Sweet
Christmas
Capitolo
4
Samantha non aveva
smesso di guardare Holly. Erano seduti l’uno di fronte all’altra e non appena poteva, posava i suoi occhi sul
giovane campione del Barcellona. Maggie sorrise quando, da donna, si accorse
che la ragazza aveva abbassato leggermente la scollatura, già fin troppo
audace, del suo abito in taffettà rosso. Holly non sembrava per nulla
interessato a quel decollété così avvenente e nonostante l’avesse notato più di
una volta, aveva preferito continuare a dialogare con suo padre Michael e con
Adam Smith.
Eleanor Smith si alzò e
seguì Maggie in cucina per aiutarla a servire il dolce. La cena era stata
gustosa e appetitosa sebbene Holly non avesse quasi toccato cibo. La sua mente
continuava a vagare e nei suoi occhi era ferma l’immagine di quella rivista che
le aveva restituito un’amica oramai donna.
Poco dopo, le due donne
portarono in tavola uno splendido dolce preparato per l’occasione.
-
Bene, a questo punto penso che sia
d’obbligo un brindisi. – disse Michael alzando il suo bicchiere. Gli altri lo
imitarono nel gesto e dopo poco, i bicchieri erano tutti colmi e alti per il
brindisi.
-
In questa splendida serata auguro a
ciascuno di voi che i sogni si possano realizzare e che salute e felicità vi
accompagni oggi e sempre. –
-
Auguri! -. L’eco del brindisi risuonò
nella casa.
-
Samantha hai parlato a Oliver del tuo
progetto? – le chiese la madre.
-
Veramente no, mamma. Non ne abbiamo avuto
il tempo. Magari dopo cena. Adesso gustiamo il dolce. – disse in tono
ammiccante leccando il cucchiaino ricoperto di cioccolato. Holly la guardò
attentamente memorizzando i suoi gesti poco gentili ma molto sensuali.
Nonostante Samantha non fosse il suo tipo, doveva sicuramente ammettere che era
una bella ragazza dalle curve prorompenti.
Amy guardava il marito
mentre sorrideva e dialogava con amici di famiglia. Era palesemente annoiata da
quella festa e pensierosa per Patty.
Non riusciva a dimenticare il suo sguardo triste e le sue parole. Se Holly era
rimasto quello di una volta, allora era certa che nessuno, a parte Patty, aveva
ancora conquistato il suo cuore. Doveva fare qualcosa. Doveva telefonare a
Holly e avvertirlo che Patty era a Tokyo. A lei non piacevano i Sullivan e
conoscendo Patty, era certa che non avrebbe resistito a lungo nella famiglia in
cui il carattere dominante era quello di Hanna.
Si alzò da tavola e
guardò il marito. Il suo Julian. Lo amava infinitamente, dacché erano
ragazzini, non aveva mai smesso di amare quel giovane che la salute aveva messo
a dura prova. Dopo l’ennesimo intervento cardiaco, adesso Julian sembrava
guarito e da circa tre anni conduceva una vita normale e giocava ancora a
calcio. Lui parve sentirsi osservato e si voltò in direzione della moglie. Lei
gli sorrise e gli sibilò che sarebbe andata alla toilette. Prese la borsa e si
allontanò. Indicata dai camerieri, proseguì lungo un corridoio e la trovò quasi
subito. Aprì la porta e si accertò che
fosse sola. In preda all’ansia e al timore di non riuscire nel suo intento,
rovistò nella borsa alla ricerca del cellulare di Julian. Lo trovò subito e
aiutandosi con la rubrica, cercò, tra le decine di numeri telefonici, quello
della casa di Holly.
-
Oliver, hai una mappa di Barcellona? –
chiese Samantha avvicinandosi al giovane campione. La cena era terminata e i
commensali stavano gustando il caffè in salotto.
-
Certamente. In camera mia. Vado a
prendertela. –
-
Vengo con te! – aggiunse lei seguendolo
per la scala, senza dargli neppure il tempo di risponderle. Holly entrò in
camera sua accendendo il lume sul suo comodino. Non amava le luci molto forti e
quelle soffuse rendevano più intimi gli ambienti.
-
Hai una bella stanza. – gli disse
guardandosi intorno e soffermando lo sguardo sulla libreria. Tra i vari trofei
e le medaglie, scorse le fotografie che lo ritraevano insieme ai compagni e a
Patty. Holly era intento a rovistare nel cassetto della scrivania, alla ricerca
della cartina topografica della città spagnola.
-
Sai Oliver, io studio economia e mi sono
iscritta ad un progetto internazionale che prevede il gemellaggio con una
università europea. –
-
Molto interessante. Immagino che
arriverai prima! – esclamò tediato dalla voce cantilenante della ragazza e dal
continuo elogiare dei suoi genitori.
-
Sto lavorando sodo per questo progetto
perché voglio vincerlo. – rispose con tono ammiccante.
-
Eccola! – esclamò il ragazzo mostrando
all’amica la cartina piegata. Lei si avvicinò ancheggiando sensualmente. Holly
aveva uno strano presentimento.
-
Sai! – esclamò andandogli vicino e
mettendogli una mano tra i capelli. – In caso di vincita della borsa di studio
relativa al progetto, ho già scelto l’università. –
-
Davvero? – le chiese non sapendo cosa
dire. I loro corpi erano vicinissimi. Holly poteva sentire sul suo petto, il
palpitare veloce dei suoi seni che si alzavano al solo respirare. Sembrava
ammagliato dal canto di quella sirena. La mano di lei continuava a
giocherellare con i capelli corvini e ad accarezzargli il lobo dell’orecchio.
Con fare lesto, gli tolse la cartina dall’altra mano e gliela accarezzò prima
di posare le agili dita sul suo petto.
-
Barcellona, Oliver…ho scelto la facoltà
di economia di Barcellona. – gli sussurrò all’orecchio avvicinando
pericolosamente il suo volto a quello del ragazzo. Holly sembrava in
trappola. Non riusciva a muoversi o soltanto
a parlare. Era preda di quella fata ammaliatrice che evidentemente voleva
qualcosa di più di una semplice mappa topografica.
-
Samantha…senti io…
-
Avanti Oliver…perché non iniziare il
nuovo anno sotto i migliori auspici? – gli disse afferrandogli la mano e portandosela
al seno. A quel contatto così intimo, Holly trasalì. Vide un lampo di malizia
negli occhi scuri di lei, il sorriso scarlatto non era dolce ma ardente e
sensuale. Sembrò incantarsi nel vedere quelle labbra dipinte di un rosso
intenso, muoversi al dolce stormire delle parole. Il cuore gli batteva
velocemente. Era dibattuto. Si trovava nella stretta morsa di una bella e
audace ragazza, a pochi passi da un bacio e da carezze che avrebbero potuto
scorrere velocemente su quel corpo che gli si offriva magicamente come caduto
dal cielo.
-
Samantha….io…
-
Sì, Oliver! – disse lei mentre le loro
bocche si avvicinavano pericolosamente. Sentiva il suo respiro, le sue braccia
che lo circondavano stringendolo al suo corpo. Sobbalzò quando le mani calde di
lei si insinuarono sotto il maglione di angora e presero a risalire la schiena,
in una lenta rincorsa di carezze impudiche e inebrianti. Chiuse gli occhi quasi
a voler imprimere quell’attimo di voluttà ed estasi, un’emozione fatta solo di
passione che gli aveva annebbiato la vista e attanagliato la mente.
-
Avanti Oliver, lasciati andare…in fondo
cosa c’è di male…
-
Samantha…io…-. Lei gli prese il volto tra
le mani e lo avvicinò pericolosamente al suo. Oliver le afferrò i polsi
dibattuto se allontanare o meno quelle labbra vogliose dalle sue o se cedere
alla tentazione dell’attimo. Lo squillo del telefono parve interrompere il loro
momento di eccitamento ed euforia. Per nulla sazia e avida di emozioni,
Samantha lasciò che le sue agili dita scorressero lungo il torace del giovane e
si insinuassero sotto il maglione, risalendo lentamente fino al petto nudo.
Oliver, impreparato a quell’ulteriore gesto, sussultò alle blandizie
riservategli da Samantha Smith.
-
Hollyiiiiiiiiiiiiiiiii…..al telefono! –
esclamò sua madre riportandolo alla realtà. Sbatté le palpebre come per
riprendersi dall’attimo di cedimento e passione. Guardò Samantha che parve
contrariata da quell’interruzione. Strinse la sua morsa ai polsi della ragazza
e le abbassò le braccia. Senza proferire nulla ma sollevato da quella
interruzione, si allontanò da lei e andò in corridoio per rispondere al
telefono. Lei lo seguì con lo sguardo, contrariata dall’improvviso impedimento.
-
Pronto! –
-
Oliver, ciao…-
-
Chi parla? – chiese non riconoscendo la
voce femminile all’apparecchio.
-
Amy…Amy Ross. –
-
Amy? – domandò ancora per essere certo
della sua interlocutrice. Samantha aggrottò la fronte udendo il nome di una
donna.
-
Sì capitano. Ti sembrerà strano ma sono
proprio io….
-
E’ bello risentirti. Come stai? Avevo
deciso di fare un salto a Tokyo domani, te l’ha detto Julian? – le chiese
dolcemente.
-
Sì, ma io veramente…dovevo dirti una
cosa…
-
Dimmi. – le disse esortandola a
rispondere.
-
Io…Holly io…
-
E’ successo qualcosa a Julian? State
bene? –
-
No…ehm …sì stiamo bene…senti capitano io
devo dirti una cosa: lei è in Giappone! -. Il sangue gli si gelò nelle vene. Lo
sguardo si perse nel vuoto e la memoria cominciò a rievocare velocemente il
suono della sua voce e il dolce sorriso. Tacque. Non riusciva ad emettere
alcuno suono. Il cuore gli batteva talmente forte che temeva potesse saltargli
fuori dal petto. La più piccola parola era ferma in gola in attesa che almeno
un sibilo riuscisse ad esternare il suo suono.
-
Dove? – chiese all’amica raccogliendo
tutte le forze che aveva in se. Sapeva che stavano parlando della stessa
persona anche se Amy non l’aveva nominata.
-
E’ ad una festa a Villa Sullivan, Tokyo.
-. Ancora il silenzio tra loro. Holly comprese che Amy avrebbe voluto dirgli
altro, ma in cuor suo sapeva che non era quello il momento giusto per
conversare.
-
Holly…devi andare…adesso, o sarà troppo
tardi! – aggiunse sapendo che più tempo trascorreva e minori erano le
possibilità di un loro riavvicinamento. Senza neppure rispondere all’amica,
Holly riagganciò interrompendo la conversazione. Rimase immobile a fissare il telefono. Cosa doveva fare?
Samantha era lì,
sull’uscio della sua camera in attesa che lui tornasse e che si abbandonasse
alle sue carezze. Patty! Era a Tokyo. Non era andata da lui, era rimasta nella
capitale. Probabilmente era solo di passaggio. Perché non lo aveva chiamato per
salutarlo? Possibile che dopo dieci anni, avesse realmente deciso di
dimenticarlo? Si voltò verso Samantha i cui occhi languidi non avevano smesso
di guardare il corpo scultoreo del calciatore nipponico.
-
La promessa! Ci rivedremo tra dieci anni, la notte di
Natale! – pensò ricordando quella che era stata l’ultima frase che
le aveva detto prima della sua partenza per Londra. Scosse il capo come per
rinvenire da uno stato di ipnosi e corse in camera sua. Sotto lo sguardo
interdetto di Samantha, aprì l’armadio e prese il giubbotto di pelle.
-
Mi dispiace Samantha…io non sono il tipo
giusto per te! Buon Natale. – le disse sorridendole amichevolmente. Scese di
corsa le scale e si precipitò in salotto.
-
Papà, ho bisogno della tua macchina .Dove
sono le chiavi? – gli chiese in stato di agitazione.
-
Oliver, è successo qualcosa? – chiese sua
madre preoccupata.
-
No! – rispose guardando la madre che gli
si avvicinava. – Devo andare a Tokyo. –
-
Adesso? – domandò il padre dandogli le
chiavi della macchina.
-
Sì. Mamma, devo fare quello che avrei
dovuto fare dieci anni fa! – disse sorridendole. Solo qualche istante e
scomparve dietro l’uscio.
Maggie si avvicinò alla
finestra. Vide l’auto del marito sfrecciare lungo la strada mentre fiocchi di
neve cadevano contigui imbiancando la città.
-
Spero solo che tu stia facendo la cosa
giusta! – pensò accarezzando il capo di David assonnato e in attesa di poter
scartare i regali.
Patty
sembrava incantata dalle luci dei grandi lampadari. Quasi ipnotizzata da quei
riverberi luminosi, non si accorse che era rimasta sola al suo tavolo.
-
Come mai una bella ragazza come te è da
sola? – le chiese William Gatsby accomodandosi al tavolo della figlia. Gli
altri cinque componenti, incluso Ken, danzavano o parlavano con altre persone.
William prese la mano della figlia e rimirò le lunghe e agili dita. – Non hai
risposto alla mia domanda! Ho la strana impressione che ti stia annoiando ma
che soprattutto tu sia nervosa! –
-
Non è un’impressione papà, ma la pura
verità. Vorrei poter fuggire via! –
-
Ti secca il fatto di averci qui, questa
sera? – le chiese alludendo alla sorpresa che le aveva fatto Ken.
-
Affatto. Tu e la mamma siete l’unica nota
positiva di questa interminabile, tediosa e quanto mai prolissa serata. Avrei
preferito starmene nella nostra casa di Londra, con voi due, vicini al camino a
ricordare i tempi andati. –
-
E Ken? Non sei contenta di trascorrere il
Natale con lui? -. Patty non rispose alla domanda del padre. – Un’altra domanda
alla quale non vuoi rispondere? -. Abbassò lo sguardo cercando le parole giuste
per confidarsi con il padre.
-
Immagino che dovrei essere la ragazza più
felice della terra perché ho un fidanzato ricco e famoso, bello e desiderato. E
invece, no, non sono felice se è questo che vuoi sapere. Più andiamo avanti con
questo rapporto e più mi sento soffocare. Io non sono tagliata per la vita
mondana, per i salotti di Hanna Sullivan o semplicemente per fare la comparsa
accanto al rampollo della finanza Kenneth Sullivan. Voglio bene a Ken, ma….
-
Ma è solo amicizia? – continuò lui
spronando la figlia a parlare.
-
Non saprei. Quelle poche volte che
riusciamo a stare insieme, il suo cellulare squilla continuamente e una volta
su cinque è sua madre. Lo controlla come un’ombra. E’ sempre presente nella sua
vita. Ken è privo di personalità. Dal punto di vista lavorativo, è sicuramente
una persona molto preparata ed ambiziosa e per la sua giovane età ha anche
notevole esperienza. E’ sicuramente la persona più giusta per assumere la
dirigenza effettiva e totale della società del padre. Dal punto di vista
privato, lui é….perfetto…impeccabile in tutto, ma estremamente freddo e
distaccato. –
-
Vuoi dire che non è passionale? –
-
Esatto! Vive delle stesse manie di
grandezza della madre. Se andiamo in un ristorante, affitta per la serata tutta
la sala privata. Se riusciamo a trascorrere un paio di giorni insieme lontani
dal lavoro, prenota la suite reale in un grande albergo. A me non serve tutto
questo. Io non ho bisogno che mi dia dimostrazioni di ricchezza…non è quello
che cerco in una persona…Io mi accontenterei di passeggiare lungo il Tamigi
mano nella mano, in mezzo alla gente comune, senza sentirmi un’aristocratica o
una persona importante; mi piacerebbe trascorrere un week-end in un cottage in
Scozia e non nella suite del più grande hotel di Edimburgo o in un castello
principesco. Lui vuole che tutto sia
sempre irreprensibile e inappuntabile. Nessun contrattempo. –
-
Ti manca, vero? – chiese William
interrompendo il discorso della figlia. Lei lo guardò con l’espressione serena
di chi sapeva che poteva palesare i più intimi segreti.
-
Mi sono laureata con il massimo dei voti
a Oxford. Ho una splendida famiglia, una bellissima casa a Londra, un lavoro
che mi piace e che mi sta conducendo verso la carriera diplomatica a cui ho
sempre anelato: sì, mi mancano i tempi della mia adolescenza trascorsi in
Giappone, quando mi divertivo con poco, con i ragazzi della squadra. Bastava
poco per stare bene. Soffrivo quando c’era tensione in squadra e gioivo delle
loro vittorie. –
-
E Holly? – le chiese improvvisamente
spiazzandola. William sapeva bene quale legame l’aveva unita in passato al
capitano della squadra nipponica. Si era reso conto dei suoi sentimenti, la
sera prima della partenza per Londra, durante la festa che i ragazzi avevano
organizzato per salutare Patty. E l’aveva veduto un’ultima volta all’aeroporto,
quando, contravvenendo alla richiesta di Patty, era corso per salutarla.
-
E’ sempre nel mio cuore! – rispose col
capo chino e il cuore gonfio di lacrime. Sebbene avesse mille difetti, il suo
cuore e la sua umanità erano unici…a Ken manca il cuore, l’anima che ci vuole
in un rapporto. Io non sono un oggetto, papà, che prendi e utilizzi quando ti
serve. Ho bisogno di qualcuno che mi ami per quella che sono e non per quella
che qualcun altro vorrebbe che diventassi. – aggiunse sorridendo a William. Il
signor Gatsby sospirò. Aveva compreso esattamente quali fossero i sentimenti
che agitavano il cuore della figlia. – Mi sento come un uccellino in una gabbia
dorata. Cosa succederebbe se dovessi un giorno sposare Kenneth Sullivan? –
-
Ti troverebbe un impiego internamente
alla sua azienda oppure dovresti fare la mamma a tempo pieno saltando qua e là
da un salotto all’altro in compagnia di una perfida Hanna Sullivan! – disse
ironico William nel tentativo di sdrammatizzare i pensieri della figlia.
-
Papà, ti prego. Non prendermi in giro. –
-
Affatto. Anche se in maniera satirica,
non vuol dire che non abbia indovinato. Comunque, tesoro, prima di prendere
qualsiasi decisione, ti consiglio di parlarne a Ken. Se gli vuoi bene, è giusto
che tu gli conceda un’altra possibilità. –
-
Già. – ammise accondiscendendo a quanto
aveva detto il padre. Anche se stava vivendo questa crisi nel suo rapporto con
Ken, Patty sapeva che stare accanto a lui, entrare a far parte della famiglia
Sullivan, oltre che un grande impegno da parte sua, costituiva anche un ottimo
biglietto da visita per la sua carriera diplomatica. Il nome dei Sullivan le
avrebbe portato indubbiamente molti vantaggi ma altrettanti obblighi. Patty
fissava Ken mentre discuteva di affari con un industriale di Tokyo. Kenneth
Sullivan. Bello e irreprensibile. La parte perfetta del loro rapporto. Si portò
il bicchiere di cristallo alle labbra e le umettò leggermente con il vino. Doveva
essere più positiva. Era la sera di Natale e chissà, forse un miracolo avrebbe
potuto cambiare in meglio il suo rapporto con Ken.