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Autore: JanisJ    10/01/2011    10 recensioni
“Non era per il maestoso abete che cresceva ingombrando il salotto, che la famiglia Weasley aspettava con tanta trepidazione il Natale.
Nemmeno per i pacchetti che ne invadevano le radici la sera della Vigilia o per il succulento pranzo che Molly Weasley preparava con cura in quel giorno speciale.
La ragione per cui tutti attendevano il venticinque dicembre era la Scelta dei Nomi.”

 
Una storiella Natalizia che ritrae la famiglia Weasley il venticinque dicembre del 1980: un quadro di dubbi e speranze in una cornice di complicità familiare.  
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Famiglia Weasley, Molly Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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La Scelta dei Nomi.

 
 

Hope is the thing with feathers 
That perches in the soul, 
And sings the tune without the words, 
And never stops at all
[…]
La "speranza" è la pennuta creatura
Che si posa nell'anima
E canta melodie senza parole
E non smette proprio mai[…]
(Emily Dickinson)
 

 
 

Non era per il maestoso abete che cresceva ingombrando il salotto, che la famiglia Weasley aspettava con tanta trepidazione il Natale.
Nemmeno per i pacchetti che ne invadevano le radici la sera della Vigilia o per il succulento pranzo che Molly Weasley preparava con cura in quel giorno speciale.
La ragione per cui tutti attendevano il venticinque dicembre era la Scelta dei Nomi.
 
Le note melense di Perché mi illumini come un albero di Natale di Celestina Warbeck aleggiavano nella cucina della Tana, annunciando il buon umore della padrona di casa. Molly Weasley canticchiava allegramente, rimescolando qui, aggiungendo sale là.
Era la stessa canzone che stava ascoltando cinque anni prima, quando il piccolo Bill Weasley, alla notizia dell’ arrivo di un nuovo fratellino, aveva proposto di deciderne il nome di comune accordo. L’ idea di creare una competizione che garantisse ad ognuno, adulto o bambino, le medesime possibilità di vittoria, aveva immediatamente attirato l’ attenzione dei genitori.
Era corso nella sua cameretta, ritornando poi con un pezzo di pergamena e uno di quei pennaralli, come chiamava i curiosi oggetti colorati che usavano i babbani per scrivere. Si era seduto per terra e aveva tracciato, in pochi secondi, il decalogo del Gioco dei Nomi.
Le regole erano semplici e lineari: ogni membro della famiglia proponeva due nomi maschili e due femminili che venivano scritti e inseriti in un barattolo incantato che ne faceva,  letteralmente, saltar fuori una coppia per genere; l’ ultima parola spettava al più giovane, che sceglieva tra le varie possibilità.
Era nata così una tradizione che si era protratta nel tempo, indipendentemente dal fatto che mater e pater familias decidessero di aumentare il numero dei loro pargoletti dai capelli rossi, quell’ anno.
Il sesto arrivato aveva ottenuto in questo modo i nomi di zio Bilius, il fratello di suo marito, e del nonno Ronald. Come prima di lui erano stati scelti quelli di Frederick e George, i due gemelli che stavano parlottando a bassa voce sul tappeto del salotto.
Probabilmente erano intenti ad escogitare un dispetto a Percival, il bersaglio prediletto dei loro scherzi. E non solo i loro, pensava Molly, guardando distrattamente fuori dalla finestra suo marito e i suoi tre figli maggiori giocare a palle di neve. Percy era seduto e sbatteva i pugnetti piangendo, mentre Bill e Charlie lo bombardavano colpendolo sulla nuca coperta da un buffo cappellino rosso.
Il cigolio del seggiolino incantato che dondolava avanti e indietro, attirò la sua attenzione. Ron sonnecchiava placidamente, permettendole di dedicarsi alle numerose portate che cuocevano sotto i suoi occhi vigili.
La torta di melassa si stava dorando lentamente nel forno e un aroma denso e zuccheroso riempiva l' aria. Aveva sempre amato l' odore penetrante di quel dolce, ma il piacere di sentirlo insinuarsi nelle narici cresceva esponenzialmente quando portava in grembo un bambino. Non che dopo sei gravidanze avesse bisogno di questo per riconoscersi in stato interessante.
Era incinta, di nuovo. Un' altra creaturina dalla testolina fulva e il faccino niveo e lentigginoso sarebbe entrata nelle loro vite in tarda estate e questa volta sarebbe stata una femmina, lo sapeva.
O meglio lo sperava.
Non era più in grado nemmeno di mentire a sé stessa; quando le avevano messo tra le braccia l' ultimo fagotto di coperte turchesi era riuscita a stento a trattenere un sospiro rassegnato e un po' deluso, anche se la sua indole concreta aveva immediatamente preso il sopravvento e i due grandi occhioni azzurri, incorniciati da ciglia tanto bionde da sembrare trasparenti, le avevano fatto riaffiorare l' amore materno che il bimbo meritava.
Sperava di avere una figlia da quando era piccola e quel desiderio si era consolidato negli anni, col susseguirsi di fiocchi blu appesi alla porta di casa.
Sarebbe stata una femmina questa volta, ripetè a sé stessa rimestando una brodaglia rossastra che ribolliva quieta in un tegame d' argilla.
Un crash improvviso e il rumore di vetri rotti, sovrastarono il borbottio incalzante delle pentole. Dopo aver preso in braccio Ron che era scoppiato in un pianto spaventato, raggiunse la sala da pranzo appena in tempo per vedere i gemelli nascondersi dietro le pesanti tende di velluto. Non ci mise molto a capire quale danno avessero fatto i due monelli: dal davanzale era caduto un barattolo che aveva sparpagliato sul pavimento bigliettini multicolore.
“FRED E GEORGE WEASLEY” Abbaiò, cercando di calmare le urla del bambino.
Con un colpo veloce del polso fuse insieme i cocci che obbedienti tornarono alla forma originaria, raggiungendo poi il loro posto con un ampio arco.
Si girò col volto colmo d' irritazione nella direzione del panneggio che, curiosamente, sussultava.
“Non siamo stati noi mamma” Gemette George attraverso il tessuto.
“Cosa cercavate di fare?” Chiese loro la signora Weasley, ignorando deliberatamente quel blando tentativo di scagionarsi.
“Volevate provare a truccare il barattolo?”
“Sì mamma” Fred ammetteva sempre le marachelle con un' alzata di spalle. Era sincero di natura, cristallino al punto da far sorgere il dubbio che la mattina nel suo succo di zucca qualcuno aggiungesse qualche goccia di Veritaserum.
“I miei complimenti!” La donna non si fece ammorbidire dalla correttezza del figlio e appoggiando Ron sul seggiolino del tavolo, prese entrambi in braccio e li mise nei loro lettini, al piano superiore.
“Vi verrò a prendere quando arriverà zia Muriel” Mormorò scaltra. “O magari farò venire lei qui, una volta che le avrò spiegato cosa avete fatto”
“No mamma, no!” I tratti infantili dei bambini erano modellati in due maschere d' orrore.
Chiuse la porta dietro di sé, lasciandoli crogiolare nella paura che la vecchia zia incuteva in tutti i suoi figli, sapendo che fino all’ ora di pranzo non le avrebbero più dato problemi.
 
Il suo sguardo incontrò la superficie riflettente dello specchio addossato alla parete dell’ ingresso. Non era cambiata molto in dieci anni. Aveva sempre avuto fattezze morbide e materne, ma nulla che sembrasse lontanamente molle o flaccido. Quelle rotondità che sfoggiava con orgoglio erano il segno di una condizione che aveva sempre desiderato.
Sistemò un boccolo dietro l’ orecchio, scompigliandosi poi quella zazzera corta e riccia. La sua predilezione per il moderato disordine che regnava nella sua casa piena di vecchie cianfrusaglie, si rifletteva nel suo stesso aspetto.
Tornò in sala da pranzo per controllare Ron, che si era nuovamente appisolato, con quel placido abbandono che solo a quell’ età è possibile raggiungere.
Sotto le palpebre vibranti chissà quale sogno muoveva i suoi occhi innocenti. Nulla avrebbe interferito con quell’ esplosione di colori ed emozioni, nemmeno il mondo triste e cupo in cui sarebbe stato costretto a vivere.
Molly si sentì immediatamente in colpa per aver creduto, anche se solo per qualche istante, che fosse condannato a crescere nella medesima oscurità in cui era nato.
Le notizie che pervenivano dal mondo magico martoriavano la speranza, logorando lentamente tutti coloro che riponevano in essa la loro stessa ragione di vita.
Le parole di suo fratello Gideon le rimbombavano nelle orecchie come la notte in cui morì.
Credici sempre Molly, le aveva detto, se ci arrendiamo e smettiamo di immaginare un mondo senza Voldemort non ce ne libereremo mai. L’ Ordine non esisterebbe se non ci fosse chi spera che un giorno le cose cambieranno. Forse nemmeno tu ed io. La speranza è l’ arma che ci farà vincere questa guerra.
Quando, appena due mesi prima, aveva sentito pronunciare il suo nome e quello di Fabian alla radio aveva urlato.
Aveva pianto.
Aveva allontanato tutti, anche Arthur. Persino i suoi figli.
Bill l’ aveva riportata a galla, due settimane dopo. Era entrato in camera sua di soppiatto e le aveva mormorato all’ orecchio le parole lasciate in eredità da quello zio così burbero: la speranza doveva essere l’ arma che avrebbe fatto loro vincere la guerra.
Asciugando con un gesto brusco una lacrima che le aveva rigato una guancia, appellò il barattolo nel quale molti dei suoi familiari avevano già inserito le loro scelte e inserì due foglietti blu notte.
 
“La maleducazione non ha limiti, questo è certo!” Un brontolio infastidito la raggiunse dalla porta.
Una vecchia signora con il volto incartapecorito dal tempo e un curioso cappello di piume sulla testa, si agitava per liberarsi della neve che riempiva quella che, quarant’ anni prima, doveva essere la sua veste migliore.
“Zia, non l’ ha certo fatto apposta! Voleva colpire Perce!” Arthur provava a scusarsi, appellandosi alla scarsa mira del figlio, pur sapendo di mentire spudoratamente. Nascondeva Charlie dietro di sé, nel tentativo di sottrarlo alle grinfie dell’ ava.
Molly raggiunse la donna e l’ aiutò a ricomporsi, invitandola a bere un bicchierino e ad accomodarsi a tavola.
Dopo un commento acido su la miseria degli addobbi e qualche inevitabile appunto sulle pessime condizioni della Tana che cresceva esponenzialmente all’ aumentare dei membri della famiglia, Zia Muriel comunicò che aveva scelto il nome che avrebbe avuto la sua nipotina.
“Ovviamente la dovreste comunque chiamare Muriel, Molly. Visto però che mettere due volte il mio nome non ha mai portato bene e l’ ultima volta hai sfornato un altro maschio, ho deciso che proporrò un’ alternativa”
Molly la guardò tentando di nascondere il barlume di speranza che le balenò negli occhi. Sua figlia decisamente non si sarebbe chiamata Muriel.
“Ho deciso che Rita è perfetto” Gracchiò lisciando il boa di struzzo che incorniciava la falda del suo cappello.
“Rita, come Rita Skeeter?” Intervenne Arthur. “Quella giornalista de Il settimanale delle Streghe che sta facendo carriera limitandosi ad inventare stupidaggini? Una mia collega, Marion Haplessy, è stata cacciata dal Ministero per le accuse di quella profittatrice. Solo perché la poveretta ha scoperto tardi di avere un fidanzato mangiamorte! Come se l’ intero Ministero non ne fosse strapieno! Ma bisogna mantenere le apparenze, ovvio!”
“Ho letto l’ articolo - io leggo tutti i suoi articoli - e decisamente le cose che non stanno come dici tu. Vuoi dire che si è inventata la confessione della Haplessy? Anche che in intimità quel farabutto la chiamasse schifosa mezzosangue?”
“Zia, i bambini!” Aveva le orecchie di un acceso rosso scarlatto. Spostava lo sguardo dalla vecchia signora, che occupava abbondantemente la sedia a capo tavola, alla moglie, che sembrava sul punto di emettere due importanti sbuffi di vapore dalle orecchie.
“Cosa vuol dire mamma? Me lo spieghi?” L’ innocente richiesta di Percy fece trasalire tutti.
“Allora?” Chiese tirando con un gesto impaziente un lembo del variopinto grembiule della madre.
“Ti sembrano parole da insegnare ai miei figli?”
Arthur si stava arrabbiando. La persona più serafica e pacata che avesse mai conosciuto stava per esplodere.
Zia Muriel sfoggiava un ghigno altezzoso e vagamente offeso.
I suoi figli seguivano rapiti il bisticcio.
Decisamente era cominciata la Scelta dei Nomi.
 
Sulla grande tavolata giacevano abbandonati a loro stessi innumerevoli piatti vuoti. Molly sparecchiava insieme al Bill e Charlie, mentre Arthur leggeva ad alta voce ai più piccoli un libro illustrato di storie babbane, Il Ciclo Brenote o qualcosa di simile. Suo cognato Bilius stava cominciando a essere un po’ troppo allegro, per i suoi gusti. Si versava Idromele nel bicchiere da quasi un’ ora e se non fosse stato per la Prima Eccezione alla Legge di Gamp, niente gli avrebbe impedito di finire svenuto sul pavimento. Le scorte stavano finendo e con educata nonchalance, Molly non aveva atteso molto prima di nascondere due bottiglie di Whisky Incendiario dietro piatti rotti e bicchieri sbeccati, nella grande credenza di legno massiccio.
“Cosa posso dirti Molly, ho raggiunto l’ apice della mia realizzazione personale quando questo piccolino ha ereditato il mio nome” Imprigionò la paffuta guanciotta di Ron tra due dita e la pizzicò non troppo delicatamente, perché il bambino si lamentò con un piagnucolio.
“Speriamo non erediti anche il tuo temperamento, Bilius” Zia Muriel era arrabbiata con il nipote da anni, dai tempi in cui le aveva detto che quei suoi eccentrici copricapo la facevano sembrare una pianta d’ ananas.
“Comunque” Continuò l’ uomo “Ho inventato ieri sera quattro nomi freschi freschi per il nascituro o nascitura” La voce gli morì in un sonoro hic.
“Oh poveri Molly ed Arthur che si troveranno un figlio Ogden* o una figlia Acquaviola!
Il barattolo sul davanzale emise un fruscio improvviso che fece calare il silenzio.
“È ora, è ora!” Strillarono simultaneamente Fred e George correndo a prenderlo.
I trentasei pezzetti di carta vorticavano in una curiosa sostanza diafana verde smeraldo che di tanto in tanto emetteva qualche lampo di luce più intensa.
Attendevano tutti in silenzio e Molly si emozionò nel vedere i volti speranzosi di tutti i suoi figli.
Il primo e il secondo biglietto furono afferrati al volo da Percy che li nascose gelosamente tra le piccole dita. Ci vollero un paio di incoraggiamenti paterni perchè lui allentasse la presa, troppo spaventato all’ idea che uno dei fratelli gli strappasse quel tesoro.
Due foglietti blu scuro.
Arthur guardò la moglie negli occhi condividendo la sua commozione, quando lesse i nomi dei due fratelli Prewett.
“Gi-ne-va” Con un sussulto, tutti i presenti si voltarono verso il punto da cui era giunto quel gridolino.
“Ronnie, hai detto qualcosa?” Chiese dolcemente Arthur Weasley al figlio, accarezzandogli i capelli.
“Gi-ne-va” Ripetè con eccitazione il bambino, agitando le manine verso il librò appoggiato sulle gambe del padre.
“Era ora che cominciasse a parlare” Commentò acida Muriel.
“Ha nove mesi, zia, non due anni”  La zitti Molly fiondandosi a prenderlo in braccio e a stringerlo forte al petto, emozionata.
“Vuoi che la tua sorellina si chiami Ginevra?” Chiese perdendosi in quelle intense iridi cobalto, che sembravano suggerire le risposte ad ogni suo dubbio.
La fiducia che il bimbo non esitava un solo istante a concederle, doveva spronarla a lottare. Fin quando ci fosse stata fede nel Bene, quegli occhietti ignari avrebbero potuto guardarla così.  


NdA
*
Ogden's old firewhisky







Eccomi con una piccola One-Shot che è stata frutto di questo periodo Natalizio così ispiroso. 
Una sera di un paio di settimane fa ho cominciato a buttare giù qualche idea ed ecco delinearsi questo momento di vita pseudo-quotidiana che spero vi sia piaciuto.
Pensavo da tempo di scrivere qualcosa che girasse in qualche modo intorno alla famiglia Weasley ante fine prima guerra magica ed in particolare su Molly (abituarmi a non chiamarla signora Weasley è stata un' impresa O.O) ed è stato quasi magico, concedetemi il termine, respirare quell' aria di festa, circondata da personaggi che mi includevano nelle loro vicende. Vabè che così sembro una povera pazza, ma mi è capitato davvero e mi è piaciuto.
Ora corro a finire l' ultimo capitolo della mia long *emozione/commozione*
Baci :*

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[Questa storia partecipa al contest Emozioni indetto da nefene]



 

   
 
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