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Autore: OttoNoveTre    09/01/2011    6 recensioni
Camilla Wates posò nella culla il fagotto, e chiamò il loro maggiordomo.
- Signora?-
- La figlia di mio marito starà con noi. Vivrà, mangerà e crescerà in questa casa, ma niente di più. Dillo anche agli altri.-
- Come conviene che la trattiamo, dunque?-
- Come se esistesse il meno possibile.-
[Personaggi: Corin]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aro, Corin, Santiago, Volturi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Vento focoso e passionale sotto le magnolie'
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- E io dovrei prendere in casa la figlia di quella?-
- Camilla, ragiona, pensa allo scandalo se l'avessi cacciata via, pensa alle dicerie!-
- Certo, proprio ora che il signor Wates concorda i suoi importantissimi affari in India, Dio ci scampi da uno scandalo!-
- Camilla, non urlare. Ormai è deciso, l'ho riconosciuta legalmente.-
- Tu ti sei invaghito di quella sgualdrina dalla prima volta che ti ha aperto le cosce! Che ne sai che è davvero figlia tua e non di un marinaio di passaggio?-
 - Anche se fosse, non puoi pensare di aver fatto una buona azione? Pensa al destino a cui è scampata. E' normale che una madre cerchi il meglio per le sue creature.-
- Il meglio! Vorrai dire un allocco da ricattare perché mantenga loro e la prole, signor Jason Wates!-
- Lei non ha voluto nulla, ha promesso che non la rivedremo mai più. Ti prego, Camilla, non odiare questa povera creatura.-
-…-
-…-
- Sta bene, potrà crescere assieme ai miei figli. Ma questo non vuol dire che sarà una di loro.-

Gli occhi di quella puttana.
E i capelli di quella maledetta puttana.
Camilla Wates posò nella culla il fagotto, e chiamò il loro maggiordomo.
- Signora?-
- La figlia di mio marito starà con noi. Vivrà, mangerà e crescerà in questa casa, ma niente di più. Dillo anche agli altri.-
- Come conviene che la trattiamo, dunque?-
- Come se esistesse il meno possibile.-
Il maggiordomo si inchinò.
Il fagotto aveva cominciato a ciucciare la manica della vestaglietta, e la guardava con gli occhi di quella puttana.
Quando capì che la stoffa non era commestibile, si mise a piagnucolare.
Che gran mal di testa.

La casa dei bisbigli.
Bisbigliavano le cameriere, il maggiordomo, Catherine Ernest e Lucy.
Perché la mamma aveva spesso la bua alla testa, e non voleva essere disturbata. Però voleva bene ai suoi bimbi, che salutava sempre con un bacio prima della passeggiata igienica.
Corin si mise in fila con i suoi fratelli, con gli scarponcini ancora in mano e le calzette che affondavano nel tappeto soffice del salotto dove stava la mamma.
Lei  si scostò un pochino lo scialle per abbracciare e dare un bacio sulla fronte a Catherine. Poi chiamò Ernest e Lucy. Corin aspettava nell'ombra accanto alla porta, dondolandosi sui piedi.
- Fate una buona passeggiata, bambini. Charlotte, non far prendere loro freddo, mi raccomando.-
La tata tossicchiò, e spinse avanti di un passo Corin.
- Oh, giusto. Corin, buona passeggiata. Ora vai, cara, sento che mi sta salendo un'emicrania molto forte...-
Le diede una carezza con una mano, gli occhi scorrevano già le righe di un romanzo che aveva preso dal comodino.

- La tua mamma è di costituzione debole e ha bisogno di molto riposo.-
Corin arricciò le labbra e tirò su col naso .
- No, tesoro mio, no, non è colpa tua, non piangere…-
Charlotte le asciugò il nasino e le aggiustò la sciarpa.
I suoi fratelli scorrazzavano con altri ragazzini per il parco, Corin si era accovacciata in mezzo al vialetto e non voleva saperne di muoversi. Solo la dolcezza di Charlotte l'aveva scossa un pochino, ed aveva accettato di farsi prendere per mano e continuare la passeggiata. La tata le aveva preso una mela caramellata, così si concentrò sulla crosticina rossa che si staccava a pezzettini sotto i suoi denti, cricchiando.
Si avvicinarono ad una bancarella di vecchi libri, e Charlotte ne prese uno. Corin scorse sulla copertina un uomo vestito come il bisnonno nel quadro in salotto, che duellava contro un ceffo con una tunica viola. Alle loro spalle una ragazza era legata ad un palo, e delle tigri feroci le si stavano avventando contro.
- Che cos'è?-
Charlotte si chinò alla sua altezza. Le indicò con l'indice sillaba per sillaba.
- Prova, l'alfabeto lo sai.-
- "Il-con-te-Ma-xi-mi-lian-con-tro-il-mal-va-gio-stre-go-ne-Spec-tro-mas"?-
- Bravissima!-
- E' interessante?-
- Beh, c'è questo conte bellissimo, Maximilian. Sua madre era una veggente, così anche lui ha dei poteri divinatori, ma li usa per fare del bene. Nel libro scorso si è scoperto che il malvagio Spectromas altri non è che il suo gemello malvagio. Lui ha ingannato la fidanzata del conte, Elizabeth, facendole credere di essere Maximilian, e vuole usare il suo corpo per riportare un vita una strega cattiva.-
Charlotte strinse al petto il libriccino, sospirando.
- Che uomo, il conte Maximilian…-
Corin prese un altro libro della bancarella: una locomotiva avanzava nel deserto, ma un uomo era legato sulle rotaie. Stavano anche arrivando degli indiani a cavallo. Rosicchiò un altro pezzo di mela mentre sfogliava le prime pagine.
Lo porse a Charlotte.
- Me lo compri?-

"Il sole era allo zenit. Jess guardò dritto negli occhi il messicano. Al fischio del treno sarebbe rimasta in piedi solo la pistola più fulminea.
- Io mi fidavo di te, gringo. Ma mi ero scordato la legge del west: l'unico uomo di cui ti puoi fidare è un uomo morto.-"
Bussarono alla porta. Entrò una delle cameriere ad avvisare che era arrivata ora di cena. In effetti, l'ora di cena sarebbe stata trenta minuti prima, ma la signorina Corin era tanto silenziosa…
Aveva letto per più di cinque ore di seguito.
Per la prima volta era lei che si stava scordando del mondo.
E non le dispiaceva.



Alla cortese attenzione di Corin Wates
Gentile signorina Corin,
il signore e la signora Wates si rammaricano ma non sarà loro possibile essere presenti alla consueta giornata di visita parenti. Le augurano comunque un'ottima giornata e si rallegrano per i risultati da lei ottenuti negli studi, esortandola altresì a proseguire con diligenza e profitto.
John Hire
segretario

Corin sbuffò e con un suono leggero la lettera accartocciata atterrò nel cestino. Nessuna novità da quando era entrata in collegio a 11 anni: una lettera identica ogni anno. Le prime volte si era comunque appostata alla finestra, sperando di vedere i capelli brizzolati di suo padre o la chioma bionda della madre, ma presto sentiva male al collo a furia di sporgersi a spiare le carrozze, e allora tornava nella sua stanza. Gli anni successivi cominciò a considerare il giorno di visita parenti come un normale giorno di lezioni in cui il collegio si affollava un po' più del solito.
Controllò allo specchio che la camicia fosse immacolata, la gonna ben distesa e lo chignon fermo al suo posto. L'assenza dei suoi genitori non era un buon pretesto per presentarsi sciatti a lezione.
- Corin, sei pronta? Faremo tardi per letteratura!-
- Si, Meg.-
Prese la cartellina in pelle accanto al letto e vi infilò i due libri di letteratura, si mise le scarpe a punzonatura inglese delle belle occasioni e, dopo averci pensato un attimo, aggiunse nel cartellina un volumetto consunto e due cioccolatini.
Chiuse la cartellina e uscì nel salottino comune, dove Meg tamburellava il piede davanti alla porta.
- Oggi Juliet mi ha detto che sarà qui anche suo fratello, hai presente William? Mi sono messa la fragranza indiana che mi ha spedito mio zio Charles, dici che si sente troppo?-
Ecco cos'era quell'odore di biscotti natalizi.
- No, Meg, sai di dolce, di quelli con le scorze d'arancia candita e la cannella. Ti troverà un ottimo bocconcino!-
- Che sciocca che sei.-
Meg si fece aria con una mano per scacciare il rossore che le era salito alle guance.
Arrivarono alla classe di letteratura, in cui erano state aggiunte alcune file di sedie, già in buona parte occupate dai genitori delle sue compagne. Cercò, in un ultimo speranzoso tentativo, la testa brizzolata del padre, appena tornato dall'india. Meg aveva già individuato sia la madre che il famoso William, un ragazzo piacente con bel paio di basette bionde e un completo grigio fumo. Lui non aveva mancato di sorriderle, così che Meg arrivò dalla madre con un sorriso smagliante e le guance infuocate.
Il brusio generale si interruppe quando dalla porta entrò una signora anziana, sorretta da un bastone di legno scuro e argento. Subito le fecero largo fino alla sua sedia, una poltrona rossa imbottita che veniva dritta dritta dall'ufficio della direttrice. Dopo che si fu accomodata, ripresero le chiacchiere.
Corin si avvicinò ad una delle sue compagne.
- Chi è quella signora, Millie?-
- Non te lo so dire con certezza, ma dovrebbe essere la più generosa finanziatrice del collegio, la signora Bennett.-
- L'americana?-
- Proprio lei.-
Scoccò un'occhiata alla signora, e incrociò il suo sguardo. Le fece una piccola riverenza e un accenno di sorriso, ma quella continuò a fissarla senza muovere un muscolo.
Si chiese se avesse qualcosa che non andava, ma sia la divisa che i capelli sembravano uguali a quando li aveva controllati allo specchio. L'arrivo dell'insegnante interruppe lo scambio di sguardi, e tutte le allieve sciamarono ai loro posti.
- Buongiorno a tutte, ragazze, e buongiorno a voi, signori. Oggi abbiamo tra noi la più grande benefattrice del nostro istituto, la signora Gloria Bennett. Un applauso a chi ha a cuore l'istruzione di queste giovani fanciulle.-
Scemato l'applauso, l'insegnante prese in mano il loro libro di letteratura.
- Proporremo una lettura di brani scelti dai nostri classici. Prego signorina Ann, da pagina 47.-
Corin intrufolò il suo volumetto dentro il libro più grosso aperto a pagina 47 e si preparò a far passare la lezione: le ragazze chiamate sarebbero state quelle con i genitori più importanti da compiacere, non certo quella a cui il segretario del padre mandava una lettera di giustificazioni.
Ann cominciò a declamare un pezzo di John Keats, mentre la mente di Corin si inoltrò nella giungla della Malesia.
Si rese appena conto che da Ann si era passati a Meg, Claire, Wilhelmina. Corin cambiava la pagina del libro di lettura, poi si immergeva di nuovo nel suo volumetto.
Un colpo secco sul pavimento la fece sussultare.
Anche il resto della classe parve sorpreso. L'insegnante si fermò prima di chiamare l'allieva successiva. Un altro tocco, e si accorse che il rumore veniva dalla signora Bennett, che batté una terza volta il suo bastone.
- Si, signora Bennett?-
- Signora Davis, gradirei sentire la voce di quella signorina coi capelli neri, se non le dispiace.-
E col bastone indicò Corin.
Lei guardò di nuovo la vecchietta, che le rispose con lo stesso sguardo fisso e impenetrabile di poco prima.
La Davis mostrò oltre gli occhiali un filo di stupore, ma si ricompose in fretta.
- Bene. Signorina Corin, pagina 131.-
Corin socchiuse il libro di letteratura e ne fece scivolare fuori con due dita il volumetto clandestino, di modo che cadesse sulla sua gonna, il tutto di nascosto sotto il banco. Quando si alzò in piedi il libretto cadde automaticamente nella cartella.
- It little profits that an idle king,
By this still hearth, among these barren crags,
Match’d with an aged wife, I mete and dole
Unequal laws unto a savage race,
That hoard, and sleep, and feed, and know not me.
I cannot rest from travel: I will drink
Life to the lees: All times I have enjoy’d
Greatly, have suffer’d greatly, both with those
That loved me, and alone, on shore, and when…-
Toc!
ll bastone aveva battuto ancora una volta.
- Non è il brano giusto.-
Corin controllò la pagina del libro, ma era la 131, l'Ulysses di Tennyson, come detto dalla signora Davis.
Anche l'insegnante non sapeva bene come comportarsi. Scorse con gli occhiali in punta di naso tutto il brano.
- Signora Bennett, il brano è quello che aveva cominciato a leggere Wilhelmina… Ma se lei desidera un altro pezz…-
Toc!
- Avanti ragazza, stavi leggendo il brano giusto, un attimo fa.-
Corin ricominciò con Tennyson, ma di nuovo echeggiò il tocco del bastone.
- L'altro brano che stavi leggendo poco fa.-
E Corin comprese lo sguardo penetrante di prima e quel ghiribizzo improvviso di sentirla leggere.
- E' nella tua borsa: rilegatura gialla e copertina illustrata, difficile sbagliarsi.-
Maledetta vecchiaccia.
Con gli occhi di tutti puntati addosso, si chinò sulla cartella e ne tirò fuori il libro incriminato. Tolse il biglietto di teatro che usava come segnalibro, e guardò di nuovo la signora Bennett.
Lei la fissava, in attesa.
- "La tigre stava per riprendere lo slancio per gettarsi sui cacciatori, ma Sandokan era lì. Impugnato solidamente il kriss si precipitò contro la belva e prima che questa, sorpresa da tanta audacia, pensasse a difendersi, la rovesciava al suolo, serrandole la gola con tale forza da soffocarle i ruggiti.
- Guardami! - disse. - Anch'io sono una Tigre! -
Poi, rapido come il pensiero, immerse la lama serpeggiante del suo kriss nel cuore della fiera, la quale si distese come fulminata.
Un urrah fragoroso accolse quella prodezza.
Il pirata uscito illeso da quella lotta, gettò uno sguardo sprezzante sull'ufficialetto che stava rialzandosi, poi volgendosi verso la giovane lady, rimasta muta pel terrore e per l'angoscia, con un gesto di cui sarebbe andato altero un re, le disse:
- Milady, la pelle della tigre è vostra."-
Quando la sua voce si spense sull'ultima sillaba, la signora Bennett si alzò, appoggiandosi sul bastone. Nel più completo silenzio attraversò l'aula e si chiuse la porta alle spalle.
Corin aveva ancora " Le tigri di Mompracem" aperto nelle mani. Meg si era coperta la bocca con le mani, le signore varie scuotevano i ventagli come a cacciar via l'imbarazzo, i mariti tossicchiavano o guardavano con interesse la nebbia fuori dalla finestra, la signora Davis si era abbandonata sulla sedia, le sue compagne ridacchiavano.
Oh cielo…

- Inconcepibile!-
La direttrice si versò un bicchiere di Sherry e lo vuotò in un sorso.
- Inaccettabile! -
Rovesciò la fiaschetta in verticale, e ne uscirono le ultime gocce. Anche quelle finirono giù per il gozzo della signorina Lauren. Corin notò che le tremava il doppio mento ad ogni sorso, e soffocò una risatina.
- La signora Bennett è la nostra più grande benefattrice, e tu leggi questa - prese il libro di Sandokan tra due dita come una cosa lurida - questa storiaccia immonda durante la sua visita! Cosa penserà di noi? E cosa dirà tua madre? Povera donna, con una figlia che si interessa a storiacce da servitù. E tuo padre! Con che ricordo di te ripartirà per l'India?-
- Mi dispiace, signorina Lauren, le prometto che non capiterà mai più.-
La direttrice armeggiò per un attimo con una chiavetta dorata e uno sportellino: ne cavò una bottiglia di vetro colma di liquido color the, ma leggermente più alcolico. Si riempì per la terza volta il bicchiere.
- Cinquanta pagine di saggio intitolato "La virtù dell'ubbidienza", e divieto di uscite pomeridiane per un mese. Ora vai!-
Corin si alzò da una poltrona rossa, la stessa in cui la mattina si era seduta la maledetta vecchiaccia. Fece una riverenza e andò verso la porta.
Nonostante la sua plateale figuraccia, nessuna occhiata strana o risata la accompagnò mentre entrava nella caffetteria per la cena. Meglio così, a volte essere ignorata era solo un vantaggio.
Prese il suo vassoio e andò a sedersi con Meg. La sua compagna di stanza aveva passato un pomeriggio interessante, dato che il suo William l'aveva portata a passeggio per il cortile, e le era pure spettato un romanticissimo baciamano al momento della separazione.
Meg stava parlando di quanto Will ("Mi ha detto che posso chiamarlo Will, non è meraviglioso?") fosse bellissimo e raffinatissimo, ma il suo cervello ripensava alla strana richiesta della signora Bennett. Che voleva da lei per averla umiliata così?

Sulla prua della nave, il capitano Saramago guardava all'orizzonte la villa in fiamme. Nemmeno le grida di quella che aveva sempre chiamato madre avevano fermato il perfido commodoro Wellington.
Oh cielo, quella è la Bennett.
…Il perfido commodoro Wellington. Saramago si concesse una sola lacrima, mentre stringeva a sé il fazzoletto di batista appartenuto alla donna…
Perché è qui al parco? Nemmeno si può leggere in pace adesso!
…che lo aveva cresciuto. Ancora non poteva credere che quei pirati l'avevano eletto loro capita…
Oddio sta venendo qui, mi ha visto e mi farà la predica. Ma non ero quella invisibile?
…capitano. Tutto per lo strano medaglione verde che possedeva sin da bambino. Ora gli appariva più chiaro perché la sua tata haitiana lo aveva guardato con venerazione, una volta.
Non guardare verso di me, non guardare verso di me, nonguardareversodime.
E ora cosa lo aspettava? Il mare, l'avventura, una madre sconosciuta che viveva nella giung…
- "Il capitano Saramago e il medaglione maledetto", eh? Non male, ma preferisco i volumi successivi.-
- Eh?-
- Tu sei la figlia di Jason Wates, giusto? Facciamo una passeggiata.-

- Ho incontrato la Bennett, oggi al parco.-
- Oh, Corin, ti ha sgridato per la lezione di letteratura?-
- A dire il vero no. Mi ha fatto parlare di libri e me ne ha regalato uno.-
- Davvero? Quale?-
-I misteri della giungla nera.-

Corin non sapeva più che pensare.
La Bennett sbucava sempre nei pressi della sua bancarella di libri, ne acquistava qualcuno e glielo faceva leggere nel parco. La congedava dandole appuntamento alla settimana successiva. Il tono sottintendeva che il rifiuto non era contemplato.
Ritardava la predica, mirando prima a dimostrare che pattume si leggeva?
Intrideva le pagine dei libri di veleno e lei stava morendo lentamente e senza sospetti?
Un giorno, la trovò già alla bancarella.
- Seguimi.-
Uscite dal parco, le attendeva un calesse.
- Sali.-
Il cocchiere frustò i cavalli e il calesse partì sobbalzando. La Bennett trasse dalla tasca una fiaschetta molto simile a quella della direttrice e ne bevve un sorso.
- Prendi.-
- Non mi piace lo sherry.-
- Sherry? Roba da donnette! Quella sciocca della Lauren ne beve uno infimo, detesto quando mi invita nel suo ufficio. Questo è scotch whisky, ragazzina, e te ne servirà un sorso.-
Corin avvicinò la bocca della fiaschetta alla bocca e si bagnò la lingua col liquore. Appena il tempo di sentire il bruciore e riavvitò il tappo.
Il calesse si fermò davanti ad una cancellata, interrotta da una porticina di legno. La Bennett prese un album di foto che aveva accanto a sé e le fece cenno col bastone di scendere.
Entrarono in un grande giardino, e seguirono un violetto di ghiaia fino ad un muro coperto d'edera. La Bennett scostò l'edera, rivelando una lapide senza foto e senza nomi.
- Oggi voglio raccontarti io una storia. Apri l'album sulla prima pagina.-
Corin obbedì, e si trovò davanti un vecchio disegno a carboncino: il profilo marcato di un uomo col turbante. Anche dal disegno si percepiva come doveva essere magnetico il suo sguardo.
- Si chiamava Rajesh. Era un principe nella sua terra, figlio del re di una manciata di isole. Il capitano inglese che andò a conquistare alla corona inglese il regno di suo padre fu sorpreso dall'intelligenza del giovane indiano. Così, quando Rajesh espresse il desiderio di vedere l'Inghilterra, lo accontentò. Il capitano inglese in patria aveva una figlia, che scalpitava per andare a sua volta in quei paesi luminosi che trasparivano dai racconti del padre. Lui però la voleva al sicuro a casa, e cercava di soddisfare il suo desiderio portando un pezzo di India da lei: gioielli, profumi, vestiti e infine il principe Rajesh. Era un uomo alto, con i capelli e la barba neri, "come i corvi della torre di Londra" aveva pensato la ragazza. Ma la cosa che la catturò furono gli occhi, due cerchi d'ebano, che raccontavano di aver cacciato le tigri nella giungla.
Così successe una cosa che il padre non si aspettava assolutamente, ma che tu avrai capito.-
Corin annuì.
- Bene. La ragazza riuscì a nascondere la pancia che si gonfiava fino al quarto mese, quando progettò di fuggire assieme a Rajesh, per imbarcarsi verso le terre di cui era il principe. Ma mentre correvano, sentì tre colpi dietro di loro, e la mano di Rajesh che stringeva la sua perse forza. Il suo amore si accasciò a terra in una pozza di sangue. Lei si voltò e vide suo padre, con una pistola fumante ancora in mano. Qui c'era la sua testa, l'erba era diventata rossa fino all'oleandro.-
Indicò la pianta col bastone, ed il movimento ricordò a Corin di respirare.
- Cinque mesi dopo venne il momento del parto. La ragazza era rimasta segregata in casa per tutta la gravidanza con la scusa di una malattia tropicale. Non vide mai il bambino, subito dopo il parto le dissero che era nato morto. La diedero in sposa ad un collega del padre, che faceva i suoi affari in America. Partì per New York una settimana dopo il parto, le uniche due persone che amava erano morte, o così almeno credeva. Il marito americano non fece troppe domande sui seni ancora gonfi o sui  fianchi larghi, se la sposò e fu un marito premuroso fino alla sua morte, un anno fa.
 Così dopo 40 anni lei decise di tornare in Inghilterra: ormai anche il padre era defunto da tempo, e lei non aveva avuto figli dal marito, né esistevano altri parenti prossimi. Una fortuna immensa da sistemare. Già aveva stabilito di donarne una parte ad un collegio per l'educazione delle fanciulle, in ricordo del suo bambino. E lì, in visita, scoprì che qualcuno le aveva mentito sulla sorte del figlio, perché incrociò di nuovo gli occhi del suo Rajesh.-
Corin era rimasta con la bocca socchiusa, in grembo il ritratto di Rajesh che la interrogava con i suoi occhi neri, gli stessi che la guardavano dallo specchio ogni mattina.
- Lo sguardo d'ebano di tuo nonno, Corin.-
Oh cielo...
Ai piedi della tomba, l'erba fu scossa da un alito di vento.
- Credo che ora prenderò volentieri un sorso del suo scotch, signora…-









E diamo il via alle danze con Ebano.
Sono impaziente, per questo la pubblico a così poca distanza dalla raccolta natalizia. In realtà è pronta da Natale, ma dovevo assolutamente finire le altre storie, quindi ha aspettato paziente nel computer qualche settimana.
Ho diviso la storia in due capitoli, perché (strano ma vero) è venuta lunga per i miei standard. Ho voluto parlare un po' di Corin. Giuro che non sapevo sarebbe stata per un quarto indiana e figlia illegittima, i libri d'appendice hanno contaminato anche me! Tutto è partito da quando ho letto della bionda Corin di Dragana e ho pensato " Oddio, sta qui è inglese e l'ho descritta con capelli e occhi neri, che roba strana...". Da qui a "l'India era colonia inglese, gli inglesi avevano servi indiani, a volte l'amorazzo ci scappa. E se..." il balzo è stato breve, così eccoci qua.
"Ebano" è, anche, una canzone dei Modena City Ramblers, ma non c'entra nulla con la storia (tristissimissima, una canzone da kleenex). A me serviva solo un legno nero con i riflessi rossi.
I romanzi che Corin legge sono tutti inventati, a parte il pezzo di Sandokan, quando la sgamano a letteratura, e "I misteri della giungla nera". Il pezzo ambientato nel west prende ispirazione da un brano di Morricone "Gringo like me", anche se credo sia una battuta quasi di cliché nei western.
Mi sono resa conto a posteriori che 'sta sciura Bennett si lascia alle spalle una scia di cadaveri notevole. Sembra una di quelle vecchiette che compaiono nei film e dicono "Ho seppellito 4 mariti, e sono sulla buona strada per sopravvivere al quinto".
Altro? Solo un grazie giganorme a chi legge!

   
 
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