Rieccomi.
Spero che le feste siano andate bene per
tutti, e che siate pronti a ritornare a lavoro/sui libri. Io so per certo di
non esserlo… purtroppo.
Beh, nell’attesa che l’ispirazione per le
cose importanti arrivi, ecco un nuovo capitolo di questa storia.
Buona lettura.
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Capitolo 8
La domenica è speciale
per Davide. E’ il giorno in cui si ricarica in visione del lunedì.
Dopo aver fatto
colazione, di solito verso le 11, si sdraia sul divano per controllare i
risultati del campionato di hockey su prato. Il sabato è il giorno in cui le
squadre giocano, e a lui questo sport piace. L’ha conosciuto tramite Priscilla,
quando questa ha iniziato a praticarlo da bambina.
Dopo aver appreso
chi ha vinto e chi ha perso, ed aver aggiornato la sua personale classifica sul
computer, Davide si dedica a Bilbo, lo Scottish Terrier nero che la sua
famiglia possiede da tre anni. E’ un cane vivace, e Davide lo adora. E’ lui ad
occuparsene durante la settimana, mentre nel fine settimana
(quando il ragazzo passa molto tempo fuori casa per divertirsi con gli amici) è
Priscilla a portarlo fuori e a dargli da mangiare.
La domenica, però,
prima di pranzare, Davide e Bilbo escono sull’ampio terrazzo a giocare. Il cane
ha tanti giochi di gomma, ma il suo preferito consiste in una vecchia corda che
Davide gli ha regalato quando era ancora un cucciolo. Il ragazzo si diverte a
lanciargliela, e il cane lascia passare almeno un minuto prima di raccoglierla
e restituirla al suo padrone.
Dopo pranzo, la
domenica di Davide prosegue allo stadio, se la sua squadra gioca in casa, o sul
divano in compagnia di Giancarlo, se si tratta di una trasferta. Dopo aver
gioito o sofferto, verso le 5, il ragazzo esce per passare qualche ora con i
suoi amici, a commentare i risultati del campionato italiano, oppure a rivivere
i bei momenti passati assieme la sera prima. Di solito la cena consiste in una
pizza mangiata proprio con gli amici. Il lunedì è un giorno impegnativo, per
cui è a letto al massimo entro la mezzanotte.
Vive una vita
relativamente abitudinaria, Davide. Le sue domeniche passano sempre così.
Tranne questa.
Tranne la domenica
in cui incontrerà di nuovo Camila.
Quando è tornato a
casa e si è messo a letto (dopo una lunga doccia rilassante), Davide ha
impiegato un’ora per addormentarsi. Per tutto il tempo non ha fatto che pensare
alle parole di Camila e al suo viso. Gli occhi celesti, le labbra grandi. La
pelle naturalmente ambrata e i capelli castani, chiari in corrispondenza della
fronte e delle tempie.
Davide l’ha
osservata bene, nonostante la poca luce. Ha cercato di imprimere nella mente
ogni dettaglio, per poterlo rivivere. E l’ha fatto, prima di addormentarsi. E
lo fa, ora che è sveglio.
Controlla
l’orologio, e come ogni settimana pensa ai risultati delle partite di hockey.
Resta a letto, però, e si copre la testa con il piumone. E’ felice all’idea di
incontrarla di nuovo.
Per Davide il
desiderio di riservatezza di Camila non è un problema. Capisce che il rapporto
fra lei e Alessia potrebbe rovinarsi di più se la ragazza conoscesse la verità,
non solo su Camila, ma anche (e soprattutto) su Davide e Camila.
Non gli sembra
ancora vero: ha ammesso di essere la stessa ragazza di Carovigno. E’ cresciuta,
è cambiata, ma ai suoi occhi è la stessa persona dura e decisa che gli chiedeva
di andarsene e di lasciarla in pace.
Al buio della sua
camera, Davide sorride.
Ora Camila ha un
posto normale in cui vivere. Ora ha un posto sicuro in cui fare la doccia.
La generosità di
Davide gli è stata tramandata fin da piccolo dalla sua famiglia. Simona, sua
madre, è sempre stata disponibile ad aiutare gli altri, e suo padre (il padre
che ora non c’è più) gli ha sempre detto che il bene chiama altro bene. Fare
del bene verso gli altri rende l’uomo nobile, e Davide l’ha capito presto.
Quando ha portato
le barrette a Camila, diciassette anni prima, l’ha fatto sapendo che lei ne
aveva bisogno. L’ha fatto pensando di fare una cosa giusta. Quando è salito in
soffitta - nonostante la sua paura per quel luogo pieno di ragnatele - per
rovistare fra le vecchie cose di Priscilla, l’ha fatto sapendo che a Camila
avrebbero fatto comodo un paio di scarpe nuove. Le sue erano grandi e rovinate.
Essere generoso
l’ha sempre reso uno dei preferiti.
A scuola, quando si
offriva per aiutare un compagno in difficoltà in una materia, gli insegnanti
non avevano che parole di elogio per lui. In famiglia, quando ancora oggi si
offre per fare commissioni o aiutare in casa, sua madre non fa che dargli baci
sulla fronte e dirgli ‘Come farei senza di te’.
Con le ragazze,
poi, la sua generosità è un biglietto da visita di tutto rispetto. E’ ciò che
gli ha permesso e gli permette di avere molti appuntamenti.
Alle donne piace
essere corteggiate con gentilezza, con galanteria. Davide ha imparato molti
trucchetti, grazie ai suoi amici e ai consigli di Giancarlo, ma sa che la
generosità aiuta sempre.
Come ieri, quando ha
aiutato Alessia e Ida a riordinare il salotto, mentre Camila era fuori casa.
“Davide? Davide, sei sveglio?”
La voce di sua
madre è bassa. Lo colpisce alle spalle, senza che lui si sia accorto della
porta che veniva aperta.
“Sì,” risponde, emergendo dalle coperte. “Buongiorno,” aggiunge, stropicciandosi gli occhi.
“Buongiorno,” dice lei, accarezzandogli i capelli. “Volevo solo
chiederti se vuoi che ti prepari un panino per lo stadio, o se pensi di
prendere qualcosa lì. E’ quasi l’una.”
L’una? Per quanto
tempo è rimasto a fantasticare su Camila?
E cosa vuol dire
‘panino per lo stadio’? Si gioca in casa?
“No,” risponde, incrociando le dita sotto la testa per
sollevarsi. “Oggi non vado allo stadio. La guardo qui,
la partita.”
“Oh. Va bene,
allora. Perfetto.” Gli sorride, e poi getta
un’occhiata distratta al letto. “Beh, è comunque ora che ti
alzi, o vuoi rimanere lì per tutto il giorno? Forza, Bilbo è fermo
davanti alla tua porta da un’ora.”
Davide si alza sui
gomiti e scopre che Bilbo è proprio lì, scodinzolante, ad attenderlo. Le camere
da letto sono off limits per il cane, per questo esprime la sua incontenibile
gioia battendo le zampe sul pavimento, in attesa di uscire a giocare.
“Ciao,
Bilbo. Arrivo subito,” dice Davide.
Sua madre lo saluta
ed esce dalla stanza per dargli modo di vestirsi.
Mentre lo fa, Davide controlla il telefono. Nessuna chiamata da parte
di Alessia. Nessuna chiamata da parte delle ragazze con cui è uscito prima di iniziare
ad uscire con Alessia. Nessuna chiamata da parte di Camila, ma di questo non si
meraviglia: non si sono scambiati i numeri.
Una volta pronto,
si occupa di rifare il letto e di aprire la finestra per far cambiare l’aria.
Si chiude la porta
alle spalle e fa una carezza a Bilbo. Il cane scodinzola e lo precede al piano
di sotto, pronto a giocare.
Quando arriva stasera?
Stasera arriva diverse ore dopo. Ore passate a giocare con Bilbo, a
tifare la sua squadra (che fortunatamente ha vinto) e a controllare l’orologio.
“Ehi, dove vai?”
gli chiede sua madre quando lo vede prendere le chiavi dell’auto. E’ seduta sul
divano accanto a Giancarlo, intenta a guardare una commedia alla tv.
“Esco,” risponde Davide, come se uscire alle 10 di domenica sera
fosse la cosa più naturale della terra. “Con i miei amici.”
“Certo, con gli
amici…” ribatte Priscilla, dalla cucina.
“Sshhh!” interviene
lui.
Non intende dare
spiegazioni alla sua famiglia, tantomeno sul luogo in cui si sta recando.
“Non
fare troppo tardi.
Domani devi riprendere a studiare,” dice con severità
Simona.
“D’accordo,
d’accordo.”
Saluta tutti con un
bacio volante, dà un’altra carezza a Bilbo e parte.
Impiega quaranta
minuti per raggiungere il retro del palazzo in cui vivono Alessia e Camila.
Parcheggia l’auto nello stesso punto del giorno prima, rallegrandosi per aver
trovato un posto facilmente, e controlla l’orologio. Non si sono dati un
appuntamento preciso, per questo ha deciso di presentarsi più o meno alla
stessa ora in cui sono scesi ieri sera.
Scavalca il muretto
di cinta del giardino, cercando di non sporcarsi i pantaloni scuri e la giacca
(ha pensato di osare, come se si trattasse di un appuntamento vero e proprio),
e vede che Camila è già lì, accanto allo stesso lampione.
Indossa perfino lo
stesso cardigan, ma i pantaloni sono di un colore diverso.
E’ felice di non
dover aspettare il suo arrivo, e lo dimostra andandole incontro a passo
spedito, sorridendo.
“Ciao,” dice.
“Ciao,” risponde lei.
“Sei qui da molto? Non sapevo a che ora…”
“Sono appena
arrivata,” lo interrompe.
Camila non riesce a
guardarlo negli occhi per più di due secondi; muove lo sguardo dal viso di
Davide agli alberi, ai cespugli secchi, alla panchina rovinata.
Davide vorrebbe che
lei si fermasse. Sembra nervosa, e non vuole che lo sia.
“Perfetto,” dice. “Hai… hai passato una bella giornata?”
Camila annuisce. “Ho riposato. E ho fatto il bucato,”
aggiunge, scrollando le spalle.
“Non sei uscita?”
Camila scuote il
capo. “Non fino a poco fa, per venire qui.”
Davide è sorpreso.
Non tanto dalle timide risposte di Camila, quanto dalle domande che le sta
facendo. Gli sembrano stupide, insignificanti.
E’ abituato a
frequentare persone più grandi di lui, ma non è mai uscito con una ragazza più
grande. Camila lo è, e anche se non si tratta di un vero appuntamento, Davide
non può fare a meno di sentirsi in difficoltà.
“Ti va se ci
sediamo un po’?” chiede lei. Si volta verso la panchina rovinata.
“Sì,” risponde Davide. “Va bene.”
Si accomodano e
restano in silenzio per qualche momento.
“Oggi non sei
uscito con Alessia?”
“Come? Oh, no. Oggi no,”
dice lui.
Dopo pranzo, la
ragazza le ha inviato un messaggio, chiedendogli se avesse programmi per la
serata. Lui si è inventato una cena di famiglia a cui non poteva mancare, e le
ha augurato una buona giornata e un buon inizio di settimana.
“Davvero le hai
mentito?” chiede Camila, dopo che le ha raccontato tutto.
“Sì. Non potevo dirle che sarei venuto qui, no? A proposito,” dice,
guardandosi attorno. “Non è che ci sta spiando?”
“No,” risponde lei senza indugio. “Le finestre del nostro
appartamento non affacciano su questo lato, e poi è rimasta per tutto il giorno
in camera sua. Credo che stia studiando per un esame.”
Davide si sente
sollevato. Essere scoperti da Alessia sarebbe un’esperienza poco piacevole.
Non saprebbe come
giustificare la sua presenza, tranne che con un’altra bugia, e di sicuro Camila
reagirebbe male.
Un altro momento di
silenzio, in cui Davide pensa a cosa dire. Nel farlo osserva le gambe sottili di Camila
e le sue scarpe. Sono scure, pulite, dignitose.
Tutti, in lei, grida
dignità. Anche il modo in cui mangiava, ieri sera. Composta, educata.
“E così hai vissuto
in Germania,” dice dopo aver riflettuto. “A diciotto
anni sono andato a Berlino,” dice. “In vacanza con i
miei amici.”
“Non sono mai stata
a Berlino,” mormora Camila, alzando gli occhi sul suo
viso. “E’ bella?”
“Molto. Come
souvenir ho portato un pezzo del muro… sai che li vendono?”
Camila sembra
smarrita per un secondo, ma poi annuisce.
“Dove vivevi? Eri molto lontana da Berlino?”
“Bad Saulgau,” risponde lei. “La città in cui vivevo è Bad Saulgau.” Si
strofina il naso prima di continuare. “Ero molto lontana da Berlino.” E non
dice altro.
“Anch’io mi sono
spostato da Carovigno,” dice Davide. “Ovviamente…
visto che siamo qui,” aggiunge poi, dandosi dello
stupido. “Mia madre si è risposata quando mio padre è morto, e siamo venuti qui a Roma.”
Camila allarga gli
occhi alla notizia. “Mi dispiace.” Non dice altro.
“Ehi,
che c’è? Tutto bene?”
“Una volta hai
nominato tuo padre,” sussurra lei. “Negli spogliatoi.”
“Quando?”
“Quando non volevo
accettare le scarpe di tua sorella. Dicesti che se non l’avessi fatto avresti
chiamato prima il magazziniere e poi tuo padre.”
Davide è
meravigliato. “L’ho detto davvero? Te
ne ricordi ancora?”
Camila lo guarda,
come se volesse aggiungere qualcos’altro, ma si limita ad annuire.
“Da piccolo ero una
peste,” dice sorridendo. “Priscilla mi faceva i
dispetti, e i miei compagni di classe mi prendevano in giro per le orecchie a sventola.
Ero un bambino allegro, ma spesso avevo bisogno di farmi valere, di non farmi
calpestare.” Guarda Camila, le punta un dito contro. “Ricordo che eri piuttosto agguerrita, sai? Volevi a tutti i
costi che ti lasciassi sola, eri così… testarda.”
Testarda come ieri, quando non volevi che ti
offrissi la pizza. Eppure ce l’ho fatta, sia diciassette anni fa che ieri.
“Non avevi le
orecchie a sventola,” dice lei, sorridendo. “Non le
hai neppure adesso.”
“Infatti!” esclama
il ragazzo. “Eppure tutti si divertivano a chiamarmi Dumbo.
Incredibile. I bambini sono crudeli.”
“Tu non eri crudele,” dice Camila, facendo dondolare un piede. “Ficcanaso,
forse, ma non crudele.”
A Davide piace
sentirla parlare. Non solo per la sua voce, un po’ roca, ma anche perché adora
osservare le sue labbra che si muovono. Ne è ipnotizzato, sempre.
“Non ero ficcanaso,” risponde, senza staccare gli occhi dal sorriso di lei. “Ero
buono.” Pronuncia l’ultima frase inclinando la testa sulla spalla, con lo
sguardo di un cagnolino in attesa dell’osso.
Camila ride di
gusto all’espressione buffa di lui. “Ok, ok. Eri buono.” Lascia passare cinque
secondi. “E anche un po’ ficcanaso.”
“Se
io ero ficcanaso, allora tu eri testarda. Ammettilo.”
“Lo ammetto,” ribatte, senza problemi. “Dovevo esserlo. Non potevo
farmi scoprire dal magazziniere.”
“Quanti anni
avevi?” chiede lui, pentendosene all’istante. “Come non detto, scusa. Non si
chiede l’età ad una signora.”
“Avevo 14 anni,” risponde. “Ora ne ho
E’ tanto più grande,
pensa lui. “Io ho solo 24 anni,” dice, traducendo in
parole il pensiero amareggiato. “Avevo 7 anni allora.”
“Eri molto
coraggioso.” Le parole di Camila arrivano quando Davide guarda a terra. La voce
è bassa, ma comprensibile. Il
silenzio e la semi oscurità li circondano. “La maggior parte dei bambini
sarebbe scappata via di fronte ad una come me, invece
tu-”
“Una
come te?”
“Una persona povera,” chiarisce lei. “Hai gridato solo una volta, o forse due.
E solo perché ti aspettavi di trovare un tuo amichetto sotto la doccia.”
Davide non sa come
ribattere. Non pensa che il suo comportamento possa definirsi coraggioso, ma su
una cosa non c’è dubbio: non ha mai avuto paura di Camila.
“C’era qualcuno che
scappava da te?” chiede. “I bambini della scuola calcio ti hanno trattata
male?”
“No, non mi hanno
trattata male” risponde lei. “E comunque è passato tanto tempo… quel che
accadeva allora non importa più.”
Importa per me.
Davide è curioso, e
se ne vergogna. Sa che chiedere a Camila della sua vita è sconsigliabile e
irrispettoso, ma non riesce a trattenersi. Gli piace ricordare di quei giorni,
quando dopo ogni allenamento passava la serata a descrivere a suo padre ogni
passaggio, ogni gol, ogni esercizio che il mister gli aveva fatto fare. Ricordare
Carovigno lo mette di buonumore, ma forse per Camila non è così. In fondo lei a
Carovigno era la ragazza che non aveva docciaschiuma e scarpe decenti.
“Non volevo farti
ricordare cose tristi,” dice. “Scusa.”
“Non c’è bisogno di
scusarsi,” ribatte prontamente lei. “Non
preoccuparti.”
E proprio in quel
momento sentono di nuovo la musica. Proviene dalla stessa finestra, ed entrambi
si voltano in quella direzione.
La melodia è
diversa da quella della sera prima, e Camila la riconosce subito.
“Adoro questa
canzone,” dice con entusiasmo.
Davide riconosce
subito l’arpa e la voce sottile della cantante.
“La conosci?”
chiede lei, muovendo il piede a tempo con la musica.
“Sì.”
“E’ bellissima,” sussurra. Il vento è a favore anche stasera, per cui
restano in silenzio ad ascoltare.
Il ragazzo guarda
Camila, che a sua volta guarda lui. Strofa dopo strofa, si osservano, si
guardano.
Davide ammira le
sue labbra e si ubriaca delle parole della canzone. Il ritmo sostenuto e le
percussioni iniziano a guidare i suoi pensieri
E’ così bella.
Vorrebbe conoscere
le sue idee, i suoi pensieri. Vorrebbe sapere perché continua a guardarlo e a
mordersi l’interno della guancia. Vorrebbe accarezzarle la pelle ambrata.
Lo vuole anche lei? Perché mi attrae così
tanto? Se la toccassi cosa farebbe? E Alessia?
C’è un pizzico di
magia, fra di loro, e non si tratta di una sensazione
bugiarda.
Davide la scorge
negli occhi celesti di Camila, nel sorriso appena accennato.
La magia svanisce,
però, quando la canzone giunge al termine. Camila si alza in piedi, e nel farlo
sfiora la mano di Davide. Un gesto volontario? Un puro caso?
“Sì è fatto tardi,” dice, infilando le mani nelle tasche del cardigan. “Devo
andare.”
“Di
già? Sono
passati solo pochi… No, sono passate quasi due ore…” dice con sorpresa, quando
guarda l’orologio.
“Già. Ho bisogno di
riposare, domani lavoro.”
Davide non è pronto
a separarsi da lei. Gli sembra che non abbiano parlato di nulla di importante. E’
come quando da piccolo andava alle giostre, e i suoi gli dicevano che era il
momento di andare via proprio quando stava cominciando a divertirsi.
Si alza anche lui. “Posso
chiamarti?” chiede, anche se non dovrebbe.
Camila allarga gli
occhi ancora una volta. “Vuoi il mio numero?”
“Lo vorrei,” risponde. “Ma so che non… Voglio vederti ancora,” sbotta. “Oppure sentirti. O vederti e sentirti. Anche qui,” dice, indicando la panchina. “Anche la prossima
settimana, se da domani devi lavorare e non puoi.”
Sebbene Camila
resti muta, Davide può leggere sul suo viso le emozioni che sta provando:
sorpresa, meraviglia, timore, e infine durezza.
“Tu e Alessia
uscite assieme,” dice, ammettendo l’ovvio. “Perché
vuoi vedere me? O sentire me? Tu e lei siete…”
Non termina la frase. Estrae le mani dalle tasche e si abbraccia la
vita, guardando in basso. “No,” sussurra. “Non posso.”
“Se è per Alessia
non c’è problema,” dice lui. E’ pronto a non cercarla
più. E’ pronto a mettere fine al loro rapporto appena iniziato.
Tutto, pur di
rivedere Camila. Pur di guadagnarsi l’opportunità di darle un bacio. Lo farebbe
anche adesso, se non avesse paura di una brutta reazione.
“Fra me e Alessia
non c’è nulla di serio,” riprende. “Voglio rivederti, Camila. Voglio chiamarti. Voglio-”
“Io sono sposata,” dice in un respiro. “Sono sposata,”
ripete.
Raddrizza le
spalle, abbassa le braccia lungo i fianchi e lo dice di nuovo. “Sono sposata.”
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La canzone era Cosmic
Love, di Florence + The Machine.
E Davide è laziale, non c’è bisogno che lo precisi XD
Alla prossima.