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Autore: chaplin    14/01/2011    7 recensioni
Ciao! Io mi chiamo Robert, faccio Plant di cognome e ho i capelli biondi!
Su questo tema dovrei parlare sul mio migliore amico, no? Ecco, il mio migliore amico si chiama Bonzo.

- Ebbene, Robert Plant e John Bonham sono compagni di classe, amici di pelle e frequentano la stessa scuola. (Ovvio, sono compagni di classe.) Qui verranno narrate le loro gloriose gesta da ribelli alla 'hop ai dai bifor ai ge' old! End revoluscionplz sono troppo figo ho diciott'anni', peccato che stiano in terza elementare.
Demenzialità, assurdità e crack gratuiti all'interno di questa storia apertamente AU.
Genere: Commedia, Demenziale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Storia n.1:
“Di assenze e sospensioni.”

Il piccolo John Paul, dieci anni, dotato di una folta capigliatura castana e di un'altezza mediocre che lo faceva somigliare ai bimbi che stavano ancora in prima elementare, era abituato a camminare con lo sguardo perso in alto, gli occhi azzurri illuminati di un'infantile e candida innocenza alquanto insolita per ormai la maggior parte dei suoi coetanei, una cartelletta gonfia di schede sotto il braccio e un'ingombrante custodia di un basso sulle spalle. Spesso preso di mira dagli altri compagni per la sua tranquillità, la sua goffaggine e quel suo essere un secchione pignolo e pulitino, aveva sempre un po' di timore a stare troppo all'aperto, ma non di certo per colpa dei bulli. La ragione era un'altra.
Come c'era da aspettarselo, un branco di ragazzi alti e grossi si parò davanti al povero bambino dai ribelli capelli castani. Il loro capo era un ragazzino meno grosso degli altri, bassino, con il viso pieno di brufoli e i capelli neri tirati a lucido con la brillantina. Si chiamava Joseph e aveva giusto un anno in più di John Paul. Circondato com'era da ragazzi prepotenti dell'ultimo anno delle medie, aveva molto piu' potere in pugno rispetto al piccolo organista e ai suoi altri coetanei.
“Ehi, Baldwin! Allora, hai un po' di soldini per il pranzo?” partì all'attacco.
“Sai, mia madre si è dimenticata di darmeli...” si aggiunse un'altro, sogghignando.
“Abbiamo già dato il benvenuto al nuovo alunno, non vorrei riservare lo stesso trattamento a te... Mi stai simpatico, in fondo, sìsì.” disse ancora il piccolo nanetto in brillantina, incrociando le braccia.
Una risata generale. John Paul, zitto, inarcò un sopracciglio.
“L'alunno nuovo?” chiese, stringendosi alla custodia beige.
“Certo, non lo conosci?” esclamò Joseph, “Ma allora sei proprio sfigato!” Altre risate. “Page, il bambolotto della prima media! Dovresti informarti meglio!”
“E tu prendi di mira i ragazzi più grandi di te? A questo punto, n-non penso di essere io lo sfigato...” disse John Paul con calma, cercando di suonare il più spavaldo possibile.
Quel che ottenne fu l'essere preso per il colletto da uno dei ceffi che stavano alle spalle di Denver e sollevato da terra di mezzo metro. Ecco, sono fritto, si disse tra se e se, quando, all'improvviso, qualcosa colpi' la fronte dell'aggressore, che piagnucolo' “Ahia!” e lascio' andare il piccolo ragazzino castano, che si precipitò a scappare da quel posto.
Alle sue spalle, le voci, sempre più lontane, scomparivano lentamente.
“Vigliacco! Non scappare!” gli urlavano, ma non lo seguivano. Se lui era vigliacco, allora.
In fretta, John Paul riuscì a seminare i suoi inseguitori e a nascondersi dietro ad un cespuglio che lui ben conosceva. E dietro a quel cespuglio si nascondeva la ragione per cui odiava stare fuori in cortile, dato in pasto ai patetici bulletti prepotenti della scuola; quella ragione consisteva in due ragazzetti di terza elementare che la gente avrebbe benissimo potuto scambiare per dei ragazzi di prima media, ma la gente già ben sapeva che quelle due pesti erano i più temuti e multiarciripresi e sospesi bimbi di tutta la scuola, entrambi nella sezione B della terza classe. Era già un miracolo che avessero raggiunto la terza.
Appena arrivato, John Paul si asciugò la fronte dal sudore e, senza troppa sorpresa, si ritrovò davanti due bambini seduti in ginocchio con i pugni chiusi appoggiati sulle coscie, sorridenti come angioletti.
A destra stava seduto un bambino alto e magro, vestito con una camicia sbottonata e calzoncini corti, una nuvola bionda al posto dei capelli e due occhioni azzurri come il cielo. Stringeva in mano una fionda e taceva. Alla sua sinistra stava un bambino esile, seppur abbastanza robusto, vestito in cannottiera e bretelle; zazzera scura, leggerissimi peletti adolescenziali sopra le labbra (nonostante la modesta età) che somigliavano del tutto a dei baffi e due grandi occhi chiari e orrendamente sbiriluccicosi completavano l'opera.
Entrambi sembravano in attesa di qualcosa da parte di John Paul, e quest'ultimo continuava a fissarli in silenzio, a sua volta in attesa di altro. Bene, benissimo. In effetti, però, una cosa da dire l'aveva.
“... vi ho detto mille volte di non aiutarmi quando sono nei guai!” disse, con la sua vocina sottile.
I sorrisi sdentati dei due bimbi si spensero in un colpo. Mogi mogi, in coro, esclamarono: “Perchè?!”
“Ho due anni in più di voi e posso cavarmela da solo!” rispose l'altro, rosso come un pomodoro.
Alla risposta del ragazzino castano, entrambi scoppiarono a ridere. John Paul li fissava a braccia conserte.
“Se, se...” borbottò il biondino, appoggiandosi all'amico.
“Ehi!” esclamò offeso John Paul. “Non voglio il vostro aiuto, capito?”
Il bambino a sinistra decise allora di intervenire, supportato come al solito dall'amichetto dai riccioli d'oro.
“Ma noi lo facciamo per il tuo bene!”
“Già, e poi ci fai sempre copiare i compiti!”
“In un modo o nell'altro dobbiamo ringraziarti!”
“Ehm... Bonzo caro..?” Il bambino biondo picchiettò la spalla dell'amico con l'indice. “Veramente io intendevo dire che noi lo aiutiamo e lui, per ringraziamento, ci fa copiare i compiti.”
Bonzo corrugò la fronte.
“Sì? … io pensavo il contrario!”
“No, io ho detto giusto.”
“Ma io pensavo che...”
“Okay, okay! Va bene! Ma ora smammate, che tra poco ci chiamano!” intervenne John Paul.
I due bambini smisero automaticamente di bisticciare, girandosi verso il più grande, che li guardava, stufo. Alla fine, sempre lui decise di alzarsi e girare i tacchi – o meglio, la suola delle scarpe da ginnastica – per incamminarsi in direzione della mensa, non troppo distante da lì. E subito cominciarono le lamentele.
“Ma... JP! Non vuoi che ti accompagniamo fino alla mensa? Ti accompagniamo sempre fino alla mensa!”
“Infatti, Jonesy! Aspettaci!” si aggiunse il biondino, alzandosi assieme all'amichetto.
Detto questo, si misero per l'ennesima volta alle calcagna di John Paul che, con rabbia e furia, si sforzava di affrettare il passo per seminare quelle due pesti che lo tormentavano da fin troppo tempo – da quando loro erano in prima mentre lui era in terza, quindi da ben due anni; troppi e abbastanza per la sua bistrattata e sporca dignità. Nonostante l'evidente nervosismo e i continui rifiuti di John Paul ai vari “Vuoi giocare a palla con noi?”, i due non volevano smetterla di seguirlo.
“Ah!”
Proprio allora, a poche decine di metri di distanza dall'ingresso della mensa, John Paul inciampò sulle stringhe delle scarpe e cadde per terra come un sacco di patate, facendo cadere la pesante cartelletta azzurra e spargere di schede, fogli e spartiti l'ingresso della mensa.
“Uffa! Ma perchè capitano tutte a me?” piagnucolò, rialzandosi dal terreno; umiliato, di nuovo.
Intorno al piccolo organista, c'erano solo bambini che ridevano, ridevano di lui, lo indicavano e gli urlavano in coro “Scemo! Scemo!” tra altre spensierate risa, e risa su risa. John Paul storse le labbra e arricciò il naso; ce la mise tutta per trattenere le lacrime, ma oramai scorrevano già inesorabili lungo le sue guancie rosse. E pianse, zitto, fermo e in piedi davanti ad una decina di ragazzini che ridevano di lui, asciugandosi gli occhi con le maniche della felpa. Sapeva che quello era quello a cui puntavano gli altri, ma lui non ce l'aveva fatta a trattenersi. E questo gli portava altre lacrime amare, che sapevano di vergogna e imbarazzo.
“Oh no, Jonesy!” esclamò allora una vocina triste alle spalle del bimbo.
Due braccia cicciottelle e non troppo lunghe strinsero il piccolo Jonesy in un caldo abbraccio, e fu allora che il ragazzino scoppiò davvero a piangere, stringendo a sua volta l'altro e frignando, tirandosi su col naso.
“Voglio tornare a casa...” mormorava.
“Dai, non piangere...” gli disse l'altro, asciugandogli goffamente il viso con un fazzoletto sudicio.
Nel frattempo, un bimbetto biondo con un sorrisone furbo stampato sul faccino si era precipitato sul luogo e, dopo essersi schiarito la voce, era riuscito ad attirare l'attenzione di tutti i bambini che affollavano il posto urlando: “AAAAH! Guardate! Oggi danno i panini all'uovo e alle salsiccie!”
In pochissimi secondi, tutti i marmocchietti erano dentro la mensa, e il biondino aveva trovato il tempo di raccogliere i fogli e le schede cadute dentro la cartelletta, per poi prendere per mano il piccolo John Paul, che ancora piangeva, e avvolgerlo in un altro grande abbraccio.
“Jonesy, dai! Smettila di piangere! Ora, io e Bonzo ti portiamo altrove e prendiamo qualcosa da mangiare, okay?” disse, e attese una qualsiasi conferma da parte del piccolo John Paul prima di poter continuare. “Su, che con un po' di aria fresca passa tutto!” e gli sorrise, soffiandogli un bacino sulla guancia.
“Se va bene, ho dei tramezzini e delle polpette nella mia cartella... L'ho lasciata sotto la quercia, vado a prenderla, Percy?” chiese timidamente Bonzo, visibilmente preoccupato di fronte a delle lacrime.
“Certo, veniamo con te!” rispose Percy, prendendo sottobraccio l'altro, che subito affondò il viso sulla spalla del biondino, forse imbarazzato. Ma Percy sembrò non farci caso. “Pranzeremo sotto la quercia, oggi!”

 

La base del tronco della vecchia quercia, piantata su un grande prato subito fuori dai cancelli della scuola, offriva un ottimo posto al fresco e all'ombra dove passare il tempo, sotto la folta chioma di foglie dorate. L'autunno era arrivato e l'aria profumava di erba fresca appena tagliata e di palloncini – era un odore che persisteva da quando gli abitanti anziani della zona s'erano lamentati per dei piccoli teppisti che giocavano con i gavettoni nelle vicinanze; il solo ricordo bastava per portare un malizioso sorrisetto sulle labbra di Robert e Bonzo. Si erano proprio divertiti, quell'estate, con gli altri ragazzini della zona.
Con quest'odore sotto il naso e seduti su un grosso telo bianco messo ai piedi dell'albero, i tre bambini consumarono con calma il pasto, il piccolo Robert con foga, gettandosi letteralmente sulle polpette e sui tramezzini, Bonzo con calma e masticando piano e John Paul con fin troppa calma, ancora tra le lacrime.
Bonzo lo guardava, indeciso se chiedergli o meno se stesse bene. Ma, per fortuna, la cara signora Plant aveva partorito suo figlio. In poche parole: meno male che esisteva Robert Plant.
“Tu,
Gnionsey, smettila di piangere! Diglielo anche tu, Fonzo, coscì maggari sci convinsce!” esclamò a bocca piena.
“Io, erm... Quoto.” rispose prontamente Bonzo, annuendo.
Jonesy alz
ò gli occhi verso i due bambini che stavano alla sua sinistra con l'aria persa e vagamente confusa, non capendo del tutto le loro intenzioni. Ma stavolta si decise ad aprirsi in un debole e piccolo sorriso – che era meglio di nulla – e a smettere di singhiozzare in silenzio.
“Scusatemi. E' che... Aaahh...” rise, tirandosi su col naso. “E' la prima volta che bigio.”
A queste parole, i due rimasero attoniti. Robert sput
ò addirittura quello che aveva in bocca dalla sorpresa.
La cosa buffa era che loro due marinavano la scuola quasi
tutti i giorni. E questo succedeva più o meno da quando avevano scoperto che marinare la scuola era una vera e concreta possibilità, ossia verso il secondo semestre del primo anno alle elementari. Invece Jonesy era più grande di loro di ben due anni – come lui stesso gliel'aveva fatto notare con gran piacere qualche quindicina di minuti fa – e non aveva mai saltato le lezioni in vita sua. Era una cosa... strana.
“Come, scusa? Non hai mai saltato la scuola?” chiese infatti Robert, ora che non aveva nulla in bocca.
Non sapendo se confermarlo gli avrebbe garantito totale sicurezza, Jonesy annu
ì con timidezza. Bonzo e Robert apparvero sorpresi, ora più di prima.
“Cavolo... Chiss
à che barba!” mormorò il bimbo con le bretelle.
Oooo-ovviamente l'ho saltata, qualche volta, ma per la febbre, o per l'influenza...” decise di intervenire Jonesy, alzando le mani come per proteggersi da una futura pioggia di altre parole.
“S
ì, ma... Devi capire che noi, l'anno scorso, abbiamo marinato per ben... Oddio, Robert, quante volte abbiamo marinato, l'anno scorso?”
“Bonzo! Non devi dire 'Oddio'!” lo riprese Robert, per poi diventare tutto rosso. “Ohhh... Ho detto 'oddio'! Ed ecco che l'ho ridetto! Devo smetterla di dire 'oddio'! AAARGH, L'HO RIDETTO ANCORA!”
“OKAY, ORA DIMMI QUANTE VOLTE ABBIAMO SALTATO LA SCUOLA!” url
ò Bonzo, spazientito.
Robert, spaventato dall'urlo dell'amico, sembrava sul punto di scoppiare a piangere, e con gli occhi lucidi mormor
ò: “Ehm... Per più di ventidieci volte, no?” e si mise a girarsi i pollici.
“Oooohhh... Si dice
trenta!” lo corresse Bonham, sistemandosi le bretelle in denim.
“Trenta, ventidieci o diecisei che sia, insomma, hai capito!”
Dopo un sonoro e spregiativo “Tsk,” Bonzo arriccio' un secondo il nasino in una smorfia dubbiosa. “Io penso che la scuola l'abbiamo saltata per piu' di trenta volte... No?” Robert alz
ò gli occhi verso l'amico.
“Eeehhhhh, ma che vuoi, il numero esatto?!” e poi, asciugandosi gli occhi, “Approssimatamente, abbiamo saltato la scuola assieme per vent... trenta volte, e siamo stati sospesi per... Quattro volte, s
ìsì!”
Ora, gli altri due stavano guardando il biondino con un'espressione tra l'incredulo e l'allibito sul viso. Robert non tard
ò ad accorgersene e inclinò la testolina di lato, prendendo in mano una polpetta e bagnandola col ketchup.
“Erm... Che avete da guardarmi in quel modo?” chiese, piano piano, arrossendo.
Grosso errore. Infatti, partirono le domande. La prima fu quella di un pallido e impressionato John Paul.
“... avete fatto
trenta assenze e siete stati sospesi per altre cinque volte?”
“... che vuol dire
approssimatatamente?” disse invece Bonzo.
“Quattro volte, Jonesy! E trenta volte
approssimative!” lo corresse Plant con un sorrisone.
“Ma, ma... Oh, fa lo stesso!” esclam
ò Jonesy, ancora incredulo.
“Qualcuno vuole spiegarmi che vuol dire, erm...
approssimatatamente?”
“Approssimatamente! Senza la seconda 'ta'!” lo corresse Robert, tirandogli una gomitata sul braccio. Poi torn
ò a sorridere, contento di poter spiegare a qualcuno una cosa che sapeva solo lui. “E' una parola che ho imparato ieri! Significa... Significa che una cosa che... Insomma, che non è precisa!”
E cadde sui tre bambini un pesante e funebre silenzio, che si guardavano a vicenda senza sapere che dire. Fu la volta in cui Bonzo salv
ò la situazione, alzandosi in piedi tutto ad un tratto per prendere la cartella.
“Percy, andiamo alla casa sull'albero! Jonesy, vuoi seguirci?”
Alle parole di Bonzo, la faccia del piccolo biondino si illumin
ò tutta. I suoi occhioni si spostarono quindi sul timido John Paul, che era stato colto dalla sorpresa di fronte a quella proposta.
“S-seguirvi? Ehm... Certo, va bene, ma... Possiamo fare in fretta?”
Bonzo ghign
ò.
“Affermativo, capo!”

Capo? Ma non ebbe abbastanza tempo per pensarci.
Sulla via di andata verso la casa sull'albero, non troppo distante dalla vecchia quercia sotto al quale spesso Plant e Bonham trovavano un bel posto dove stare all'ombra, i due amichetti si misero a giocare di tanto in tanto ai vari “Chi arriva per primo a quel sasso” e a parlare, mentre il terzo li guardava in silenzio e ascoltava le loro chiacchiere. Si ritrovarono anche a parlare di un fantomatico nuovo studente delle medie che chi fosse per l'esattezza nessuno sapeva, ma che era ben noto per essere stato picchiato e rinchiuso nell'armadietto da alcuni studenti. E questo era successo nel primo giorno di scuola.
Jonesy si pass
ò le dita sul mento. Chissà se era quel Page di cui parlavano gli altri.
Il resto del pomeriggio pass
ò tranquillo, tra chiacchiere e vari giochi, come un giorno qualsiasi di estate. E Jonesy ebbe il suo primo punto negativo sul suo curriculum scolastico, ma, stranamente, questo non lo sfiorò affatto. Cosa gliene poteva importare? Aveva trovato due nuovi amici.

 

 


A/N: Ho aggiornato, ja. Questo capitolo doveva arrivare martedì, ma lo posto solo oggi perchè... Perchè ho concluso l'ultima parte solo oggi, ecco perchè. Spero piaccia a qualcuno, lol. Ringrazio tantissimo DazedAndConfused e natalia per i commenti, davvero molto – troppo – gentili.
Per sclerare un secondo: Jonesy che piange mi mette seriamente angoscia. Ho fatto un po' fatica a scrivere quel pezzo.
Ok, non vi rompo pi
ù e vi lascio in pace. See ya. :3

PS: Grazie mille sempre alla cara
Dazed/Sara per avermi suggerito il nome di JJJJoseph, jkrk. <3

  
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