Falsa
dimenticanza”
Nome
dell'autore :
Londoner
Titolo
della storia:
“Falsa dimenticanza”
Tema
scelto:
tradimento
Personaggi principali:
Daphne Greengrass/ Pansy Parkinson/ Draco Malfoy
Genere:
Triste
Rating:
Verde
Avvertimenti:
One shot
Un’afosa
giornata di Maggio, ecco cos’è oggi. A completare
la situazione, due ore di
Pozioni che per fortuna stanno per finire.
“Bene. Tempo
scaduto. Mi raccomando, per
mercoledì voglio una relazione sui cinque usi del succo di
Mandragola, tre
pagine. Andate”
ci congeda così Piton, il
solito tono freddo e distaccato.
“Per
fortuna, non ne potevo più” mi dice Pansy, appena
uscite dai sotterranei,
dirette verso la Sala Grande per il pranzo.
“
A chi lo dici… secondo te quello stupido di Marcus mi
farebbe copiare di nuovo
la relazione? Tanto quello mi muore dietro… “
dissi io, sbeffeggiando il mio
compagno di casata che prova un interesse per me da sempre.
“
Certo che deve, Daphne… Come può dirti di no? Ma
alla fine hai deciso di non
combinarci niente di serio?”
“Suvvia,
Pansy ce la vedi una Serpeverde fare seriamente con un ragazzo? Non
è nella
nostra natura, non possiamo permetterci di affezionarci e rimanere
fregate”
risposi sprezzante.
L’amore
fa male.
E
lei lo sa benissimo.
Per
questo meglio evitare strane situazioni,e cercare di non trasformare
una
semplice nottata di divertimento in una storia d’amore.
I
Grifondoro la chiamano “cattiveria” e
“stronzaggine tipica dei Serpeverdi”.
Per
me è autodifesa.
Immerse
ciascuna nei propri
pensieri, io e Pansy
continuiamo a camminare silenziosamente.
Ad
un certo punto però, lei si ferma e, guardando il pavimento,
mi sussurra che
deve tornare in dormitorio perché ha scordato un libro di
cui ha bisogno per
ripassare durante il pranzo.
“Tranquilla,
tu avviati pure in Sala…io torno subito” mi dice a
bassa voce.
La
guardo sconsolata.
Non
sarò la ragazza più intelligente della scuola, ma
non penso che la fuga della
mia amica dipenda veramente da un libro.
Non
bisogna essere molto furbi per capire che il fatto che un certo
biondino sia appena
passato di fianco a noi, diretto verso i sotterranei, centri qualcosa
con ciò.
Sospiro
e le dico di non preoccuparsi, l’avrei aspettata in Sala.
A
volte mentire è necessario. Non è un atto sleale.
O
non mantenere una promessa, nel caso ce ne sia fortemente bisogno.
Con
questi pensieri, seguo Pansy verso i sotterranei, attenta a non farmi scoprire.
La
mia amica cammina veloce, emozionata.
Provo
ad immaginare i suoi pensieri, i suoi sentimenti.
Cerco
di mettermi nei suoi panni.
Il
cuore che batte velocissimo.
Le
mani che tremano, ansiose, sperando di toccare lui, da lì a
breve.
Pansy,
perché?
Stai
andando a farti del male.
Lo
sai benissimo, ma nonostante questo continui imperterrita nella tua
ricerca.
Ricerca
conclusa, a giudicare dal fatto che ti sei fermata in mezzo al
corridoio, forse
il più buio dei sotterranei, davanti a una porta lasciata
socchiusa.
Cosa
vedi, Pansy?
Perché
quello sguardo?
Cos’è
che ti fa star male, in quella stanza?
Perché
sono scese due lacrime sul viso?
Dannazione,
lo sapevi che stavi andando a farti del male.
Perché
continui a vivere in questo modo?
Certa
gente non merita una simile attenzione e un simile pensiero.
Ogni
volta mi dico che dovrei fermarti quando tu da sola non riesci,
impedirti di
scendere di nuovo quaggiù, a quest’ora, quando
tutti sono in Sala Grande, e le
aule libere diventano il nido d’amore di molte coppiette.
Mi
sposto leggermente più a sinistra dal posto dove mi sono
nascosta, per avere la
completa visuale della stanza davanti la quale ti sei bloccata.
Riesco
finalmente a intravedere qualcosa.
Una
testa mora e una bionda troppo vicine mi chiariscono subito i dubbi,
ammesso
che ce ne fossero prima.
Sto
per uscire da qui, trascinarti via, abbracciarti, impedirti di farti
ancora del
male, non te lo meriti, quando inizi a correre.
Dove
vai, ora?
C’e
qualche posto dove dimenticare tutto questo male?
Ti
seguo fino al ponte che porta alla guferia.
Guardi
giù.
No,
Pansy.
Non
puoi.
Passano
minuti terribili, sono presa dall’ansia, non posso credere di
essere in questa
situazione.
Rifletti,
Pansy.
Nessuno
merita di farci stare male cosi.
Nessuno.
“Ti
voglio bene, Pansy”
sussurro, certa che tu non possa sentirmi.
Ma
tu improvvisamente ti riscuoti.
Mi
hai forse sentito?
Fatto
sta che indietreggi, lentamente.
Sembra
che hai cambiato idea, sul tuo volto appare un piccolo sorriso.
Ma
non gioioso.
Cos’è,
ironia, rassegnazione?
Cerchi
qualcosa sotto il mantello. Perché?
Hai
preso la bacchetta e
la punti sulla tempia.
Solo
in questo momento comprendo tutto.
“Oblivion”
Una
parola pronunciata, una sola.
Segno
di rassegnazione, hai scelto la strada più facile, ma
l’unica in grado di
cancellare un simile dolore dal tuo cuore.
Allora
perché, Pansy, i tuoi occhi celano sempre
un’infinita tristezza?
Forse
la risposta l’ho trovata solo crescendo : certi dolori non
potranno mai essere
cancellati.
Neanche
dalla magia.