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Autore: axellina87    08/01/2011    0 recensioni
Gli abitanti di quel posto non sapevano molte cose sui Janko, tranne che erano di origini giapponesi e che il più anziano, il signor Matsumoto, era arrivato in America molti anni fa, con sua moglie e le sue tre figlie. Poco più tardi però, la signora Yoshiko era morta a causa di una malattia, si diceva che avesse troppa nostalgia della sua terra d’origine, ma nessuno versò una lacrima per lei, né se ne interessò. Anzi, la maggior parte della gente in quella città pensava quasi che fosse stato un bene la morte della signora Janko, perché era una donna anormale. Giravano strane voci su quella famiglia, molti pensavano che fossero una misteriosa setta satanica, con poteri terribili, e che fossero in grado di chissà quali cose. Insomma, i Janko non furono mai ben visti fin dal loro arrivo, ma la situazione era veramente peggiorata qualche anno prima, quando decisero di mettersi contro tutti quanti per loro scelta…
Genere: Romantico, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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EPILOGO

 

Oren ansimò, con il naso a due centimetri da terra. Piccole gocce rosse sporcarono il pavimento di legno, ma non si diede per vinta. Si mise in ginocchio, passandosi il dorso della mano sulla bocca. Non si sarebbe arresa, non dopo tutto quello che era successo. Il solo pensiero le mise addosso una rabbia inimmaginabile e le diede la forza di rialzarsi. « Non è finita! » sibilò furiosa.

« Come vuoi. »

Emise un verso a metà tra uno sbuffo e un ringhio. « Quanto non ti sopporto, stupida presuntuosa! »

« Hai intenzione di cianciare ancora per molto? » domandò Mio, con le braccia conserte in posizione di attesa.

« No, sta tranquilla, adesso vengo subito a spaccarti la faccia! » rispose Oren mentre già partiva all’attacco.

Sam strabuzzava gli occhi e emetteva gridolini di stupore o paura quando temeva che si potessero far male sul serio. « Oddio, l’ha uccisa! » strillò quando Oren finalmente era riuscita a mettere al tappeto Mio, con una ginocchiata allo stomaco eseguita dopo una discesa in picchiata.

« Ma no, adesso si rialza » la rassicurò Ethan con fare zuccheroso, scoccandole un bacino sul collo.

« Però ha ragione, un giorno di questi si ammazzeranno se continuano così » disse Piuma, osservando con crescente preoccupazione Mio che si rimetteva in piedi a fatica.

Chris fece una risatina. « Ma guardatelo come si preoccupa per la sua biondina. Sei davvero un tenerone, Piuma, lo sai? Lo sai? » ripeteva mentre lo prendeva a pizzicotti sulle guance paffute.

Piuma si liberò da quelle mani fastidiose con un ceffone. « E basta! »

« Dai, sta tranquillo, è resistente come il marmo la tua piccola killer giapponese. »

« Non è una killer! » disse Piuma.

« Ne sei proprio sicuro? » fece Chris inarcando le sopracciglia. Piuma stava per rispondere, poi però preferì tacere… meglio non pensarci… « A me invece piace guardare Oren quando combatte » continuò Chris « Diventa ancora più sexy. Se poi la sua avversaria è un’altra ragazza, beh… ancora meglio. » Sorrise in estasi, mentre gli altri distoglievano lo sguardo disgustati.

Proprio in quel momento si stavano avvicinando Beatrix e Mark, mano nella mano. « Bravo, Chris, se continui così lo vincerai di sicuro il titolo per il più depravato del secolo. »

« E tu vincerai quello di ragazza più eccitante se non la smetti di vestirti così » rispose il ragazzo osservando le gambe scoperte di Beatrix. Mark si accigliò all’istante. « Ehi, sto scherzando » si affrettò a puntualizzare Chris. « La tua dolce metà non mi ispira, tranquillo. »

« Ah certo, perché nel caso ti ispirasse non avresti problemi a farla cadere ai tuoi piedi » disse Ethan.

Chris alzò le spalle con aria da saputello. « Ovvio. »

Ethan ridacchiò per tutta risposta. « Mi sa che hai sbagliato persona, fratello. »

« Come se non lo sapesse già » aggiunse Beatrix.

Un rumore di vetri rotti impedì un’ulteriore replica. In fondo alla palestra, Oren e Mio erano ferme vicino alla finestra appena rotta, la prima con la classica espressione di chi sa di averne combinata una grossa, l’altra si limitò a grattarsi sul mento, volgendo lo sguardo altrove, cercando di rimanere impassibile come sempre. L’arrivo del nonno non si fece attendere. « Di nuovo?! » esordì, quando era ancora sull’uscio.

« E’ stato un incidente » buttò lì Oren, congiungendo le mani come se stesse pregando.

« E’ la terza volta, volete proprio che cada in pezzi questo posto? » disse il nonno.

« Ci risiamo… » mormorò Beatrix con un sospiro.

« E tuo fratello? Non lo vedo da un bel pezzo »  domandò Ethan.

« Già, deve assolutamente sbrigarsi a passarmi il secondo capitolo, lo adoro il suo romanzo! » disse Sam.

« Boh, sarà da qualche parte con quella tipa. »

« Lucy? » chiese Piuma.

Beatrix annuì. « Sta sempre con lei ultimamente. »

« E bravo Harry! » disse Chris, mentre aspettava Oren che avanzava verso di lui; la accolse in un abbraccio e le diede un bacio sulla tempia. Oren sollevò il capo e sporse le labbra, in attesa come una bambina. Chris sorrise e non si fece aspettare.

« Oh, e dai, un po’ di pudore! » esclamò Ethan, ricevendo una gomitata da Sam.

Chris si staccò solo un attimo da quel bacio. « Fatti gli affari tuoi » disse con un sorriso sornione, poi ritornò alla sua occupazione, sollecitato da Oren che aveva fatto una linguaccia a suo fratello.

Ethan fece una smorfia.

« Dai, lasciali un po’ in pace » intervenne Piuma « Per una volta che non litigano addirittura da una settimana! » 

Chris diede un ultimo bacio sul naso di Oren, poi si rivolse agli amici, senza però sciogliere l’abbraccio: « A proposito, com’è che non l’ho vista la ragazza di Harry? È carina? »

Istantaneamente Oren gli girò la faccia verso di lei con un gesto molto simile a uno schiaffo… « E che te ne importa se è carina? »

« Uhm… hai ragione. Piuma mi ha detto che è bionda, non mi piacciono le bionde… »

« Perché se fosse stata mora, allora? »

« Beh, sarei stato più ansioso di conoscerla. »

Oren lo fissò minacciosa per qualche istante, prima che lui scoppiasse a ridere. « Dai, sto scherzan… Ahia… » disse massaggiandosi il petto, dove Oren lo aveva appena colpito con un piccolo pugno. « Quanto sei manesca… »

« Pure tu però… te le vai a cercare » commentò Sam.

I ragazzi rimasero lì a chiacchierare ancora per un po’, spettegolando soprattutto su Harry e Lucy, visto che ancora non la conoscevano. In realtà stavano cercando di far sputare a Piuma ogni dettaglio su di lei e il ragazzo appariva in evidente difficoltà, perché aveva promesso a Harry di non parlare con nessuno del loro rapporto. Chris e Ethan, capito il suo imbarazzo, non fecero altro che rincarare la dose, provocando risate e persino sorrisi nella piccola Mio, che ormai si tratteneva sempre più spesso insieme a tutti gli altri dopo gli allenamenti.

Dopo un po’, arrivarono anche Kaory e Danka, preceduta da un passeggino. Come li vide, Oren corse loro incontro e subito prese in braccio Alex, facendogli mille feste. Le piaceva sollevarlo in alto e fare le giravolte perché il bambino rideva di gusto ogni volta; non si stancava mai di sentire quel suono e guardare i suoi occhi vivaci e allegri, era la cosa più bella che si potesse immaginare.

« Vi faccio vedere una cosa » disse Danka, tutta sorridente. Prese Alex e gli fece poggiare i piedini sul parquet, tenendolo per le mani. Pian piano, il piccolo cominciò a muovere i primi passettini, sempre più veloci, finché non incespicò e cadde fra le braccia della madre. Oren, Beatrix e Sam si erano lasciate andare a gridolini di eccitazione, battevano le mani ad ogni centimetro percorso dal piccolo.

« Che genio, mio nipote! » esclamò Ethan con orgoglio.

« Altro che camminare, questo qui vuole già correre » disse Piuma.

Anche Oren provò subito a farlo camminare, incoraggiandolo a ogni movimento. Alex continuava a provare senza stancarsi, non emetteva un lamento quando inciampava, si rialzava subito pronto a ripartire. Era una gioia per tutti vederlo così. Sarebbe stato il più coccolato della famiglia per molti, molti anni, probabilmente l’avrebbero viziato e accontentato la maggior parte delle volte… ma che importava? Era lì con loro, un bambino sano, pieno di energie, spensierato, bello, normale. Oren lo accolse fra le braccia per l’ennesima volta, dopo che aveva percorso quasi senza aiuto un piccolo tratto. Il cuore le si riempiva di felicità quando lo stringeva, una sensazione infinitamente troppo bella per essere descritta. Anche Alex da parte sua mostrava di essere parecchio affezionato alla giovane zia, che lo faceva sbizzarrire a piacimento, e le regalava senza saperlo quel senso di sicurezza e serenità che tempo prima Xander aveva trasmesso a lei. Lo rivedeva nei suoi occhi e a volte si chiedeva come sarebbe stato osservarlo una volta cresciuto, chissà se sarebbe stato identico a come lo aveva conosciuto… Rise quando il piccolo ricadde sul pavimento con il fondoschiena, il colpo era stato attutito dal pannolino, ma anche il resto del corpo era poi crollato di lato. Oren gli accarezzò la testolina. Una sola parola le veniva in mente ogni volta che lo guardava: grazie. Grazie per essere venuto al mondo. Grazie perché era stato lui a darle la forza di vivere e andare avanti senza impazzire del tutto. Grazie perché non l’aveva mai lasciata sola, mai, né da adulto, né da bambino, nemmeno in quel momento, dopo che non era riuscita a salvarlo per due volte, lui era ancora lì a sorriderle, a infonderle gioia e coraggio. Gli diede un bacino sulla guancia e lo abbracciò forte. Nemmeno lei lo avrebbe mai lasciato solo.

 

Matsumoto provò una fitta al cuore osservando quel quadretto familiare. Per la prima volta poteva dire che non era solo un momento passeggero, non si trattava della quiete prima della tempesta, non doveva preoccuparsi del fatto che presto quella tranquillità sarebbe finita per lasciare il posto a nuovi pericoli. Quella era la loro nuova vita. Giornate fatte di risate, serenità, chiacchierate, allenamenti amichevoli (anche se quelle due pesti ci andavano giù pesante), in cui i problemi principali erano i vetri rotti. Finalmente l’opprimente senso di colpa cominciava a farsi più leggero, forse non l’avrebbe mai abbandonato del tutto, ma il peggio era passato. Fra l’odio che provava verso se stesso per averli coinvolti nella guerra, si ritrovò a sperimentare anche un improvviso moto d’orgoglio che aveva sopito per tanto tempo. Un orgoglio verso la sua famiglia che non solo gli era rimasta accanto, ma non si era arresa mai, l’aveva addirittura sostenuto fino alla fine. A volte non si era sentito degno di averli vicini, forse non li meritava. Ma era tutto finito e la sola cosa che desiderava era stare ore e ore a guardarli così, spensierati e liberi, con una vita normale.

« E’ già un ometto, vero? » disse Kaory.

« Già… »

« Vedrai che fra qualche anno sarà pronto per l’addestramento. »

« Solo se lo vorrà » disse il vecchio. « E’ ora che ognuno si dedichi a ciò che più ama… finalmente » aggiunse guardando i suoi ragazzi uno a uno.

« Papà » fece Kaory dopo qualche minuto di silenzio « Pensi che adesso sia arrivato il momento? »

Matsumoto non rispose subito. Aveva capito bene a cosa si riferiva sua figlia. Quasi dieci anni prima gli aveva posto una difficile domanda, che aspettava ancora una risposta definitiva.

Raven City si stava riprendendo dallo shock di quanto era successo. La polizia, il sindaco e tutti gli altri pezzi grossi della città avevano fatto il possibile per insabbiare tutti gli avvenimenti, dato che loro erano i primi a esserne coinvolti, così tutto si era risolto in un “tragico incidente dovuto ai pericolosi esperimenti che la Bryant corp. non aveva cessato come promesso dal suo presidente, anch’egli vittima del disastro”.

Matsumoto e Kaory uscirono fuori in giardino, godendo del calore emesso dai raggi di quel sole estivo.

Gli abitanti del luogo avevano reagito in maniera strana. Alcuni avevano definitivamente lasciato la città, altri non erano usciti di casa per settimane, qualcuno cambiava strada quando incontrava i Janko, spaventati oltre ogni limite, ma la maggior parte invece era diversa ora. I compagni di scuola dei ragazzi avevano cominciato pian piano a smetterle di considerarli dei mostri, gli adulti non facevano più così fatica a trovare un posto di lavoro e soprattutto non si verificavano più così spesso scene come quella che aveva avuto come protagonista Ethan al Mc Donald. Nonostante ciò, Raven City non era mai stata una città accogliente con loro, fin da quando Matsumoto, Yoshiko e le tre ragazze ci avevano messo piede per la prima volta. Nessuno li aveva mai trattati con rispetto, anzi, erano stati denigrati, ma non importava più.

Una donna sulla cinquantina passò davanti a loro, sul marciapiede che costeggiava il giardino e lo steccato verde. Li guardò e poi alzò timidamente la mano, con un sorriso. Kaory scosse impercettibilmente la testa, ma fece un sorriso scettico e abbassò il capo in segno di saluto. Matsumoto fece lo stesso, guardando attentamente quella donna, come se lei rappresentasse l’intera Raven City. La città che li aveva emarginati da sempre e che solo adesso avendo intuito finalmente come stavano le cose si aspettava che i Janko dimenticassero tutto, come se niente fosse successo fino ad allora, avendo anche magari pensato di poter avere ancora bisogno di loro in futuro, in caso di altri pericoli.

Matsumoto guardò il cielo, pensando alla sua cara Yoshiko. Arrabbiarsi non serviva, non più, e poi alla sua età era ancora più inutile. Fece un gran sorriso, i suoi piccoli occhi scuri si illuminarono come quando era ancora giovane. Si voltò verso sua figlia, rivolgendole quello stesso sorriso. « Sì. Credo che adesso sia il momento di andarcene. »

 

   
 
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