Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Noony    05/01/2011    1 recensioni
Hannah e Jace non hanno nulla in comune. Vengono da mondi differenti, sono la principessa e il povero dei giorni nostri. Sono due persone che nonostante tutto, si trovano e si innamorano delle proprie differenze.
Lei ha solo sedici anni quando si trasferisce a New York con suo padre. Lascia alle sue spalle un'esistenza vuota, e nessun amico a cui dire addio. Non ha nulla da portare con se nella sua nuova vita. Una vita che non vuole, perché identica alla precedente. É ricca, ma povera di affetti. É una ragazza sola, taciturna,malinconica.
Lui vive con la madre in un appartamento malconcio ad Harlem, frequenta un'esclusiva scuola privata solo perchè ha ottenuto una borsa di studio. Ma è una vita piena la sua, di affetti, di amici, di ricordi felici. Ha solo diciassette anni ma ha già in se un forte desiderio di rivalsa. Ha già progettato tutto il suo futuro, e sa come riuscire a raggiungere i propri obbiettivi: lavorando duramente. É ottimista, intraprendente, bello e carismatico.
Sullo sfondo della loro storia d'amore si intrecciano le vicende di amici e genitori, ognuno con i propri drammi e amori. Questa è una storia banale, una storia come tante altre già scritte e già raccontate.
Dal capitolo 8. Il cambiamento: E sapeva che non pensava di perdere un'amica, pensava di
perdere Hannah. Hannah era Hannah, un mondo a se stante nel suo
universo. Non era un'amica, forse non lo era mai stata.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo  15. Unsaid.


Lei.

Hannah tratteneva le lacrime da tutta la mattina. In un insolito moto di auto-preservazione aveva saltato deliberatamente il pranzo, per non dover affrontare il Trio, ma soprattutto perché per la prima volta non voleva vedere Jace. L'aveva spaventata terribilmente. La sua voce, il suo sguardo, persino la forza con cui le aveva stretto il polso, l'avevano terrorizzata, ma se al posto di Jace ci fosse stato un altro, chiunque altro, avrebbe provato la stessa paura. Ciò che veramente la turbava era essere consapevole di quanto lui fosse riuscito a ferirla, era bastato così poco per farle male, lei stessa se ne rendeva conto.
Perse tempo al suo armadietto, aspettando che i corridoi si svuotassero. Dallo stanzino lì accanto proveniva ancora quella musica struggente che aveva udito settimane prima. Poteva immaginare le dita affusolate di Ted posarsi sui tasti bianchi e neri per produrre quel qualcosa di celestiale, perché era ormai convinta che di Ted si trattasse, proprio lui le aveva detto in precedenza di saper suonare quello strumento.
"Forse potrei entrare anche io..." si disse, prendendo i libri per le lezioni successive più uno da leggere a tempo perso. Chiuse l'armadietto e si accostò alla porta. "Ma sì, è l'unico posto dove non mi verrebbero a cercare, e poi non gli sarei di alcun disturbo." si disse ancora. Allungò una mano verso la maniglia e la girò, quasi si sorprese di non trovare la porta chiusa. L'aprì piano e si infilò nello stanzino, che in verità aveva tutta l'aria di un'aula polverosa adibita a magazzino, piena com'era di cianfrusaglie di ogni genere. Tanti erano gli scatoloni ammassati accanto all'ingresso che non riusciva a vedere né il pianoforte né il pianista.
Avanzò ancora, facendo capolino dietro una pila di scatoloni da cui fuoriuscivano vecchi palloni, sgonfi e logori. Fu sorpresa di vedere spuntare dietro un pianoforte verticale, relegato in un angolo non troppo ingombro, invece dei riccioli scuri di Ted, una folta capigliatura corvina. Imbarazzatissima per il proprio errore cercò di indietreggiare silenziosamente prima che il misterioso pianista si accorgesse della sua presenza. Ma indietreggiando sfiorò uno scatolone che prima traballò, poi sembrò voler stare fermo al suo posto, ma che infine e senza alcun preavviso, proprio quando Hannah stava per tirare un sospiro di sollievo rovinò a terra portandosi dietro anche il resto dei suoi polverosi compagni. Il pianista si alzò di scatto, puntandole lo sguardo addosso. La sorpresa fu ancor più grande quando Hannah riconobbe in lui niente meno che Thomas Rushmore.

-Io... Io...- cercò di balbettare, chinandosi a raccogliere la robaccia ora sparsa per il pavimento, cosa che le permetteva di nascondere almeno in parte l'imbarazzo, ben evidente sul suo volto arrossato. - Mi dispiace, io credevo ci fosse Ted qui...- cercò di giustificarsi.
-Aspetta, ti aiuto!- esclamò l'altro di rimando, precipitandosi ad aiutarla. - Non c'è problema. è bello avere del pubblico, per una volta.- Hannah osò sollevare lo sguardo. Sembrava sorpreso ed imbarazzato quanto lei, e per questo le parve una persona completamente diversa da come l'aveva sempre considerato, meno sicuro di sé e meno gelido di quanto lui stesso non desse a vedere.
"Certo che proprio tutti cerchiamo di nasconderci dietro una maschera convenientemente costruita giorno dopo giorno." si ritrovò a pensare d'un tratto. Finirono di sistemare il salvabile in silenzio, e quando si alzarono lui raccolse i libri che lei teneva tra le braccia e aveva poi precipitosamente posato a terra poco prima. Soffiò via la polvere che avevano raccolto dal pavimento e glieli porse.
-Arte eh? Ti interessi a questo genere cose?- le chiese con un sorriso incerto. Sembrava non sapesse cosa dirle.
-Si...Disegno, pure.- rispose lei, senza riuscire a guardarlo. Puntò lo sguardo sul pianoforte. - Quindi tu... Tu suoni, invece. Supponevo fosse Ted a suonare ma, a quanto pare, supponevo male. é meglio che vada ora. Scusa ancora, non volevo interromperti.- gli rivolse un tiepido sorriso di scuse.
Trovava molto più facile sorridere ed essere gentile con Tom quando non portava maschere. Era meno spaventevole per lei, e più umano. Era questo che doveva aver visto Jace, quando erano stati amici, lui che sapeva sempre come levarti la maschera dal volto e scoprire lati di te stesso che neppure tu potevi dire di conoscere.
-Rimani, se vuoi. Mi sembra tu abbia bisogno di nasconderti, altrimenti non ti saresti intrufolata qui.- "Touché!" pensò la ragazza, annuendo però al dire di lui. - Sei giù per come Jace si è comportato, vero? Se io avessi una ragazza carina come te la tratterei molto meglio.- Hannah non rispose, si limitò a seguirlo quando tornò a sedere al pianoforte. Lei prese posto su una traballante seggiola, tenuta dritta da un vecchio annuario infilato tra una delle gambe e il pavimento. Tom aveva indossato nuovamente la sua maschera e quello scorcio di sensibilità che aveva visto era stato nuovamente nascosto. Si sentì improvvisamente a disagio in sua compagnia.
-Non sono la sua ragazza.- mormorò infine, preferendo evitare qualsiasi fraintendimento o equivoco.
-Vorrei vedere qualche tuo disegno.- disse invece l'altro, evitando di ritornare sull'argomento precedente. Probabile volesse solo una conferma, e ora che l'aveva avuta non gli era più utile parlare di Jace. Riprese a suonare, preferendo stavolta una filastrocca alla musica sublime che le sue dita erano riuscite a riprodurre con la semplice pressione dei tasti dello strumento. - Invidio chi ha questa dote. Io sono completamente negato!- esclamò divertito.
-Io invidio chi riesce a suonare uno strumento, esprimendone tutta la magnificenza. é molto più lodevole dello saper fare qualche scarabocchio.- fece lei, timidamente.
-é così che consideri le tue opere? Scarabocchi? Secondo me pecchi in modestia, ma non avendo avuto la possibilità di valutare da me...- lasciò in sospeso la frase, cambiando ancora una volta argomento. - Pare che ognuno di noi invidi qualcosa dell'altro. Tutti e due, in fondo, siamo simili perché desideriamo cose che non ci apparterranno mai. - Hannah si voltò verso Tom. In quelle sue parole c'era molto più di quanto il loro significato letterale lasciasse intuire, anche se non riusciva ancora a cogliere il messaggio tra le righe nella sua interezza.
-Come mai vieni qui a suonare? C'è uno splendido pianoforte a coda nella sala musica, al piano di sotto.- chiese, volendo evitare il silenzio che in quell'aula sembrava farsi pesantissimo, quasi insostenibile.
-Lo so, ma preferisco isolarmi quando devo suonare. So che tu capisci, se ti chiedessero se preferisci disegnare in una stanza affollata, sotto lo sguardo di tutti, oppure da sola, in un luogo silenzioso e isolato, cosa rispoderesti?.- Hannah afferrò immediatamente il senso del suo dire, e annuì con vigore. Continuarono a farsi reciprocamente delle domande, da allora alla fine della pausa pranzo, pur di non dover restare in silenzio.
Quando la campanella suonò, scattarono in piedi quasi in sincrono. Hannah raccolse le proprie cose, Tom le sue, e entrambi si diressero verso la porta. Il ragazzo la precedette, tenendogliela aperta. Lo ringraziò con un cenno del capo e poi in silenzio, come per un tacito accordo si avviarono lungo il corridoio l'uno affianco all'altro, come quella mattina, anche se l'atmosfera era ben diversa. Quando dovettero dividersi Hannah fece per salutarlo ma lui la prese in contropiede dicendo: - Dovresti parlare con Stein. A volte si comporta da schizzato, ma non è male. E poi se dovessi perdere il mio avversario proprio all'inizio dei giochi, non ci sarebbe nessun divertimento.- Le dedicò una strizzatina d'occhio prima di allontanarsi e lasciarla lì, senza parole.

Lui.

Jace continuava a guardarsi intorno come un disperato. Sperava di vedere Hannah e chiederle scusa per essersi comportato da perfetto idiota, ma la pausa pranzo era ormai a metà e lei ancora non si era vista.
-Ma complimenti Jace! Devi averla ferita a morte! Magari ora è in bagno che piange, una specie di Mirtilla Malcontenta! Complimenti vivissimi!- fece Jaquie, con un'irritazione che non si sforzava di nascondere.
-E quel che è peggio è che credo di sapere chi ha preso il suo album.- Jace incrociò le braccia sul tavolo e vi posò il capo, che sentiva pesante e cominciava a dolergli per la rabbia e la tensione di quella giornata pessima ma che era appena agli inizi. - Per la cronaca, Jaquie aveva ragione, probabilmente.-
-Ah! Avete visto? - disse allargando le braccia, in un gesto plateale.- Io lo sapevo! Lo sapevo che era stata lei! Ma se mi capita tra le mani io...-
-Vorrei sapere su cosa si basano le vostre supposizioni.- l'interruppe Daphne, che non gradiva tutte quelle accuse impossibili da provare.
-Mi ha dato un disegno che era nell'album. Non credo che casualmente l'abbia trovato proprio lei tra tutti gli studenti di questa scuola.- sbottò il ragazzo sollevando appena il capo. - Sarebbe una coincidenza troppo azzeccata, visto che con quello ha cercato di convincermi che Hannah è una pazza, ossessionata dalla mia immagine.-
-Jace, ancora al tavolo delle perdenti?- Jace l'avrebbe voluta strangolare. La sua vocetta gli perforava i timpani. Fastidiosa una zanzara che ti ronza in un orecchio quando sei lì lì per addormentarti.
-Ma guarda, parli del diavolo...- mormorò Jaquie, prima di alzarsi. - Mi è passato l'appetito. Ci vediamo a fine lezioni. - Daphne e Rose si alzarono subito dopo, e la seguirono fuori dai locali della mensa.
-Finalmente le lesbicone e l'immigrata clandestina, hanno epurato l'ambiente dalla loro presenza.- disse, ma solo quando Jaquie fu ben lontana da lei, con perfidia che disgustò Jace a tal punto che si alzò e fece per andarsene anche lui, troppo nauseato per dire anche una parola di più. Amanda gli afferrò una manica e lui la ritirò con uno scatto nervoso.
-Amanda, ti ho avvertito prima: lasciami in pace. Lo sai perché non ti voglio tra i piedi? Perché per quanto tu sia bella fuori, dentro sei orrenda. Io con una come te non voglio avere niente a che fare, lascia in pace me, Hannah, e le ragazze.-
-Non dopo quello che ho fatto alla tua Hannah, giusto? Non hai prove, e comunque io non difenderei una che va a imboscarsi nello stanzino delle scope con il mio ex migliore amico per vendicarsi.- detto ciò, troppo arrabbiata e ferita dalla pubblica umiliazione davanti all'intera scuola, girò i tacchi e tornò al suo tavolo, sbuffando e scalciando tutte le sedie che si trovavano sul suo cammino.
La verità fondamentale che Amanda non riusciva a comprendere era che non tutte le ragazze erano, per fortuna, come lei o le sue cosiddette amiche. Hannah non si sarebbe mai buttata tra le braccia di un altro solo per uno sterile bisogno di vendetta.
Quando uscì dalla mensa la pausa pranzo era praticamente finita. La campanella dilaniò il silenzio dei corridoi e il ragazzo si diresse lentamente verso l'aula di storia americana, la sua prossima lezione. Si sentiva stanco, il suo corpo gli pareva pesante come non mai. Tutto ciò che avrebbe voluto era buttarsi a letto e dormire per una settimana intera.
Ma la giornataccia era appena cominciata: per la seconda volta da quella mattina sentì mancargli il terreno da sotto i piedi, che sembrava stare sgretolandosi insieme alle sue certezze. Hannah e Tom, di nuovo insieme, camminavano per i corridoi fianco a fianco. Tom non sembrò accorgersi di lui, ma Hannah sì. Quando lo vide lo fissò con sguardo spaurito, gli voltò le spalle e corse via.

Lei.
Alla fine Hannah decise di seguire il consiglio di Tom, anche se per nulla dettato dal generosità o simili sentimenti. Nei giorni seguenti alla loro conversazione Jace e lei si erano evitati, e aveva evitato anche Tom, nei limiti del possibile dato che sembrava starle sempre dietro, come un'ombra, cosa che reputava piuttosto inquietante.
Così era arrivata la vigilia di Natale e ancora non avevano chiarito la situazione. Hannah poteva dal canto suo dire che era la paura a frenarla, e quanto sforzo le costava recarsi a casa del ragazzo come stava facendo. Non sapeva dire cosa frenasse lui dall'andare a parlarle, invece. Non poteva pensare che Jace avesse paura proprio come lei. Forse reputava toccasse a lei fare la prima mossa.

L'autista fermò l'auto proprio davanti al portone d'ingresso del palazzo. Hannah scese celermente e fece per entrare nell'edificio quando un foglio appeso al portone ne attirò l'attenzione. Non poté fare a meno di fermarsi a leggere. Non la colpì la notizia della vendita del palazzo, ma il nome della compagnia che l'aveva comprata. Gamble & Harclay... Due nomi noti, troppo a dire il vero ma poteva sempre essere una banale coincidenza. D'istinto strappò il foglio e lo infilò in tasca. Si precipitò su per le scale, che mai gli parvero tanto lunghe. Arrivò trafelata al tredicesimo piano solo per scoprire che Jace non era in casa.
-Dovresti salire sul tetto.- le suggerì Greta, indicandole la rampa di scale in metallo che partiva proprio dal loro pianerottolo. Così aveva fatto, ma ora non aveva il coraggio di uscire dall'ombra e raggiungere Jace, che vedeva attraverso la finestrella della porta che, se fosse stata chiusa a chiave, avrebbe impedito l'accesso all'ampio tetto del palazzo, tanto grande da poterci fare un giardino o persino un orto.
Il ragazzo era illuminato dalle luci dei faretti che illuminavano il tetto stesso, fumava una sigaretta appoggiato conto la rete di protezione che circondava tutto il cornicione su cui sedeva. Si rese improvvisamente conto di non sapere cosa dirgli. Non si era preparata un discorso vero e proprio, sperava le parole venissero da sole, ma queste latitavano. Intanto la sigaretta di Jace stava per finire, e presto si sarebbe alzato per tornare a casa. Doveva muoversi o avrebbe perso anche quell'occasione. Aprì piano la porta e sgattaiolò all'esterno. Una sferzata di vento gelido l'investì in pieno. Non era certo il posto più salutare per un convalescente, ancor meno salutare era il fatto che si trovasse li a fumare dopo essersi appena rimesso da una brutta bronchite. Il ragazzo comunque non sembrò accorgersi della sua presenza, finché lei non gli rivolse la parola.

-C'è una bella vista da qui...- mormorò, tenendosi a qualche metro di distanza da lui. Quando Jace si voltò, Hannah pensò che con quella sigaretta tra le labbra e l'aria stanca sembrava molto più adulto di quanto non fosse, addirittura, e la imbarazzava solo pensarlo, più sensuale. Il ragazzo buttò via la sigaretta con uno scatto, come se si vergognasse di essersi fatto sorprendere a fumare. Hannah gli si avvicinò titubante ma inesorabile, anche se lui ancora non aveva detto una parola.
-Jace, perché non mi hai detto della vendita del palazzo?- estrasse dalla tasca il foglio, che essendo stato infilato in una tasca senza troppo riguardo si era tutto spiegazzato, e lo dispiegò prima di tenderglielo. Lui lo prese, l'osservò per un tempo che alla ragazza parve protrarsi in eterno.
-Volevo dirtelo...- cominciò, senza sollevare lo sguardo da foglio che si rigirava tra le mani, come se cambiarne il senso avrebbe potuto cambiare anche il senso del messaggio che recava. - La prima a cui ho pensato di dirlo sei stata tu. Poi però è successo quel che è successo e... Avevo paura che saresti scappata. é la mia più grande paura vederti scappare via da me.- disse con un sorriso pieno di triste ironia, con cui sembrava prendersi un po' in giro per la sua debolezza. Le tese nuovamente il foglio,e quando lei allungò la mano per riprenderlo, le afferrò un polso con la mano libera e la tirò verso sè, stringendosi a lei, le braccia incrociate intorno alla sua vita e il volto premuto contro il suo stomaco.

Lui.

-Mi dispiace, non volevo trattarti così, sul serio. Se io avessi immaginato che eri tu mai mi sarei permesso di... E poi volevo chiederti scusa, lo volevo con tutto il cuore ma ti ho visto con Tom e poi sei scappata via e io per la prima volta non sapevo proprio come comportarmi. Sono un imbecille. - disse alla fine di quel breve e sconclusionato discorso. Jace sembrava più che mai un bambino, in quel momento. Spaventato almeno quanto lei dall'intensità dei proprio sentimenti, si era trovato a non sapere cosa dirle, ma al contempo ad avere un bisogno incontrollabile di lei, della sua vicinanza. L'aveva stretta senza riflettere, preda di un impulso momentaneo, ma non riusciva a pentirsi di quell'avventatezza, non se lei gli posava una mano sul capo e lo carezzava così dolcemente come stava facendo.
-Ho creduto di averti ferito, in qualche modo ma senza sapere come. Anche io avevo paura. Paura che non volessi avere più niente a che fare con me. Ed ero spaventata perché non sembravi neppure tu. Mi hai guardata con tanto odio quella volta che non potevo trovare nulla di te in quell'espressione.- Jace sollevò il capo, osando finalmente fissarla in volto.
-Non potrei mai odiarti, neppure se mi pugnalassi alle spalle. Saresti sempre importante per me perché io...- smise improvvisamente di parlare, conscio di stare per lasciarsi scappare qualcosa di molto, troppo simile ad una confessione. Scattò in piedi, posando le mani sulle spalle della ragazza, come a mettere distanza tra loro. -... io ti voglio molto bene.- concluse, titubante. Hannah ancora una volta fu troppo ingenua per porsi delle domande, anche se gli parve di scorgere nuovamente un lampo di delusione nei suoi occhi.
-Anche io ti voglio bene.- rispose, abbracciandolo a sua volta, sebbene con molta meno passione di quanto non avesse fatto lui in precedenza. Jace doveva mettere fine al supplizio: la voleva vicina e tutta per se, sentirne il calore e sentirlo fondersi con il suo era quanto più vicino ci fosse al suo paradiso ideale. Eppure quella stessa vicinanza lo distruggeva pian piano, perché continuava a reprimere i propri sentimenti in un cantuccio, senza dargli la possibilità di esprimersi. Era solo per paura che non tentava neppure di dirle quanto l'avesse fatto innamorare, una paura stavolta imputabile solo a se stesso. Lei non aveva colpa se lui era troppo codardo.
-é meglio entrare, che dici?- tentò di smorzare la tensione allontanandola da sé ancora una volta. Le mise un braccio intorno le spalle, conducendola fino alla porta. - Ti offro qualcosa di caldo, vuoi?Tu non lo sai, ma mia madre fa una cioccolata calda addirittura libidinosa!-

Lei.

Hannah si lasciò condurre giù per le scalette fino all'ingresso di casa Stein. Ancora una volta avvertiva un'amara sensazione, come di una speranza disillusa, una speranza che non sapeva neppure d'avere coltivato. Era come se avesse saltato un passaggio importante della loro conversazione. Nella loro relazione mancavano dei tasselli fondamentali, ma non capiva proprio cosa mancasse. Jace sembrava essere stato sul punto di dirle qualcosa di importante, ma poi si era bloccato. Quando poi le aveva detto di volerle molto bene era stata tanto felice da offuscare qualsiasi altro pensiero molesto. Poteva accontentarsi di questo. Poteva vivere una vita intera solo con il suo “bene”, accontentandosi di quello senza chiedere mai che si tramutasse in “amore”.


Gli altri.
Hannah rimase tutta la sera a casa loro. Guardarono dei film natalizi alla T.V., mangiarono cinese e bevvero una tazza della cioccolata speciale di Greta. Tutto sembrava perfetto, e quando Jace si appisolò con la testa sul grembo di Hannah, già addormentata, Greta fu colpita dalla scenetta casalinga, tanto tenera e dolce, come si viene colpiti da uno schiaffo in pieno volto. Rimase ad osservarli per un po', indecisa se svegliarli o meno, ma non ne ebbe il coraggio, neppure quando George venne a prendere Hannah. Lo fece entrare, e senza dire una parola lo afferrò per un braccio e lo trascinò fino al sofà.
-Guardali e dimmi una cosa: come possiamo far loro una cosa del genere?- disse in un sussurro disperato.
-Greta sono ragazzi.- disse lui, facendola sentire come una bambina a cui cercano di inculcare che l'uomo nero non abita sotto il suo letto. George negava quella che per lei era l'evidenza, facendola sentire stupida. - Tra un mese si saranno già invaghiti di qualcun altro.- sentenziò, dando scarsa importanza alla faccenda.
-Non siamo stati giovani anche noi forse? Non ci siamo sentiti almeno una volta come loro, innamorati persi, fino a credere di impazzire senza l'altro? Non hanno anche loro il diritto di stare insieme? Dammi una ragione per cui dovrei togliere al mio stesso figlio la possibilità di vivere l'amore. é quello che mi stai chiedendo anche tu George, vivere quello che proviamo, o crediamo di provare, eppure vuoi negarlo ai nostri figli. Io non voglio frequentare un uomo che toglierebbe una delle più grandi gioie della vita alla propria creatura.- sentenziò decisa, allontanandosi di qualche passo da lui.
George non rispose. Tornò ad osservare Hannah, con il capo pigramente reclinato di lato, contro lo schienale del divano. Per la prima volta fu capace di mettere in dubbio il proprio valore come uomo e come genitore. Non era stato un buon padre, doveva riconoscerlo. Non sarebbe mai stato neppure appassionato e affettuoso come Greta, che non smetteva mai di raccontargli aneddoti sul suo Jace, e di vantarlo, mentre lui si era reso conto solo allora di non sapere nulla di Hannah. Non riusciva ad accettare però l'idea di dover rinunciare a Greta per amor suo. Era troppo egoista per farlo.
-Non abbiamo dei diritti anche noi?- mormorò infine, distogliendo lo sguardo dai due adolescenti per posarlo sulla donna di cui si era invaghito a prima vista, ma che sembrava non poter far sua in nessun modo.
-Abbiamo anche delle responsabilità come genitori, e queste vengono prima di tutto. Io, in tutta coscienza, non posso fargli questo.- Ancora una volta, George non replicò, anche se, dopo aver riflettuto aggiunse qualcosa. Una proposta, l'avrebbe definita lui. Una condanna, l'avrebbe definita Greta più in là.

-Jace la settimana prossima sarà legalmente un adulto, e Hannah lo sarà l'anno prossimo. A quel punto saremo liberi da ogni responsabilità genitoriale, almeno agli occhi della legge. E i nostri figli saranno liberi di andarsene di casa se non dovessero gradire la nostra relazione. Facciamo un patto: continuiamo a frequentarci, vediamo come va. Se quando loro due saranno entrambi maggiorenni tu mi vorrai ancora, perché io ti aspetterò, allora farò tutto ciò che vuoi, e sarà fatto alla luce del sole, come tu desideri.- Le prese una mano e la baciò dolcemente, tentando di rabbonirla con un poco di galanteria.
-Mi stai proponendo di continuare la nostra relazione in segreto. Mi stai proponendo ancora una volta una cosa che non voglio fare, cerchi di prendermi in giro o cosa? Non ho intenzione di avere un segreto con Jace, e solo per vedere "come vanno le cose"? Non voglio fare niente del genere.- Ritirò la mano, incrociando le braccia al petto.
-Io ti ho dato un'alternativa Greta, più di questo non posso fare. - mormorò stancamente l'uomo. - Non abbiano molte altre possibilità. Almeno pensaci.-




L'angolo dell'autrice: 

Ebbene si, ce l'ho fatta a pubblicare ache questo capitolo! Olè! Giubilo!!
Grazie a tutti voi miei adorati lettori, grazie davvero.
P.s: ho aperto un blog per le mie storielle, per ora c'è ancora poco, ma presto pubblicherò spoiler, out takes e altre curiosità sulle mie storie e sulla storia che ho in cantiere. Dateci un'occhiata se vi avanza del tempo. ^_^




  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Noony