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Autore: Mari24    13/01/2011    9 recensioni
ciao a tutti! questa è la prima ff che pubblico.. mi sono ispirata sia al tf sia a "Heat Wave", quindi noterete alcune somiglianze...
ho scelto questo titolo perchè durante la "stesura", ho ascoltato "Smile" di Uncle Kracker, e spero che Castle faccia sorridere Kate!
spero vi piaccia, e buona lettura! ;>
ps: le recensioni sono sempre ben gradite!
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era finita. Tutti quegli anni passati a nascondersi e a scongiurare Dio di non essere mai trovata, erano finiti. Gli anni passati nel terrore che Aleksandr e il suo clan la trovassero o che trovassero Kate, erano finalmente finiti con la morte stessa di Aleksandr.

Kate era sconvolta, in parte perché Sophy aveva centrato la gola di un uomo con un solo colpo, e in parte perché sua sorella era ferita. Si tolse la sciarpa di cotone blu che portava al collo e la premette con forza nel fianco destro di Sophy. C’era sangue ovunque e Kate premeva più forte che poteva sulla ferita.

 

Arrivarono di corsa anche gli altri. Sasha era lì. Lei lo guardò contenta che non fosse stato eliminato, ma l’oscurità la stava avvolgendo rendendola sempre più stanca e debole, e dopo di che perse i sensi.

 

-“Ryan, chiama il 911!”- urlò Kate.

-“Non c’è tempo!”- le rispose Castle, e prendendo Sophy in braccio corse fino alla macchina di Beckett e la adagiò sul sedile posteriore.

-“Resta dietro con lei!”- le ordinò Castle.

Beckett teneva la sorella fra le gambe mentre Castle sfrecciava nel traffico caotico New Yorkese. Accese la sirena, in situazioni normali sarebbe stato felice e contento di guidare, ma in quella situazione non poteva essere felice. Con la sirena spianata, le macchine si spostavano per far loro spazio e lasciare libero il passaggio.

 

Castle vedeva Kate piangere dallo specchietto retrovisore e la sentiva chiedere alla sorella di non abbandonarla, di non lasciarla di nuovo da sola. Al solo sentirla pronunciare quelle parole gli venne una morsa allo stomaco, voleva esserci lui per lei, ma sapeva a cosa si riferiva Beckett. Se avesse perso di nuovo la sorella Kate, si sarebbe rifugiata di nuovo in se stessa chiudendo fuori il mondo, com’era successo alla morte di Johanna.

 

Quando arrivarono in ospedale ormai Sophy aveva perso molto sangue. I medici erano fuori ad aspettarli, allertati da Ryan.

Presero Sophy al volo, portandola subito in sala operatoria, lasciando Beckett e Castle fuori nella sala di attesa.

 

Beckett era in uno stato catatonico, in piedi, immobile a fissare il vuoto davanti a lei, con le mani completamente insanguinate. Sangue di sua sorella. Il suo stesso sangue.

Castle la spinse verso il bagno senza dire nulla. Aprì il rubinetto, e si voltò verso Kate. Aveva il viso rigato dalle lacrime. Le prese le mani. Tremava. Con delicatezza gliele lavò insieme con le sue. Voleva toglierle di dosso tutto quel sangue, che Kate fissava nel lavandino, scorrere via, e voleva che anche il suo immenso dolore scorresse via come l’acqua.

Castle, sempre in silenzio, prese dei fazzoletti e le asciugò le mani e anche quando furono perfettamente asciutte, lui continuò a tenerle nelle sue. Per la prima volta da quando erano arrivati in ospedale, Kate lo guardò per ringraziarlo ma non riuscì a emettere nessun suono. Castle le sorrise e accarezzandole il viso le disse dolcemente:

-“Non sarai più sola. “-

Kate lo guardava negli occhi, in quegli splendidi occhi azzurri in cui spesso si perdeva. 
Voleva abbracciarlo, voleva baciarlo, voleva dirgli quanto lo amasse, ma non ci riuscì. Rimase lì, ferma, senza dire nulla. In quel momento pensava a Sophy.

 

Quando uscirono dal bagno trovarono il capitano, Esposito e Ryan.

-“Hai chiamato tuo padre, Kate?”- le chiese il capitano Montgomery.

Kate, quasi uscendo dalla sua catarsi, gli rispose che Sophy aveva già minacciato di andare via se lei l’avesse chiamato. Non che ora potesse andare da qualche parte, ma Beckett non voleva rischiare. C’erano ancora troppi punti della storia che non le erano chiari, ma l’unica cosa che in quegli istanti le importasse veramente era sapere che sua sorella ce l’avrebbe fatta.

Ryan era visibilmente agitato. In pena quasi quanto Beckett. Esposito se ne accorse ma non fece nessuna battutina, non disse nulla, ma gli poggiò una mano sulla spalla per confortare l’amico.

Furono tre ore di attesa snervante, che in seguito Kate ricorderà come le peggiori della sua vita.

Uscì un dottore dalla sala operatoria informando Beckett che Sophy aveva perso molto sangue, ma che erano riusciti a bloccare l’emorragia nonostante il taglio fosse profondo.

Era viva. Sophy ce l’aveva fatta. Kate chiese di poterla vedere e il dottore l’avvisò che era sotto anestesia e antidolorifici, quindi sicuramente per tutta la notte non si sarebbe svegliata. Consigliò dunque a tutti, di andare a casa e cercare di dormire almeno qualche ora. Ma Kate non sentì ragioni e rimase lì in ospedale accanto alla sorella.

 

Sophy si svegliò la mattina presto. Era avvolta in un lenzuolo bianco. Non capiva esattamente dove si trovasse. Aveva un forte mal di testa. Era ancora stordita per l’operazione, e in meno di un secondo ricordò tutto quanto.

Aveva sete. Cercò sul comodino una bottiglietta d’acqua, e vide la flebo con tanti tubicini attaccati alla mano sinistra. Con la mano destra cercò di toccarli, ma era bloccata. Si girò e vide la testa di Kate appoggiata sul letto addormentata, e con la sua mano sinistra le stringeva la sua. Kate aveva passato la notte lì, aspettando il suo risveglio e alla fine era crollata.

Le accarezzò i capelli e poi la chiamò: -“Kate.”-. 
Ma aveva la gola secca e ciò che riuscì a emettere fu un violento colpo di tosse che le tirò i punti, nel punto in cui i medici l’avevano ricucita.

-“Ehi! Ciao! Come ti senti?”- le sorrise Kate svegliandosi.

-“Non lo so. Uno schifo rende l’idea?”- e le sorrise anche lei.

Si guardarono negli occhi, quegli occhi così simili, era come guardarsi allo specchio. Avevano entrambe gli occhi di Johanna, castani con un po’ di verde a fare da contorno. Ma in quel momento nella stanza c’era molta luce mattutina e gli occhi di entrambe davano più sul verde.

Kate la baciò sulla fronte, un bacio fraterno, felice che la sua sorellina fosse viva e, abbracciandola, le disse all’orecchio: 

- “Ti voglio bene!”-.

Si ricordò del motto di Sophy, non dire mai ti voglio bene. Non sapeva perché non lo dicesse mai, forse l’avrebbe fatta sentire vulnerabile.

Ma Sophy l’ultima volta che aveva pronunciato quelle parole era alla madre prima di morire e aveva giurato a se stessa di non ripeterle mai più.

 

La porta era chiusa, e dalla finestrella si vedeva la testa di un uomo che osservava la scena.

-“Sai, non credo che Castle abbia passato la notte qui per me!”- le disse Sophy maliziosa.

Kate diventò leggermente rossa ma cambiò argomento.

-“Lo sai, il capitano deve farti alcune domande. Ci sono cose che devono essere chiarite!”-.

-“Lo so. Volete sentire cosa è successo veramente! Ma ci sono alcune cose che racconterò solo a te”-.  Kate annuì, capendo che c’era qualcosa che la sorella non era pronta a condividere con tutti, qualcosa di privato a cui il resto della classe non era invitata  a partecipare.

Sophy fece un respiro profondo e cominciò a ricordare e a raccontare:

 

-“Quella sera, la sera in cui la mamma è morta, dovevamo cenare con voi. Io con una scusa sono uscita prima da casa, dovevo... avevo un appuntamento. Dopo la volta che mi avevano arrestato, la mamma iniziò a seguirmi, probabilmente per capire cosa mi passava per la testa, o forse semplicemente per impedirmi di fare qualche altra stupidaggine.

Mi seguì anche quella sera, non lo so come facesse, ma sapeva sempre tutto. Io ero lì sola in quella clinica, e stavo compilando una marea di carte, e non capivo neanche cosa stessi scrivendo. Il mio unico pensiero era di finire in fretta e andare via.  Qualcuno poi mi prese quei fogli dalle mani e, fu allora che vidi la mamma. Aveva intuito tutto da settimane ma non disse niente. Si sedette al mio fianco e mi disse che non ero obbligata a farlo, ma che mi avreste aiutato e che Jim alla fine avrebbe accettato.

Kate non era la mamma incinta, ero io. Ero incinta di nove settimane.”- lo disse con le lacrime agli occhi e Kate le asciugò quelle lacrime, così Sophy continuò:

-“Coraggio diciamocelo: io ero molto ribelle e anche un po’ facile. Ok molto facile.”- sospirò.

-“Ehi! Non ti permetto di parlare così di mia sorella!”- le sorrise Kate.

-“Così mi portò via da quella clinica. Aveva la macchina in quel parcheggio sotterraneo. Mi squillò il telefono e rimasi qualche passo dietro di lei.

E poi come una furia Coonan si avventò su di lei, pugnalandola più e più volte. Io ho cercato di difenderla, ma lui mi ha sparato lasciandomi lì, a morire dissanguata. Non ricordo altro di quella sera, solo che quando mi sono svegliata ero in ospedale, e il medico stava dicendo a Jim che avevo perso il bambino. 
Per me è stato difficile accettare un bambino che non volevo, ed è stato ancora più difficile perderlo.

Il resto della storia lo sai: Jim che diventa un alcolizzato e tu uno sbirro!”-.

Kate ascoltò quella storia, senza chiedere, senza giudicare il fatto che la sua sorellina a quindici anni fosse rimasta incinta.

-“Sì ma perché io non ho saputo niente sul fatto che sei stata sparata?”-

Sophy respirò a fondo ancora una volta. Quella per lei era la parte più dolorosa di tutta la storia.

 –“Jim, qualche giorno dopo aver saputo che ero incinta, mi disse di non scomodarmi a tornare a casa. Mi ha buttato fuori, e non so cos’abbia detto a te, ma io non potevo più tornare a casa. Non ne avevo più una.

In ospedale venne l’FBI e mi disse del programma di protezione testimoni, perché avevo assistito all’omicidio della mamma, e così ho conosciuto Sasha. Lui mi ha protetto dalla mafia russa in questi anni. Quindi Kate, questa è la verità.

Aleksandr prima che tu arrivassi mi ha detto che la mamma aveva scoperto qualcosa su di lui. Evidentemente qualcosa d’illegale, non lo so.

Questo è il grande mistero che circonda l’omicidio della mamma. “-

 

In quel momento la porta si aprì ed entrò Sasha, con il braccio fasciato. 
Sophy lo guardò preoccupata, e lui, come se capisse a cosa stesse pensando le rispose che era solo un graffio. Entrarono tutti. Ma Sophy cercava quel ragazzo dagli occhi azzurri che era stato gentile con lei.
E finalmente con un po’ di timidezza anche Ryan entrò. Lui la fissava, come se dovesse rompersi da un momento all’altro, come una bambola di porcellana. 

Non fece in tempo a chiederle nulla perché il capitano Montgomery, le chiese di raccontare nuovamente cosa fosse successo.

Sophy facendosi coraggio per la seconda volta in poco tempo raccontò ciò che le era successo, di come Sasha l’avesse protetta in quegli anni vivendo in Russia e di come l’FBI e lo stesso Sasha, l’avessero addestrata a combattere, a difendersi, omettendo però alcuni particolari privati della sua vita.

-“Sarò arrestata per aver ucciso Aleksandr?”- domandò Sophy a Montgomery.

-“Per quanto mi riguarda, è stata legittima difesa e non credo che Holliwell o Dimitri avranno da ridire. Sono stati entrambi arrestati e si faranno un lungo soggiorno in carcere.”-

-“A proposito. Come avete fatto a scappare da Dimitri? Io ho sentito uno sparo…”-chiese Sophy.

-“Sì, quando io ho cercato di riprenderti, Dimitri mi ha sparato ma non mi ha colpito. Non ha una grande mira in effetti, ha beccato una vetrata! E poi non si era accorto che nel mentre Esposito era dietro di lui e l’ha bloccato. “- le rispose Beckett.

 

Dopo un po’ quasi tutti andarono via, tranne Kate, Esposito e Ryan. Beckett aveva bisogno di riposare qualche ora e Ryan si offrì volontario per restare con Sophy.

Si sentiva veramente stanca, ripercorrere quei dolorosi passi della sua vita in quei giorni l’avevano stancata mentalmente, così si assopì.

Ryan la osservava dormire quei respiri lenti e profondi, regolari. Pensava a quanto fosse bella, e continuava a osservarla, a osservare quelle labbra rosee. Si avvicinò e le sfiorò le labbra con le sue. Avrebbe voluto che lei si svegliasse e che lo baciasse, ma Sophy era immersa in un sonno profondo.

Uscì dalla stanza, guardò Esposito e con fare serio gli disse:

-“Mi sono innamorato della sorellina di Beckett.”-.

-“Amico... questo l’abbiamo capito tutti!”- gli rispose Esposito sorridente, senza poter fare a meno di prenderlo in giro.

ciao a tutti!!!

bene siamo arrivati al 10 capitolo e ormai tutti i tasselli sono al loro posto! ormai ci siamo quasi..
allora questo capitolo in principio era solo uno ma ho deciso all'ultimo di unirli, quindi i capitoli non saranno più 13 come avevo contato all'inizio.. ;)

come sempre ringrazio davvero tutti quanti,...
e ormai lo sapete: le recensioni sono graditissime!!
al prossimo capitolo..  ;>
kate24
   
 
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