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Autore: patronustrip    08/01/2011    6 recensioni
Il dolore di Hermione e il confronto con la perdita, la possibilità della morte.
La sofferenza di Harry nell'essere la causa di questo dolore.
Il confronto di entrambi, in una Hogwarts vuota, abbandonata e desolata ad accoglierli.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ron Weasley | Coppie: Harry/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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Note dell'Autore
Mi decido a pubblicarla anche qui, storia piuttosto vecchia a cui sono comunque molto legata e di cui sono particolarmente orgogliosa. Spero molto che vi piaccia. Sopratutto spero che l'alternanza dei pensieri di Harry ed Hermione si capisca.
Grazie a tutti coloro che vorranno leggere e commentare.

 



Gelido

Se morisse?
No, non succederà.
Ma se accadesse?
Ho detto che non succederà.
Stupida di una saputella, ragazzina, non sai tutto. Ficcatelo in testa.
Lui morirà, morirà fra atroci dolori, e tu non sarai lì con lui, non te lo permetterà. Lo perderai, e non potrai nemmeno guardarlo negli occhi quando succederà.
Non sarai l’ultima persona a cui terrà la mano. Non sarai lì per dirgli un’ultima volta…

Ti amo…

La mente di ciascuno di noi ci logora dentro, ogni ricordo sensazione è come acido per la nostra coscienza.
Ci sentiamo presuntuosi, saccenti, arroganti, stupidi.
Lei si sentiva tutto in quel momento.
Ed era la sua coscienza il giudizio più duro e maligno che doveva affrontare.
Fece un passo avanti, verso lo scrosciare del lago sulle fronde dei rami secchi, lì fra le rocce.
Un pugno serrato sul cuore, e quello sguardo duro di chi ha troppe cose da dire, da troppo tempo.
Il castello era piccolo in lontananza, e sembrava spaventoso adesso, al tramonto, quelle ombre nere che stagliavano i prati, gli alberi.
Era tutto un terrore da lì a pochi mesi, ripensandoci.

«HERMIONE!» La sua voce stava mutando in rauca, esasperato, continuò ad urlare.
Scese i gradini dell’entrata del castello, e si inoltrò fra i giardini deserti, continuando ad urlare il suo nome.
Totalmente scomparsa, da lì a due ore ormai.
Stava cominciando ad angosciarsi a dir la verità, con un punto di voce disse, per l’ultima volta «Hermione…»
«L’hai trovata, dannazione?» Col fiatone in collo, Ron gli si sporse vicino.
«No» Rispose distratto, scrutando fra gli alberi.
«La McGranitt ha detto che potevamo venir qui solo se rimanevamo dentro il castello, accidenti! Che le è saltato in mente?» Urlò Ron, mentre Harry si avvicinava al lago.
«Non lo so, davvero» Disse lui in tono quasi vuoto, fissando un punto all’infinito.
«Oh diamine, che le diremo? Sarà furiosa, ha dett…»
«Lo so quello che ha detto, Ron. Per questo sto cominciando ad agitarmi» Rispose continuando a fissare quel punto sulle sponde del lago.
«Andiamo dalla McGranitt o continuano a cercarla?» Domandò Ron, esasperato. Ma lui non lo ascoltò, scattando in corsa, senza dire altro.
«Harry ma dove diavolo vai? HARRY!» Ron sbuffò, infastidito «Ecco, ora tocca a me subirmi la McGranitt, miseriaccia…»

Saltò un rigagnolo che desiderava inzupparlo per bene fin sopra le ginocchia, evitò tronchi abbattuti e rami spezzati, saltando da una roccia all’altra facendo attenzione a non cadere giù per il lago.
Il motivo per cui fosse lì non importava, importava solo che l’avesse trovata.

Si sentì chiamare e voltandosi vide una sagoma venire verso di lei, evitando con agilità un grosso cespuglio di ortiche. Lei, spalancando gli occhi quasi in preda al terrore, corse via fra gli alberi e si nascose dietro uno dei tronchi più grandi e robusti che trovò. Pregando.

«Hermione!» Sfinito si fermò bruscamente, quasi franando sul terreno ghiaioso «Hermione!» Continuò a chiamarla, ma non tornava nessuna risposta a rassicurarlo. Era sicuro, comunque, che lei si trovasse lì, e volente o nolente l’avrebbe trovata e riportata indietro.
Si volse verso gli arbusti e vi si inoltrò silenziosamente, dicendo: «Hermione…» Ancora con il fiatone, continuò «…so che sei qui, perché ti nascondi?» Nessuna risposta «Avanti, torniamo al castello. Sai cosa ha detto la McGranitt. Per favore, non voglio che ti accada nulla»

«Dovresti smetterla Harry di pensare a me, dovresti forse, pensare di più a te» Si era fatta individuare, ma in fondo, con lui era così, non poteva non replicare.

Seguì la sua voce, e continuò «Perché mi dici questo? Credo di sapere a chi o cosa dare prerogativa nei miei pensieri» Si inoltrò più a fondo, fra i recisi di varie dimensioni.

Le si ruppe il cuore. Lui non capiva, o faceva finta di non farlo.
«Non credo purtroppo che tu ne sia in grado, altrimenti adesso, non saresti qui»

«Hermione non sparare boiate…» Disse d’un fiato, un po’ troppo d’impulso.
Ma fu lì che la trovò e, dolcemente, accostandosi al suo orecchio sussurrò «So a chi dare la mia attenzione…»

Spaventata si scostò bruscamente, più che altro per il brivido che le provocò su per la schiena e per tutto il corpo. Nascose metà del viso dietro un altro albero ma in mezzo al fitto degli arbusti vide, anche lì, i suoi occhi verdi scrutarla, serio e inconsapevole.

«Perché sei qui?» Le chiese, cercando di essere il più sereno possibile, non lasciando intuire che quella situazione lo turbava non poco.

«Avevo bisogno di riflettere un po’… da sola» Rispose, continuando a fissarlo, nascosta. Come una bambina che sa di avere sbagliato e non vuole andare in castigo.

«Come se non lo facessi già abbastanza di tuo» Disse sorridendo, ma vide che lei non ricambiava, e allora capì che davvero qualcosa non andava. Fece un passo avanti «Hermione…»

Indietreggiò. Lo vide spiazzato da tale gesto ma non mostrò alcuna turbe sul suo viso, anzi, si irrigidì ancora di più.
Tutto perché non voleva piangere.
Odiava farlo di fronte a lui, e tutte le volte che succedeva era un errore.
Si nascose dietro un altro albero, vi poggiò la nuca, e sospirò.

Non sapeva che fare, intravedeva le sue spalle ed il resto scomparire dietro quella corteccia.
Non sapeva che dire. Ma poi lei parlò:

«Vorrei che andassi via.» Deglutì, cercando di ingoiare quel magone che la tormentava.

Lo spiazzò. Voleva che andasse, voleva restare da sola.
«Non ti lascerò qui da sola, vieni dentro ti prego.»
«No» Abbassò il capo, lasciando che i capelli le circondassero il volto «Vai via»
«Hermione…»
«Sto bene! VATTENE, VAI VIA!» Urlò con tutti i polmoni che poteva, lo vide indietreggiare, quasi spaventato e poi, sconfortato tornare indietro.
Quando la sua marcia si fu dissolta in lontananza poté piangere. Si piegò sulle ginocchia, e scoppiò in un pianto infinito, interminabile.

«Potter, dov’è Granger?» Passò accanto la McGranitt e Ron, saltando i gradini di marmo dell’entrata, senza dire una parola.
Percorse i vuoti corridoi di Hogwarts, così fredda adesso, così ridondante dei suoi soli passi.
Silenziosa.
Spaventosa.
Respirava a fatica, marciava spedito, percorrendo luoghi che non identificava, sapeva solo che doveva camminare, lasciare quella sensazione scivolargli giù per le gambe, fino ad atterrare e sciogliersi nel marmo glaciale, dove la sua ombra lo rincorreva.

Perché?
Non riusciva a smettere, ed urlava, si picchiava al petto, tentava di far sì che smettesse, le mani alla bocca, le lacrime che le rovinavano sul viso contorto dal dolore.
Quando si lasciò andare sull’erba, poggiando la nuca alla corteccia e lasciando che il dolore facesse il suo corso, vide il rosso del cielo, e la consapevolezza della notte da lì a poco.
Non poteva sopportarne il silenzio.
Non poteva.

Impreca, urla, distruggi tutto.
Gettò quella sedia in fondo all’aula con una violenza inaudita, urlando.
Potevano esserci loro lì, seduti a seguire una qualunque lezione, a litigare per i compiti a casa, a litigare per qualche cazzata.
E lei sarebbe stata felice.
Perché l’aveva incontrato? Quel giorno sul treno era stato una maledizione per lei, un dolore.
Sette anni a patire dolori che non erano i suoi.
Era tutta colpa sua.
Non sarebbe lì, nella foresta, a piangere tutte le sue lacrime adesso, sarebbe con i suoi genitori, a vivere una vita normale.
Un’altra sedia volò lontano.
Era tutta colpa sua.

Basta.
Non riusciva a smettere, non riusciva a trattenerle.
Basta.
E la notte si faceva avanti, crudele.

«Potter!» La McGranitt seguita da Ron, gli andò incontro, minacciosa «Potter se pensi che il motivo per cui siamo qui sia rivangare i vecchi ricordi credo che tue la signorina Granger abb…»
«Vorrei che andaste via» La interruppe sgarbatamente, e lei ammutolì, apparendo perplessa. Ron aggrottò la fronte.
«Prego, Potter?» Chiese la MacGranitt, sperando di non aver capito bene.
«Vorrei che andaste via. Lei e Ron.» Ripeté Harry, con più garbo stavolta. Le narici della McGranitt vibrarono, Ron si fece avanti, la sua espressione era tutto fuorché gioviale
«Per quale motivo, Harry?» Lo fronteggiò, imponendogli tutta la sua stazza.
«L’ho detto Ron, voglio restare da solo con Hermione» Rispose semplicemente, come se non sapesse la difficoltà di quello che stava chiedendo al suo migliore amico. Il rosso si fece avanti con aggressività, la McGranitt lo trattenne per un braccio.
«Non è il momento Weasley. Potter non so se capisci la gravità di quello che stai chiedendo…»
«Lo capisco, professoressa…» Disse, continuando a scambiarsi sguardi di violenta intesa con Ron «... ma se glielo sto chiedendo, vuol dire che è davvero qualcosa di importante»
Minerva trattenne il respiro, mentre Ron strattonò via la sua lenta presa e si gettò addosso all’amico, stringendolo per il colletto della felpa.
«Tu…» Disse furente, Harry vide la McGranitt muoversi in un passo convulso.
«Ron.» Rispose lui, con una sensazione terribile di colpa proprio lì, sullo stomaco.
«Sei sempre stato tu…» Harry non comprese, ma notò che gli occhi dell’amico si velarono per un momento di una malinconia e una tristezza che quasi gli lacerarono l’anima. Assoluta resa, di fronte un’assoluta evidenza.
«Ron, io non…» Disse, consapevole finalmente di ciò che l’amico aveva realizzato, ma il rosso lasciò la presa sul suo collo, e lui sentì di nuovo il peso sui talloni. Si fissarono per qualche attimo, Harry notò che la McGranitt si tormentava furiosamente le mani guardandosi intorno, in quel momento gli ricordò moltissimo Hermione.
Ron gli mise una mano sulla spalla, voltando la testa così tanto da non doverlo fissare negli occhi. Infine si voltò verso la McGranitt, la prese per un braccio sussurrandole: «Andiamo, professoressa» Lasciando Harry solo, in quel corridoio gelido.
Ribollendo nel suo senso di colpa.

Cominciava a fare freddo.
Le sembrava che le lacrime le si fossero gelate giù per le guance.
La riva del lago era tempestata di piccole lucciole dorate che si confondevano con il riflesso argentato della luna, lì tra le frasche frastagliate dall’acqua.
Si asciugò l’ennesima prepotente lacrima, mentre ancora una nell’altra guancia già segnava il proprio corso.
Era impossibile cercare di smettere. Le avrebbe piante tutte, avrebbe pianto tutte le sue lacrime.
Sì, lo avrebbe fatto.
Stando lì, a guardare le lucciole muoversi velocemente sorprese dai riflessi argento, sotto il manto di un cielo nero e di una luna che triste si struggeva per lei.
Chi c’è?
Si voltò di scatto, dei passi tagliavano le varie foglie che coprivano con un manto autunnale il terreno nero a riva. Si facevano sempre di più, e lei, spaventata, si nascose dietro quell’albero, stringendo le ginocchia a se. Aveva lasciato la bacchetta dentro un aula, a scuola.
Un tonfo, un’imprecazione e successivamente un rumore di vetro infranto
«Cazzo!»
Hermione sporse il viso oltre la corteccia e intravide quel profilo che tanto conosceva, rimuginare su un paio di occhiali fra le mani, le ginocchia e le mani sporche di fango.
Lui si voltò nella sua direzione, lei trattenne il fiato, un po’ troppo rumorosamente, tornando a nascondersi dietro l‘albero così fidato.
«Hermione?» La chiamò, lei fece silenzio, ma sentiva i suoi passi farsi avanti tra il fogliame. Si sporse verso destra quando un rametto secco si spezzò sotto il suo peso. Forse quell’albero non era poi così fidato.
Dieci balzi e lui era già da lei.
Non voleva che la guardasse in quello stato, col volto rigato di lacrime e gli occhi gonfi di dolore. «Herm…»
«Non chiamarmi così»

Rimase ancora una volta spiazzato, ma si chinò lo stesso verso di lei e delicatamente le prese il mento fra le dita, costringendola a voltarsi, lentamente.
«Dio, Hermione…» Sussurrò vedendo i suoi occhi così sciupati dalle lacrime. Lei allontanò subito via la sua mano, voltandosi ancora altrove.

«Vattene» Disse risoluta, quasi per convincere sé stessa.
«No che non me ne vado, torniamo dentro»
«Lasciami in pace» Quanto si sentiva stupida in quel momento. Sussultò quando sentì le sue mani dietro la sua schiena e sotto le sue ginocchia.

Tentò di prenderla in braccio, ma lei si divincolò furiosamente
«Ti ho detto di lasciarmi!» Gli urlò contro «Non voglio che tu stia qui, non voglio vederti, voglio che tu te ne vada, vattene, VATTENE!» Urlò infine, scoppiando in ulteriore un pianto disperato.
Gli si ruppe il cuore a metà.
Harry si chinò, abbracciandola, sotto fatiche immani cercando di stringerla, mentre lei si divincolava il più possibile, urlando.
Ma alla fine cedette, e lui la strinse il più che poteva. Cullandola.
«Hermione, ti prego, torniamo dentro» Le disse, con dolcezza.
Lei vide il suo respiro condensarsi davanti a sé, mentre lei si stringeva di più alla sua felpa e, tremante, piangeva ancora.
Harry si allontanò da lei, si sfilò la felpa nera, e gliela mise sulle spalle, sfregandole un po’, poi l’avvolse con le braccia e la sollevò da terra.

Quella felpa era caldissima, e aveva il suo odore.
Poggiò la testa sulla sua spalla, mentre lui sorpassava un rigagnolo d’acqua insistente.
Era così stanca, giocava con l’asta ormai inutilizzabile dei suoi occhiali, nel frattempo che le foglie secche a terra scandivano ogni suo passo, nel frattempo che Hogwarts era sempre più vicina.
Poteva sentirlo.
Il suo cuore battere per la fatica, il suo respiro accelerato.
Lo strinse a sé più forte e le parve quasi che il suo cuore battesse ancora più svelto, che il suo respiro fosse ancora più insistente.

Dio, com’era leggera, quasi delicata. Poteva romperla se stringeva ancora più forte?
I suoi passi riecheggiarono vuoti tra la pietra dei corridoi deserti di Hogwarts.
Aprì con una spallata l’imponente portone della Sala Grande, percorrendone l’altrettanto imponente corridoio.
La sala così vuota e scarna era priva di vita. Spaventosa.
La pose delicatamente su quello che un tempo fu il tavolo dei Grifondoro.
«Mi dispiace, ma sai che non possiamo più entrare nei dormitori»
«Va benissimo qui, grazie»

Le loro voci rimbombavano fino al tetto della Sala Grande, ora tempestato di stelle.
Harry si allontanò per chiudere il portone, ripercorrendo a grandi passi tutto il pavimento in pietra, con il fiato che si gelava ad ogni respiro.
Hermione si ricordò di avere la sua felpa, e colpevole se la tolse dalle spalle porgendogliela, al suo ritorno.
«No, tienila, fa freddo» Rifiutò lui.
«Anche per te fa freddo, Harry» Disse, ma lui scosse la testa, spingendo nuovamente l’indumento verso di lei, anzi, lo prese e glielo riavvolse attorno le spalle.
«Io non ho passato le ultime ore fuori, al gelo… a piangere» Le disse, marcando l’ultima parola.
A quell’ultima affermazione Hermione voltò lo sguardo, posandolo sull’infinito tavolo dei professori.
«Hermione…» Harry le si pose di fronte, risoluto «… ti prego»
Lei si accorse di stringere ancora i suoi occhiali rotti fra le mani
«Dammi la tua bacchetta, devo ripararti questi» Cercò di sviare, senza troppo entusiasmo.
«Hermione» Stavolta il tono di Harry fu più deciso, poggiò con violenza i pugni sul tavolo, rumore che riecheggiò per tutta la Sala.
«Dammi la tua bacchetta, Harry» Ripeté lei, con altrettanto entusiasmo del precedente e un filo di voce più acuta. Lui la guardò negli occhi poi annuì, si allontanò di qualche passo e infilò la mano nella tasca posteriore dei pantaloni estraendo la bacchetta; la guardò un attimo per qualche secondo, come contemplandola, per poi lanciarla violentemente lontano, dall’altro capo della sala.
«Harry ma che… !» Esclamò lei, presa in contropiede, ma lui non la lasciò finire, le prese gli occhiali rotti dalle mani, gettandoli sul tavolo, per poi tornare a fissarla con i pugni chiusi sul legno laccato della pesante e lunga tavolata di Grinfondoro.
Vicinissimi. Lui la guardava serio, preoccupato.
Lei lo fissava spaventata da tutto quello, in agitazione per quella vicinanza inaspettata.
Seguirono minuti di silenzio, interminabili per lei, poi lui intenerì lo sguardo, sussurrando ancora:
«Ti prego, Hermione»
Le prese di nuovo il magone in gola. Quelli potevano essere anche gli ultimi momenti che avrebbe passato con lui. Le lacrime le scesero silenziose, rigandole le guance, Harry fremette «Herm…» Lei li mollò un pugno sul petto
«Sei un’idiota!» Disse gemendo, tirandogli la maglia, spintonandolo finché non scese con i piedi a terra. Percorse metà della sala singhiozzando, portandosi una mano sul viso, dandogli le spalle.
«Hermione…» Sussurrò lui, confuso.
«Sei uno stupido» Ribatté lei, con la voce soffocata dalla mano sul volto. Alzò lo sguardo per il tetto stellato della sala, voltandosi lentamente a guardarlo. Vide i suoi occhi più profondi e tristi che mai.
«Io non so, Herm…» Pronunciò Harry, con la voce incrinata «Aiutami a capire»
Le lacrime le scendevano ancora più intense e silenziose sulle guance, quando lui continuò:
«Farei qualunque cosa perché tu smetta di piangere. È sempre stato così»
Si fissarono a lungo. Hermione si sentì morire, quando lui, avvicinandosi di qualche passo proferì «Ti prometto che…»
«NO!» Lei si voltò coprendosi le orecchie con le mani «Non promettere! Non farlo!» Si voltò di scatto fronteggiandolo «Non promettere cose che non potrai mantenere, Harry!» Venne pervasa dagli spasmi di dolore, si piegò in due, cercando di non soccombere al suo tormento.
Era lì, con lui. Dov’erano Ron e la McGranitt? Ma che importanza poteva avere, era lì e stava passando gli ultimi attimi con lui urlandogli contro e piangendo come una disperata.
Che ricordo avrebbe mai potuto avere?
E lui? L’avrebbe ricordata dopo… così?
A questi pensieri gettò un urlo di frustrazione, lasciandosi cadere in ginocchio, verso il pavimento freddo come il suo cuore in quel momento, come quella notte, come…
Ma non toccò mai terra, delle mani la stavano sollevando, stringendola, un altro cuore batteva insieme al suo, mentre lei vi si aggrappa con tutta la sua disperazione. Urlando.
«Qualunque cosa» Le sussurrò delicatamente all’orecchio «Lo sai»
«Harry…»
La strinse più forte e lei si lasciò cullare, mentre i loro respiri si condensavano nell’aria gelida di quella notte che lei avrebbe desiderato essere infinita.
Quando si calmò, quando smise di urlare, quando le lacrime continuarono a rigarle il volto arrossato e disperato, poté sentire ancora il suo profumo.
«Herm…»
«Tu morirai, Harry…» Disse d’un fiato, gelando ancora di più l’aria e quel poco calore che si era venuto a creare fra loro. Lo disse. Punto.
Fissando il vuoto lo disse, fra le sue spalle, il suo odore, il suo battito ancora vivo.
Lo disse.
Sentiva che i suoi occhi non trasmettevano più vita, che le carezze che gli faceva in quel momento sui capelli, lei, non sarebbe più stata in grado di sentirle davvero.
Eppure lui, non sembrava sconvolto.
Si allontanò leggermente da lei.

Aveva uno sguardo vacuo, vuoto, inesistente.
Continuava a fissare un punto oltre la sua spalla.
Aveva come la terribile sensazione che se anche avesse parlato lei non lo avrebbe sentito dove si trovava in quel momento.
Troppo lontana, eppure così vicina.
Aveva la terribile sensazione che lei stesse trasportandosi in un luogo dove sapeva avrebbe potuto essergli vicina, dopo che quello che temevano entrambi fosse successo.
Trasportando tutta se stessa in quel luogo, senza portare nulla con lei.
Nemmeno lui, che era lì, in quel momento. Per lei.
Qualunque cosa.
Le prese il viso fra le mani, posando la sua fronte sulla sua, vedendo da vicino lo sguardo del dolore.
Dolore puro.
«Herm» Sussurrò, lei non rispose «Ci penso ogni notte.» Ancora nessuna reazione «Io non so come finirà. Morire» A questa parola lei inspirò più aria del normale «Non so cosa mi faccia più paura. Morire…» La strinse più forte «…o allontanarmi per sempre da te. Dimenticarti, forse»

Si destò.
Lasciò che il dolore le scivolasse addosso quanto bastasse per poter realizzare ciò che lui le aveva appena detto.
Improvvisamente lo sentì, sentì il calore delle sue mani sul suo viso, sui suoi capelli, la vicinanza.
Sentì le sue dita asciugarle le lacrime, che per un attimo parvero smettere di scorrere.
Lo allontanò.
«Tu non sai quello che dici» Lo rimproverò «Come puoi dire questo. La morte, Harry…»
Lui le sorrise malinconicamente: «Ci spaventa la solitudine Hermione, non la morte in sé.»
Lei scosse la testa: «Non sai quello che dici»
«Potrei morire.» Disse di nuovo Harry, e lei sussultò ancora «Ma tu vivrai, avrai una stupenda, meravigliosa vita… normale» Si avvicinò ad ogni parola, lei si voltò, dandogli le spalle.
«Smettila» Sussurrò tremante.
«Ron ti ama. Si prenderà cura di te, la famiglia Weasl…»
«NON VOGLIO CHE RON SI PRENDA CURA DI ME! Non voglio che qualcuno si prenda cura di me!» Urlò, fronteggiandolo ancora «Io voglio te, Harry» Gli si gettò addosso, stringendogli la maglia, picchiandogli con poca forza il petto «Voglio te. TE. Perché non lo capisci?»

Deglutì a fatica. Trattenne quel magone.
Ma non ci riuscì.
La strinse a se, piccola come era, delicata come era.
«Io capisco Hermione. Lo capisco» Le parole gli si spezzarono in un silenzioso pianto. Inspirò il profumo di lei, dai suoi capelli.
Sentì che Hermione alzava il volto molto lentamente verso il suo.

Trattenne il fiato.
Lo vide piangere, mentre le loro fronti si incontravano ancora, mentre stringeva gli occhi per non farle vedere il suo dolore. Per non farle leggere i suoi pensieri.
Gli prese la nuca fa le mani e la portò sulla sua spalla. Lui la strinse forte.
Rimasero abbracciati per diversi minuti.
Chiudeva gli occhi ogni tanto, sentiva il suo respiro sul collo. Veloce e irregolare all’inizio, ma poi sempre più calmo e mansueto.
«Restiamo così, per sempre.» Si sentì pronunciare, senza rendersene conto, lei.
Vi fu un attimo di silenzio, perfetto, in cui Harry non rispose, ma prese a baciarle sotto l’orecchio per poi, lentamente, in maniera disarmante, salire dolcemente sul suo volto. Piccoli baci.
Si sentì pervadere dai brividi, non controllò gli spasmi quando le loro labbra si incontrarono.
Il bacio fu delicato, solo per assaggiare l’uno il sapore dell’altro.
Si allontanarono lentamente.
Lui la fissò negli occhi, e lei riprese a baciarlo, con più veemenza di prima.
Stavolta si scoprirono, l’uno con l’altro.
Il desiderio, la consapevolezza di sapere che forse quello sarebbe potuto essere il loro primo, unico bacio.
Tirare a vicenda l’uno i vestiti, i fianchi, le spalle dell’altro.
Poi riprendere fiato.
«Siamo in mezzo la Sala Grande, Hermione» Disse lui, sorridendo «La gente ci osserva curiosa»
Lei sorrise, con malizia «Tu lascia che guardino»
Osservarsi.
Desiderarsi ancora.
Quando fu di nuovo fra il suo sapore, chiudendo gli occhi, le parve quasi di poter risentire il frastuono dei tempi ad Hogwarts, le posate che cadevano sui piatti, il brusio convulso di chi li poteva osservare, adesso, le ragazze indignate e curiose ridere come non mai. Il tavolo dei Serpeverde godere dello scoop.
Mentre Harry le sfiorava le labbra, le baciava il collo, e la mano fra i suoi capelli.
Poi si fermò, improvvisamente.
La guardò negli occhi e le disse
«Ti amo»
Le carezze non erano abbastanza, le effusioni.
Che dire, se non…
«Ti amo, e sarà per sempre, Harry.»
«Per sempre, Hermione. Vivrò per sempre» Sorrisero. Con la tristezza nel cuore che quella notte si fece da parte.
Ed i loro respiri sempre più caldi, i loro corpi sempre più uniti.
E fu quella notte, e fu Hogwarts stessa, ad essere solo per loro.
Che vi fossero dieci anni o dieci minuti da vivere, per loro non ebbe importanza.
Si amarono.
Per sempre.

  
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