Cinque Minuti per Susan

Fra cinque minuti Susan Bones avrebbe aperto la porta del bagno delle ragazze.

Non è successo niente.

Avrebbe sorriso, rassicurato i suoi compagni, svolto i suoi compiti di Presidente del Club di Erbologia e avrebbe consegnato una lettera al suo gufo Kalio.

Avrebbe ignorato gli sguardi compassionevoli dei suoi professori e quelli tristi dei suoi amici.

Non sopportava quegli occhi velati da un accenno di dolore.

Loro nemmeno sapevano cosa fosse il dolore.

E non poteva essere solo rappresentato da qualche sfuggevole lacrima salata.

Susan si sedette sopra la tavola di un vecchio wc reso instabile dai troppi anni passati a fare il suo dovere.

Guardò distrattamente le diverse scritte che rovinavano il muro.

Fra le tante e alquante brutte caricature, trovò un piccolo disegno di due ossa incrociate fra loro e sotto una scritta graffiata e quasi illegibile.

"A.B."

Amelia Bones.

Sua zia.

La sorella di quel papà che aveva visto scomparire nel nulla, risucchiato dal lavoro e dalle ambizioni, rinchiuso in un freddo ufficio canadese.

La cognata di quella madre morta troppo giovane.

Quella zia che era stata uccisa.

Quell'amica che ora non c'era più.

Sconfitta da un mostro più grande, trascinando con sè ogni voglia di vivere davvero.

Toccò la scritta con il dito e vi posò un brevissimo bacio.

Con la fronte appoggiata al muro, lasciò che le lacrime sporcassero il suo viso e che le spalle tremassero alla ricerca di pace e di calore.

Sentì un boato di urla ed applausi che la riscosse per un secondo.

Ancora cinque minuti.

Ancora cinque minuti e sarebbe tornata quella Susan di qualche giorno prima.