La reazione di Onigumo
quando vide Yuko cadere e sbattere la testa non si può descrivere a pieno. Si
gettò su di lei, la scosse cercando di rianimarla,
urlava come un forsennato. Di fronte a quella scena io entrai nella capanna il
più rapidamente possibile, e cercai di calmarlo, di metterlo
a tacere.
“Stai zitto, Onigumo, non urlare!
Vuoi che ti sentano tutti?”
“E chi
se ne importa! Faccio schifo! Yuko, Yuko!” continuava a gridare.
“Taci! Ti farai sentire da tutti i
sopravvissuti; se ci vedono qua capiranno cos’è successo, ci impiccheranno
tutti e due! È questo che vuoi?”
A quelle mie parole parve
calmarsi, ma anche se smise di gridare era ancora sconvolto. Con una voce rauca
che mai gli avevo sentito mormorò: “Ci uccideranno...
ma io, io merito di vivere?”
A sentire quelle parole
disperate, mi sedetti a fianco a lui.
“Ascoltami bene, Onigumo.
Sappiamo entrambi quello che hai fatto. Non l’hai fatto apposta. Adesso è
successo questo a Yuko. Non volevi ucciderla. Certo, questo non diminuisce la
tua responsabilità, ma se ora tu venissi ucciso, cosa
cambierebbe? I morti tornerebbero in vita? Yuko rinascerebbe? No, sarebbe solo
una morte in più. Che poi sarebbero due, perché anch’io verrei
punito insieme a te. Ma le nostre morti non porteranno
giustizia ai sopravvissuti, né allevieranno il loro dolore. E
allora perché sacrificarsi? Non è meglio andare via, lontano da tutto questo?”
“Stai dicendo di scappare” disse Onigumo “Ma non sarebbe un’ingiustizia? Parlo per me, che dopo
aver portato tanti lutti, anche se involontariamente, me ne andrei
in giro libero e senza responsabilità. No, non è giusto, Umitsu: mi presenterò
ai sopravvissuti e accetterò le loro decisioni”
“Ma sei
matto? Ti uccideranno”
“Può darsi. Tu dici
che anche uccidendomi non ci sarà la giustizia. Ma se
il villaggio deciderà così, accetterò la decisione sbagliata, visto che i miei
errori sono stati ben più dannosi per tutti loro. Non ti preoccupare per te. Tu
sei mio amico e mi hai aiutato tante volte. Vai via, e io non parlerò di te,
non sarai punito. Ma io devo”
“E
invece no!” ribattei rabbiosamente “Questi sono discorsi che si potevano
accettare nel passato. Allora c’era la pace, nei villaggi ognuno era necessario
al benessere di tutti, si viveva in equilibrio rispettando le tradizioni. Ma da anni non è più così: le guerre civili insanguinano il
paese, gli uomini vanno a combattere e nessuno più cura i campi. Le antiche
tradizioni servono solo a perpetuare la catena delle morti. Guarda gli uomini
più forti: chi ha un’arma non la mette al servizio della sua gente, ma si mette
sulla strada e diventa mercenario, e si arricchisce. Un tempo
le guerre nascevano tra le diverse famiglie nobili, oggi i nostri nemici
sono al servizio del fratello del nostro signore. Le divinità sono scomparse e
al loro posto i demoni imperversano. Di fronte a questo sfacelo i villaggi
credono che perpetuando le tradizioni si riuscirà a tornare alle sicurezze del
passato. Ma dove? Se nessuno
pensa più agli altri, dovremmo pensarci noi? Oggi ho visto il cadavere di mio
padre: dovrei rischiare la vita per vendicarlo? E a
che pro? Ci hanno parlato di responsabilità verso la comunità, ma questi non
sono che lacci che ci impediscono di essere liberi. Io
voglio pensare per me, e basta! E anche tu, Onigumo,
faresti meglio a pensare a te stesso, e a nessun altro”.
Qui Umitsu interrompe il suo
racconto: ha notato le facce tese dei suoi ascoltatori.
“Queste parole vi sembrano
disgustose, vero? Avete ragione... ributtante egoismo... così ero da giovane. E ancora per molti
anni a venire”
“Ma perché volevate convincere
Onigumo a fuggire insieme a voi?” chiede Kagome.
“Mi conveniva...
Onigumo era un giovane robusto. Anch’io lo ero,
e in due si girava più sicuri, allora come oggi. In seguito mi affezionai a
lui, ma quella volta fu solo per opportunismo. Comunque
andò bene, riuscii a convincerlo, e abbandonato il cadavere di Yuko fuggimmo
dal villaggio: le parole di Onigumo erano orgogliose e coraggiose, ma c’era in
lui uno spettro che lo dominava e che non lo abbandonava mai: la paura”