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Autore: Luxiwan    06/01/2011    1 recensioni
*Spoiler 2 libro*
[Magnus/Alec]
Debolezza. Profonda ed inestirpabile debolezza.
Prova di umanità e fragilità.
E le paure, i timori... I complessi. E le ansie, e le speranze.
La profondità dei sentimenti e la tortura per la loro intensità.
La disperazione di uno, il dolore dell'altro.
È come esser prigionieri di una gabbia senza consistenza, ed essere privati della possibilità di evaderne.
È come affogare, perché l'amore è simile alla paura: spaventa,tortura, distrugge... Ricostruisce.
Unisce.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Incomprensione: Come annegare nella paura mentre non mi è concesso raggiungerti.


"Se ottengo la morte morrò così tranquillo e così contento,
come se mai null'altro avessi sperato né desiderato al mondo."(*)



Incomprensione:
Come annegare nella paura mentre non mi è concesso raggiungerti.



-Ma...Magnus...?-
Le sue labbra si mossero come animate da una propria ed indipendente volontà.
Di qui, Alec divenne irrequieto. Quell'inquietudine... Quella violenta fitta allo stomaco, quel ben noto senso di oppressione... PERICOLO.

-Dan... Dannazione!- Il cacciatore inveì a vuoto.

***



Contro le pupille tremule ed incerte dell' ansioso Cacciatore persisteva l'immagine, scolorita e confusa, del bambino; pian piano si deformava perdendo lucentezza e definizione, fino a che il volto non divenne disordinato ed etereo fumo ed il corpo rivoli inconsistenti di nebbia ed ombra.
La nube fu come un tifone ai suoi occhi... Divenne distruzione e creazione: un' incandescente burrasca. 


Simile ad una silenziosa guerriglia: la tempesta distrusse il vuoto in cui era stato inghiottito, mentre il fumo gli penetrò le carni attraverso gli occhi e le orecchie, attraverso il naso e la pelle. Un singulto di stupore e di nuovo era lì, racchiuso nel  macabro cimitero dell'Angelo cristallino.
Le lapidi si concretizzarono all'istante, prima grigie sagome, successivamente tetre icone di morte. E di nuovo vide la bestia, docile e irosa nella sua umiltà.

Questa volta fu con un sommesso ringhio, con un funesto scroscio di rabbia che il gatto accolse il giovane: si rizzò sulle zampe inarcando la schiena sulla quale l'oscuro pelo svettava come un pugno di aghi dall'acuminata punta. La bestia persisteva prontamente nel suo soffio, un misto di allarme ed emergenza, di terrore e furore; e maggiormente l'animale lamentava il proprio malessere, lo scortese disagio, più violenta si faceva la sua attitudine; indietreggiò, ma furono pochi esigui centimetri. Si appropinquava, forse per istinto, forse per noncuranza, presso la sepoltura misera e lacera, sebbene prestasse maniacale cura a non sfiorarne l'architettura quasi che una barriera di energia gli negasse l'accesso. Digrignò i denti, scoprendone la bellezza e la cattività, e avrebbe certamente attaccato, quel rito d'impeto e furia non sarebbe stato altro che l'introduzione di una più smaniosa aggressione, se solo non fosse avvenuto un grido, grave nella sua agonia, acido nella sua spietatezza, disperato nella sua solitudine, asciutto nella sua stanchezza.
Per quei secondi protrattisi in minuti, Alec si percepì cieco, paralizzato, incredulo.
Spaventato.
Quell'eco si dimostrò simile al canto delle sirene e alle note delle Meduse: le une seducevano, stordivano e stregavano, mortifere, l'uditore; le altre accecavano, catturavano e rovinavano l'ascoltatore conducendolo all'estremo sospiro.
E magari, -ponderò- la tortura altro non era che il pianto di un essere ibrido figlio del mare e della terra, disperso e nascosto, vittima di sacrilegi,erede di sventura, marchio di dolore e piaga di abbandono.
La vergogna di una madre.
Il disonore di un padre.
Il rampollo di bestie e uomini.


Fu un flash di comprensione, comprensione che gli scivolò addosso come una pioggia di fulmini e saette, come una grandinata di sassi e rovi.

Ruotò il volto pallido allo scatto del muso della bestiola e ne seguì la direzione.

Un ragazzo regnava sul cimitero, superbo nel suo aspetto di onnipotente  vendicatore.

***





Sangue, sangue, sangue...E null'altro.

Sangue.

Ecco che quella dimensione si tramutò nell'Inferno, nel reale Inferno.
Il sangue arredava, vermiglio e grigiastro, l'ambiente, il medesimo che poco prima era un lapidario ora si era tramutato in scenario di somma follia, di insano agire, di irragionevole subire, privo di sepolcri, stracolmo di cadaveri.
Un cumulo di ossa, carne, organi ed intestini formavano un'immensa montagna apparsa nel retroscena, innalzandosi di fronte ad un cielo indistinguibile dal vuoto; un fiume di lava occupava il lato opposto, delineando l'inizio e la fine del regno.
Poi vi era il Re: il peccato, la perdizione, il male.

E magari Alec lo avrebbe temuto, sarebbe scappato, avrebbe gridato aiuto se quello fosse stato il Male, ma lui non poteva esserlo, non lui, non Magnus.
Non Magnus.

Nessun Diavolo avrebbe potuto piangere, o almeno non come in sua presenza stava facendo lo Stregone; calde e cristalline lacrime gli rigavano le guance, profondamente arrossate e marchiate di lividi e ferite.
Indossava gli stessi stracci del bimbo, semplicemente ancor più logori, ancor più sporchi, ancor più consumati e luridi.
E le sue mani tremavano, tremavano tremendamente.
E il suo labbro fremeva sotto la costante pressione del superiore che gli impediva, fiero, di cedere ad una sinfonia di monotoni e affaticati singhiozzi.

E ancora Magnus piangeva... Gli occhi infantili sgranati dal terrore, il corpo magro deturpato da ferite, i piedi rigidi bagnati dal sangue. Lunghe ed informi ali gli laceravano le carni della schiena e come il peggiore e più deturpante spettacolo scattavano ad ogni brivido della Terra; erano un ammasso di sinuose curve, di repentini strappi, di collose piume che potevano forse appartenere alla più mediocre delle chimere.
Nere come l'universo, grigie come la cenere, blu come l'oceano invocavano terrore e collera.
E se magari il Cacciatore avesse scommesso di non sentirgli mai pronunciare tali parole, avrebbe disonorevolmente perso.

“Mi... Dispiace”.

Ed ecco che i ricordi cominciarono ad incassarsi al proprio posto.
Magnus, il bimbo, il ragazzo...Il Diavolo ed il gatto.
Ed il ricordo di un racconto, di una favola surreale narrata tempo addietro, un po' per distrazione, un po' per noia si destò dai più profondi meandri della mente del ragazzo per investirlo completamente, quasi fatalmente.


“...Vuoi sapere com'è quando i tuoi genitori sono delle brave persone che vanno in chiesa e tu nasci con addosso il marchio del Diavolo?
Quando tuo padre rabbrividisce solo a vederti e tua madre s'impicca nel fienile, impazzita alla vista di suo figlio?
Quando avevo dieci anni mio padre cercò di affogarmi in un torrente.
Io lo colpì con tutta la forza della mia mente. Lo carbonizzai dove si trovava.”


Ecco il ricordo, ecco la consapevolezza, ecco la realtà, ecco il passato fondersi con il presente, un futuro scomparso.
Debolezza.
Debolezza.


-Ma...Magnus...?-
Le sue labbra si mossero come animate da una propria ed indipendente volontà.
Di qui, Alec divenne irrequieto; quell'inquietudine... Quell' acuminata fitta allo stomaco, quel ben noto senso di oppressione...PERICOLO.

-Dan... Dannazione!- Il cacciatore inveì a vuoto; una mano scattò in avanti, tesa ad afferrarlo, pronta a abbracciarlo, desiderosa di...
Alec Lightwood si allarmò notando che, sebbene si stesse affrettando in sua direzione, non di un passo aveva tagliato la notevole distanza che li separava; camminava ora, lo sguardo rivolto al misero, ma più provava ad avvicinarsi, maggiormente si sentiva affondare. Un suolo plastico pareva intenzionato a strappargli le gambe, tanta era l'avarizia con la quale lo stava risucchiando a sé.
Ancora una falcata ed un'altra, una ancora ed il Cacciatore dovette arrendersi all'impulso di crollare a terra; fissò Magnus e da quella angolazione gli fu facile cogliere le sfumature vermiglie delle lacrime.

-Dannazione, dannazione, dannazione.- Inveiva, rantolava, lamentava, inorridiva, divampava la rabbia nel suo cuore mentre le mani correvano alle ginocchia nel futile tentativo di liberarle dalla morsa dura e punitiva di cui erano vittime. Tirava a sé le gambe nonostante provasse l'intenso dolore di sentire le caviglie tendersi ma non liberarsi, i nervi sforzarsi ma mai abbastanza, i legamenti tirare e poi...Spezzarsi, allo stesso modo in cui il tessuto dei pantaloni si sfilacciava un attimo prima di strapparsi sotto tensione. Poco dopo rimase solo con un frammento di jeans tra le dita nel frattempo in cui, carezzando lo Stregone con lo sguardo, si udì pronunciare con urgenza, forse con spavento, forse con disperazione mossa dall'impotenza, il nome di quel Diavolo, il cui pianto fluiva, la cui sofferenza lacerava, il cui tormento feriva, feriva, feriva.

-MAGNUS.-
Avrebbe voluto andare da lui.

Il ragazzo si domandò quando il terriccio si fosse tramutato in sabbia e come fosse riuscito a creare attorno a lui una sabbia mobile, o perché proprio attorno a lui l'avesse situata. Si ricordò di quante e quante volte avesse avuto la sensazione di rimanere immobile, rigido, fermo, se, malauguratamente, ci si fosse ritrovati in mezzo ad una di esse; ma, ironicamente, pensò che il vivere e l'ipotizzare erano davvero due fatti maledettamente differenti: non uno, NON UNO si sarebbe mai potuto ritrovare nella sua stessa situazione.
Perché di fronte a sé aveva Magnus Bane, il grande Magnus Bane.
Perché davanti a sé poteva osservare la disperazione di un ragazzo, la miseria di un bambino, la paura, il terrore, lo spavento di un uomo.
Perché davanti a sé scrutava con incredulità il volto di uno Stregone piangere calde lacrime di sangue e dolore.
Perché Magnus era lì solo, solo, solo ed in procinto di crollare, di rinunciare, di morire.
Perché aveva avuto dalla sorte l'indesiderato dono di poter vedere la sfumatura più intima, più fragile, più debole del Nascosto.
Perché ora, Alec Lightwood pur tentando, pur insistendo non riusciva a capirsi; non riusciva a spiegarsi le lacrime che aveva iniziato a versare una volta fatta propria la consapevolezza che non avrebbe potuto fare nulla per l'altro; non riusciva a spiegarsi quella egoistica necessità di consolare Magnus, di sorridergli ed elogiare la bellezza dei suoi occhi felini, di stringergli la mano.
Perché per la prima volta volta si era ritrovato a desiderare di fare qualcosa di gentile per qualcun altro che non fosse Jace.
Perché era già consapevole che, passato il momento, sarebbe tornato ad essere il ragazzo di sempre, un poco più cinico, più chiuso, più distante.
Perché quello era Magnus Bane.

Il Cacciatore sollevò dal suolo una mano in direzione di Magnus, sprofondò per l'ennesima volta mentre, in un estremo gesto di salvezza, additò la terra per ritrovarsi un pugno di sabbia tra le dita.

-Magnus- sussurrava mentre, d'improvviso, l'ambiente attorno a lui prese ad incupirsi fino a tramutarsi in malsana ed opaca oscurità.
 





(*) :  G. Leopardi.



Note dell'autrice:

Ed ecco qui il 3 capitolo.
Wow, da non credersi. E dico sul serio; per un certo periodo, ho creduto che non avrei più continuato “Debolezza”, non trovavo l'ispirazione giusta per continuarla. Eppure eccolo qui, il seguito. Ha subito tante di quelle modifiche che quasi stento a riconoscerlo, ma doveva nascere così, era destino. In realtà, poco dopo che pubblicai il 2 capitolo, il 3 era già pronto ma decisi di attendere a pubblicarlo, lo cestinai invece, per riprendere la storia dall'inizio (del terzo, s'intende). Così come avrebbe dovuto essere. In effetti, ora come ora non posso far altro che ringraziare quella mia scelta.
Ogni storia al suo tempo per essere concepita e “Debolezza” non poteva che nascere adesso, non prima, non dopo.
Dunque, colgo l'occasione per scusarmi del ritardo (non era previsto che ci fosse XD) e ringrazio tutte coloro che hanno letto la storia, che l'hanno recensita (wow, adesso si può anche rispondere alle recensioni, mitica Erika xD) e che hanno atteso, giorno dopo giorno, l'aggiornamento.
Ah, un' ennesimo ringraziamento a chi arriverà qui in fondo a leggere (in pochi, lo so xD) e avrà scoperto parte delle vicissitudini che hanno colpito questa fanfiction.
Bene bene, allora. Non ho molto altro da aggiungere, se non “ci vediamo al prossimo capitolo”. ^^


   
 
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