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Autore: BBV    07/01/2011    4 recensioni
A diciotto anni, la vita di Victoria Hamilton
è stata completamente stravolta da un brutto incidente,
che l'ha portata a trasformarsi in una teenager ribelle e sfacciata.
Sua madre decide di mandarla a vivere dal padre e dalla sua nuova famiglia: una moglie e due figlie.
Insieme a suo fratello Shane parte per Longwood, un piccolo paese sperduto del Wisconsin.
Per Victoria è l'inizio di un incubo, un incubo dove appare Nathan,
un ragazzo presuntuoso e irruente, il ragazzo della sua sorellastra.
Un ragazzo che con prepotenza, arroganza e gesti folli riesce a sconvolgerle la vita.
«Se non mi dici il tuo nome, io mi butto», strillò ancora, facendomi sobbalzare.
«Victoria», gridai con quanto fiato avevo in gola. «Il mio nome è Victoria».
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie ''The Rain Series''
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Capitolo 15

“Il mondo può aspettare”

 




Alcuni credono che il mondo sia fuoco, alcuni credono sia ghiaccio.

Alcuni credono nel bene, altri nel male. E poi c’è quella piccola minoranza che non sa in cosa credere se non nelle proprie speranze, nelle piccole cose per alcuni insensate e superficiali. Io credevo nei miei sogni, Nathan credeva nei suoi, Shane, Marnie, papà, Emma credevano nei loro sogni.

Tutti abbiamo bisogno di qualcosa in cui credere.

 

«Qualcuno disse “dove le parole finiscono, inizia la musica”», mormorai ad un passo dal suo viso, stesa sulla sabbia calda e brillante.

Erano passate esattamente ventiquattrore da quand’avevo mollato tutto quello che non comprendesse Nathan. Con l’aiuto di Marnie, avevo appianato le preoccupazioni della mia famiglia, ed ero scappata –questa volta non da sola- sulla spiaggia. Il mare era calmo e il vento lasciava che alcuni granelli di sabbia si posassero sul mio corpo, accarezzato dallo sguardo di Nathan.

Non volevo rimanere sola con me stessa, in quel caso avrei dovuto affrontare i miei pensieri che solo per un attimo, avevo accettato.

 

«Chi l’ha detto?», appoggiò il peso su un gomito e i suoi occhi perforarono i miei in un attimo.  

 

«Non ne ho idea», alzai le spalle. «Ma senti questa voce? Vedi queste labbra?», mi indicai sorridendo.

 

«Un giorno varranno oro», dissi in tono falsamente solenne. Poi scoppiamo in una risata.

Stavamo ridendo, scherzando, fantasticando sul nostro desiderato futuro.

 

«Modesta», chinò il capo e alzò un sopracciglio in un espressione buffa. «Ma che ne dici se per adesso, queste labbra», le sfiorò con le sue. «…le usassi per fare beneficenza?», mormorò malizioso.

Non mi lasciò il  tempo di ribattere che ero già avvinghiata a lui. Le mie mani erano intrecciate avidamente al suo collo, le sue accarezzavano i miei fianchi. Per comportarmi in quel modo con Nathan avevo completamente staccato il cervello dal resto di me. Se solo la mia coscienza avesse avuto il tempo di parlare, mi avrebbe capovolto dei rimorsi che di solito mi coinvolgevano fino a farmi impazzire.

Ero egoista.

Per una maledetta volta, si.

Ero impulsiva.

Come sempre.

Ero felice.

Non ne ero sicura.

 

«Non che mi dispiaccia fare nuove avventure», disse staccandosi dall’ennesimo bacio disperato. «Ma non so se è il caso di togliersi i vestiti», arrossii di colpo, violentemente.

Forse ci eravamo spinti un po’ oltre, dimenticando il posto in cui ci trovavamo.

Non potevo perdere il controllo in una spiaggia. Non potevo perdere il controllo e basta.

 

«Facciamo una passeggiata?», chiesi con il fiato ancora corto e le labbra rosse e gonfie.

Si alzò con un abile balzo, aiutando i miei più goffi movimenti.

 

«Allora signor Carver», gli sfiorai una spalla con la mia. «E’ questa la sua idea di uscita insieme?», lo punzecchiai ironica, ridendo della strana smorfia che le si era formata sul volto.

 

«Cominci a pretendere troppo, sai?», si voltò verso di me, continuando a camminare a passi lenti e misurati, affondando i piedi nella sabbia bollente. «Ma…hai ragione, non è questo il nostro appuntamento», arrossii al solo pensiero della parola.

Da quando diventavo rossa? L’unica occasione in cui arrossivo era a causa di Shane, per rabbia. 

 

«Stasera ti porto a cena fuori».

 

«Che cosa?», balbettai in preda al panico. Lui sorrise della mia espressione scioccata e preoccupata.

 

«Ehi, rilassati. Non ti ho mica chiesto di sposarmi. Non c’è niente di strano», provò a rassicurarmi nonostante il suo immancabile ghigno sulla faccia.

Poi mise il suo braccio intorno a me.

Fu un gesto semplice, probabilmente insignificante per lui. Per me non fu altro che alimentare la fiamma che aveva preso vita a causa sua. Aveva messo il suo braccio intorno alle mie spalle in gesto così tranquillo che per un attimo pensai a come dovesse sentirsi Emma quand’era con Nathan. Anche a lei veniva da sorridere, sempre? Anche lei si sentiva sempre così tranquilla? Si sentiva completamente dipendente da lui?

 

«Stiamo andando con calma, no?», chiese conferma nei miei occhi, stringendomi sempre di più verso di se, rendendo la scena tenera ma ridicola. Sembravamo due timidi ragazzini imbarazzati, cosa che non coincideva con le nostre elettriche personalità.  

 

«Già, con calma», mormorai pensierosa. «Però il mondo gira e noi non possiamo rimanere indietro», pesai con cura le parole, usando una metafora per non ammettere quello che entrambi avevamo paura di sentire ad alta voce.

Sbuffò divertito.

 

«Per un po’, il mondo può aspettare».

 

---------

 

«Allora? Cosa devo dire a tuo padre e a tuo fratello?», mormorò con voce ovattata Marnie al telefono.

Ero nascosta in camera di Nathan, non volevo creargli problemi con i genitori, d’altronde, non doveva essere di certo un sollievo vedere il figlio in giro per casa con una ragazza che non era la sua.

 

«Dì loro che sto tutto il giorno con te», e nonostante stessi convincendo un’amica a mentire per me, non riuscii a trattenere un sorriso.

 

«Sicura?», domandò titubante, con lo stesso tono di un’amica preoccupata. Forse credeva che lo stessi facendo controvoglia, oppure che volessi mandargli messaggi in codice tramite semplici affermazioni, ma la realtà non era niente di tutto questo. Volevo uscire con il ragazzo di mia sorella, all’insaputa di tutti. Era una cosa orribile, e lo sapevo bene, i rimorsi non mancavano di certo. Sentivo un dolore allo stomaco ogni volta che pensavo ad Emma, che non meritava quello che io le stavo facendo.

Tuttavia, anche se poteva apparire come una scusa, non ero in grado di prendere una decisione razionale né giusta.

La giustizia della ragione non è quella del cuore.

«Vicky? Ci sei?».

 

«Scusa Marnie… stavo pensando», sospirai, scuotendo la testa e rilassando i muscoli. Stavo diventando di nuovo un fascio di nervi.

 

«Allora…a domani?», chiese incerta. Annuii come se lei avesse potuto vedermi, poi risposi con un flebile “si”, e riattaccai dopo un saluto cordiale.

Quello sarebbe stato un weekend di sole e caldo bollente, lo si vedeva dal cielo quasi trasparente attraverso la piccola finestra della cameretta di Nathan.

Girovagai intorno senza fissarmi su un particolare oggetto, e a parte il copione stropicciato della recita di Nathan, i miei occhi sfuggivano dai dettagli.

La realtà, era che avevo la terribile paura di incappare in qualche oggetto personale, o in un oggetto che non appartenesse a lui. Perciò, come un radar impassibile mi guardavo intorno annoiata, rendendo più facile ai ricordi di tornare a galla.

 

 

«Allora…com’è la sua stanza?».

«Dopo tutto quello che ci avranno combinato dentro, non credo che abbia notato i dettagli», mormorò sarcastica una ragazza dai lunghi capelli rossicci. Le altre due ragazze risero.

«Non siamo come te e Shane, Rachelle. Noi ci andiamo piano», disse una bionda sbarazzina.

«Vuoi dire che tra voi non è successo niente?».

«Beh no…in realtà dopo tre minuti ci eravamo già strappati tutti i vestiti», arrossì la bionda. Nel frattempo la più piccola delle quattro si perdeva in pensieri sconnessi. Vicky, pensava già alle parole della sua nuova canzone.

«Ancora non ci hai detto com’è… ».

«Se le chiedi un’altra volta della stanza ti tiro questo cuscino in faccia!», Rachelle rimproverò scherzosamente Kate.

«Anche se non è il dettaglio che interessa di più, la stanza di Evan è…maschile!», risero all’unisono.

«Ma dai! Io m i aspettavo gli unicorni rosa!».

 

 

«C’è una bella ragazza pensierosa, qui?», una voce mi riportò al presente. Alla Victoria diciottenne, a Longwood.

Nathan era davanti a me, bello e reale. Con le sopracciglia arcuate e un accenno di sorriso malizioso.

 

«Non mi dire che stavi leggende quel coso?», indicò con il viso disgustato l’ormai dimenticato copione che tenevo tra le mani.

Alzai le spalle ancora turbata dall’improvviso e indesiderato viaggio nel passato emi alzai per restituirglielo.

 

«Tutto bene?». Lo ignorai.

 

«Secondo me, dovresti provarci», mi lanciò un occhiataccia che la diceva lunga sulla simpatia che in quel momento nutriva per me. Alzai le spalle e mi sedetti tenendo il copione stretto tra le mani.

 

«Non ho detto che devi farlo. Però perché privarti… ».

 

«June e Peter», mi interruppe improvvisamente. Alzai le sopracciglia guardandolo di lato. Che stava dicendo?

 

«I protagonisti si chiamano June e Peter», chiarì. «Ma nella mia scuola, sappiamo già chi saranno, perciò non mi creo questi problemi. Lucinda Bayle è la reginetta del club di teatro, mentre Jason Dox è il più sensibile del gruppo. Perché sforzarmi?».

 

 

«Rain ed Evan saranno i protagonisti del musical e saranno loro a cantare la maggiorparte del tempo. Perché dovrei andare incontro ad un inutile umiliazione».

«Perché la tua voce è magnifica e il fatto che Rain e Evan stiano insieme non vuol dire niente», la rassicurò Kate.

 

 

«Quindi l’hai letto», dissi con un tono che cominciava con lo scherno.

Nathan portò una mano dietro la nuca e socchiuse gli occhi. Era in imbarazzo.

 

«Gli ho dato uno sguardo», disse indifferente abbassando lo sguardo e avanzando lentamente. Sorrideva tra sé, rinchiuso in una prigione di pensieri piacevoli dove solo a lui era concesso di rimanerci.

 

Lo provocai pronta a ricevere l’ennesima occhiataccia. «Ti va di provare con me?».

 

«Mi stai chiedendo di recitare con te, qui? Adesso», disse con un tono disgustato tanto quanto il mio era divertito. Annuii divertita.

Era strano come le situazioni si invertissero. Io mi divertivo quando lui era in difficoltà, lui si divertiva quando io ero in difficoltà. Era una sottospecie di rapporto masochista, il nostro.

 

«Ho detto no! Non ci è riuscito Lucas, né Marnie e tantomeno Emma che sa essere molto petulante se ci si mette. Non credo che ci riuscirai anche tu», concluse sicuro della sue parole, con un espressione beffarda.

 

«Tu non conosci i miei termini di persuasione», mi morsi un labbro roteando gli occhi. Sorrise formando una seducente fossetta sulla guancia destra.

E molto lontano dal metodo che lui aveva compreso, mi aggrappai alle sue braccia stringendo la sua maglietta insistentemente.

«Dai! Ti prego, ti prego!», presi un profondo respiro. Ti prego, ti prego, ti prego. Dai fallo per me, dai, dai, dai!», mi fermai solo per prendere un profondo respiro e poi ricominciai fino a che un suo sguardo insistente e minaccioso non mi convinse a smettere.

 

«Ed io che credevo che volessi usare le tue armi di seduzione», alzò le spalle con un espressione tra lo scocciato e l’irritato. «Probabilmente è perché non hai una traccia di femminilità», alzò nuovamente le spalle, questa volta per provocarmi con una delle sue prese in giro.

 

Gli saltai addosso scherzosamente, facendoci atterrare entrambi sul suo letto, uno sopra l’altro. Sempre sorridente, afferrò una ciocca dei miei capelli portandola dietro l’orecchio, e mi sussurrò. «Vuoi ancora recitare?».

 

La voglia di recitare se n’era andata nell’attimo preciso in cui le sue mani avevano toccato le mie. Ma non potevo lasciare che il mio corpo controllasse le mie azioni. «Assolutamente si»

 

Sbuffò e raccolse il copione. «Niente di tutto questo deve uscire dalla mia stanza».

 

---------

«Come posso provare ad essere qualcuno che detesto?», sbraitò Nathan un’ora dopo aver accettato di provare a leggere il copione. Eravamo seduti sul suo letto a gambe incrociate uno di fronte all’altro e ridacchiavo di tanto in tanto dell’espressione esausta del bellissimo ragazzo dagli occhi blu.

 

«Ti sembra di detestarlo ma in realtà tu e Peter vi somigliate moltissimo».

 

Alzò un sopracciglio. «Ah, si?». Annuii.

 

«Quell’ostinato orgoglio che ti porterà alla follia», feci una pausa. «…l’eleganza», un’altra pausa. «…e quella costante nota di presunzione nella voce e sul viso che vi etichetta subito come degli idioti».

 

Mi aspettai di vedergli il broncio e la finta aria da offeso, oppure di ricevere qualche battutina in risposta, e invece…

«E così…sono elegante?», domandò con un luccichio negli occhi.

Scossi la testa. «E’ l’unica cosa che hai capito di tutto quello che ti ho detto?», e il suo sorriso mi sciolse come gelato al sole.

 

Oh Nathan che mi stai facendo?

 

Nathan gettò sul letto il copione e si stiracchiò emettendo strani versi di stanchezza, solo per attirare l’attenzione e farmi capire che per lui poteva anche finire lì la sua carriera d’attore.

«Tra un’ora usciamo».

 

«Dove?», chiesi soffocando una risata.

 

«Da qualche parte», rispose senza soffocare nessuna risatina ma prendendomi in giro con quegli occhi blu pieni di luce. Si alzò dal letto come se fosse una fatica mentre io rimanevo a fissarlo aspettando che mi dicesse qualcosa di più.

 

«Non ho vestiti da mettermi», sbuffai sistemandomi i capelli con le mani. Erano pieni di nodi, né ricci, né lisci. Un caso perso.

Aspettai pazientemente che Nathan tornasse con la testa da me e quando fui sul punto di urlargli scherzosamente dietro, parole che non si trovavano neanche sul vocabolario, si voltò verso di me.

 

«Non importa come sei vestita», alzò le spalle, mi scompigliò quegli stessi capelli che avevo cercato di sistemare fino a qualche secondo prima, poi uscì dalla stanza.

 

 

----------

 

«Non importava com’ero vestita, eh? », dissi in tono di rimprovero imbarazzato, trascurando, per una volta, la mia interminabile ironia. Lui mi sorrise scuotendo la testa. «A me non importa».

Il ristorante era degno dei quartieri più all’avanguardia di New York. Le pareti color verde pastello, i tavoli asimmetrici le persone silenziose nonostante fossero minimo una cinquantina. Era un locale decisamente fuori dal comune.

La cameriera dai capelli rossi e l’aria di chi ha la testa su un’altra lunghezza d’onda ci portò al nostro tavolo affianco ad una famiglia e una coppia più adulta. Nathan ordinò per entrambi mentre io ero rimasta ancora ad occhi aperti a contemplare il magico posto. Alla mia destra, in fondo alla sala, c’era un uomo anziano al pianoforte che suonava quella che una volta trovavo irritante musica da sottofondo.

 

«Vicky?».

 

«Cosa?», risposi riportando lo sguardo su di lui. Aveva un sopracciglio alzato e una mano sotto il mento.

 

«Voglio essere sincero. Posso dirti una cosa?», domandò pensieroso.

 

«Lo diresti comunque, perché mi chiedi il permesso?».

 

Roteò gli occhi e sorrise. «Pura cortesia».

Aspettò un minuto buono prima di parlare.

 

«Hai l’aria di chi è costantemente in linea con due vite diverse», sussurrò lentamente a voce melodiosa.

 

Corrugai la fronte e feci una smorfia con le labbra nascondendo dentro di me quella vocina che dava ragione a Nathan. «Non sei la prima persona che me lo dice».

 

Alzò le spalle indifferente. «Potrei essere il primo a scoprire perché».

Eravamo seduti l’uno di fronte all’altro, silenziosi ma allo stesso tempo rumorosi. Il rumore di qualcosa che alleggiava nell’aria e non era la soffice musica di sottofondo, né

 

«Mettiamola così: penso troppo, penso troppo poco. Sono troppo buona, troppo cattiva. Sono me e poi non sono me», continuai sorridendo della sua espressione fintamente assorta. Come una normale reazione alle mie stupide risposte, era stato amabile il suo tentativo di far finta di aver capito la mia criptica definizione.  

 

«Mi dispiace non volevo confonderti le idee», abbassai lo sguardo e scossi la testa imbarazzata. Mai una volta che riuscissi a mantenere il controllo e evitare le guance rosse.

 

«Non mi hai confuso le idee», scosse la testa in un espressione dolce. «Finché sto per mangiare, niente può confondermi le idee».

Alzai gli occhi su di lui. I capelli scompigliati, perfettamente lisci avevano degli ipnotizzanti fasci di luce tra i capelli dovuti al tenue pallore delle candele nella sala.

Distolsi lo sguardo da Nathan Carver solo quando la cameriera tornò con le ordinazioni e mi sembrò scortese ignorarla. Poi mangiammo tra chiacchiere, sorrisi e divertenti vecchi aneddoti sulla nostra vita.

Normali.

Soli.

Vivi.

---------

 

«Questa serata è stata di vostro gradimento?», mi domandò una volta fuori dal lussuoso ristorante fuori Longwood.

 

«Direi che ci sono stati dei lati positivi …e dei lati negativi», dissi con una nota di derisione nella voce leggera.

 

«E quale sarebbero i lati negativi?». Mi fissò con l’aria sconvolta, con un viso buffo che doveva assomigliare al viso di una persona offesa. Sorrisi.

 

«Bé, sei un pessimo attore, e sopportarti tutto il pomeriggio…», scherzai. Nathan cambiò espressione quando capì che non stavo parlando sul serio.

 

«Io, un pessimo attore?», si indicò il torace spalancando la bocca mentre gli occhi luccicavano e ridevano di per sé. Non l’avevo mai visto così tranquillo, senza traccia di tensione. Ma in realtà, non avevo visto neanche me stessa  così a suo agio, senza preoccupazioni. Nathan si parò davanti a me, impedendomi di camminare.

 

«June», esordì afferrandomi la mano. «Erano lunghe le notti, quando i miei giorni ruotavano intorno a te», mi fissò negli occhi con quello sguardo forte, irresistibile.

 

«Ogni giorno mi chiedo quale versione di te dovrò affrontare», sospirai nelle vesti di June. «Chi sei oggi?», domandai a Peter.

 

«Non so chi sono io, ma so chi siamo noi».

Le mie labbra si aprirono in un grande sorriso, e per una volta fui io ad afferrargli la mano e a stringerla tra le dita.

 

«Andiamo a casa», mormorò a fior di labbra. E giurai che quello non fosse più Peter.

E con quel “andiamo a casa” non mi aspettavo di andare a casa mia dove, affollatissima, tutti aspettavano il mio ritorno senza troppo turbamento. Tantomeno mi aspettavo che mi portasse a casa sua, nella stanza dove aveva portato tutte. Eppure mi meravigliai anche quando mi ritrovai di nuovo di fronte a quella casetta dove eravamo stati la sera del falò.

Poi il mio cervello ebbe un vuoto di qualche secondo. La mia mente si ricollegò quando entrambi eravamo schiacciati su quel divano scomodo l’uno sull’altra. E non importava che fosse uno squallido divano, né che fosse ancora più squallido nei confronti di Emma quello che stessimo facendo, io ne avevo bisogno.

La lingua di Nathan indugiava sul mio collo in un movimento ipnotico, rilassante. Mi voltai in silenzio e comincia a sbottonargli la camicia che aveva premurosamente indossato quella sera per cenare con me. La sua bocca passo a baciarmi le palpebre, i miei occhi chiusi, e la mani mi accarezzavano con un tocco leggero, le braccia.

Nathan si liberò della mia maglietta viola. Mi accarezzò dolcemente il ventre, prima con le dita e poi con le labbra leggere. Lui mi guardava negli occhi come se fossi in grado ammaliarlo, e in cuor mia avrei voluto arrossire al solo pensiero di quello che ci stava succedendo.

E quando ci unimmo, fui totalmente sicura di essermi innamorata di lui.

 

Dall’altra parte di Longwood, però, c’era qualcuno dal cuore spezzato. 

                                                                                                                                                                                                           Fine Quindicesimo Capitolo.


 Com'è che si dice? I'm Back!
 (ho sempre sognato di farlo! xD) Ebbene si, sono tornata, o meglio loro sono tornati per continuare la storia. Spero chevi siate divertite queste vacanze, e ho deciso di aggiornare prima dell'inizio della scuola perché sennò non avrei ricominciato più!
Che dire...non voglio scrivere troppo. Spero di ritrovarvi tutte anche con questo ritorno...è sempre un piacere scrivere e ricevere le vostre risposte.
Un grandissimo saluto. =)

 

  
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