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Autore: Stupid Lamb    09/01/2011    19 recensioni
“Non voglio niente, Davide. Non devi metterti nei guai per me.”
“Ma tu… tu sei povera.”
“Lo so, ma questo non è un tuo problema. Hai già fatto molto per me. Non devi preoccuparti, chiaro?”
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rieccomi

Rieccomi.

Spero che le feste siano andate bene per tutti, e che siate pronti a ritornare a lavoro/sui libri. Io so per certo di non esserlo… purtroppo.

Beh, nell’attesa che l’ispirazione per le cose importanti arrivi, ecco un nuovo capitolo di questa storia.

 

Buona lettura.

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Capitolo 8

 

La domenica è speciale per Davide. E’ il giorno in cui si ricarica in visione del lunedì.

Dopo aver fatto colazione, di solito verso le 11, si sdraia sul divano per controllare i risultati del campionato di hockey su prato. Il sabato è il giorno in cui le squadre giocano, e a lui questo sport piace. L’ha conosciuto tramite Priscilla, quando questa ha iniziato a praticarlo da bambina.

Dopo aver appreso chi ha vinto e chi ha perso, ed aver aggiornato la sua personale classifica sul computer, Davide si dedica a Bilbo, lo Scottish Terrier nero che la sua famiglia possiede da tre anni. E’ un cane vivace, e Davide lo adora. E’ lui ad occuparsene durante la settimana, mentre nel fine settimana (quando il ragazzo passa molto tempo fuori casa per divertirsi con gli amici) è Priscilla a portarlo fuori e a dargli da mangiare.

La domenica, però, prima di pranzare, Davide e Bilbo escono sull’ampio terrazzo a giocare. Il cane ha tanti giochi di gomma, ma il suo preferito consiste in una vecchia corda che Davide gli ha regalato quando era ancora un cucciolo. Il ragazzo si diverte a lanciargliela, e il cane lascia passare almeno un minuto prima di raccoglierla e restituirla al suo padrone.

Dopo pranzo, la domenica di Davide prosegue allo stadio, se la sua squadra gioca in casa, o sul divano in compagnia di Giancarlo, se si tratta di una trasferta. Dopo aver gioito o sofferto, verso le 5, il ragazzo esce per passare qualche ora con i suoi amici, a commentare i risultati del campionato italiano, oppure a rivivere i bei momenti passati assieme la sera prima. Di solito la cena consiste in una pizza mangiata proprio con gli amici. Il lunedì è un giorno impegnativo, per cui è a letto al massimo entro la mezzanotte.

Vive una vita relativamente abitudinaria, Davide. Le sue domeniche passano sempre così.

Tranne questa.

Tranne la domenica in cui incontrerà di nuovo Camila.

Quando è tornato a casa e si è messo a letto (dopo una lunga doccia rilassante), Davide ha impiegato un’ora per addormentarsi. Per tutto il tempo non ha fatto che pensare alle parole di Camila e al suo viso. Gli occhi celesti, le labbra grandi. La pelle naturalmente ambrata e i capelli castani, chiari in corrispondenza della fronte e delle tempie.

Davide l’ha osservata bene, nonostante la poca luce. Ha cercato di imprimere nella mente ogni dettaglio, per poterlo rivivere. E l’ha fatto, prima di addormentarsi. E lo fa, ora che è sveglio.

Controlla l’orologio, e come ogni settimana pensa ai risultati delle partite di hockey. Resta a letto, però, e si copre la testa con il piumone. E’ felice all’idea di incontrarla di nuovo.

Per Davide il desiderio di riservatezza di Camila non è un problema. Capisce che il rapporto fra lei e Alessia potrebbe rovinarsi di più se la ragazza conoscesse la verità, non solo su Camila, ma anche (e soprattutto) su Davide e Camila.

Non gli sembra ancora vero: ha ammesso di essere la stessa ragazza di Carovigno. E’ cresciuta, è cambiata, ma ai suoi occhi è la stessa persona dura e decisa che gli chiedeva di andarsene e di lasciarla in pace.

Al buio della sua camera, Davide sorride.

Ora Camila ha un posto normale in cui vivere. Ora ha un posto sicuro in cui fare la doccia.

 

La generosità di Davide gli è stata tramandata fin da piccolo dalla sua famiglia. Simona, sua madre, è sempre stata disponibile ad aiutare gli altri, e suo padre (il padre che ora non c’è più) gli ha sempre detto che il bene chiama altro bene. Fare del bene verso gli altri rende l’uomo nobile, e Davide l’ha capito presto.

Quando ha portato le barrette a Camila, diciassette anni prima, l’ha fatto sapendo che lei ne aveva bisogno. L’ha fatto pensando di fare una cosa giusta. Quando è salito in soffitta - nonostante la sua paura per quel luogo pieno di ragnatele - per rovistare fra le vecchie cose di Priscilla, l’ha fatto sapendo che a Camila avrebbero fatto comodo un paio di scarpe nuove. Le sue erano grandi e rovinate.

Essere generoso l’ha sempre reso uno dei preferiti.

A scuola, quando si offriva per aiutare un compagno in difficoltà in una materia, gli insegnanti non avevano che parole di elogio per lui. In famiglia, quando ancora oggi si offre per fare commissioni o aiutare in casa, sua madre non fa che dargli baci sulla fronte e dirgli ‘Come farei senza di te’.

Con le ragazze, poi, la sua generosità è un biglietto da visita di tutto rispetto. E’ ciò che gli ha permesso e gli permette di avere molti appuntamenti.

Alle donne piace essere corteggiate con gentilezza, con galanteria. Davide ha imparato molti trucchetti, grazie ai suoi amici e ai consigli di Giancarlo, ma sa che la generosità aiuta sempre.

Come ieri, quando ha aiutato Alessia e Ida a riordinare il salotto, mentre Camila era fuori casa.

“Davide? Davide, sei sveglio?”

La voce di sua madre è bassa. Lo colpisce alle spalle, senza che lui si sia accorto della porta che veniva aperta.

“Sì,” risponde, emergendo dalle coperte. “Buongiorno,” aggiunge, stropicciandosi gli occhi.

“Buongiorno,” dice lei, accarezzandogli i capelli. “Volevo solo chiederti se vuoi che ti prepari un panino per lo stadio, o se pensi di prendere qualcosa lì. E’ quasi l’una.”

L’una? Per quanto tempo è rimasto a fantasticare su Camila?

E cosa vuol dire ‘panino per lo stadio’? Si gioca in casa?

“No,” risponde, incrociando le dita sotto la testa per sollevarsi. “Oggi non vado allo stadio. La guardo qui, la partita.”

“Oh. Va bene, allora. Perfetto.” Gli sorride, e poi getta un’occhiata distratta al letto. “Beh, è comunque ora che ti alzi, o vuoi rimanere lì per tutto il giorno? Forza, Bilbo è fermo davanti alla tua porta da un’ora.

Davide si alza sui gomiti e scopre che Bilbo è proprio lì, scodinzolante, ad attenderlo. Le camere da letto sono off limits per il cane, per questo esprime la sua incontenibile gioia battendo le zampe sul pavimento, in attesa di uscire a giocare.

“Ciao, Bilbo. Arrivo subito,” dice Davide.

Sua madre lo saluta ed esce dalla stanza per dargli modo di vestirsi.

Mentre lo fa, Davide controlla il telefono. Nessuna chiamata da parte di Alessia. Nessuna chiamata da parte delle ragazze con cui è uscito prima di iniziare ad uscire con Alessia. Nessuna chiamata da parte di Camila, ma di questo non si meraviglia: non si sono scambiati i numeri.

Una volta pronto, si occupa di rifare il letto e di aprire la finestra per far cambiare l’aria.

Si chiude la porta alle spalle e fa una carezza a Bilbo. Il cane scodinzola e lo precede al piano di sotto, pronto a giocare.

Quando arriva stasera?

 

Stasera arriva diverse ore dopo. Ore passate a giocare con Bilbo, a tifare la sua squadra (che fortunatamente ha vinto) e a controllare l’orologio.

“Ehi, dove vai?” gli chiede sua madre quando lo vede prendere le chiavi dell’auto. E’ seduta sul divano accanto a Giancarlo, intenta a guardare una commedia alla tv.

“Esco,” risponde Davide, come se uscire alle 10 di domenica sera fosse la cosa più naturale della terra. “Con i miei amici.”

“Certo, con gli amici…” ribatte Priscilla, dalla cucina.

“Sshhh!” interviene lui.

Non intende dare spiegazioni alla sua famiglia, tantomeno sul luogo in cui si sta recando.

“Non fare troppo tardi. Domani devi riprendere a studiare,” dice con severità Simona.

“D’accordo, d’accordo.”

Saluta tutti con un bacio volante, dà un’altra carezza a Bilbo e parte.

Impiega quaranta minuti per raggiungere il retro del palazzo in cui vivono Alessia e Camila. Parcheggia l’auto nello stesso punto del giorno prima, rallegrandosi per aver trovato un posto facilmente, e controlla l’orologio. Non si sono dati un appuntamento preciso, per questo ha deciso di presentarsi più o meno alla stessa ora in cui sono scesi ieri sera.

Scavalca il muretto di cinta del giardino, cercando di non sporcarsi i pantaloni scuri e la giacca (ha pensato di osare, come se si trattasse di un appuntamento vero e proprio), e vede che Camila è già lì, accanto allo stesso lampione.

Indossa perfino lo stesso cardigan, ma i pantaloni sono di un colore diverso.

E’ felice di non dover aspettare il suo arrivo, e lo dimostra andandole incontro a passo spedito, sorridendo.

“Ciao,” dice.

“Ciao,” risponde lei.

“Sei qui da molto? Non sapevo a che ora…”

“Sono appena arrivata,” lo interrompe.

Camila non riesce a guardarlo negli occhi per più di due secondi; muove lo sguardo dal viso di Davide agli alberi, ai cespugli secchi, alla panchina rovinata.

Davide vorrebbe che lei si fermasse. Sembra nervosa, e non vuole che lo sia.

“Perfetto,” dice. “Hai… hai passato una bella giornata?”

Camila annuisce. “Ho riposato. E ho fatto il bucato,” aggiunge, scrollando le spalle.

“Non sei uscita?”

Camila scuote il capo. “Non fino a poco fa, per venire qui.”

Davide è sorpreso. Non tanto dalle timide risposte di Camila, quanto dalle domande che le sta facendo. Gli sembrano stupide, insignificanti.

E’ abituato a frequentare persone più grandi di lui, ma non è mai uscito con una ragazza più grande. Camila lo è, e anche se non si tratta di un vero appuntamento, Davide non può fare a meno di sentirsi in difficoltà.

“Ti va se ci sediamo un po’?” chiede lei. Si volta verso la panchina rovinata.

“Sì,” risponde Davide. “Va bene.”

Si accomodano e restano in silenzio per qualche momento.

“Oggi non sei uscito con Alessia?”

“Come? Oh, no. Oggi no,” dice lui.

Dopo pranzo, la ragazza le ha inviato un messaggio, chiedendogli se avesse programmi per la serata. Lui si è inventato una cena di famiglia a cui non poteva mancare, e le ha augurato una buona giornata e un buon inizio di settimana.

“Davvero le hai mentito?” chiede Camila, dopo che le ha raccontato tutto.

“Sì. Non potevo dirle che sarei venuto qui, no? A proposito,” dice, guardandosi attorno. “Non è che ci sta spiando?”

“No,” risponde lei senza indugio. “Le finestre del nostro appartamento non affacciano su questo lato, e poi è rimasta per tutto il giorno in camera sua. Credo che stia studiando per un esame.”

Davide si sente sollevato. Essere scoperti da Alessia sarebbe un’esperienza poco piacevole.

Non saprebbe come giustificare la sua presenza, tranne che con un’altra bugia, e di sicuro Camila reagirebbe male.

Un altro momento di silenzio, in cui Davide pensa a cosa dire. Nel  farlo osserva le gambe sottili di Camila e le sue scarpe. Sono scure, pulite, dignitose.

Tutti, in lei, grida dignità. Anche il modo in cui mangiava, ieri sera. Composta, educata.

“E così hai vissuto in Germania,” dice dopo aver riflettuto. “A diciotto anni sono andato a Berlino,” dice. “In vacanza con i miei amici.”

“Non sono mai stata a Berlino,” mormora Camila, alzando gli occhi sul suo viso. “E’ bella?”

“Molto. Come souvenir ho portato un pezzo del muro… sai che li vendono?

Camila sembra smarrita per un secondo, ma poi annuisce.

“Dove vivevi? Eri molto lontana da Berlino?”

“Bad Saulgau,” risponde lei. “La città in cui vivevo è Bad Saulgau.” Si strofina il naso prima di continuare. “Ero molto lontana da Berlino.” E non dice altro.

“Anch’io mi sono spostato da Carovigno,” dice Davide. “Ovviamente… visto che siamo qui,” aggiunge poi, dandosi dello stupido. “Mia madre si è risposata quando mio padre è morto, e siamo venuti qui a Roma.”

Camila allarga gli occhi alla notizia. “Mi dispiace.” Non dice altro.

“Ehi, che c’è? Tutto bene?”

“Una volta hai nominato tuo padre,” sussurra lei. “Negli spogliatoi.”

“Quando?”

“Quando non volevo accettare le scarpe di tua sorella. Dicesti che se non l’avessi fatto avresti chiamato prima il magazziniere e poi tuo padre.

Davide è meravigliato. “L’ho detto davvero? Te ne ricordi ancora?”

Camila lo guarda, come se volesse aggiungere qualcos’altro, ma si limita ad annuire.

“Da piccolo ero una peste,” dice sorridendo. “Priscilla mi faceva i dispetti, e i miei compagni di classe mi prendevano in giro per le orecchie a sventola. Ero un bambino allegro, ma spesso avevo bisogno di farmi valere, di non farmi calpestare. Guarda Camila, le punta un dito contro. “Ricordo che eri piuttosto agguerrita, sai? Volevi a tutti i costi che ti lasciassi sola, eri così… testarda.

Testarda come ieri, quando non volevi che ti offrissi la pizza. Eppure ce l’ho fatta, sia diciassette anni fa che ieri.

“Non avevi le orecchie a sventola,” dice lei, sorridendo. “Non le hai neppure adesso.”

“Infatti!” esclama il ragazzo. “Eppure tutti si divertivano a chiamarmi Dumbo. Incredibile. I bambini sono crudeli.”

“Tu non eri crudele,” dice Camila, facendo dondolare un piede. “Ficcanaso, forse, ma non crudele.”

A Davide piace sentirla parlare. Non solo per la sua voce, un po’ roca, ma anche perché adora osservare le sue labbra che si muovono. Ne è ipnotizzato, sempre.

“Non ero ficcanaso,” risponde, senza staccare gli occhi dal sorriso di lei. “Ero buono.” Pronuncia l’ultima frase inclinando la testa sulla spalla, con lo sguardo di un cagnolino in attesa dell’osso.

Camila ride di gusto all’espressione buffa di lui. “Ok, ok. Eri buono.” Lascia passare cinque secondi. “E anche un po’ ficcanaso.”

“Se io ero ficcanaso, allora tu eri testarda. Ammettilo.”

“Lo ammetto,” ribatte, senza problemi. “Dovevo esserlo. Non potevo farmi scoprire dal magazziniere.

“Quanti anni avevi?” chiede lui, pentendosene all’istante. “Come non detto, scusa. Non si chiede l’età ad una signora.”

“Avevo 14 anni,” risponde. “Ora ne ho 31.”

E’ tanto più grande, pensa lui. “Io ho solo 24 anni,” dice, traducendo in parole il pensiero amareggiato. “Avevo 7 anni allora.”

“Eri molto coraggioso.” Le parole di Camila arrivano quando Davide guarda a terra. La voce è bassa, ma comprensibile. Il silenzio e la semi oscurità li circondano. “La maggior parte dei bambini sarebbe scappata via di fronte ad una come me, invece tu-”

Una come te?”

“Una persona povera,” chiarisce lei. “Hai gridato solo una volta, o forse due. E solo perché ti aspettavi di trovare un tuo amichetto sotto la doccia.

Davide non sa come ribattere. Non pensa che il suo comportamento possa definirsi coraggioso, ma su una cosa non c’è dubbio: non ha mai avuto paura di Camila.

“C’era qualcuno che scappava da te?” chiede. “I bambini della scuola calcio ti hanno trattata male?”

“No, non mi hanno trattata male” risponde lei. “E comunque è passato tanto tempo… quel che accadeva allora non importa più.”

Importa per me.

Davide è curioso, e se ne vergogna. Sa che chiedere a Camila della sua vita è sconsigliabile e irrispettoso, ma non riesce a trattenersi. Gli piace ricordare di quei giorni, quando dopo ogni allenamento passava la serata a descrivere a suo padre ogni passaggio, ogni gol, ogni esercizio che il mister gli aveva fatto fare. Ricordare Carovigno lo mette di buonumore, ma forse per Camila non è così. In fondo lei a Carovigno era la ragazza che non aveva docciaschiuma e scarpe decenti.

“Non volevo farti ricordare cose tristi,” dice. “Scusa.”

“Non c’è bisogno di scusarsi,” ribatte prontamente lei. “Non preoccuparti.”

E proprio in quel momento sentono di nuovo la musica. Proviene dalla stessa finestra, ed entrambi si voltano in quella direzione.

La melodia è diversa da quella della sera prima, e Camila la riconosce subito.

“Adoro questa canzone,” dice con entusiasmo.

Davide riconosce subito l’arpa e la voce sottile della cantante.

“La conosci?” chiede lei, muovendo il piede a tempo con la musica.

“Sì.”

“E’ bellissima,” sussurra. Il vento è a favore anche stasera, per cui restano in silenzio ad ascoltare.

Il ragazzo guarda Camila, che a sua volta guarda lui. Strofa dopo strofa, si osservano, si guardano.

Davide ammira le sue labbra e si ubriaca delle parole della canzone. Il ritmo sostenuto e le percussioni iniziano a guidare i suoi pensieri

E’ così bella.

Vorrebbe conoscere le sue idee, i suoi pensieri. Vorrebbe sapere perché continua a guardarlo e a mordersi l’interno della guancia. Vorrebbe accarezzarle la pelle ambrata.

Lo vuole anche lei? Perché mi attrae così tanto? Se la toccassi cosa farebbe? E Alessia?

C’è un pizzico di magia, fra di loro, e non si tratta di una sensazione bugiarda.

Davide la scorge negli occhi celesti di Camila, nel sorriso appena accennato.

La magia svanisce, però, quando la canzone giunge al termine. Camila si alza in piedi, e nel farlo sfiora la mano di Davide. Un gesto volontario? Un puro caso?

“Sì è fatto tardi,” dice, infilando le mani nelle tasche del cardigan. “Devo andare.”

“Di già? Sono passati solo pochi… No, sono passate quasi due ore…” dice con sorpresa, quando guarda l’orologio.

“Già. Ho bisogno di riposare, domani lavoro.”

Davide non è pronto a separarsi da lei. Gli sembra che non abbiano parlato di nulla di importante. E’ come quando da piccolo andava alle giostre, e i suoi gli dicevano che era il momento di andare via proprio quando stava cominciando a divertirsi.

Si alza anche lui. “Posso chiamarti?” chiede, anche se non dovrebbe.

Camila allarga gli occhi ancora una volta. “Vuoi il mio numero?”

“Lo vorrei,” risponde. “Ma so che non… Voglio vederti ancora,” sbotta. “Oppure sentirti. O vederti e sentirti. Anche qui,” dice, indicando la panchina. “Anche la prossima settimana, se da domani devi lavorare e non puoi.”

Sebbene Camila resti muta, Davide può leggere sul suo viso le emozioni che sta provando: sorpresa, meraviglia, timore, e infine durezza.

“Tu e Alessia uscite assieme,” dice, ammettendo l’ovvio. “Perché vuoi vedere me? O sentire me? Tu e lei siete…” Non termina la frase. Estrae le mani dalle tasche e si abbraccia la vita, guardando in basso. “No,” sussurra. “Non posso.”

“Se è per Alessia non c’è problema,” dice lui. E’ pronto a non cercarla più. E’ pronto a mettere fine al loro rapporto appena iniziato.

Tutto, pur di rivedere Camila. Pur di guadagnarsi l’opportunità di darle un bacio. Lo farebbe anche adesso, se non avesse paura di una brutta reazione.

“Fra me e Alessia non c’è nulla di serio,” riprende. “Voglio rivederti, Camila. Voglio chiamarti. Voglio-”

“Io sono sposata,” dice in un respiro. “Sono sposata,” ripete.

Raddrizza le spalle, abbassa le braccia lungo i fianchi e lo dice di nuovo. “Sono sposata.”

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La canzone era Cosmic Love, di Florence + The Machine. E Davide è laziale, non c’è bisogno che lo precisi XD

 

Alla prossima.

 

   
 
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