A
Normal Evening
Si
scansò, ancora scossa dai brividi , dal corpo bollente sotto
il suo.
Chiuse
gli occhi per godersi ancora quel piacevole calore, e con le dita
sottili,
senza accorgersene, tracciò delle figure immaginarie sul
petto di lui.
Rimasero
così, in silenzio per alcuni minuti.
Ed
ecco che improvvisamente il cellulare
sopra il comodino cominciò a tuonare.
Uno
scatto felino, incurante della posiziona, le ginocchia a cavallo sulle
sue
costole, lei si riporta sopra di lui e allungandosi afferra il dannato
oggetto,
nel quale schermo non appare il nome più rassicurante in
quei momenti: “è
il tuo Papi”.
«Ciao Pà»
Non
si accorse che lui, Gian, si era spostato.
«Josephine sei a casa?»
Non
percepì le mani sulle proprie cosce.
«No son … hm» Non terminò la frase,
perché scossa da un brivido
partito dal basso ventre e che risuonava in gola. Di scatto si
sollevò di più
sulle ginocchia, staccandosi dalle lussuriose labbra.
«Sei? Cos’hai?»
Avrebbe
voluto rispondere, ma Gian la afferrò per i fianchi e la
riportò giù,
impedendole di muoversi.
«Si, ecco … sono» Si morse le
labbra per tacere,
per non gemere. Con
la mano destra afferrò i capelli di lui cercando di farlo
allontanare,
inutilmente.
«Sono da Gian e
…
è appena passato il gatto … e mi è
venuta fuori l’allergia … non riesco a
smettere di starnutire» Così dicendo
imitò il più falso degli starnuti e con
esso fece uscire il gemito che la stava soffocando.
«Oh, mi
dispiace»
Al resto del “monologo” di suo padre non vi
badò cercando piuttosto di stare
zitta e ovviamente di allontanare Gian, il quale la tratteneva,
fermamente, per
le natiche.
«Ci vediamo dopo
a casa Josephine»
« Si … tra
poco
arrivo … ciao»
Chiuse veloce la
chiamata, e la mano che prima cercava di allontanare, ora invitava a
continuare.
«Stronzo
…»
Ansimò l’aggettivo di tutto cuore.
«Però
è stato
divertente» Sorrise lui, rialzandosi alla sua altezza
ricominciando ciò che
aveva appena interrotto.
Un ronzio
persistente.
La
bocca che si apre di più ad ogni suo
passaggio. Dentro fino in fondo, poi
esce, ma non del tutto, e poi di nuovo dentro; un movimento ripetitivo,
quasi
meccanico.
Dentro e fuori,
fuori e dentro, con vigore.
Ora
tutto a destra, poi a sinistra.
Una mano tiene
ferma i capelli in maniera che non si sporchino di dentifricio. Spegne
lo
spazzolino, interrompendo il ronzio, e lo poggia nel suo bicchiere
metallico. Si
china fino a sorseggiare dell’acqua dal rubinetto, due tre
risciacqui, poi
prende la bottiglietta del colluttorio un risciacquo con
quest’ultimo e si
asciuga le labbra con un asciugamano.
Apre il secondo
cassetto cassetto del mobile accanto al lavandino, tirandone fuori un
beautycase,
e qualche truss.
Comincia a
trafficare con fondotinta, cipria, fard, matita, ombretto, eyeliner ,
rossetto,
ed infine dopo circa venticinque minuti
di minuzioso lavoro arriva il momento critico. O per lo meno il suo
momento
critico : il mascara.
Si avvicinò a
meno di mezza spanna dallo specchio, talmente vicina che il suo fiato
si
condensava ad ogni respiro sulla fredda superficie. Il ventre nudo
toccava il
marmo del lavandino facendole venire la pelle d’oca per tutta
la schiena fino
al collo causandole un leggero solletico, che di sicuro non aiutava la
precaria
situazione.
Con gesti lenti,
applicava sulle lunghe ciglia il mascara nero, le quali prima del
passaggio di
quest’ultimo risultavano chiare alla base.
«Certo che sei
peggio di tua madre» disse con tono divertito.
Quella voce
inaspettata la sorprese, assorta com’era, facendola trasalire.
Scattò indietro, allontanandosi
con un balzo dallo specchio, facendo cadere l’applicatore di
mascara che per
poco non le sporcava lo zigomo, accontentandosi di sporcare la
superficie
chiara del lavandino.
Sapeva che quando
si truccava, soprattutto quando si metteva il mascara, faceva
espressioni
strane, molto strane, come faceva sua madre, e credeva facessero tutte
le
persone di sesso femminile (e in certi casi maschile) del mondo, quando
si
trovavano in un momento di difficoltà come quello.
Ma che suo padre,
glielo facesse
notare nel momento
critico, e la spaventasse volontariamente per rovinare la sua minuziosa
opera :
era da disgraziati!
«Vorrei vedere te
al mio posto che facce faresti!» Rispose sarcastica
contornando con uno
sberleffo.
Con le lunghe
dita laccate di nero, riprende il mascara, e riavvicinandosi allo
specchio
comincia a dedicarsi all’occhio mancante, cercando di non
farsi distrarre e
sigillando le labbra per evitare di dare divertimento al suo
“adorato” padre.
«Non ne ho
bisogno, sono bello lo stesso!» Affermò sornione e
ravvivandosi con no chalance
i capelli.
A questa
affermazione si bloccò, appena prima di annerire
l’altro occhio, girandosi
verso di lui e il suo sorriso di scherno, fulminandolo.
Continuarono a
fissarsi divertiti. Poi suo padre
continuò a stuzzicarla.
«Sai chi mi
ricordi così truccata, con un occhio si e uno no?»
«No
…» Rispose
già aspettando la frecciatina di suo padre.
«Arancia
Meccanica»
«Grazie»
«E’il
tema della serata !» Rispose schietta, dopo aver richiuso il
mascara.
«Attenta bionda
perché ti taglio la lingua» Josephine gli sorrise
a quella espressione, che suo
padre le rivolgeva, fin da quando aveva imparato a parlare,
ogniqualvolta che
non aveva nulla con cui controbattere.
Si spostò dallo
stipite della porta lasciandola passare e seguendola fino in camera, da
cui
proveniva anche della musica dallo stereo. Josephine procedeva
tranquilla verso
la sua camera, a piedi nudi, avvolta dall’accappatoio nero in
microfibra che
finiva appena sopra le ginocchia, con i capelli appena piastrati che
risultavano più lunghi del solito, arrivandole circa
quindici centimetri sopra
la zona sacrale. Arrivata in camera prese il vestito
dall’anta dell’armadio
mostrandolo a suo padre che si era appoggiato allo stipite della porta.
Cominciò a
cambiarsi mentre suo padre guardava distrattamente la stanza della sua
bambina
cresciuta.
Faceva uno strano
effetto vederla là, con un vestito aderente nero(che un anno
prima non avrebbe
neanche solo provato), truccata, profumata, pettinata, come una giovane
donna,
in una stanza colorata, piena di fogli appesi alle pareti, una libreria
che
conteneva ancora i libri delle favole, il letto e il divano ricoperti
di
peluche e cuscini colorati, tra cui sul letto a una piazza e mezza,
spiccava il
suo “peluche” preferito spaparanzato placidamente
sui cuscini che la osservava
con occhio critico: Bisonte.
Tornò a guardare
Josephine che si stava infilando il vestito nero senza spalline, e di
conseguenza noto che neanche il reggiseno nero con strisce azzurre ne
aveva.
Strisci nere e
azzurre?!
«Josephine!! Non
penserai mica di uscire in queste condizioni!»
Esclamò sconcertato!
Lei lo guardò
perplessa, fece scorrere l’anta dell’armadio
portando davanti a se lo specchio.
Cos’è che non
andava? Non capiva. I capelli erano al loro posto, il trucco non lo
aveva
sbavato, di sicuro non aveva peli sulle gambe o sotto le ascelle, il
vestito
non era macchiato, non era neanche tanto corto e inoltre la sua
approvazione
l’aveva data due minuti prima. Allora quale era il problema?
Lo guardò in
cerca di risposta che non si fece attendere.
«Questa sera
gioca il Milan contro l’Inter e tu indossi biancheria della
squadra avversaria!
Ho una traditrice in casa!!»
Spostò lo sguardo
da suo padre allo specchio fissandosi negli occhi. Contò
fino a dieci. Suo
padre stava male, ne era certa doveva aver preso una botta in testa,
non era
possibile che le stesse facendo una questione sulla biancheria, sulla
fantasia
della biancheria, solo perché il Milan aveva perso le ultime
due partite.
«Papà
tranquillo,
ti prometto che questa sera nessuno vedrà né il
mio reggiseno né le mie mutande»
Vide le goti di
suo padre diventare leggermente rosse e, nel
riflesso dello specchio, Bisonte alzare le orecchie e
assumere un’espressione
pensierosa, per poi uscire dalla stanza.
Si
avvicinò a suo padre, che aveva chiuso gli
occhi e tirato le labbra e borbottava “farò finta
di non aver sentito”. Gli
stampò un bacio sulla guancia lasciandogli un po’
di rossetto(che suo padre odiava!).
«Povero Luciano,
maltrattato dalla sua bambina»
A quella entrambi
si voltarono, una sorridendo un po’ ruffiana alla madre,
l’altro assumendo uno
sguardo d’accusa.
«Eliana è
colpa
tua se è ridotta così»
L’accusò lui, con tono un po’
(falsamente?) risentito
per la risposta della figlia.
«Si
si, certo amore» Rispose lei avvicinandosi e
dandogli un bacio distratto, per poi dedicarsi a studiare la figlia
prendendole
la mano sottile e facendola girare su se stessa.
«Stai molto
bene!» Le disse contenta.
«Guidi tu questa
sera?» Chiese suo padre.
«No, mi vengono a
prendere e dopo qualcuno mi riporta a casa»
«Chi ti viene a
prendere?» Domandò interessata sua madre.
«Stefano» A
quel
nome sua madre corrugò le sopracciglia, dimostrando un
chiaro interesse a quella
persona che sapeva non essere un assiduo frequentatore di discoteche da
quando
si era impegnato.
«Come mai si
ributta nella movida?» Sua madre era la curiosità
in persona! Soprattutto
quando si trattava di argomenti incasinati come la vita sentimentale
degli
adolescenti! Era sempre a domandare, specialmente ora che Josephine
aveva perso
una grande quantità timidezza, la poca stima di
sé e si era buttata a capofitto
in una vita di cui avrebbe sempre dovuto fare parte, quasi sempre fuori
casa,
mai un sabato sera a casa da sola davanti a un libro o alla
televisione. Anche
se secondo Eliana lo aveva raggiunto approfittando di un metodo
sbagliato.
Perché avrebbe sempre potuto fare parte di quel genere di
vita, il suo problema
era la troppa insicurezza, dettata da un componente che secondo lei non
aveva
alcun significato : l’aspetto fisico, l’aspetto
esteriore. Un problema che
l’aveva fatta preoccupare quell’estate, da quando
era tornata dopo quasi un
anno di lontananza; era cresciuta, era migliorata, era sempre
sorridente mai
pensierosa, più rilassata, più aperta, sicura,
con un bagaglio di esperienza
incredibile. Poi di punto in bianco aveva cominciato a non …
«Perché
Caterina
vuole una pausa di riflessione e Stefano approfitta, per distrarsi, di
ritornare a fare il tipo da compagnia, e non stare perennemente con sua
morosa
da soli» La spiegazione interruppe il filo di pensieri di
Eliana.
«Che taglia di
mutande ha Stefano?» Aggiunse suo padre sbuffando della
troppa curiosità della
moglie.
Eliana lo guardò
contraiata.
Insomma, informarsi un po’ non faceva mai male a nessuno!
Josephine
rise divertita, ma per lei era
meglio parlare di terzi invece che di sé. In special modo
quando c’era suo
padre. Sua madre
l’avrebbe anche potuta
arginare, mentre suo padre … bè … suo
padre le leggeva dentro.
Chiuso
l’argomento “Stefano” i suoi si
spostarono in cucina dove sua madre si mise ad
armeggiare con una bottiglia di vino, mentre lei andava a prendersi il
giubbotto e la borsa. Dalla scarpiera prese le scarpe coi tacchi e
appoggiò
tutto sul divano in salotto. Sulla soglia della cucina si
infilò le scarpe.
«Il bicchiere per
tua figlia non lo prendi?» Chiese sua madre nel notare solo
due calici.
Era seduta con
una gamba accavallata sul bancone di marmo mentre l’altra era
lasciata a
penzoloni, il cui piede era poco più di una spanna dal
pavimento dove giacevano
abbandonati a se stesse le calzature con un tacco più che
discreto. Le gambe
fasciate da una gonna gessata che finiva poco sopra le ginocchia,
indossava una
camicia bianca con sopra una giacca anch’essa gessata. Dal
collo pendeva una
lunga collana che andava a pendere al livello del seno. La pelle del
petto,
resa visibile fino all’incavo del seno dovuta al fatto che
sua madre si era
appena sciolto due bottoni della camicia, era ambrata grazie
all’effetto di
lampade e autoabbronzanti. Il collo sottile sosteneva un viso dai
lineamenti in
alcuni casi affilati, le labbra sottili erano evidenziate da un sottile
passaggio di matita, il naso lineare sottile divideva i due zigomi poco
sviluppati. Gli occhi chiari tendenti al verde erano incorniciati da un
trucco
ambrato racchiuso dalle sopracciglia (tatuate) castano chiaro. I
capelli biondi
alternati da qualche ciuffo color cioccolato, acconciati in un basso
chignon
che lasciava le bande laterali libere, raccolte dietro le orecchie
piccole,come
quelle della figlia, addobbate con paio di orecchini ai lobi e un
piccolo punto
luce aggiuntivo sull’orecchio sinistro le conferiva
un’aria molto più giovane
rispetto a quella anagrafica. I polsi erano appesantiti da dei
tintinnanti
bracciali, che con un movimento deciso e un tintinnio secco stapparono
la
bottiglia. La piccola mano sinistra portava due anelli, la fede e
l’anello di
fidanzamento, cominciò a versare il vino con
abilità.
«Diventerà
un’alcolizzata come te di questo passo» Le rispose
Luciano prendendo un altro
calice dalla credenza.
«Ma se sei stato
sempre tu a farle assaggiare un cucchiaino di qualsiasi cosa bevessi da
quando
aveva otto anni! Io ho aspettato che avesse quindici anni per versarle
un
bicchiere di vino!» Affermò mentre versava
l’ultimo bicchiere.
Suo padre le porge
il bicchiere tenendolo per il piede, con quella mano grande e calda che
l’aveva
sempre coccolata, e soprattutto rassicurata. Preso il bicchiere per lo
stelo
suo padre le strizzò l’occhio. Luciano indossava
una tuta, e sapeva di doccia.
A piedi nudi si affiancò alla compagna cingendole la vita
col braccio destro,
mentre l’altro alzava il calice.
«A cosa
brindiamo?» Domandò osservando con gli occhi grigi
le sue “donne”.
«A noi tre»
Rispose sua madre alzando il proprio bicchiere. «E a
Bisonte» Aggiunse.
«Certo che
potremo anche cambiare» Fece osservare Josephine alzando
l’ultimo calice.
Classico rumore
di vetro che si tocca accomunato da qualche “cin
cin” e un sorso di liquido
rosso scivola oltre le labbra, invadendo di sapori la lingua, senza
fretta, per
poi scivolare placidamente in gola.
Sul bicchiere non
vengono lasciate impronte di rossetto, come le aveva insegnato sua
nonna.
Ascolta i suoi
genitori che commentano il vino, non fa tempo a riguastarlo che il
citofono di
casa suona.
Appoggia il
bicchiere vicino al lavabo, indossa veloce il giubbotto, prende la
borsetta,
bacia suo padre, sua madre la avvina baciandole i capelli, inondandola
col suo
profumo che le solletica le narici, un profumo dolce, classico, Chanel
Numero
5, ne era certa. Una volta staccata viene invasa di nuovo dal proprio
profumo
più leggero.
«Non fare troppo
tardi, non bere troppo, saluta Stefano» Sono le frasi che
l’accompagnano mentre
sta chiudendo veloce dietro di se la porta di ingresso, impedendo
l’uscita del
cane, evitando così di far sbranare Stefano, che
è appoggiato alla fiancata
dell’auto e sta fumando una sigaretta, già fumata
per più di metà.
Ma non aveva
smesso di fumare?
Josephine scende
con calma i gradini, non vuole neanche minimamente rischiare di cadere.
Segue
la stradina fino al cancello, lo apre e lo chiude dietro di se.
«Ciao» La
saluta
Stefano buttando la sigaretta per terra.
«Ciao. Da quanto
sei qui?» Chiede mentre si avvicina e poggia la propria
guancia fredda contro
la sua altrettanto fredda, evitando di macchiarlo di rossetto.
«Cinque minuti,
ero al telefono con Caterina»
Soffiò
l’ultimo sbuffo di fumo contenuto nei polmoni. Sigarette alla
menta.
«Ah» Si andava
sempre peggio, potè constatare. «I miei ti
salutano»
«Altrettanto. Ma
il tuo cane ha sempre istinti omicidi?»
«Si» Rispose
salendo in macchina, al caldo.
«Hai intenzione
di bere tanto questa sera?» Domandò Stefano
mettendo la prima.
Lei ci rifletté
su, no non aveva voglia e non le piaceva bere troppo.
Girata l’auto
Stefano osservò la casa dal lato opposto della strada
rispetto la casa di
Josephine.
«Ma, aspetta come
si chiama? Intendo il tuo migliore amico … Lo …
Lorenzo giusto?»
«Si, Lollo
…»
Mormorò.
«Che fine ha
fatto, non eravate inseparabili?» Domandò,
inconsapevole dell’effetto che aveva
quel nome.
«Nella vita si
cambia» E dallo sguardo basso e da come si torturava le
lunghe dita si capiva
che non voleva continuare il discorso. Così lo
lasciò cadere.
Il viaggio
continuò con poche frasi, con Josephine che canticchiava le
canzoni.
«Allora?» La
incitò Stefano.
«Cosa?»
«Quanto hai
intenzione di bere?» Domandò una seconda volta.
Lollo, un nome
che quella sera appena pronunciato le si era impresso a fuoco nella
mente. Una
litigata(non avevano mai litigato) di fine estate. Poi a malapena un
saluto da
parte di lei.
«Tanto» Rispose
scendendo dall’auto.
Spazio
Autrice
Ciao!
Scusate
il ritardo!
Spero
che questo capitolo vi piaccia! Spero
che con qualche recensione riesca a migliorare! Ditemi tutto quello che
pensate. Mi auguro di saper cogliere i vostri commenti e migliorare!
Ora
faccio i ringraziamenti con calma e per
bene.
Liz
:
Ti
ringrazio tanto per i tuoi
complimenti e per aver inserito la mia storia fra le tue preferite=).
So che la
storia è ancora poco chiara ma tra qualche capitolo spero di
aver reso più
limpidi i vari rapporti =) e la storia ovviamente. Continua a dirmi
quel che
pensi della storia!
Coco_Carino_Coco
: Non mi arrenderò
perché mi critichi troppo =)
ti ringrazio invece, perché di sicuro tu così mi
stai dando un mano! Sono
contenta che tu la trovi interessante e mi auguro di ricevere qualche
altro tuo
commento.
Ringrazio
chi l’ha messa tra le sue storie
preferite :
Ringrazio
chi l’ha messa tra le sue storie
seguite :
Ringrazio
chi legge!!
Auguri
di felice 2011!!
Con
affetto
Lolki