Don’t
you think that you need somebody?
Everybody
needs somebody, you’re not the only one.
Il
fatto è che, boh, mi
sono sempre chiesta perché gli opposti si attraggano. E ci pensavo sempre anche
allora eh, non
credere. Ma non te l’ho mai chiesto, anche se ero sempre
lì con la domanda
sulla punta della lingua.
“Perché
ci amiamo, Jeff?”
Chissà
se mi avresti
risposto. Probabilmente no, avresti alzato le spalle e avresti
continuato a strimpellare
la tua chitarra, come sempre dopotutto. Però io volevo
chiedertelo.
E
ci ripensavo giusto
oggi, al nostro primo incontro, alla nostra storia, a te che eri
misterioso ma
dopotutto io ti amavo così, e io troppo spensierata per
accorgermi che tutto
stava finendo.
E
uno si chiede come
faccia l’amore a mutare le persone. L’abbiamo
scoperto sulla nostra pelle, non
trovi?
Io,
ragazzina vogliosa di
scoprire il mondo, e tu, musicista dannato che suonava su un vecchio
palco, che
suonava per se stesso e non per gli altri, una figura
nell’ombra in mezzo a
altri quattro dannati.
1988,
io che venivo
trascinata ad un vostro concerto da mio fratello. Che rimanevo
ammaliata dalla
vostra musica, così piena di voi, dei vostri sogni, delle
vostre paure, delle
vostre ambizioni, così piena di me, che mi ci riconoscevo
pienamente.
Tu
che mi guardavi da
dietro quel ciuffo di capelli corvini e quel cappello costantemente
addosso, tu
con lo sguardo abbassato, che lo alzavi solo per accertarti di fare gli
accordi
giusti. O per guardare me.
Non
un sorriso sul tuo
volto, non un’espressione. Sei sempre stato il più
taciturno, eh? Per gli altri
tu eri il ragazzo senza sentimenti, tu eri quello senza emozioni. Ma
cos’avevi
dentro, eh?
Dov’eri
con la testa?
Pensavi a me? O alla droga?
Beh,
fatto sta che io
ancora me li ricordo i tuoi occhi. Mi ricordo come ci annegavo nella
loro
profondità, come quella sera mi scorreva un brivido lungo la
schiena ogni volta
che mi guardavi. Ogni volta che i tuoi occhi mi penetravano. Non sono
mai riuscita
a sostenerlo il tuo sguardo.
I
tuoi occhi che fissavano
il suolo, e poi la chitarra, il suolo e la chitarra, il suolo e la
chitarra. E
poi me. Non l’avessi mai fatto, Jeff. Quello sguardo
è stato la mia rovina.
Il
concerto che finiva e
tu che te ne andavi nel backstage; un roadie che mi veniva a chiamare.
«Izzy
Stradlin la desidera
nel backstage.».
Io
che ingenua lo seguivo,
che chiudevo lentamente la porta del camerino dietro di me.
«Mi
volevi?»
Tu
che ignoravi la mia
domanda.
«Piacere
mi chiamo Jeffrey
ma puoi chiamarmi Izzy.» hai sempre amato presentarti alla
gente. Come se non
sapessero chi eri…
«Piacere
Jeffrey.»
«Ho
detto che puoi
chiamarmi Izzy.»
«No.
Jeffrey è più bello.
Jeff, come Buckley. Izzy non mi piace.»
Non
era cominciata bene,
eh? Ho sempre creduto che mi avessi odiato dal primo istante, ma forse,
era
solo un’impressione.
Cosa
credevo di fare?
Nella mia insicurezza mascherata da spavalderia, stavo lì
davanti a te
aspettando che tu parlassi. Quanto siamo stati lì in piedi
impalati? A me erano
sembrati secoli.
«Usciamo
a prendere un
drink.» eri così tu, senza preavviso parlavi, poi
rimanevi zitto per il resto
del tempo. E quella non era una domanda, era… un ordine.
«O-okay…»
avevo preso la
tua mano ed eravamo andati al bar.
«Non
mi hai ancora detto
il tuo nome.»
«Angie, mi chiamo Angie.»
«Angie,
Angie, when will those clouds all
disappear?
Angie, Angie, where will it lead us from here?»
E
io non lo sapevo dove ci avrebbe portato, l’ho
scoperto a mie spese.
Ti
avevo guardato e mi avevi sorriso. Un sorriso
sghembo, un mezzo sorriso, durato meno di un attimo. Ma io
l’avevo scorto,
risaltava sul tuo viso cupo, ed era per me.
E
da lì era nato tutto. Da uno sguardo e da un sorriso.
E
io non ti ho mai capito del tutto, sai? Aspettavo i
tuoi sorrisi, rimanevo attaccata a quel barlume di speranza, Io
estroversa che
parlavo e parlavo, facevo progetti, insomma ti amavo. Tu alzavi la
testa,
annuivi e io continuavo a parlare, parlare di noi. A quel punto,
riuscivo a
strappartelo quel sorriso. Era una delle cose più belle di
questo mondo.
Penso
anche di avertelo detto, una volta. Non mi
aspettavo una risposta, che tanto non arrivava mai, ma dovevo dirtelo
quello
che mi passava per la testa. Eri un ottimo ascoltatore, dopotutto.
Ecco,
però io penso di non averti dato tutto quello che
potevo. Dopo è arrivata la droga, o forse c’era
già. Fatto sta che ti facevi, e
ti estraniavi più del solito. A me non rimaneva che
aspettare, aspettare che
tornassi in te, aspettare di ritrovare il mio Jeff e i suoi occhi
profondi che
scavavano dentro di me.
Non
mi hai mai fatto del male, te ne stavi semplicemente
seduto lì da solo, con la tua siringa. Io seduta sul letto
che ti guardavo, impotente,
e non ne potevo più, perché il dolore che provavo
mi teneva in qualche modo immobilizzata.
E ti urlavo di smetterla scoppiando a piangere, nascondendo il viso tra
le
mani. Perché piangevo? Non lo so nemmeno io, avrei dovuto
saperlo dall’inizio
che sarebbe andata a finire così. Di solito non ti accorgevi
di me, altre volte
invece rialzavo la testa ed eccoti lì a fianco a me, che mi
stringevi tra le
braccia.
«Oh, Angie,
don't you weep, all your kisses
still taste sweet
I hate that sadness in your eyes »
Riuscivi
sempre a farmi
tornare il sorriso, tu. E pochi ci riescono, sai?
Se
fosse stato per te,
saremmo ancora qui ad amarci. Tu mi ameresti ancora. Forse mi ami
ancora, eh?
Sono
io che non riuscivo
più a sopportare quel ritmo di vita. Ero io codarda che una
sera, senza un
motivo particolare, ti lasciavo senza dirti niente, e non tornavo
più. Però anch’io ti amavo
ancora.
So if you wanna love me,
then darling don’t refrain
Or I’ll just end up
walking in the cold November rain.
Io
ci sono finita a
camminare in quella pioggia novembrina, alla fine. Quella sera pioveva,
e le
piccole gocce fredde si confondevano con le lacrime che mi rigavano il
viso.
Don’t you cry tonight, I
still love you baby.
Ecco,
entrambi avevamo
perso quella voglia di amare, e stavamo lentamente affondando.
E
dopo tutti questi anni penso
di averlo scoperto perché gli opposti si attraggono.
Perché
ciò che è così
comune in uno di noi, diventa una rarità
nell’altro. Un diamante prezioso da
conservare, da guardare con avidità. Il tuo sorriso, per
esempio. Io che ridevo
sempre, non avevo capito l’immenso valore di questo piccolo
gesto, e mi sentivo
bene, sentivo più che mai di amarti quando me ne riservavi
uno, solo per me. E
tu, sempre così taciturno e riservato, sempre
così…triste, se ti si guardava
dall’esterno; e quando ero io quella a diventare triste,
quando ero io quella a
chiudersi in se stessa, il che accadeva raramente, allora tiravi fuori
il
meglio di te.
La
mia malinconia era una
rarità per te, come lo era il tuo sorriso per me.
Vivevamo
di questi attimi
preziosi, di questi
momenti rubati, assaporati,
che lentamente ci entravano dentro per non lasciarci più.
In
qualche modo, ci
completavamo. Ed è questo che ci ha tenuti uniti per tutto
questo tempo, penso.
Perché
alla fine non
importa quanti anni abbiamo trascorso insieme, quanto tempo abbiamo
passato a
sostenerci a vicenda, ad amarci. Quello che ci rimarrà per
sempre dentro sarà
il nostro primo incontro. Ogni attimo, ogni dettaglio di quella
giornata ci
tormenterà in eterno.
Perché
io ci ho sempre
creduto nei colpi di fulmine. Basta poco per innamorarsi, dopotutto.
A
me sono bastati uno
sguardo e un sorriso. E a te, Jeff?
Allooooora,
bene bene, eccomi con un’altra OS
*_* il personaggio femminile della storia è completamente
inventato u.u e
ringrazio la Rò (GiòTanner)
per
avermi dato l’idea citandomi la canzone omonima dei Rolling
Stones (che, mea
culpa, non conoscevo ç_ç). Per quanto riguarda
Izzy, ho cercato di vederlo dal
punto di vista caratteriale e non sono per nulla soddisfatta di quello
che ne è
uscito, ma vabbè, il parere finale spetta a voi.
Bye
bye ;)