ary,
sei migliorata davvero»,
constatò Ale al mio fianco, stupita.
«Oh,
ti ringrazio per la stima
che mi riservi», ridacchiai.
Mi voltai verso di lei e vidi che
si era già alzata e si era affacciata nel salotto.
«RAGAZZI!»,
gridò.
Non
ricevendo alcuna risposta,
entrammo in casa. Ci guardammo un po’ attorno, nel salotto e
in cucina, ma erano
deserte.
Ebbi un guizzo nello stomaco al
pensiero che potesse essergli successo qualcosa. In ansia, corsi su per
le
scale, con Ale che a stento riusciva a seguirmi.
«Ary,
rallenta! Non riesco a
starti dietro!», mi implorò col fiato grosso, ma
io non la ascoltai nemmeno: il
mio cervello era completamente andato in tilt.
Li
cercammo nei diversi bagni,
nello studio di registrazione, nelle loro camere.
«Dividiamoci: io vado a vedere in
quella di Nick, tu vai in quella di Joe», le dissi.
«Poi ci incontriamo in
quella di Kevin»
Mi
fece il segno d’ok con le dita
e corse verso la camera del piastrato, indicata da me. Io non fui da
meno e mi
diressi verso quella di Nick.
Vi entrai e rimasi subito
stordita dal suo profumo: era dovunque. Camminai fra le sue cose
facendo
attenzione, come se fosse un luogo pieno di insidie. Accarezzai il
bordo della
scrivania, la testata del letto, poi andai alla finestra.
«AAAAAAAAAAAAAAH!»
Mi
voltai di scatto udendo il
grido di Ale e nello stesso momento sentii un altro urlo alle mie
spalle, più
lontano, accompagnato da delle risate. Mi girai e guardai fuori dalla
finestra,
ma non vidi niente.
Sollevai il sopracciglio. «Me lo
sarò sognata quest’ultimo», mi dissi e
raggiunsi la mia amica.
«Che
cos’è successo?», gridai
guardandola, nel bel mezzo della camera di Joe.
«Lo
hanno rapito, lo hanno
rapito!», urlò disperata, con le mani sulla testa.
«Guarda, hanno messo a
soqquadro la camera, cercavano qualcosa!»
Io
ero allibita, ma presto mi
venne da ridere. «Ale… Ale, calmati, non lo hanno
rapito, almeno non credo.»
«Cosa?»
«Vedi,
la sua camera è sempre
così. È un disordinato cronico.»
La
sua espressione passò da disperata
a vergognosa, per poi diventare vagamente presuntuosa. Si strinse le
braccia al
petto e puntò il naso all’insù:
«Lo sapevo», sbottò.
«Sì,
certo», risi ed uscii dalla
stanza scuotendo il capo.
Qualche
secondo dopo la sentii
zampettare alle mie spalle ed affiancarmi. Andammo a vedere se erano
nella
stanza di Kevin, ma fu un altro buco nell’acqua.
C’era un solo posto che ancora
mancava e preferivo andarci da sola, visto che Ale non ne era a
conoscenza, per
questo le dissi che andavo a controllare ancora di sotto,
nell’altro giardino.
«Okay,
allora io cerco nelle
stanze in cui non abbiamo ancora guardato», mi disse.
Feci
le scale due a due e
controllai sul serio il giardino dall’altra parte della
villa, invano. Così
scesi ancora, nel piano sotterraneo, e raggiunsi il laboratorio. Sulla
soglia
della porta vidi tanti ometti con i camici bianchi provare a mandare
nell’altro
mondo i soliti oggetti, fare esperimenti e controllare i risultati su
enormi
computers, ma di Nick, Joe e Kevin nessuna traccia.
Tornai in salotto ancora più
preoccupata: dove si erano cacciati, quei cretini?
«ARY!»,
gridò Ale dal piano
superiore ed io mi affrettai per raggiungerla. «Forse ho
trovato qualcosa!»
Aprì una porticina che dava su
delle altre scale. C’era vento, questo voleva dire soltanto
una cosa: quel
passaggio portava al tetto.
«YA-UUUUUUUUUUUUUH!»
Ci
guardammo in faccia e,
spaventate, gridammo: «Joe!»
Corremmo su per le scale e
raggiungemmo il tetto. La luce del sole per un attimo ci
abbagliò, rendendoci
cieche, ma appena ci abituammo vedemmo i tre sguazzare felici e
contenti nella
piscina.
Sul piccolo trampolino c’era
Kevin, che in un batter d’occhio si buttò
giù e ci schizzò da capo a piedi.
«Li
ammazzo, giuro che li ammazzo»,
borbottò Ale, scrollandosi come un cane.
Trattenni
una risata fra le
labbra: dovevo ancora fare la ramanzina a quegli screanzati.
«Ragazzi!», gridai per attirare
la loro attenzione e ci riuscii, perché mi trovai addosso
sei occhi scuri.
«Ary!»,
esclamò sorpreso Nick,
con i ricci che gli si appiccicavano alle guance e al collo. Era
infinitamente
dolce.
«Vi
abbiamo cercato per tutta la
casa, ci avete fatto prendere un colpo! La prossima volta avvisate,
mettete un
post-it in cucina, sul televisore, qualsiasi cosa! “Siamo
nella piscina sul
tetto!”, insomma, sono solo cinque parole, non è
poi così impegna–» Qualcosa di
morbido e bagnato mi tappò la bocca e mi resi conto solo
dopo qualche secondo
che quelle erano le labbra di Nick, che intanto era uscito dalla
piscina e si
era avvicinato a me.
Il
cuore mi schizzò nelle tempie,
assordandomi. Le mani bagnate di Nick mi sfiorarono il viso per
infilarsi fra i
miei capelli e lo allontanai di scatto.
«Sei tutto bagnato, scemo!»,
gridai.
«Ormai
siamo tutte bagnate anche noi, che
te frega!», gridò Ale, ridendo.
«Beh,
dopotutto non ha torto…»
Incrociai gli occhi ammiccanti di Nick e mi spalmai su di lui,
riprendendo da
dove ci eravamo interrotti.
Passammo
tutta la giornata con
loro, restammo un po’ in piscina, poi decidemmo di andare in
spiaggia. Era una
bellissima giornata, era un peccato passarla immersi
nell’acqua al cloro,
invece che nell’acqua di mare!
Io
e Ale avevamo tutte le
intenzioni del mondo di passare una tranquilla giornata al mare ed
eravamo
state accontentate più o meno in tutto: avevamo preso il
sole, avevamo provato
a fare il castello di sabbia più grande del mondo, avevamo
giocato a calcio e a
pallavolo sulla sabbia… Quando avevamo chiesto di andare a
fare il bagno, però,
c’era stata una persona che si era rifiutata.
«No,
ve lo potete pure scordare!
Il sale mi rovina i capelli!»
Una persona a caso, proprio.
«E
dai, Joe!», sbuffai.
«Sei
proprio una checca!», gridò
Ale, imbronciandosi. Ma non sapeva quello che aveva appena causato.
Joe
si alzò, rosso di rabbia, e
la travolse. Caddero sulla sabbia e fecero una specie di lotta,
insultandosi
tanto che Nick mi coprì le orecchie per non farmi sentire,
come se fossi una
bambina piccola. Lo scacciai, ma a quel punto Ale e Joe probabilmente
avevano
finito il loro vocabolario di parolacce e si limitavano a guardarsi in
modo
truce negli occhi. Ad un certo punto parvero rabbonirsi e furono a
tanto così
dal baciarsi, ma Ale all’ultimo si era spostata e si era
alzata.
«Non
ho più voglia di fare il
bagno, vai tu Ary», mi disse sventolando una mano nella mia
direzione.
La
guardai con gli occhi
sgranati, poi guardai Nick e scrollai le spalle, scuotendo il capo. Mi
sciolsi
i capelli che per giocare avevo legato sulla nuca e mi avvicinai alla
riva per
sentire l’acqua: era perfetta, né troppo fredda
né troppo calda.
Entrai in acqua e mi immersi
chiudendo gli occhi, poi pian piano li aprii e mi guardai intorno. Solo
allora
mi accorsi di Nick, proprio alle mie spalle: i suoi riccioli
galleggiavano
nell’acqua e mi sorrideva, trattenendo l’aria
dentro le guance.
Lo
guardai negli occhi, mi
avvicinai e sentii un brivido correre veloce su per la schiena quando
mi attirò
a sé prendendomi per i fianchi. Mi aggrappai con le gambe
alla sua vita e gli
strinsi le braccia intorno al collo, i nostri sguardi si incrociarono
di nuovo
e ci volle veramente poco perché le nostre labbra si
unissero.
Lo
sentivo ovunque, non c’era un
centimetro di pelle non ricoperta dai brividi che lui mi provocava.
Sentii la sua mano scivolare dal
viso al collo, dal collo alla spalla, percorrere tutto il braccio ed
arrivare
alla mia mano; intrecciò le dita alle mie e la
portò all’altezza dei nostri
visi, poi iniziò a nuotare verso l’alto,
probabilmente senza più fiato. Ora che
ci pensavo, anche io ero rimasta senza.
In
superficie prendemmo due
lunghi respiri, per poi guardarci negli occhi e sorriderci,
riavvicinandoci
l’uno all’altra.
Mi strinse forte fra le sue
braccia magre e io ricambiai, sorridendo felice.
Ci
spostammo verso la riva, in
modo tale da poter stare seduti nell’acqua bassa.
«Mi
hai fatto proprio una bella
sorpresa, vendo a trovarmi oggi», disse, accarezzandomi un
fianco. «Grazie.»
«Non
devi ringraziarmi. Io sono
la prima a voler venire», sorrisi. «E poi oggi non
sono venuta solo per te.»
«Ah
sì? E per chi altro?», mi
domandò incuriosito.
«Devo
parlare con Fiore, forse ho
scoperto una cosa che cambierà le vite a molte persone che
sono state
catapultate qui.»
Nick
rimase in silenzio per
qualche secondo, poi sorrise. Non chiese altro, in compenso disse:
«Dopo ti
accompagno, se vuoi.»
«Mi
farebbe molto piacere.»
Mi
prese per i fianchi e mi fece
un po’ di solletico, ridendo divertito.
«Oddio, oddio, il solletico no!»
Sapeva quanto lo soffrivo, era scorretto da parte sua.
Si fermò per un momento e mi
guardò negli occhi in modo languido. Eravamo stretti, io
sulle sue gambe, i
visi a pochi centimetri di distanza.
«Ary,
io ti devo dire una cosa»,
mormorò fissando le mie labbra.
«Di
che si tratta?»
«Io…
io ti…»
Due
urli striduli ci fecero
sobbalzare dallo spavento, interrompendo Nick.
«Siete
sempre a fare i
piccioncini voi due, eh, non vi smentite mai!»,
gridò Ale, ridendo
sguaiatamente accanto a Joe.
«Avete
fatto pace, voi due?»,
berciai infastidita. Nick non disse niente, sembrava soltanto afflitto.
«Sì!
E si da' il caso che abbia
convinto Joe a fare questo stupido bagno!» Lo prese per il
braccio e lo strinse
con forza, trascinandoselo dietro, verso l’acqua alta.
Joe
ci guardò e in labiale disse:
«Adoro questa ragazza», facendo alcune fra le sue
espressioni più famose da
pervertito.
«Tanto
non ci puoi fare niente di
che!», gli ricordò Nick, sfoggiando
l’anello che aveva al dito, identico a
quello dei due fratelli.
Joe annuì sconsolato, ma poi
scrollò le spalle e non fece in tempo a dire o a fare altro
che venne
scaraventato in acqua.
Io
gli davo le spalle e il mio
sguardo, infatti, ebbe tutto il tempo di indugiare su
quell’anello. Un anello
di castità.
Me ne avevano parlato una sera,
quando ancora non sapevo del mio dono. Anzi, ero stata proprio io a
chiedergli
che cosa stessero a significare quegli anelli che tutti e tre portavano
a un
dito della mano destra.
«È
l’anello della purezza», mi
avevano detto e mi avevano spiegato che essendo cristiani la fede per
loro era
molto importante e avevano deciso di rimanere vergini fino al
matrimonio.
Nonostante la mia espressione
neutrale e comprensiva, sotto sotto ne ero rimasta sconvolta: non era
da tutti,
soprattutto da dei ragazzi dai sedici ai vent’anni, pensare
una cosa del
genere.
In
quel momento ci pensai
seriamente per la prima volta e mi arrabbiai. Non so precisamente
perché,
dopotutto rispettavo la decisione di Nick e degli altri, ma pensare che
se
avessi voluto concedermi a lui, lui mi avrebbe allontanata mi faceva
saltare i
nervi. Non che io volessi concedermi a lui, però
ecco…
«Ary?
Posso sapere a che cosa
stai pensando?»
Scossi il capo con insistenza,
per allontanare tutti quei pensieri, ed incontrai il suo sguardo
sbarazzino,
ancora da bambino.
«Sei tutta rossa!»
«Non
è vero!», squittii e gli
schizzai il viso.
«Questa
me la paghi», disse e mi
fece cadere in acqua.
***
Charlotte
abbassò il capo mentre
la sua amica bionda continuava a scattare foto.
«Finalmente
quei tre capiranno
che con noi non si scherza. Con queste foto potremo ricattarli! Si
tengono
tutta per loro quella strega e la lasciano andare liberamente di qua e
di là.
Non possono fare nulla contro di noi, abbiamo finalmente le prove e a
meno che
non vogliano passare dei guai seri, dovranno sottostare a noi. Non ho
ragione?»
«Fottutamente.
Sei diabolica»,
disse la mora, sorridendo malefica.
«Che
cos’hai, Charlotte? Non ti
ho mai sentita così silenziosa», sbottò
la bionda, vagando su di lei col suo
sguardo indagatore.
«Niente»,
mormorò la rossa.
La verità era che non avrebbe
voluto fare nulla a Nick, anche se l’aveva cacciata
preferendo quella ragazza.
Avrebbe dovuto essere arrabbiata con lui, avrebbe dovuto fare lei
stessa quelle
foto per poi ricattarlo a tornare con lei, ma… no, non era
giusto, il suo cuore
le diceva che tutto era dannatamente sbagliato.
Sentì
dei passi alle sue spalle,
si voltò e fece appena in tempo a vedere un viso sfigurato,
pieno di rughe e
con un ghigno terrificante al posto della bocca, prima di cadere nel
buio più
totale.
***
«Uhm,
uhm…» Guardai Fiore
gironzolare per il salotto a piedi nudi, le braccia strette al
petto. Nick era
seduto al mio fianco – quella volta Alessandro lo aveva
lasciato entrare – e mi
teneva la mano.
«Non ci avevo mai pensato!»,
esclamò alla fine Fiore, voltandosi verso di me e sorridendo
sorniona.
«Quindi
siamo punto a capo»,
sbuffai, reggendomi la testa con una mano. «Speravo che
almeno tu potessi darmi
qualche consiglio, potessi fare qualche ipotesi…»
«Potresti
fare qualche
esperimento», mi mise la pulce nell’orecchio,
facendo un saltello indietro,
come se si fosse spaventata del suo stesso suggerimento.
«E
rischiare l’incolumità di una
persona che non c’entra nulla? No, grazie», esclusi
l’opzione a priori.
«E
cosa intendi fare, allora?»
«Niente»,
mugugnai. «È tutto
troppo complicato per me, non so più che
cosa…»
«Se
non vuoi nemmeno tentare,
porta a casa solo i bei culetti dei tuoi amichetti», disse
sprezzante
Alessandro, seduto sul divano.
«Che
cosa vorresti dire, che tu
rischieresti la vita di una persona così?», lo
guardai allibita, mentre il mio
tono di voce continuava ad alzarsi. «La mia è solo
un’ipotesi, non sono affatto
sicura che…»
«Sì!
Sì, ne rischierei una, se
fosse utile a salvarne tantissime altre!»
Si alzò dal divano, si piazzò di
fronte a me e sbattè una mano sul tavolo, fissandomi serio
negli occhi. «Mi
offro come cavia.»
Sia
il mio respiro, che quello di
Fiore, si spezzarono.
«No!»,
gridò lei, disperata. «No,
no, no! Tu non ti muovi da qui, è troppo pericoloso! Tutti,
ma non tu! Io ti
amo troppo per lasciarti fare una cosa del genere!» Lo
abbracciò, ma Alessandro
la scostò da sé quasi bruscamente.
«Stai
lontana, Fiore. Ormai ho
deciso, voglio che tu provi a portarmi di là.»
«Ma…»,
provai a ribattere.
«Niente
ma», mi interruppe sul
nascere. «Se l’esperimento va a buon fine avremo la
conferma che ci si può
spostare senza che la propria famiglia sappia necessariamente di questa
dimensione e moltissime
persone potranno tornare a casa!»
«E
se non andasse a buon fine?»,
gli domandò Nick.
Sorrise
dolcemente. «Mi sarò
sacrificato per una buona causa.»
***
Sospirai
ancora una volta,
immersa in tutti i miei dubbi.
Ero fra le braccia di Nick, lui
mi accarezzava i capelli e insieme guardavamo le stelle, sdraiati sulla
sabbia,
cullati dal respiro del mare, delle onde che si schiantavano a riva e
sugli
scogli, eppure non riuscivo a rilassarmi.
«Che
cos’hai?», mi chiese in un
sussurro, posandomi un bacio sulla tempia.
«Sono
stanca», mentii.
«Quindi
l’esperimento che dovrai
fare con Alessandro non ti preoccupa per niente.»
«Okay»,
sbuffai sorridendo.
L’aveva capito subito che gli avevo detto una balla.
«Sono preoccupata, molto
preoccupata. Vorrei soltanto portarvi a casa e non pensarci
più, ma…»
«Sei
troppo buona, Ary.» Mi
guardò languido negli occhi e mi sorrise, stampandomi un
lieve bacio sulle
labbra.
«Se
tu fossi stato al mio posto
sono certa che saresti nella mia stessa situazione, non sei
così menefreghista.»
«Già…»
Ma era evidente che non
aveva ascoltato neanche una parola di quello che avevo detto.
Mi
baciò di nuovo, questa volta
con più passione, rotolandomi sopra. Mi accarezzò
i fianchi, intrufolando le
mani sotto la mia maglietta, ed io andai a fuoco.
Come quella mattina, lo sentivo
dovunque. Il cuore mi batteva all’impazzata nel petto e non
sepevo più cosa
fare: il mio corpo si comportava in un modo strano, lo sentivo
avvilupparsi
sempre di più a quello di Nick, e avevo iniziato persino a
sospirare,
nonostante mi stesse soltanto baciando il collo.
I pensieri che la mia mente aveva
partorito quella mattina, vedendo il suo anello della purezza,
tornarono ad
ossessionarmi e… ero così sicura di non voler
concedermi a lui? Infondo lo
amavo. Lo amavo…
Gli
infilai una mano fra i capelli
e li tirai dolcemente per fargli sollevare il capo. Quando i nostri
visi furono
ad un palmo l’uno dall’altro mi resi conto di
quanto entrambi avessimo il
fiatone.
Nick mi guardava come se avesse
fatto qualcosa che non doveva fare inconsapevolmente, confuso.
«Dovevi
dirmi qualcosa,
stamattina. Cosa?»
Nick
boccheggiò, preso alla
sprovvista. «Io… io volevo solo dirti…
t–»
«ARY!»,
gridò Ale, correndo verso
di noi con un atletico Joe al seguito.
Io
e Nick ci affrettammo per
sistemarci e quando Ale e Joe furono di fronte a noi fu come se non
fosse
successo nulla.
«Andiamo?
Dobbiamo essere di
nuovo a casa fra poco, l'autobus di ritorno è quasi
arrivato», disse
controllando l’orologio che aveva al polso.
«Giusto,
sì, andiamo», annuii col
capo.
Mi alzai e mi pulii un po’ i vestiti dalla sabbia, Nick mi
aiutò
strofinandomi un polpaccio e capii solo quando incrociai i suoi occhi
malinconici che avrebbe davvero voluto dirmi quella cosa.
Così attesi, senza
dire niente.
«Torna
presto», sfiatò sfuggendo al mio sguardo.
Non era ciò che aveva l’intenzione di dirmi, ma
lasciai
perdere.
«Certo
che torno presto», risposi
con un tenue sorriso.
«Pronta?», domandai ad Ale. Lei
guardò Joe, che le strizzò l’occhio, e
fece di sì con la testa.
«Buonanotte
ragazzi, a presto!»,
li salutai agitando una mano e Ale strinse forte gli occhi.
Quando
li riaprì eravamo sedute
sulla panchina della fermata dell’autobus e questo era appena
ripartito.
Sorrise e mi avvolse le spalle
con un braccio. «Sì, la mia amica è
diventata proprio brava. Ti fermi a dormire
da me?»
«No»,
risposi con voce flebile,
alzandomi e rivolgendo lo sguardo alla luna. «Ho bisogno di
stare un po’ da
sola, questa notte.»
Ale
mi guardò con la fronte
corrugata, senza capire che cosa avessi, poi mi raggiunse accennando
una
corsetta.