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Autore: _Pulse_    04/01/2011    1 recensioni
Una volta usciti dall’acqua, ancora placcata da i due Jonas, il terzo si avvicinò e passò due asciugamani ai fratelli.
«Tante grazie!», gridai, fuori di me.
«Non iniziare a lagnarti! Vieni qui con me!», gridò il più piccolo, attirandomi a sé e avvolgendomi nel suo asciugamano con lui. Rimasi piacevolmente sorpresa da quel gesto e mi arresi al fatto che ormai non mi restava altro da fare che seguirli e scoprire che cosa volevano da me.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Kevin Jonas, Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scusate il mio deplorevole ritardo °-°
Questa volta sono proprio imperdonabile, sono passati due mesi e mezzo dal mio ultimo aggiornamento!
Ma so che voi siete buone e clementi e mi perdonerete *-* Anche perché mi sono data da fare, questi ultimi due giorni, e vi ho sfornato questo nuovo capitolo!
Spero davvero che i miei sforzi siano serviti e che vi piaccia :D
Ringrazio di cuore music__dreamer, che non manca mai *-* Dovrò farti un monumento xD
E ora vi lascio :) Buona lettura!

Capitolo 13

«E se non fosse strettamente necessario che una persona della famiglia sappia dei viaggi dimensionali?», esordii all’improvviso, facendo sobbalzare Ale nel suo letto, sopra al mio. Si era addormentata e con la mia esclamazione l’avevo fatta spaventare.

Quella sera, dopo ciò che avevamo rischiato, non me l’ero proprio sentita di stare lontana da lei, così ero andata a casa sua a dormire. Però, nonostante la stanchezza, non ero riuscita a chiudere occhio: continuavo a pensare a perché Ale fosse riuscita a tornare e forse ero arrivata ad una conclusione più o meno plausibile.

«Eh?», mi chiese con la voce rauca ed assonnata.

Mi levai frettolosamente le coperte di dosso e salii le scalette laterali che portavano al suo letto, su cui mi misi seduta, al suo fianco.
«Ma sì, è ovvio! Sono quasi certa che sia per questo motivo che tu sia riuscita a tornare!»

«Ti prego… non urlare e, soprattutto, spiegami tutto da capo che non ho capito niente», sbadigliò.

La presi per le spalle e la scrollai, con un sorriso estasiato sul viso. «Tu sei riuscita a tornare nonostante nessuno della tua famiglia sapesse dei viaggi dimensionali, no?» Lei annuì. «Quindi, pensavo… E se bastasse solo una persona che sappia degli spostamenti fra dimensioni? Mio fratello sapeva che tu saresti andata nell’altra dimensione e che saresti tornata con me, per questo non è successo nulla di spiacevole. Certo, la mia è solo una teoria e dovrei parlarne con Fiore, ma… potrebbe essere la soluzione al problema che mi pongo da settimane!»

Portai lo sguardo, acceso di eccitazione, sulla sua faccia gonfia di sonno e mi resi conto che parlare con lei alle due di notte era inutile: sarebbe stato più produttivo discutere con un muro.

«Ne parliamo domani, dai», le sussurrai e le passai una mano fra i capelli. Si rilassò in un attimo, come avevo previsto, e chiuse gli occhi, di nuovo nel mondo dei sogni.

Quanto volevo bene alla mia migliore amica lo sapeva solo Dio.

***


«Mi raccomando, divertitevi ragazze», urlò mamma dal vialetto di casa, sventolando una mano nella nostra direzione.

«Sì, e non ti preoccupare troppo! Ciao Davide!» Salutammo anche lui e poi ci avviammo verso la fermata dell’autobus.

Una normalissima giornata al mare, io e Ale. O almeno lo sarebbe stata, se avessimo preso veramente l’autobus. La verità è che non ci salimmo mai, usammo un altro metodo per andare in spiaggia: il mio.

Riaprimmo gli occhi e ci ritrovammo comodamente sedute sui divanetti nel giardino della villa dei Jonas Brothers. Niente capitomboli, niente nausea, nulla di nulla.

«Ary, sei migliorata davvero», constatò Ale al mio fianco, stupita.

«Oh, ti ringrazio per la stima che mi riservi», ridacchiai.
Mi voltai verso di lei e vidi che si era già alzata e si era affacciata nel salotto.

«RAGAZZI!», gridò.

Non ricevendo alcuna risposta, entrammo in casa. Ci guardammo un po’ attorno, nel salotto e in cucina, ma erano deserte.
Ebbi un guizzo nello stomaco al pensiero che potesse essergli successo qualcosa. In ansia, corsi su per le scale, con Ale che a stento riusciva a seguirmi.

«Ary, rallenta! Non riesco a starti dietro!», mi implorò col fiato grosso, ma io non la ascoltai nemmeno: il mio cervello era completamente andato in tilt.

Li cercammo nei diversi bagni, nello studio di registrazione, nelle loro camere.
«Dividiamoci: io vado a vedere in quella di Nick, tu vai in quella di Joe», le dissi. «Poi ci incontriamo in quella di Kevin»

Mi fece il segno d’ok con le dita e corse verso la camera del piastrato, indicata da me. Io non fui da meno e mi diressi verso quella di Nick.
Vi entrai e rimasi subito stordita dal suo profumo: era dovunque. Camminai fra le sue cose facendo attenzione, come se fosse un luogo pieno di insidie. Accarezzai il bordo della scrivania, la testata del letto, poi andai alla finestra.

«AAAAAAAAAAAAAAH!»

Mi voltai di scatto udendo il grido di Ale e nello stesso momento sentii un altro urlo alle mie spalle, più lontano, accompagnato da delle risate. Mi girai e guardai fuori dalla finestra, ma non vidi niente.
Sollevai il sopracciglio. «Me lo sarò sognata quest’ultimo», mi dissi e raggiunsi la mia amica.

«Che cos’è successo?», gridai guardandola, nel bel mezzo della camera di Joe.

«Lo hanno rapito, lo hanno rapito!», urlò disperata, con le mani sulla testa. «Guarda, hanno messo a soqquadro la camera, cercavano qualcosa!»

Io ero allibita, ma presto mi venne da ridere. «Ale… Ale, calmati, non lo hanno rapito, almeno non credo.»

«Cosa?»

«Vedi, la sua camera è sempre così. È un disordinato cronico.»

La sua espressione passò da disperata a vergognosa, per poi diventare vagamente presuntuosa. Si strinse le braccia al petto e puntò il naso all’insù: «Lo sapevo», sbottò.

«Sì, certo», risi ed uscii dalla stanza scuotendo il capo.

Qualche secondo dopo la sentii zampettare alle mie spalle ed affiancarmi. Andammo a vedere se erano nella stanza di Kevin, ma fu un altro buco nell’acqua.
C’era un solo posto che ancora mancava e preferivo andarci da sola, visto che Ale non ne era a conoscenza, per questo le dissi che andavo a controllare ancora di sotto, nell’altro giardino.

«Okay, allora io cerco nelle stanze in cui non abbiamo ancora guardato», mi disse.

Feci le scale due a due e controllai sul serio il giardino dall’altra parte della villa, invano. Così scesi ancora, nel piano sotterraneo, e raggiunsi il laboratorio. Sulla soglia della porta vidi tanti ometti con i camici bianchi provare a mandare nell’altro mondo i soliti oggetti, fare esperimenti e controllare i risultati su enormi computers, ma di Nick, Joe e Kevin nessuna traccia.
Tornai in salotto ancora più preoccupata: dove si erano cacciati, quei cretini?

«ARY!», gridò Ale dal piano superiore ed io mi affrettai per raggiungerla. «Forse ho trovato qualcosa!»
Aprì una porticina che dava su delle altre scale. C’era vento, questo voleva dire soltanto una cosa: quel passaggio portava al tetto.

«YA-UUUUUUUUUUUUUH!»

Ci guardammo in faccia e, spaventate, gridammo: «Joe!»
Corremmo su per le scale e raggiungemmo il tetto. La luce del sole per un attimo ci abbagliò, rendendoci cieche, ma appena ci abituammo vedemmo i tre sguazzare felici e contenti nella piscina.
Sul piccolo trampolino c’era Kevin, che in un batter d’occhio si buttò giù e ci schizzò da capo a piedi.

«Li ammazzo, giuro che li ammazzo», borbottò Ale, scrollandosi come un cane.

Trattenni una risata fra le labbra: dovevo ancora fare la ramanzina a quegli screanzati.
«Ragazzi!», gridai per attirare la loro attenzione e ci riuscii, perché mi trovai addosso sei occhi scuri.

«Ary!», esclamò sorpreso Nick, con i ricci che gli si appiccicavano alle guance e al collo. Era infinitamente dolce.

«Vi abbiamo cercato per tutta la casa, ci avete fatto prendere un colpo! La prossima volta avvisate, mettete un post-it in cucina, sul televisore, qualsiasi cosa! “Siamo nella piscina sul tetto!”, insomma, sono solo cinque parole, non è poi così impegna–» Qualcosa di morbido e bagnato mi tappò la bocca e mi resi conto solo dopo qualche secondo che quelle erano le labbra di Nick, che intanto era uscito dalla piscina e si era avvicinato a me.

Il cuore mi schizzò nelle tempie, assordandomi. Le mani bagnate di Nick mi sfiorarono il viso per infilarsi fra i miei capelli e lo allontanai di scatto.
«Sei tutto bagnato, scemo!», gridai.

«Ormai siamo tutte bagnate anche noi, che te frega!», gridò Ale, ridendo.

«Beh, dopotutto non ha torto…» Incrociai gli occhi ammiccanti di Nick e mi spalmai su di lui, riprendendo da dove ci eravamo interrotti.

Passammo tutta la giornata con loro, restammo un po’ in piscina, poi decidemmo di andare in spiaggia. Era una bellissima giornata, era un peccato passarla immersi nell’acqua al cloro, invece che nell’acqua di mare!

Io e Ale avevamo tutte le intenzioni del mondo di passare una tranquilla giornata al mare ed eravamo state accontentate più o meno in tutto: avevamo preso il sole, avevamo provato a fare il castello di sabbia più grande del mondo, avevamo giocato a calcio e a pallavolo sulla sabbia… Quando avevamo chiesto di andare a fare il bagno, però, c’era stata una persona che si era rifiutata.

«No, ve lo potete pure scordare! Il sale mi rovina i capelli!»
Una persona a caso, proprio.

«E dai, Joe!», sbuffai.

«Sei proprio una checca!», gridò Ale, imbronciandosi. Ma non sapeva quello che aveva appena causato.

Joe si alzò, rosso di rabbia, e la travolse. Caddero sulla sabbia e fecero una specie di lotta, insultandosi tanto che Nick mi coprì le orecchie per non farmi sentire, come se fossi una bambina piccola. Lo scacciai, ma a quel punto Ale e Joe probabilmente avevano finito il loro vocabolario di parolacce e si limitavano a guardarsi in modo truce negli occhi. Ad un certo punto parvero rabbonirsi e furono a tanto così dal baciarsi, ma Ale all’ultimo si era spostata e si era alzata.

«Non ho più voglia di fare il bagno, vai tu Ary», mi disse sventolando una mano nella mia direzione.

La guardai con gli occhi sgranati, poi guardai Nick e scrollai le spalle, scuotendo il capo. Mi sciolsi i capelli che per giocare avevo legato sulla nuca e mi avvicinai alla riva per sentire l’acqua: era perfetta, né troppo fredda né troppo calda.
Entrai in acqua e mi immersi chiudendo gli occhi, poi pian piano li aprii e mi guardai intorno. Solo allora mi accorsi di Nick, proprio alle mie spalle: i suoi riccioli galleggiavano nell’acqua e mi sorrideva, trattenendo l’aria dentro le guance.

Lo guardai negli occhi, mi avvicinai e sentii un brivido correre veloce su per la schiena quando mi attirò a sé prendendomi per i fianchi. Mi aggrappai con le gambe alla sua vita e gli strinsi le braccia intorno al collo, i nostri sguardi si incrociarono di nuovo e ci volle veramente poco perché le nostre labbra si unissero.

Lo sentivo ovunque, non c’era un centimetro di pelle non ricoperta dai brividi che lui mi provocava.
Sentii la sua mano scivolare dal viso al collo, dal collo alla spalla, percorrere tutto il braccio ed arrivare alla mia mano; intrecciò le dita alle mie e la portò all’altezza dei nostri visi, poi iniziò a nuotare verso l’alto, probabilmente senza più fiato. Ora che ci pensavo, anche io ero rimasta senza.

In superficie prendemmo due lunghi respiri, per poi guardarci negli occhi e sorriderci, riavvicinandoci l’uno all’altra.
Mi strinse forte fra le sue braccia magre e io ricambiai, sorridendo felice.

Ci spostammo verso la riva, in modo tale da poter stare seduti nell’acqua bassa.

«Mi hai fatto proprio una bella sorpresa, vendo a trovarmi oggi», disse, accarezzandomi un fianco. «Grazie.»

«Non devi ringraziarmi. Io sono la prima a voler venire», sorrisi. «E poi oggi non sono venuta solo per te.»

«Ah sì? E per chi altro?», mi domandò incuriosito.

«Devo parlare con Fiore, forse ho scoperto una cosa che cambierà le vite a molte persone che sono state catapultate qui.»

Nick rimase in silenzio per qualche secondo, poi sorrise. Non chiese altro, in compenso disse: «Dopo ti accompagno, se vuoi.»

«Mi farebbe molto piacere.»

Mi prese per i fianchi e mi fece un po’ di solletico, ridendo divertito.
«Oddio, oddio, il solletico no!» Sapeva quanto lo soffrivo, era scorretto da parte sua.
Si fermò per un momento e mi guardò negli occhi in modo languido. Eravamo stretti, io sulle sue gambe, i visi a pochi centimetri di distanza.

«Ary, io ti devo dire una cosa», mormorò fissando le mie labbra.

«Di che si tratta?»

«Io… io ti…»

Due urli striduli ci fecero sobbalzare dallo spavento, interrompendo Nick.

«Siete sempre a fare i piccioncini voi due, eh, non vi smentite mai!», gridò Ale, ridendo sguaiatamente accanto a Joe.

«Avete fatto pace, voi due?», berciai infastidita. Nick non disse niente, sembrava soltanto afflitto.

«Sì! E si da' il caso che abbia convinto Joe a fare questo stupido bagno!» Lo prese per il braccio e lo strinse con forza, trascinandoselo dietro, verso l’acqua alta.

Joe ci guardò e in labiale disse: «Adoro questa ragazza», facendo alcune fra le sue espressioni più famose da pervertito.

«Tanto non ci puoi fare niente di che!», gli ricordò Nick, sfoggiando l’anello che aveva al dito, identico a quello dei due fratelli.
Joe annuì sconsolato, ma poi scrollò le spalle e non fece in tempo a dire o a fare altro che venne scaraventato in acqua.

Io gli davo le spalle e il mio sguardo, infatti, ebbe tutto il tempo di indugiare su quell’anello. Un anello di castità.
Me ne avevano parlato una sera, quando ancora non sapevo del mio dono. Anzi, ero stata proprio io a chiedergli che cosa stessero a significare quegli anelli che tutti e tre portavano a un dito della mano destra.

«È l’anello della purezza», mi avevano detto e mi avevano spiegato che essendo cristiani la fede per loro era molto importante e avevano deciso di rimanere vergini fino al matrimonio.
Nonostante la mia espressione neutrale e comprensiva, sotto sotto ne ero rimasta sconvolta: non era da tutti, soprattutto da dei ragazzi dai sedici ai vent’anni, pensare una cosa del genere.

In quel momento ci pensai seriamente per la prima volta e mi arrabbiai. Non so precisamente perché, dopotutto rispettavo la decisione di Nick e degli altri, ma pensare che se avessi voluto concedermi a lui, lui mi avrebbe allontanata mi faceva saltare i nervi. Non che io volessi concedermi a lui, però ecco…

«Ary? Posso sapere a che cosa stai pensando?»
Scossi il capo con insistenza, per allontanare tutti quei pensieri, ed incontrai il suo sguardo sbarazzino, ancora da bambino.
«Sei tutta rossa!»

«Non è vero!», squittii e gli schizzai il viso.

«Questa me la paghi», disse e mi fece cadere in acqua.

***

Charlotte abbassò il capo mentre la sua amica bionda continuava a scattare foto.

«Finalmente quei tre capiranno che con noi non si scherza. Con queste foto potremo ricattarli! Si tengono tutta per loro quella strega e la lasciano andare liberamente di qua e di là. Non possono fare nulla contro di noi, abbiamo finalmente le prove e a meno che non vogliano passare dei guai seri, dovranno sottostare a noi. Non ho ragione?»

«Fottutamente. Sei diabolica», disse la mora, sorridendo malefica.

«Che cos’hai, Charlotte? Non ti ho mai sentita così silenziosa», sbottò la bionda, vagando su di lei col suo sguardo indagatore.

«Niente», mormorò la rossa.
La verità era che non avrebbe voluto fare nulla a Nick, anche se l’aveva cacciata preferendo quella ragazza. Avrebbe dovuto essere arrabbiata con lui, avrebbe dovuto fare lei stessa quelle foto per poi ricattarlo a tornare con lei, ma… no, non era giusto, il suo cuore le diceva che tutto era dannatamente sbagliato.

Sentì dei passi alle sue spalle, si voltò e fece appena in tempo a vedere un viso sfigurato, pieno di rughe e con un ghigno terrificante al posto della bocca, prima di cadere nel buio più totale.

***

«Uhm, uhm…» Guardai Fiore gironzolare per il salotto a piedi nudi, le braccia strette al petto. Nick era seduto al mio fianco – quella volta Alessandro lo aveva lasciato entrare – e mi teneva la mano.
«Non ci avevo mai pensato!», esclamò alla fine Fiore, voltandosi verso di me e sorridendo sorniona.

«Quindi siamo punto a capo», sbuffai, reggendomi la testa con una mano. «Speravo che almeno tu potessi darmi qualche consiglio, potessi fare qualche ipotesi…»

«Potresti fare qualche esperimento», mi mise la pulce nell’orecchio, facendo un saltello indietro, come se si fosse spaventata del suo stesso suggerimento.

«E rischiare l’incolumità di una persona che non c’entra nulla? No, grazie», esclusi l’opzione a priori.

«E cosa intendi fare, allora?»

«Niente», mugugnai. «È tutto troppo complicato per me, non so più che cosa…»

«Se non vuoi nemmeno tentare, porta a casa solo i bei culetti dei tuoi amichetti», disse sprezzante Alessandro, seduto sul divano.

«Che cosa vorresti dire, che tu rischieresti la vita di una persona così?», lo guardai allibita, mentre il mio tono di voce continuava ad alzarsi. «La mia è solo un’ipotesi, non sono affatto sicura che…»

«Sì! Sì, ne rischierei una, se fosse utile a salvarne tantissime altre!»
Si alzò dal divano, si piazzò di fronte a me e sbattè una mano sul tavolo, fissandomi serio negli occhi. «Mi offro come cavia.»

Sia il mio respiro, che quello di Fiore, si spezzarono.

«No!», gridò lei, disperata. «No, no, no! Tu non ti muovi da qui, è troppo pericoloso! Tutti, ma non tu! Io ti amo troppo per lasciarti fare una cosa del genere!» Lo abbracciò, ma Alessandro la scostò da sé quasi bruscamente.

«Stai lontana, Fiore. Ormai ho deciso, voglio che tu provi a portarmi di là.»

«Ma…», provai a ribattere.

«Niente ma», mi interruppe sul nascere. «Se l’esperimento va a buon fine avremo la conferma che ci si può spostare senza che la propria famiglia sappia necessariamente di questa dimensione e moltissime persone potranno tornare a casa!»

«E se non andasse a buon fine?», gli domandò Nick.

Sorrise dolcemente. «Mi sarò sacrificato per una buona causa.»

***

Sospirai ancora una volta, immersa in tutti i miei dubbi.
Ero fra le braccia di Nick, lui mi accarezzava i capelli e insieme guardavamo le stelle, sdraiati sulla sabbia, cullati dal respiro del mare, delle onde che si schiantavano a riva e sugli scogli, eppure non riuscivo a rilassarmi.

«Che cos’hai?», mi chiese in un sussurro, posandomi un bacio sulla tempia.

«Sono stanca», mentii.

«Quindi l’esperimento che dovrai fare con Alessandro non ti preoccupa per niente.»

«Okay», sbuffai sorridendo. L’aveva capito subito che gli avevo detto una balla. «Sono preoccupata, molto preoccupata. Vorrei soltanto portarvi a casa e non pensarci più, ma…»

«Sei troppo buona, Ary.» Mi guardò languido negli occhi e mi sorrise, stampandomi un lieve bacio sulle labbra.

«Se tu fossi stato al mio posto sono certa che saresti nella mia stessa situazione, non sei così menefreghista.»

«Già…» Ma era evidente che non aveva ascoltato neanche una parola di quello che avevo detto.

Mi baciò di nuovo, questa volta con più passione, rotolandomi sopra. Mi accarezzò i fianchi, intrufolando le mani sotto la mia maglietta, ed io andai a fuoco.
Come quella mattina, lo sentivo dovunque. Il cuore mi batteva all’impazzata nel petto e non sepevo più cosa fare: il mio corpo si comportava in un modo strano, lo sentivo avvilupparsi sempre di più a quello di Nick, e avevo iniziato persino a sospirare, nonostante mi stesse soltanto baciando il collo.
I pensieri che la mia mente aveva partorito quella mattina, vedendo il suo anello della purezza, tornarono ad ossessionarmi e… ero così sicura di non voler concedermi a lui? Infondo lo amavo. Lo amavo…

Gli infilai una mano fra i capelli e li tirai dolcemente per fargli sollevare il capo. Quando i nostri visi furono ad un palmo l’uno dall’altro mi resi conto di quanto entrambi avessimo il fiatone.
Nick mi guardava come se avesse fatto qualcosa che non doveva fare inconsapevolmente, confuso.

«Dovevi dirmi qualcosa, stamattina. Cosa?»

Nick boccheggiò, preso alla sprovvista. «Io… io volevo solo dirti… t–»

«ARY!», gridò Ale, correndo verso di noi con un atletico Joe al seguito.

Io e Nick ci affrettammo per sistemarci e quando Ale e Joe furono di fronte a noi fu come se non fosse successo nulla.

«Andiamo? Dobbiamo essere di nuovo a casa fra poco, l'autobus di ritorno è quasi arrivato», disse controllando l’orologio che aveva al polso.

«Giusto, sì, andiamo», annuii col capo.
Mi alzai e mi pulii un po’ i vestiti dalla sabbia, Nick mi aiutò strofinandomi un polpaccio e capii solo quando incrociai i suoi occhi malinconici che avrebbe davvero voluto dirmi quella cosa. Così attesi, senza dire niente.

«Torna presto», sfiatò sfuggendo al mio sguardo. Non era ciò che aveva l’intenzione di dirmi, ma lasciai perdere.

«Certo che torno presto», risposi con un tenue sorriso.
«Pronta?», domandai ad Ale. Lei guardò Joe, che le strizzò l’occhio, e fece di sì con la testa.

«Buonanotte ragazzi, a presto!», li salutai agitando una mano e Ale strinse forte gli occhi.

Quando li riaprì eravamo sedute sulla panchina della fermata dell’autobus e questo era appena ripartito.
Sorrise e mi avvolse le spalle con un braccio. «Sì, la mia amica è diventata proprio brava. Ti fermi a dormire da me?»

«No», risposi con voce flebile, alzandomi e rivolgendo lo sguardo alla luna. «Ho bisogno di stare un po’ da sola, questa notte.»

Ale mi guardò con la fronte corrugata, senza capire che cosa avessi, poi mi raggiunse accennando una corsetta.

   
 
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