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Autore: pathisas    14/01/2011    0 recensioni
Mi chiamo Eric Dursch, ho 20 anni e odio le presentazioni. Cercherò di essere il più breve possibile nel raccontare la mia vita. Posso affermare che nella mia illogica esistenza ho sempre avuto la consapevolezza di non essere un ragazzo che si potrebbe definire ‘normale’. Sono sempre uscito dagli schemi sin dai tempi dal liceo. Mi piaceva essere considerato un ‘diverso’,anche se ciò mi ha causato diversi problemi! Avevo tanti sogni e tante credenze e di una cosa ero (quasi) certo: non avrei mai amato un uomo. E adesso, per uno strano ed assurdo gioco del destino, mi ritrovo a piangere su un letto di un ospedale per l’unica persona che mi ha mai reso realmente felice: un uomo! Ma non voglio anticipare nulla,e preferisco partire da quando iniziò tutto,cioè da quella profonda ferita sul mio petto alla tenera età di 18 anni.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Beh,tutto è iniziato due anni fa, quando mio padre,deluso e umiliato per la mia bocciatura a causa della mia onnipresenza a qualsiasi movimento rivoluzionario di studenti comunisti di moda e non di pensiero (come me), decise con mia madre di mandarmi in un campo militare per ragazzi sociopatici,alle prese con le loro crisi esistenziali e con i loro drammi adolescenziali. Io non potei opporre resistenza,anche perché se l’avessi fatto sarei arrivato in men che non si dica in Cina con un pugno di mio padre,che è, a mio parere, una versione umana dell’incredibile Hulk! Il campo era nei pressi di Houston,pertanto siamo partiti la mattina presto in macchina. Beh,inutile raccontare il mio stato d’animo:furioso,triste e malinconico…ho dovuto lasciare i miei amici,con cui avevamo fatto progetti per le vacanze estive,promettendoci che avremmo passato un’estate indimenticabile insieme,tra feste, discoteche,concerti,alcool e sigarette;ho lasciato Lucy,la mia ragazza da 7 pesantissimi mesi,che quando le ho raccontato del fattaccio ha iniziato a frignare e a sghignazzare come un’isterica, accusandomi che fosse una scusa per tradirla con ragazze più belle di lei;ho lasciato la mia band,con cui avevamo deciso di incidere il nostro primo disco!Ho lasciato la mia città,il mio mare,il mio sole,la mia camera da letto(che assomiglia ad un laboratorio segreto).Stavo lasciando tutta la mia vita,ma avevo allo stesso tempo la strana ed avvolgente sensazione che qualcosa sarebbe cambiato,che non sarei più stato lo stesso! Dopo tre interminabili ore,in cui ho dovuto sopportare ogni tipo di predica,offesa e raccomandazione,siamo arrivati al campo militare. Struttura talmente squallida da urtare il mio senso estetico non particolarmente sviluppato. Sembrava di essere ambientati in un film dell’orrore! “Giovanotto come ti chiami?”iniziò la vecchia e racchia segretaria,con i suoi occhiali a mezza luna,capelli argentei e sguardo pietrificante. “Eric Dursch”le risposi intimidito “Nato il…?” “25 Maggio 1991” “Dove?” “New Orleans,Louisiana” Continuammo con quella sottospecie di interrogatorio per alcuni minuti:io fermo immobile sulla sedia ,lei scriveva i dati con una velocità analoga a quella di un bradipo su un computer degli anni ’90,che poteva essere esposto in un museo come reperto archeologico! Più il tempo passava più non mi sentivo le gambe incollate al corpo:i livelli di nervosismo e di ansia erano alle stelle. Si alzò. Sollevò la cornetta e compose un numero di quattro cifre. Chiese di un sergente dal cognome ,a mio parere, impronunciabile . “Signorino Dursch,adesso può andare. Il Sergente arriverà a momenti,la prego cortesemente di aspettarlo fuori questo ufficio. Buona giornata.”mi disse dopo aver chiuso il telefono,con un tono alquanto sgradevole. Senza fiatare,mi alzai e con garbo me ne uscii dall’ufficio,salutandola gentilmente,anche se non se lo meritava. Approfittando dell’attesa,mi sono permesso di raggiungere una macchinetta preistorica e prendermi un caffè. Manco il tempo di potermi sedere e sorseggiarlo che mi spunta di punto in bianco davanti un uomo altissimo,robusto con baffi biondini,occhi verdi tendenti al grigio ed una divisa verde militare tristissimo. All’apparenza sembrava un uomo di oltre mezzo secolo,e aveva uno sguardo agghiacciante. Mi feci coraggio e cordialmente gli chiesi: “Chiedo scusa,è lei il sergente che devo seguire?” “Chi ti credevi che fossi…tua nonna?” rispose con acidità. “Mi segua,birbante” esclamò successivamente con violenza sonora il Sergente. Respirai profondamente per trattenere il veleno che man mano stava salendo nel mio corpo,e con un sorriso alquanto falso mi accinsi nel seguirlo. Arrivammo davanti una Land Rover nera,sporchissima di fango,e mi fece capire che dovevo salire. Caricai il mio borsone nei sedili posteriori e mi infilai in macchina. Il Sergente,dopo aver controllato per venti minuti che tutti i documenti fossero in regola,si decise ad accendere la macchina,accese la sua sigaretta e la radio,e finalmente partimmo. In radio trasmettevano i Pixies e mi limitai a muovere le labbra in playback,nel tentativo di soffocare il desiderio di cantare quel brano. Dopo circa mezz’ora arrivammo al campus. Deserto intorno a noi. Solo vecchie e rovinate tende di un colore raccapricciante con incisi in rosso sangue coagulato dei numeri. “Lattante –incominciò- tu sarai nella numero 4.Muovi le chiappe e vatti a sistemare!” e così dicendo mi girò le spalle,salì sulla sua jeep e se ne andò. Era cambiato lo sfondo. Da film dell’orrore ero passato ad un film Far West anni ’40. Si vedevano in lontananza soltanto un boschetto e un edificio all’apparenza abbandonato. Mancavano solo la palla di fieno,una pistola ed un cappello da cowboy per sentirmi dentro quel genere di film. Caldo. Faceva caldo da morire. Mi rimboccai le maniche della camicia,presi il borsone ed iniziai a cercare la tenda con la macchia rosso amaranto che mi interessava. Camminai. Camminai. Camminai. Nessuna traccia del numero 4. Iniziavo a pensare di essere preso in giro. I numeri delle tende non avevano quello che per gli esseri umani sarebbe stato ‘un ordine logico’. Le forze iniziavano a venir meno quando finalmente,dopo aver girato in lungo ed in largo il campo,trovai la tenda! Tirai un sospiro di sollievo,che allo stesso tempo era un tentativo di prendere più ossigeno. Ripresi in mano il borsone,un bel respiro ed entrai nella tenda. Dal punto di vista organizzativo quella tenda era un disastro:camera mia in confronto era una camera di hotel a cinque stelle;da quello materiale era molto semplice:due letti a castello messi ai lati della tenda,un tavolo centrale con quattro sedie, e una sottospecie di cassettiera per la biancheria ed i vestiti. Quando entrai c’erano quelli che sarebbero stati i miei coinquilini. Due stavano giocando a poker mentre fumavano,l’altro invece era disteso sul letto a leggere. “E tu chi diavolo sei?”mi chiese uno dei due giocatori,troppo impegnato nello studiare una strategia di vittoria per degnarmi di uno sguardo. “Oh,ciao,mi chiamo Eric e a quanto pare sarò il vostro nuovo compagno di tenda” “Allora Dio esiste da qualche parte dell’universo! Il ragazzo che ti ha preceduto era davvero insopportabile!” Spense la sigaretta e si alzò,assicurandosi di lasciare coperte le carte ,e mi porse la mano in segno d’amicizia e rispetto….credo. “Io sono Fred,piacere.”disse stringendomi con forza la mano. Fred era uno scimmione:altissimo,muscoli d’acciaio,occhi piccoli nocciolati,sopracciglia folte,capelli neri corti fatti a cresta,pizzetto lungo,orecchino e pieno di tatuaggi. Una persona qualsiasi lo avrebbe giudicato come un teppista o peggio. “Io mi chiamo David.Perdonalo per il suo atteggiamento scontroso,ma non vede con un buon occhio gli stranieri”disse l’altro giocatore,assicurandosi pure lui che le sue carte rimanessero coperte. David invece era un orsacchiotto:alto,robusto,occhi grandi e neri,capelli semi-lunghi ondulati neri e portava la barba. Mi sembrò molto cortese,dolce,amichevole,educato e rispettoso nei miei confronti. A quel punto si alzò dal letto l’altro coinquilino. “Io sono James,e dei tre sono il maggiore. Sappi che da oggi in poi la tua vita cambierà radicalmente. Dovrai sudare,sanguinare,crescere e metterci anima e corpo per poter sopravvivere qui. Non siamo in un videogioco. Pensi di potercela fare?” James era alto un po’ più di me,con occhi verde smeraldo e capelli lunghi e castani legati da un elastico nero e portava occhiali da vista,che gli conferivano ancor di più un’aria da intellettuale. Le parole pronunciate da James mi gelarono il sangue. Ma mi presi di coraggio e risposi alla sua domanda: “Non lo sapremo mai se non ci provo. Penso di essere all’altezza di poter affrontare un situazione simile. Ce la metterò tutta” “Ammirevole il tuo coraggio. Beh,sappi che da noi riceverai qualsiasi tipo di aiuto. Benvenuto all’Inferno!”
  
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