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Autore: Tetide    05/01/2011    26 recensioni
Una donna sospesa tra due vite. Un uomo che vorrebbe amarla. Un volo. Ed in mezzo, un cielo dove tutto rimane sospeso per sempre. O forse no?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Marie Antoinette, Oscar François de Jarjayes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Falling into nothingness



FALLING INTO NOTHINGNESS


Fa un caldo da morire, qui dentro.
C’è un’aria che ti soffoca, che ti toglie il respiro.
Sembra entrarti nella testa, annebbiarti la ragione ed i sensi, prendere possesso della tua volontà.
Non capisco come facciano gli altri passeggeri a sopportarla.
O forse, farei meglio a chiedermi come faccio a sentirla solo io.
Perché il problema, quello vero, sono io.

Non so dove sto andando, né perché. Sono qui e basta.
Su questo aereo, diretta verso uno di quei luoghi dove tutti qui sembrano aver qualcosa da fare: chi va a lavorarci, chi è atteso dalla fidanzata o dal marito, chi rivedrà i parenti dopo anni.
Sono io la nota stonata. Io che laggiù non ho nulla da fare. Io che non so nemmeno dove sto andando.
Sono salita su questo aereo per scappare, non ho nemmeno chiesto all’impiegato al banco dove fosse diretto il volo: l’ho preso e sono corsa via.
Via da me stessa.
Via da lui.
Da André.
Sono scappata perché non ho sopportato la verità, quella verità che lui mi stava sbattendo in faccia, e che io ho cercato di negare per tutta una vita.
La realtà di essere una donna.
Mi chiamo Oscar Françoise de Jarjeays, ed il primo nome me lo sono messo da sola, all’età di sedici anni.

Volevo giocare a calcio, come fanno di solito i maschietti, ma a me, una femmina, non era concesso. Loro non volevano una femmina nella squadra.
Allora, mi sono travestita da bambino, ho indossato indumenti maschili, e mi sono presentata a loro come Oscar. E loro mi hanno creduto.
Avevo dieci anni. E’ stato l’inizio di una nuova vita.
I miei coetanei mi apprezzavano, mi coinvolgevano in tutto quello che facevano, chiedevano il mio parere. Perché non sapevano che, in realtà, ero una femmina.
Quando volevo fare qualcosa che mi facesse star bene, mi tramutavo in Oscar; poi, a casa, tornavo ad essere per tutti Françoise.
La mia famiglia non ha mai saputo della mia doppia identità e della mia doppia vita; nessuno lo ha mai saputo, finché, a sedici anni, ho potuto finalmente mostrarmi per quella che ero: una ragazza con modi da maschiaccio.
Avevo nuovi amici, e le cose erano diverse, ora. Non mi mettevano più da parte perché ero una ragazza; ma il fatto di essere “diversa” dalle altre ragazze, più “virile”, mi rendeva speciale.
Tutti mi ammiravano, e io mi sentivo bene.
Così, ho deciso di diventare Oscar Françoise: ho incorporato la mia mascolinità, per anni finta, nel mio nuovo modo di essere.
Tutto suggellato in quel nome.
E per molto tempo, ho vissuto in questa strana pelle: una ragazza, con i modi di un maschio.
Non mi piaceva truccarmi, né vestirmi come le altre ragazze; le mie amiche, Antoinette e Rosalie, mi dicevano sempre che avrei dovuto cambiare, se volevo fidanzarmi, ma a me non importava niente.
Non volevo fidanzarmi. Per cosa, poi? Un uomo accanto lo avevo già.
André.
Mio amico d’infanzia, cresciuti assieme, come due fratelli, inseparabili, una cosa sola.
La luce e l’ombra.
Con lui ho diviso tutto. Lui era l’unico a sapere del mio travestimento. Lui era l’unico a conoscere i miei difetti e le mie debolezze.
Non avrei potuto immaginare la mia vita senza di lui.
Allora, perché avrei dovuto volere un altro uomo?

Ma un giorno, il destino mi riservò un brutto scherzo.
Nella nostra facoltà arrivò un bellissimo giovane straniero, Axel Fersen, che divenne in breve tempo l’oggetto del desiderio di tutte le ragazze. Me compresa.
Lo confesso, non seppi come resistergli.
Caddi letteralmente ai suoi piedi.
E, per la prima volta in vita mia, accettai di essere una donna. Di più, desiderai di essere una donna. Ed iniziai a fare tutte quelle cose che mi avevano sempre fatto ridere nelle mie amiche, come imbellettarmi e indossare vestiti sexy: volevo che lui mi notasse. E mi notò.
Era ad una festa di Laurea di un amico comune: mi ero vestita e truccata di tutto punto, ma mi sentivo a disagio con quella gonna troppo corta ed il corpino stretto.
Lo facevo per lui.
Lo avvicinai, e ballammo tutta la sera; poi, andammo a letto insieme.
La prima volta, per me. Avevo desiderato un uomo, e lui mi aveva fatto donna.
Donna sul serio.
All’inizio ero felice, è vero.
Ne parlai ad André, e lo vidi rattristarsi dietro una maschera di gioia apparente.
“Sono felice per te”, mi disse.
Stupida che ero, come ho fatto a non capire già da allora come stavano realmente le cose?
Ma il peggio doveva ancora venire.
Un pomeriggio, mentre tornavo a casa dal lavoro, passai davanti ad un’auto in sosta, e vi notai due persone dentro, impegnate in un furioso amplesso.
Qualcosa mi spinse ad avvicinarmi a quella vettura, ed a guardare meglio. Erano Axel ed Antoinette.
Feci un passo indietro, ricordo, ammutolita per l’orrore.
Non poteva essere vero! Il mio fidanzato, con cui volevo andare a vivere assieme, aveva una tresca con una delle mie migliori amiche.
Li affrontai. E loro ammisero la verità.
Bastardo!! Non riuscii a perdonarlo.
Mi aveva ferita a morte. Mi aveva tolto tutto quello che ero e che avrei voluto essere per pugnalarmi alle spalle.
Per lui, avevo accettato di essere una donna, in tutto e per tutto, rinunciando al mio modo di vivere; per lui avevo accettato di indossare quei panni che non mi si addicevano.
E per cosa? Per essere vilmente tradita? Con una mia cara amica, anche?
Non volli mai più rivederli.

E presi la mia decisione. Volevo vivere come un uomo, in tutto e per tutto.
Da ora in avanti, avrei protetto il mio cuore da altre ferite, simili a questa, perché lo avrei messo al riparo dalla causa: l’amore.
Non avrei più amato un uomo, perché sarei stata io stessa un uomo. E avrei vissuto come un uomo.
Corsi a dirlo ad André.
Lui approvò, gentile come sempre.
Ed io iniziai una nuova vita. Una vita da uomo.

Tutto questo, fino a poco fa.
Non so che cosa mi abbia preso, ieri sera.
Forse il desiderio d’amore, che nonostante tutto non ha mai lasciato il mio cuore di donna mortificato, ha avuto il sopravvento.
Io ed André, soli in una stanza.
Ci siamo guardati negli occhi; ad un tratto lui mi si è fatto vicino, troppo.
Ci siamo baciati. Per la prima volta dopo tanto tempo, ho riassaporato il sapore delle labbra di un uomo sulle mie.
Un bacio dolce, intenso, senza fine.
Un bacio che ho ricambiato, spinta solo dall’istinto, priva della mia ragione.
E poi, ho udito le sue parole.
“Io ti amo, Oscar, ti ho sempre amata”.
Poche, semplici, schiette.
E la verità mi ha fulminata, quella stessa verità che avevo avuto sempre davanti agli occhi senza mai vederla.
André, il mio amico, il mio compagno di giochi, mi amava.
Ed io? Lo amavo anche io? Non lo so. Forse.
Ma in quel momento, desideravo sentirmi amata un’altra volta.
L’ho baciato di nuovo; abbiamo iniziato a spogliarci, a toccarci.
Ma il mio coraggio è finito lì. La ragione è tornata, prepotente come prima, a reclamare i suoi diritti.
Io avevo scelto di vivere come un uomo, di non amare mai più. Non potevo concedermi simili debolezze.
Ho avuto paura: paura di André, del suo amore, del suo calore, della sua dolcezza; mi sono staccata da lui, come scottata, spaventata sotto il suo sguardo stupito. E quando lui me ne ha chiesto la ragione, io gli ho risposto, dicendogli la verità.
Che volevo vivere come un uomo, non amare più.
E ancora una volta, André mi ha stupito. Lo ha fatto con la verità.
“Una rosa resta sempre una rosa”, mi ha detto dolcemente.
Una donna sarà sempre una donna.
L’ho guardato, in silenzio. Quel suo sguardo così dolce mi stava gettando in faccia la verità, una verità a cui non si poteva replicare. E la sua dolcezza era ancora più disarmante di cento schiaffi.
Mi si è avvicinato, lentamente, prendendomi fra le braccia ed accarezzandomi il viso. Le sue mani erano calde e rassicuranti.
Volevo perdermi tra di esse, mentre riprendeva a baciarmi con dolcezza.
Avvertivo il mio desiderio farsi più forte, fino a farmi male, mentre le sue mani si insinuavano sotto alla mia camicetta, e potevo percepire la sua pelle calda ed umida sulla mia.
Ma per l’ennesima volta, la ragione ha detto no.
E di nuovo non ce l’ho fatta.
Mi sono staccata da lui con violenza, guidata da quello che era un istinto di sopravvivenza applicato al momento sbagliato, e che mi spingeva a sfuggirlo come il più mortale dei pericoli. Sono corsa fuori da quella stanza, da quella casa, mentre le sue parole mi seguivano nel vento “Oscar, che ti ho fatto? Perché scappi via da me, Oscar?”.
Non avrei saputo rispondergli: scappavo e basta. Lo sentii venirmi dietro, e presa dal mio panico incontrollato salii in macchina mettendo in moto e partendo subito.
La nostra corsa frenetica per le strade; sentivo la sua macchina dietro alla mia come le sue parole continuavano ad inseguirmi “Una rosa sarà sempre una rosa”. E correvo, fuggivo via.
Da lui. Da me stessa.
Dalla donna che ho avuto paura di essere.
Non so come, sono arrivata all’aeroporto; sono scesa, avevo un certo vantaggio su di lui. Ho acquistato un biglietto per il primo last minute in partenza, senza nemmeno chiedere dove andava.
Mi sono diretta al gate. L’ho visto con la coda dell’occhio mentre superavo i controlli di sicurezza. Continuava a gridare “Non puoi scappare da te stessa, Oscar!”.
Poi, è sparito dalla mia vista.

Ed ora mi trovo su questo aereo.
Non so cosa ho fatto, né il perché l’ho fatto.
La sola cosa che so è che sono scappata. E adesso mi trovo sospesa in aria, e non solo in senso fisico; la mia anima è sospesa.
Sospesa nel nulla.
Non so dove sto andando.
Non so cosa voglio fare.
Non so cosa debbo fare.
Ovunque andrò, quando atterreremo, sarò un’estranea. E mi toccherà ricominciare daccapo.
Perché non ho voluto accettare la verità di prendere la mia reale posizione, e non si può rimanere sospesi in eterno.
Nel luogo che ho lasciato sarei costretta a fare i conti con me stessa, e con lui.
Morale della storia: solo su questo volo mi è consentito rimanere sospesa. Sospesa come sono stata da tutta una vita.
Ma non si può restare sospesi in eterno. Prima o poi, si scende.
O si cade. Nel nulla.
Come sto facendo io, ora.

                                 **********

Tutto questo è surreale. Assurdo.
Mi trovo qui dopo quella telefonata.
Fino a ieri, ero con lei. Noi due, insieme.
Ma lei è scappata via da me.
Ed io non l’ho potuta fermare.
Sono tornato indietro sconfitto. Poi, quella telefonata nella notte.
Ed ora mi trovo qui, assieme a centinaia di altri afflitti che attendono le parole di qualche individuo in divisa come fossero la sola cosa che possa aiutarli. E’ strana quest’atmosfera di festa triste che raduna tutte queste persone estranee e li fa diventare fratelli nel dolore, improvvisamente e per sempre.
Sembra un raduno festoso. Ma di festoso non ha proprio nulla.
Alcuni dei presenti tengono in mano gli oggetti personali dei loro cari, piangono. Io non so cosa fare.
Penso a te.
A te che mi hai lasciato quando forse avremmo potuto iniziare davvero, assieme.
A te che non hai voluto accettare la realtà del tuo essere donna, del tuo bisogno d’amore.
Hai preferito restare nel limbo di chi non prende una posizione, perché non vuole accettare la realtà; e quel limbo, adesso, ti ha inghiottita.
Eri sospesa nel nulla, e per restarvi hai perduto te stessa.
E’ questo che hai pensato quando avete impattato il suolo? Hai rivisto me che ti spingevo ad essere donna? O hai rivisto lui, che ti ha costretto a creder di non esserlo?
E cosa fa lui qui, ora? E’ spinto dal rimorso? O è solo curioso?
Eppure, lo vedo piangere. Vedo i suoi occhi farsi lucidi.
Sei pentito, Fersen? Pensi di averla uccisa tu?
Ma che senso ha parlare di colpe, adesso?
Da questo momento e per sempre, noi siamo fratelli, nello stesso dolore.
Non rivali. Fratelli.
Ci guardiamo, un lungo sguardo che dice tutto.


Chiedo scusa se è triste, ma mi è stata ispirata sul volo di rientro: ho pensato ad Oscar, sospesa tra due vite, metaforicamente, oltreché sul serio.
In effetti, risolversi su quale delle due vite scegliere era un tantino complicato, così ho lasciato che fosse il destino a scegliere per lei nessuna delle due.
André e Fersen sono accomunati dallo stesso dolore, ora: ho anche voluto che Fersen la ricambiasse, accorgendosene troppo tardi; l’ho riscattato un po’, ma ne ha diritto anche lui, porello!
Allora, ditemi che ne pensate.






 


  
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