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Autore: lolki    08/01/2011    0 recensioni
Il cuore martella sia nel petto sia nelle tempie, inarrestabile.
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Normal Evening

 

 

Si scansò, ancora scossa dai brividi , dal corpo bollente sotto il suo.

Chiuse gli occhi per godersi ancora quel piacevole calore, e con le dita sottili, senza accorgersene, tracciò delle figure immaginarie sul petto di lui.

Rimasero così, in silenzio per alcuni minuti.

Ed ecco che improvvisamente il cellulare  sopra il comodino cominciò a tuonare.

Uno scatto felino, incurante della posiziona, le ginocchia a cavallo sulle sue costole, lei si riporta sopra di lui e allungandosi afferra il dannato oggetto, nel quale schermo non appare il nome più rassicurante in quei momenti: “è il tuo Papi”.

«Ciao Pà»

Non si accorse che lui, Gian, si era spostato.

«Josephine sei a casa?»

Non  percepì le mani sulle proprie cosce.

«No son … hm» Non terminò la frase, perché scossa da un brivido partito dal basso ventre e che risuonava in gola. Di scatto si sollevò di più sulle ginocchia, staccandosi dalle lussuriose labbra.

«Sei? Cos’hai?»

Avrebbe voluto rispondere, ma Gian la afferrò per i fianchi e la riportò giù, impedendole di muoversi.

«Si, ecco … sono» Si morse le labbra per  tacere, per non gemere. Con la mano destra afferrò i capelli di lui cercando di farlo allontanare, inutilmente.

«Sono da Gian e … è appena passato il gatto … e mi è venuta fuori l’allergia … non riesco a smettere di starnutire» Così dicendo imitò il più falso degli starnuti e con esso fece uscire il gemito che la stava soffocando.

«Oh, mi dispiace» Al resto del “monologo” di suo padre non vi badò cercando piuttosto di stare zitta e ovviamente di allontanare Gian, il quale la tratteneva, fermamente, per le natiche.

«Ci vediamo dopo a casa Josephine»

« Si … tra poco arrivo … ciao»

Chiuse veloce la chiamata, e la mano che prima cercava di allontanare, ora invitava a continuare.

«Stronzo …» Ansimò l’aggettivo di tutto cuore.

«Però è stato divertente» Sorrise lui, rialzandosi alla sua altezza ricominciando ciò che aveva appena interrotto.

 

Un ronzio persistente.

 La bocca che si apre di più ad ogni suo passaggio. Dentro fino in fondo,  poi esce, ma non del tutto, e poi di nuovo dentro; un movimento ripetitivo, quasi meccanico.

Dentro e fuori, fuori e dentro, con vigore.

 Ora tutto a destra, poi a sinistra.

Una mano tiene ferma i capelli in maniera che non si sporchino di dentifricio. Spegne lo spazzolino, interrompendo il ronzio, e lo poggia nel suo bicchiere metallico. Si china fino a sorseggiare dell’acqua dal rubinetto, due tre risciacqui, poi prende la bottiglietta del colluttorio un risciacquo con quest’ultimo e si asciuga le labbra con un asciugamano.

Apre il secondo cassetto cassetto del mobile accanto al lavandino, tirandone fuori un beautycase, e qualche truss.

Comincia a trafficare con fondotinta, cipria, fard, matita, ombretto, eyeliner , rossetto, ed infine dopo circa venticinque  minuti di minuzioso lavoro arriva il momento critico. O per lo meno il suo momento critico : il mascara.

Si avvicinò a meno di mezza spanna dallo specchio, talmente vicina che il suo fiato si condensava ad ogni respiro sulla fredda superficie. Il ventre nudo toccava il marmo del lavandino facendole venire la pelle d’oca per tutta la schiena fino al collo causandole un leggero solletico, che di sicuro non aiutava la precaria situazione.

Con gesti lenti, applicava sulle lunghe ciglia il mascara nero, le quali prima del passaggio di quest’ultimo risultavano chiare alla base.

«Certo che sei peggio di tua madre» disse con tono divertito.

Quella voce inaspettata la sorprese, assorta com’era, facendola  trasalire. Scattò indietro, allontanandosi con un balzo dallo specchio, facendo cadere l’applicatore di mascara che per poco non le sporcava lo zigomo, accontentandosi di sporcare la superficie chiara del lavandino.

Sapeva che quando si truccava, soprattutto quando si metteva il mascara, faceva espressioni strane, molto strane, come faceva sua madre, e credeva facessero tutte le persone di sesso femminile (e in certi casi maschile) del mondo, quando si trovavano in un momento di difficoltà come quello.

Ma che suo padre,  glielo facesse notare nel momento critico, e la spaventasse volontariamente per rovinare la sua minuziosa opera : era da disgraziati!

«Vorrei vedere te al mio posto che facce faresti!» Rispose sarcastica contornando con uno sberleffo.

Con le lunghe dita laccate di nero, riprende il mascara, e riavvicinandosi allo specchio comincia a dedicarsi all’occhio mancante, cercando di non farsi distrarre e sigillando le labbra per evitare di dare divertimento al suo “adorato” padre.

«Non ne ho bisogno, sono bello lo stesso!» Affermò sornione e ravvivandosi con no chalance i capelli.

A questa affermazione si bloccò, appena prima di annerire l’altro occhio, girandosi verso di lui e il suo sorriso di scherno, fulminandolo.

Continuarono a fissarsi divertiti. Poi suo padre  continuò a stuzzicarla.

«Sai chi mi ricordi così truccata, con un occhio si e uno no?»

«No …» Rispose già aspettando la frecciatina di suo padre.

«Arancia Meccanica»

«Grazie» «E’il tema della serata !» Rispose schietta, dopo aver richiuso il mascara.

«Attenta bionda perché ti taglio la lingua» Josephine gli sorrise a quella espressione, che suo padre le rivolgeva, fin da quando aveva imparato a parlare, ogniqualvolta che non aveva nulla con cui controbattere.

Si spostò dallo stipite della porta lasciandola passare e seguendola fino in camera, da cui proveniva anche della musica dallo stereo. Josephine procedeva tranquilla verso la sua camera, a piedi nudi, avvolta dall’accappatoio nero in microfibra che finiva appena sopra le ginocchia, con i capelli appena piastrati che risultavano più lunghi del solito, arrivandole circa quindici centimetri sopra la zona sacrale. Arrivata in camera prese il vestito dall’anta dell’armadio mostrandolo a suo padre che si era appoggiato allo stipite della porta.

Cominciò a cambiarsi mentre suo padre guardava distrattamente la stanza della sua bambina cresciuta.

Faceva uno strano effetto vederla là, con un vestito aderente nero(che un anno prima non avrebbe neanche solo provato), truccata, profumata, pettinata, come una giovane donna, in una stanza colorata, piena di fogli appesi alle pareti, una libreria che conteneva ancora i libri delle favole, il letto e il divano ricoperti di peluche e cuscini colorati, tra cui sul letto a una piazza e mezza, spiccava il suo “peluche” preferito spaparanzato placidamente sui cuscini che la osservava con occhio critico: Bisonte.

Tornò a guardare Josephine che si stava infilando il vestito nero senza spalline, e di conseguenza noto che neanche il reggiseno nero con strisce azzurre ne aveva.

Strisci nere e azzurre?!

«Josephine!! Non penserai mica di uscire in queste condizioni!» Esclamò sconcertato!

Lei lo guardò perplessa, fece scorrere l’anta dell’armadio portando davanti a se lo specchio.

Cos’è che non andava? Non capiva. I capelli erano al loro posto, il trucco non lo aveva sbavato, di sicuro non aveva peli sulle gambe o sotto le ascelle, il vestito non era macchiato, non era neanche tanto corto e inoltre la sua approvazione l’aveva data due minuti prima. Allora quale era il problema?

Lo guardò in cerca di risposta che non si fece attendere.

«Questa sera gioca il Milan contro l’Inter e tu indossi biancheria della squadra avversaria! Ho una traditrice in casa!!»

Spostò lo sguardo da suo padre allo specchio fissandosi negli occhi. Contò fino a dieci. Suo padre stava male, ne era certa doveva aver preso una botta in testa, non era possibile che le stesse facendo una questione sulla biancheria, sulla fantasia della biancheria, solo perché il Milan aveva perso le ultime due partite.

«Papà tranquillo, ti prometto che questa sera nessuno vedrà né il mio reggiseno né le mie mutande»

Vide le goti di suo padre diventare leggermente rosse e, nel  riflesso dello specchio, Bisonte alzare le orecchie e assumere un’espressione pensierosa, per poi uscire dalla stanza.

 Si avvicinò a suo padre, che aveva chiuso gli occhi e tirato le labbra e borbottava “farò finta di non aver sentito”. Gli stampò un bacio sulla guancia lasciandogli un po’ di rossetto(che suo padre odiava!).

«Povero Luciano, maltrattato dalla sua bambina»

A quella entrambi si voltarono, una sorridendo un po’ ruffiana alla madre, l’altro assumendo uno sguardo d’accusa.

«Eliana è colpa tua se è ridotta così» L’accusò lui, con tono un po’ (falsamente?) risentito per la risposta della figlia.

«Si  si, certo amore» Rispose lei avvicinandosi e dandogli un bacio distratto, per poi dedicarsi a studiare la figlia prendendole la mano sottile e facendola girare su se stessa.

«Stai molto bene!» Le disse contenta.

«Guidi tu questa sera?» Chiese suo padre.

«No, mi vengono a prendere e dopo qualcuno mi riporta a casa»

«Chi ti viene a prendere?» Domandò interessata sua madre.

«Stefano» A quel nome sua madre corrugò le sopracciglia, dimostrando un chiaro interesse a quella persona che sapeva non essere un assiduo frequentatore di discoteche da quando si era impegnato.

«Come mai si ributta nella movida?» Sua madre era la curiosità in persona! Soprattutto quando si trattava di argomenti incasinati come la vita sentimentale degli adolescenti! Era sempre a domandare, specialmente ora che Josephine aveva perso una grande quantità timidezza, la poca stima di sé e si era buttata a capofitto in una vita di cui avrebbe sempre dovuto fare parte, quasi sempre fuori casa, mai un sabato sera a casa da sola davanti a un libro o alla televisione. Anche se secondo Eliana lo aveva raggiunto approfittando di un metodo sbagliato. Perché avrebbe sempre potuto fare parte di quel genere di vita, il suo problema era la troppa insicurezza, dettata da un componente che secondo lei non aveva alcun significato : l’aspetto fisico, l’aspetto esteriore. Un problema che l’aveva fatta preoccupare quell’estate, da quando era tornata dopo quasi un anno di lontananza; era cresciuta, era migliorata, era sempre sorridente mai pensierosa, più rilassata, più aperta, sicura, con un bagaglio di esperienza incredibile. Poi di punto in bianco aveva cominciato a non …

«Perché Caterina vuole una pausa di riflessione e Stefano approfitta, per distrarsi, di ritornare a fare il tipo da compagnia, e non stare perennemente con sua morosa da soli» La spiegazione interruppe il filo di pensieri di Eliana.

«Che taglia di mutande ha Stefano?» Aggiunse suo padre sbuffando della troppa curiosità della moglie.

Eliana lo guardò contraiata. Insomma, informarsi un po’ non faceva mai male a nessuno!

 Josephine rise divertita, ma per lei era meglio parlare di terzi invece che di sé. In special modo quando c’era suo padre.  Sua madre l’avrebbe anche potuta arginare, mentre suo padre … bè … suo padre le leggeva dentro.

Chiuso l’argomento “Stefano” i suoi si spostarono in cucina dove sua madre si mise ad armeggiare con una bottiglia di vino, mentre lei andava a prendersi il giubbotto e la borsa. Dalla scarpiera prese le scarpe coi tacchi e appoggiò tutto sul divano in salotto. Sulla soglia della cucina si infilò le scarpe.

«Il bicchiere per tua figlia non lo prendi?» Chiese sua madre nel notare solo due calici.

Era seduta con una gamba accavallata sul bancone di marmo mentre l’altra era lasciata a penzoloni, il cui piede era poco più di una spanna dal pavimento dove giacevano abbandonati a se stesse le calzature con un tacco più che discreto. Le gambe fasciate da una gonna gessata che finiva poco sopra le ginocchia, indossava una camicia bianca con sopra una giacca anch’essa gessata. Dal collo pendeva una lunga collana che andava a pendere al livello del seno. La pelle del petto, resa visibile fino all’incavo del seno dovuta al fatto che sua madre si era appena sciolto due bottoni della camicia, era ambrata grazie all’effetto di lampade e autoabbronzanti. Il collo sottile sosteneva un viso dai lineamenti in alcuni casi affilati, le labbra sottili erano evidenziate da un sottile passaggio di matita, il naso lineare sottile divideva i due zigomi poco sviluppati. Gli occhi chiari tendenti al verde erano incorniciati da un trucco ambrato racchiuso dalle sopracciglia (tatuate) castano chiaro. I capelli biondi alternati da qualche ciuffo color cioccolato, acconciati in un basso chignon che lasciava le bande laterali libere, raccolte dietro le orecchie piccole,come quelle della figlia, addobbate con paio di orecchini ai lobi e un piccolo punto luce aggiuntivo sull’orecchio sinistro le conferiva un’aria molto più giovane rispetto a quella anagrafica. I polsi erano appesantiti da dei tintinnanti bracciali, che con un movimento deciso e un tintinnio secco stapparono la bottiglia. La piccola mano sinistra portava due anelli, la fede e l’anello di fidanzamento, cominciò a versare il vino con abilità.

«Diventerà un’alcolizzata come te di questo passo» Le rispose Luciano prendendo un altro calice dalla credenza.

«Ma se sei stato sempre tu a farle assaggiare un cucchiaino di qualsiasi cosa bevessi da quando aveva otto anni! Io ho aspettato che avesse quindici anni per versarle un bicchiere di vino!» Affermò mentre versava l’ultimo bicchiere.

Suo padre le porge il bicchiere tenendolo per il piede, con quella mano grande e calda che l’aveva sempre coccolata, e soprattutto rassicurata. Preso il bicchiere per lo stelo suo padre le strizzò l’occhio. Luciano indossava una tuta, e sapeva di doccia. A piedi nudi si affiancò alla compagna cingendole la vita col braccio destro, mentre l’altro alzava il calice.

«A cosa brindiamo?» Domandò osservando con gli occhi grigi le sue “donne”.

«A noi tre» Rispose sua madre alzando il proprio bicchiere. «E a Bisonte» Aggiunse.

«Certo che potremo anche cambiare» Fece osservare Josephine alzando l’ultimo calice.

Classico rumore di vetro che si tocca accomunato da qualche “cin cin” e un sorso di liquido rosso scivola oltre le labbra, invadendo di sapori la lingua, senza fretta, per poi scivolare placidamente in gola.

Sul bicchiere non vengono lasciate impronte di rossetto, come le aveva insegnato sua nonna.

Ascolta i suoi genitori che commentano il vino, non fa tempo a riguastarlo che il citofono di casa suona.

Appoggia il bicchiere vicino al lavabo, indossa veloce il giubbotto, prende la borsetta, bacia suo padre, sua madre la avvina baciandole i capelli, inondandola col suo profumo che le solletica le narici, un profumo dolce, classico, Chanel Numero 5, ne era certa. Una volta staccata viene invasa di nuovo dal proprio profumo più leggero.

«Non fare troppo tardi, non bere troppo, saluta Stefano» Sono le frasi che l’accompagnano mentre sta chiudendo veloce dietro di se la porta di ingresso, impedendo l’uscita del cane, evitando così di far sbranare Stefano, che è appoggiato alla fiancata dell’auto e sta fumando una sigaretta, già fumata per più di metà.

Ma non aveva smesso di fumare?

Josephine scende con calma i gradini, non vuole neanche minimamente rischiare di cadere. Segue la stradina fino al cancello, lo apre e lo chiude dietro di se.

«Ciao» La saluta Stefano buttando la sigaretta per terra.

«Ciao. Da quanto sei qui?» Chiede mentre si avvicina e poggia la propria guancia fredda contro la sua altrettanto fredda, evitando di macchiarlo di rossetto.

«Cinque minuti, ero al telefono con  Caterina» Soffiò l’ultimo sbuffo di fumo contenuto nei polmoni. Sigarette alla menta.

«Ah» Si andava sempre peggio, potè constatare. «I miei ti salutano»

«Altrettanto. Ma il tuo cane ha sempre istinti omicidi?»

«Si» Rispose salendo in macchina, al caldo.

«Hai intenzione di bere tanto questa sera?» Domandò Stefano mettendo la prima.

Lei ci rifletté su, no non aveva voglia e non le piaceva bere troppo.

Girata l’auto Stefano osservò la casa dal lato opposto della strada rispetto la casa di Josephine.

«Ma, aspetta come si chiama? Intendo il tuo migliore amico … Lo … Lorenzo giusto?»

«Si, Lollo …» Mormorò.

«Che fine ha fatto, non eravate inseparabili?» Domandò, inconsapevole dell’effetto che aveva quel nome.

«Nella vita si cambia» E dallo sguardo basso e da come si torturava le lunghe dita si capiva che non voleva continuare il discorso. Così lo lasciò cadere.

Il viaggio continuò con poche frasi, con Josephine che canticchiava le canzoni.

«Allora?» La incitò Stefano.

«Cosa?»

«Quanto hai intenzione di bere?» Domandò una seconda volta.

Lollo, un nome che quella sera appena pronunciato le si era impresso a fuoco nella mente. Una litigata(non avevano mai litigato) di fine estate. Poi a malapena un saluto da parte di lei.   

«Tanto» Rispose scendendo dall’auto.

 

 

Spazio Autrice

 

Ciao!

Scusate il ritardo!

Spero che questo capitolo vi piaccia! Spero che con qualche recensione riesca a migliorare! Ditemi tutto quello che pensate. Mi auguro di saper cogliere i vostri commenti e migliorare!

 

Ora faccio i ringraziamenti con calma e per bene.

Liz : Ti ringrazio tanto per i tuoi complimenti e per aver inserito la mia storia fra le tue preferite=). So che la storia è ancora poco chiara ma tra qualche capitolo spero di aver reso più limpidi i vari rapporti =) e la storia ovviamente. Continua a dirmi quel che pensi della storia!

 Coco_Carino_Coco :  Non mi arrenderò perché mi critichi troppo =) ti ringrazio invece, perché di sicuro tu così mi stai dando un mano! Sono contenta che tu la trovi interessante e mi auguro di ricevere qualche altro tuo commento.

 

Ringrazio chi l’ha messa tra le sue storie preferite :

_stellina999

Liz

Ringrazio chi l’ha messa tra le sue storie seguite :

Pastyccina

 

Ringrazio chi legge!!

 

Auguri di felice 2011!!

 

Con affetto

Lolki

  
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