Cap. 1: First Day
Io
detesto il cielo del mio paese,
non fa altro che piovere...
come
un monito per ricordarmi quanto sono debole.
Ma è in quelle
rare e brevi giornate di sole che credo di detestarlo ancora di
più;
perché ha lo stesso colore cristallino dei tuoi occhi.
e
la brezza d'autunno scorre lenta, deliziosamente gelida accompagnata
dal tuo ricordo che scivola sui prati, sui monti e sulle
città,
accarezzando la mia pelle, la mia terra.
Ed anche quando
continuassi a fingere di non accorgermi del tempo che passa, dei tuoi
continui e adorabilmente sciocchi progressi.
Anche quando
continuassi a fingere di non accorgermi di quanto sei cresciuto
adeguatamente anche senza di me.
Anche se continuo ad
illudermi di avere faccende più importanti da sbrigare pur
di non
voler confermare che, effettivamente, oggi è il 4 luglio.
Anche
se mi illudo di poter odiarti...proprio perché non vi riesco
appieno.
Anche se so che non sei con me non posso fare
altro che ringraziare Dio per ogni giorno in cui mi dona la certezza
della tua felicità.
-Ho capito! Vuoi
smetterla di ripetermi sempre le stesse cose?!-
Inghilterra
avanzò con passo deciso sbattendo i piedi sul parquet
più
rumorosamente che poteva per non lasciare adito a dubbi sul fatto di
essere in disaccordo ed ovviamente stufo su tutto ciò che,
da quasi
più di un'ora, continuava ad uscire dalla bocca di America.
-Tanto
finisci sempre con lo scordarti qualsiasi cosa ti venga detta...e
piantala! Vuoi sfondarmi il pavimento?!- Lo rimbeccò America
alle
sue spalle continuando a seguirlo imperterrito
-Chiudi quella
fogna e sparisci! Posso arrivarci benissimo da solo alla mia camera
da letto!- Sbraitò di rimando Inghilterra con
un'occhiataccia
America si limitò ad osservarlo con aria
scocciata e a limitare la loro vicinanza, lasciando ad Inghilterra
una precedenza di qualche metro, per poi continuare a seguirlo.
Lo
osservò avanzare velocemente attraverso il corridoio,
cadenzando i
propri passi, o meglio le proprie falcate, con un ridicolo scattare
avanti indietro delle braccia lungo i fianchi, al ritmo di
“God
save the Queen” poteva quasi somigliare ad una sua parata
militare.
Quando poi s'arrestò improvvisamente, davanti alla
penultima porta a sinistra, e sbattè il piede destro a
terra,
America fu quasi sorpreso di non vederlo scattare
sull'attenti.
-Sono arrivato- Ringhiò Inghilterra col tono
simile a quello di chi sottolinea un'ovvietà nota a tutti,
tranne
ovviamente a chi in quel momento lo sta ascoltando.
America,
titubante sul fatto di decidere se rispondergli o no, come se poi ci
fosse da rispondere qualcosa, si limitò a biascicare un
sarcastico
“-che bravo...-” alle sue spalle
-Ora puoi andartene no?!-
Chiese Inghilterra stringendo i denti, tentando di ignorare il
commento precedente
America lo guardò per un attimo
infilandosi le mani in tasca poi, lentamente fece dietro front.
-La
cena è alle otto- Gli ripetè aspettandosi,
fremente, un commento
acido che non tardò ad arrivare
-Ho capito!!!- Sbraitò
Inghilterra alle sue spalle, pentendosi all'istante di non essere
sgusciato dentro la sua stanza appena raggiunta.
Afferrò il
pomello d'ottone e con frenesia, dettata probabilmente dall'astio, lo
girò energicamente aprendo la porta di scatto.
-Inghilterra...-
La voce di America lo costrinse a voltarsi nuovamente e a rimandare,
per l'ennesima volta, il suo ingresso nella stanza e di conseguenza
la poca tranquillità che gli rimaneva da godersi prima della
cena
pressappoco imminente.
- Che vuoi!?- Brontolò aspettandosi
un'altra delle mille precisazioni già ripetutogli fino allo
sfinimento
-Sono contento che sei
venuto-
-...-
-America...-
-mmh...-
-Stai
dritto con la schiena quando cammini.-
Inghilterra
chiuse la porta dolcemente alle sue spalle e sorrise, ed America,
raddrizzando le spalle, fece lo stesso.