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Autore: Carmilla Lilith    12/01/2011    3 recensioni
Il sentimento che Alex, giovane tragicamente rimasto orfano di padre, prova per Annabelle, bella e letale quanto un vampiro, si è dimostrato autodistruttivo. La resa dei conti arriva sotto la pioggia gelida. (Racconto partecipante al contest "The Rain & Baudelaire" indetto da Ribrib 20 e classificatasi sesta)
Genere: Drammatico, Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DIVATOSSICA
Sono qui, solo, sotto questa pioggia incessante e maledetta. La tua finestra è illuminata, eppure mi avevi detto che non eri in casa. La tua ennesima bugia.
Porto la sigaretta alla bocca mentre l’acqua gelida continua a scorrere. La mano libera stringe il cellulare, la mia unica speranza di salvezza: un’ultima chiamata, se risponderai tornerà tutto come prima. Ancora stordito, porto il cellulare all’orecchio: un primo squillo.
 
O tu che come un colpo di coltello
mi penetrasti nel cuore gemente;
 
Non avrei mai pensato che mi sarei innamorato di una persona come te. Anche il modo in cui ci siamo conosciuti è stato totalmente imprevisto.
Lo ammetto, la morte di mio padre mi aveva distrutto. Sono sempre stato orgoglioso e fin da piccolo ho dimostrato una certa insofferenza nei confronti delle regole imposte dal mio vecchio. Litigavamo spesso, ma in fondo lo stimavo: si ammazzava di lavoro ma quando tornava a casa non negava mai un sorriso e qualche affettuosa attenzione a mia madre e a mia sorella. Fino al giorno dell’incidente avvenuto, probabilmente, a causa di un colpo di sonno.
 
Quando chiamarono per darci la notizia della sua morte, non potei fare a meno d’incazzarmi: aveva lavorato come un mulo in quel cantiere edile per tutta la vita, garantendoci una vita come si deve, ma la stanchezza l’aveva ucciso. A cos’era servito?
Mia madre, poi, invece di preoccuparsi per se stessa, dedicò tutte le sue attenzioni a me e mia sorella. Solo la notte la sentivo piangere in quel letto che per tanti anni aveva condiviso con mio padre.
Avrei dato qualsiasi cosa per poterla aiutare ma qualcosa dentro di me si era spezzato: non piangevo ma ero apatico. Non riuscivo a mangiare, non dormivo la notte e così passavo tutto il giorno a sonnecchiare sul divano. La scuola, la palestra, i miei amici, le ragazze: tutto mi lasciava indifferente.
Persino mia sorella, dopo un mese di profonda tristezza, stava lentamente tornando alla vita mentre io continuavo a vegetare. Mia madre ebbe il suo bel da fare per convincermi ad entrare in terapia ma fu così assillante che infine cedetti.
 
Quando uscii dalla prima seduta con il terapista non potei fare a meno di notarti nella sala d’attesa: magrissima, diafana, ordinatissima. I tuoi capelli, neri e lunghissimi, perfettamente acconciati in morbide onde.
I tuoi occhi grigi perfettamente truccati di scuro e il tuo corpicino fasciato da un tubino nero abbinato a delle scarpe, nere anch’esse, dal tacco vertiginoso. Com’era possibile che una mia coetanea si vestisse così?
 
Dopo tre sedute non riuscii più ad ignorarti: sapevo che avevi notato le mie occhiate curiose, così come io avevo notato che anche tu avevi preso a guardarmi. Cominciai una chiacchierata volutamente banale mentre attendevi l’inizio del tuo turno di terapia. Con la tua voce calma e musicale mi dicesti che ti chiamavi Annabelle, avevi 19 anni come me ed eri in cura per una forma, a tuo dire, lieve di anoressia.
Mi sentivo sciocco ad ammetterlo ma già allora, con la stessa violenza e rapidità di una coltellata, mi eri entrata nel cuore.
 
***
 
La pioggia continua a scorrere e il fumo della sigaretta é ben visibile nell’aria umida di questa sera di novembre. Secondo squillo.
 
tu che venisti, pari ad un drappello
di demoni, ad assiderti, demente
 
e adorna, sopra il mio spirito prono,
facendone il tuo soglio e il tuo guanciale,
 
I primi miglioramenti cominciavano a notarsi. Ripresi ad andare in palestra, ricominciai a studiare, mi sforzai di mangiare e dormire.
La mia sorellina, quando tornava dalle elementari, mi schioccava sempre un bacio sulla guancia e un giorno mi disse “Sono felice che tu sia tornato, fratellone!”. Anche mia madre era più serena e finalmente sentii che la mia famiglia si stava riprendendo dalla violenza che aveva subito.
 
Un giorno, però, uscendo dalla terapia, ti trovai in lacrime. “Annabelle, che ti succede?” domandai, allarmato.
“Portami via, ti prego!” mi supplicasti, visibilmente scossa. “Va bene, va bene! Adesso calmati! Vuoi che ti riporti a casa?” domandai, tentando di calmarti. Ti limitasti ad annuire e così ti accompagnai in macchina fino all’appartamento dove vivevi sola.
“Alex, ti prego, non lasciarmi da sola!” mi dicesti, tra le lacrime. Non potei resisterti, anche se qualcosa dentro di me tentò di ribellarsi.
Quando entrammo mi conducesti nella tua stanza e ti buttasti sul letto, piangente. Mi dicesti che i tuoi genitori stavano divorziando e che non ti sentivi capita dal terapista, anzi, sospettavi che lui avesse delle mire poco caste nei tuoi confronti.
“Alex, sei l’unica persona di cui posso fidarmi!” mormorasti, abbracciandomi.
“Annie, sei pazza? Mi conosci da pochissimo!” replicai, stupito. Tu continuavi a singhiozzare, sempre bellissima. Ricordo soltanto che ti stringevo dolcemente per tentare di calmarti, poi la situazione mi sfuggì di mano: la tua bocca si posò sulla mia, ci baciammo e dopo qualche minuto eravamo entrambi nudi.
 
Anche se magrissimo, il tuo corpo era stupendo. La pelle candida contrastava con i tuoi lunghissimi capelli corvini e le tue membra gelide si scaldarono rapidamente al contatto con le mie mani caldissime.
“Annie, sei sicura? Non so se riuscirò a fermarmi dopo!” domandai, tentando di mantenere un minimo di contegno. Ti vedevo ancora come una creatura fragile e temevo di ferirti.
“Sì, ti prego!”. La tua voce eccitata mi fece perdere ogni controllo e affondai in te. Non sapevo che mi stava accadendo, mi sentivo come se un’orda demoniaca avesse preso controllo del mio corpo.
Non si trattava di alcuna forza sovrannaturale, era soltanto l’effetto che avevi su di me. Lo capii quando, risvegliandomi dopo aver fatto l’amore (sì, perché per me è stato amore) con te, ti ritrovai accoccolata sul mio petto: ormai ero tuo schiavo, tuo rifugio e tuo guanciale.
 
***
 
L’ennesima boccata di fumo, l’ennesimo squillo a vuoto. Non troverò mai il coraggio di ammetterlo ma so che sono le mie lacrime quelle che scorrono sulle mie guance, unendosi alla pioggia.
 
essere infame a cui legato sono
com’è legato ai ferri il criminale,
 
lo strenuo giocatore alla roulette,
l’ubriaco alla bottiglia di borgogna,
all’abbraccio del verme la carogna,
che oggi e sempre tu sia maledetta!
 
Ho sempre disprezzato coloro che, per un qualsiasi motivo, dipendevano da qualcosa. Gli alcolisti, i drogati, i giocatori d’azzardo per me erano soltanto prigionieri dei loro vizi. Folli, ecco tutto.
Solo ora riesco ad ammettere che dipendo da te, piccolo creatura insolente, che mi consumi come farebbe un verme con un cadavere.
No, non sono come te. Non dipendo dall’alcol che ingurgiti senza ritegno o dalle droghe che continui ad offrirmi e che usi, mi ripeti in continuazione, per dimenticare i tuoi guai. Ho ceduto soltanto alle sigarette e non ne vado per niente fiero.
Non dipendo nemmeno dalle tue fantasie che vuoi realizzare nel letto, dal tuo bisogno di provocare dolore negli altri, dalle tue continue e sfacciate menzogne, che hai cominciato a dire per non deludere i tuoi genitori, che hanno sempre moltissimo da te e dalla tua straordinaria bellezza, ma che ora sono una tua ennesima dipendenza. Menti perché non sei capace di fare altro, perché la realtà non sarà mai in grado di soddisfarti.
Io dipendo soltanto da te e dal tuo lato più umano che talvolta emerge: il tuo sorriso mentre dormi, il tuo sguardo perso mentre pensi, i capelli disordinati dopo che abbiamo fatto l’amore. Ma più tento di salvarti più tu, folle amore mio, mi trascini in basso.
 
Quante volte alla spada agile ho chiesto
che mi cavasse alfin di prigionia,
e ho chiamato il veleno funesto
in soccorso alla mia vigliaccheria.
 
Tutte le volte, ahimè, presi di sdegno,
spada e veleno m’han così parlato
“Stolto, che vuoi da noi? Tu non sei degno
d’esser dai lacci suoi disviluppato.
 
Ché, seppur soccombesse al nostro tiro
la tiranna al cui reo giogo soggiaci,
tu risusciteresti coi tuoi baci
la salma esanime del tuo vampiro!”
 
 
Getto la sigaretta a terra e la schiaccio con la punta della scarpa. Dopo l’ennesimo squillo è partita la segreteria telefonica e, anche se me l’aspettavo, prendere questa decisione non è affatto facile.
Da sola hai distrutto tutto ciò che avevo ricostruito, ma non riesco a fare a meno di te.
Apparentemente è tutto sotto controllo, anche se mia madre e mia sorella hanno notato la mia irrequietezza: sono perennemente teso, talvolta irascibile, e sempre più solitario. Sei l’unica persona di cui riesca veramente ad interessarmi, mentre tu preferisci sempre più spesso trascorrere il tempo con i tuoi amichetti meno appiccicosi, quelli che puoi farti senza alcun rimorso.
Ti sei lamentata più di una volta del fatto che sto diventando troppo assillante ma, quando sei a pezzi, è me che cerchi. Vorrei soltanto trovare la forza per liberarmi una volta per tutte di te, ma non ne sono in grado.
 
Lo ammetto, sono impazzito. Non puoi immaginare quante volte ho progettato di ucciderti e penso di aver desistito soltanto quando mi sono reso conto dell’inutilità del gesto: ucciderti non mi permetterebbe di riacquisire la mia libertà, no. Sarei schiavo del tuo ricordo e vivere mi sarebbe impossibile. L’unica soluzione è farla finita, anche se la scelta mi addolora infinitamente. Se fossi responsabile penserei a mia madre e a mia sorella, ma non riesco a sopportare questa situazione un minuto di più.
Mi piace pensare che la pioggia laverà il mio corpo, mondandolo dal peccato di aver amato te, mia diva tossica. L’unico rimpianto che ho, mentre appoggio la canna della pistola alla mia tempia, è non poter vedere la tua espressione quando mi vedrai morto. Se qualche lacrima facesse capolino dai tuoi splendidi occhi avrei la certezza di non aver amato un vampiro.
Devo andare, c’è già il cielo che piange per me. Addio, Annabelle.

L'angolo dell'autrice

Salve a tutti! Risistemo questo vecchissimo testo, ispirato alla poesia "Il vampiro" dell'immenso Charles Baudelaire (facendo riferimento alla traduzione dell'edizione de "I fiori del male" della Mondadori).
L'attuale versione corretta partecipa al contest "Poesia in prosa" indetto da AmahyP sul forum di Efp.
Potete trovare una missin moments di questa storia qui.
A presto,
Carmilla Lilith.
   
 
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